domenica 5 ottobre 2025

Domenica 5 ottobre 2025: GIORNATA MONDIALE DEGLI INSEGNANTI...

Seneca ha scritto: C'è un vantaggio reciproco (nell'insegnare), perché gli uomini, mentre insegnano, imparano. (L. A. Seneca, Lettere a Lucilio)

È un giorno importantissimo per il mondo intero: l’importanza dell’istruzione e dell’educazione quale diritto fondamentale per ogni bambino a qualsiasi longitudine e latitudine del nostro pianeta. E, così, i ricordi di scuola si affacciano prepotenti nella mente: scolara difficile e senza parole… ragazzina consapevole di amare la scrittura e di detestare la scuola, con i suoi voti, le sue regole, i suoi richiami inutili e demotivanti… insegnante, mio malgrado, in una scuola che mi voleva tuttologa e da cui fuggire appena possibile… docente di scuola per preadolescenti in cerca di una identità provvisoria prima di scoprire, tra crisi e turbamenti, il primo amore e fughe da modelli poco amati di insegnanti restii al cambiamento… io alla ricerca di una dimensione di ascolto dei giovanissimi allievi in cerca di essere compresi e guidati con dolcezza e coraggio per affermarsi nella libertà di scegliere il proprio percorso di conoscenza e di socializzazione, per scoprire intese affettive ed emotive, per riconoscersi, realizzarsi, tra facili errori e dubbi, tra faticose conquiste e poche certezze di sé e del sé. E classi difficili da affrontare quotidianamente e singoli alunni da ascoltare singolarmente per aiutarli nella crescita e maturazione in tutte le direzioni della vita. Ho, ancora oggi tantissime perplessità sulla mia attività di insegnante, e conservo ancora oggi la consapevolezza di non aver mai amato la scuola, ma di aver amato tutti i miei alunni, uno per uno, singolarmente, dialogando col ciascuno, per aiutarli ad affrontare il mondo e la vita con i propri mezzi, le proprie inclinazioni, le proprie passioni. Ancora di più questo è stato possibile come preparatrice, per oltre un trentennio, dei candidati ai vari Concorsi per entrare di ruolo nella Scuola di ogni ordine e grado e… persino per Dirigenti scolastici. Un controsenso? Sì, certamente, nella consapevolezza, però, di comunicare le mie conoscenze pedagogiche, metodologico-didattiche e matetiche con continui approfondimenti per trasmettere, con tutta la passione possibile, la necessità e la gioia di svecchiare l’Istituzione scolastica e renderla sorridente, accogliente e concretamente inclusiva, realizzando con i miei allievi un rapporto affettivo molto forte ed empatico al di là di quello professionale che non va oltre il periodo della stessa preparazione. Rapporto che dura ancora oggi. E di cui vado fiera, come mi avessero appuntato sul petto una medaglia al valore. Non ho mai voluto prendere, però, una specializzazione come insegnante di sostegno perché convinta di non essere in grado di affrontare situazioni di disagio di alunni con particolari problemi di apprendimento, comportamentale e, quindi, anche di socializzazione. In realtà, spesso mi sono trovata a gestire, mio malgrado, casi molto difficili in collaborazione con le insegnanti di sostegno presenti nella mia classe, sempre alle prese con mille difficoltà dentro e fuori la stessa istituzione scolastica che, dopo oltre cinquant’anni dalla Legge n. 118/1971 e la successiva Legge 517 del 1977 fino alla Legge 104 del 1992, non ha risolto, in tutte le loro sfaccettature, i molteplici problemi che l’inclusività ancora oggi comporta.  Innanzitutto occorre avere la consapevolezza che non si può mai scindere la “didattica” (scienza e arte dell’insegnamento) dalla “matetica” (scienza e arte dell’apprendimento) per poter poi applicare la “metodologia” (ossia l’arte di scegliere i metodi più opportuni in riferimento alle aree di forza e di debolezza di ciascun alunno, comprese le individuali inclinazioni, per scegliere insieme il percorso o i percorsi per giungere alla conoscenza “motivata e desiderata” a sempre più vasto raggio. Per imparare insieme, maestri e alunni, in una pluralità sempre più inclusiva di presenze e di voci interne ed esterne alla scuola. Credo, infine, di dover partire dall’“avverbio di tempo adesso” perché, come scrive A.M. Mariani nel suo libro L’agire scolastico - Pedagogia della scuola per insegnanti e futuri docenti, esso rivela un impegno immediato di chi desidera educare e lo fa soprattutto nella scuola. Perché rivela entusiasmo, ma nello stesso tempo la preoccupazione di non procrastinare l’intervento educativo che potrebbe percorrere strade più accidentate in futuro. Perché “adesso” è “l’unica frazione di tempo in nostro potere”. Ma mi sembra inevitabile partire dalle due istituzioni educative fondamentali per la crescita e lo sviluppo del bambino: la Famiglia e la Scuola.  Quest’ultima è l’Istituzione che ha l’intenzionalità pedagogica e le competenze metodologico-didattiche, compresi i mezzi e le attrezzature per svolgere il proprio compito nel migliore dei modi; la famiglia e l’intera comunità in cui opera sono coinvolte per offrire agli educandi più ampi orizzonti di ricerche, scoperte, conoscenze, saperi, applicabili in qualsiasi circostanza e situazione nella comunità di appartenenza. Attualmente, del resto, si assiste a un nuovo fenomeno di abbandono scolastico dovuto spesso alle nuove tecnologie della comunicazione, alle nuove composizioni familiari, che definiscono una diversa dispersione della personalità e una nuova crisi esistenziale dei più giovani scolari e studenti. Definiti, purtroppo, non di rado, dai loro insegnanti “incapaci, demotivati, ingombranti e stupidi”. A tale riguardo, mi ritorna alla mente la grande lezione di Don Lorenzo Milani, il prete scomodo della scuola di Barbiana, che, con i suoi ragazzi diseredati, puntò il dito contro la classe insegnante con la Lettera ad una professoressa in cui, tra l’altro, affermava che la scuola dei suoi tempi era “come un ospedale che cura i sani e rifiuta i malati” e che, dunque, aveva “un solo problema, i ragazzi che dis-perde” (L. Milani e la Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, (prima pubblicazione maggio 1967, un mese prima della sua morte), Libreria Editrice Fiorentina 2017). E, infatti, la scuola, come si veniva profilando in quegli anni, aveva profondamente deluso Don Milani e le motivazioni più profonde è facile scoprirle proprio in quella “Lettera”, prodotta con tutti i ragazzi di Barbiana che “facevano scuola” col “prete scomodo” anche di sabato e di domenica, senza soluzione di continuità, per affermare i diritti dei meno abbienti, attraverso “il possesso e l’utilizzo della “parola-scrittura”, fondamentale per rendere uguale il figlio dell’operaio al figlio del medico o dell’ingegnere. La pedagogia dell’emancipazione di Don Milani fu etico-politica per una società in cammino verso la democrazia e l’uguaglianza. Non a caso, la sua preoccupazione costante fu la scuola statale di quegli anni. “Perché non c’è nulla che sia ingiusto – egli sosteneva - quanto far parti uguali fra disuguali”. Sono passati circa sessant’anni da allora, ma ancora oggi la scuola è rimasta, per alcuni versi, ancora lontana dalla vera inclusione per evitare ogni possibile esclusione, nonostante oggi si parli di “nuovi saperi” in rapporto a nuove “scienze dell’educazione”, come la sociologia, la psicologia, la psicoanalisi, l’antropologia culturale, l’etnometodologia, la statistica, che hanno prospettato nuovi modelli scientifici” di insegnamento-apprendimento in una nuova scuola che si va sempre più facendo promotrice di cambiamento in questa società, come ho detto prima, in continua e rapidissima  trasformazione in tutte le sue istituzioni. Oltre alle nuove costellazioni familiari, per esempio, ci troviamo di fronte a studenti appartenenti ad altre culture, per l’intensificarsi dei flussi migratori, con notevoli problematiche a livello di istruzione, educazione, inclusione nella scuola e nella comunità sociale, con nuove   dinamiche inconsce” nei “processi cognitivi, gli atteggiamenti affettivi, le relazioni sociali ecc.”, come sostiene il prof. Cosimo Laneve nel suo libro La didattica fra teoria e pratica. Diventa sempre più importante allora una scuola accogliente per tutti con la possibilità di scoprire il valore del gruppo per l’apporto di ciascuno nella realizzazione dei molteplici progetti laboratoriali, oggi sempre più frequenti nei diversi “campi dei saperi”. Il tutto deve servire oggi a evitare la nuova dispersione scolastica e la “disperazione” delle nuove generazioni di fronte al devastante futuro che sembra profilarsi all’orizzonte dei tempi bui che stiamo vivendo tra nuovi terribili conflitti mondiali, nuovi totalitarismi, nuovi interrogativi   a cui è difficile rispondere tante sono oggi le contraddizioni della complessità del nostro tempo. Probabilmente tutto si tinge di grossi dubbi e vane certezze in un processo continuo di cambiamento e trasformazione nelle “variegate realtà della vita umana” (D. Capperucci). La maggiore speranza, a mio parere, della nostra riumanizzazione è affidata alla scuola e a quanti vi operano con coraggio, buona volontà, nobiltà di intenti. E concludo con alcuni versi che accendono i nostri cuori alla Speranza, che mai deve abbandonarci

                                                                  … il cielo

                                                                      infinito,

                                                               ciò nondimeno

                                                           del tutto presente

                                                      nella fugace pozzanghera

                                                            (Yves Bonnefoy)

A presto. Grazie. Angela/lina

  

sabato 4 ottobre 2025

Sabato 4 ottobre 2025: A DRAGAN MRAOVIC per il suo anniversario tra le stelle e l'erba dei prati...

Oggi Dragan Mraovic, mio carissimo amico serbo per oltre quarant’anni, avrebbe compiuto 78 anni, se ho fatto bene i conti: 4 ottobre 1947-20 marzo 2025 Dragan, dopo lo sbigottimento, il nodo alla gola, il pianto e il rimpianto, anch’io, in questo giorno così difficile da vivere, voglio dedicarti un pensiero che ti riporti con velieri, “corde, ancore, bussole”, da noi in Italia. Almeno per un saluto, un abbraccio.
Ho cercato tra i tanti file delle tue traduzioni, a cui avrei dovuto fare l’adattamento alla lingua italiana, e mi è venuta prodigiosamente incontro una poesia di DRAGOSLAV GRAOČANKIĆ, tradotta da te ma senza il mio adattamento. Rimasta in attesa, dunque, come tutto il resto. Eppure questo ritrovamento oggi, tra i mille file che imbrogliano e imbrigliano il mio desktop, ha senso e significato. È segno. È emozione e commozione. È poesia. È il tuo amore per l’Italia e per la nostra Puglia. Come sarà facile scoprire. Ed io ci credo ai segni. Niente accade per caso. Eccola così come l’hai tradotta:

DRAGOSLAV GRAOČANKIĆ
VERSO L’ITALIA

A Properzio con ossequi


Quale vento, meglio degli altri,
porta verso l’Italiaдо?!
Siamo così tanto
sfaccendati e sognatori,
perché in noi la voglia è grande
da far perfino questa domanda?!

Dove sono natanti, vele,
corde, ancore, bussole?
Raggiungeremmo la destinazione
magari col vento migliore?!

Se aspettiamo che tutto accada da sé,
se tutto ciò fiaccamente ci attrae, questo 
ci manca comunque qualcosa
stessi forse.

Non siamo abili lupi di mare,
а, аma che ce ne importa!
Conosciamo la terra ferma quanto l’alto mare
e ci sentiamo a nostro agio come a casa nostra.

Forse impareremo tutto lungo il nostro cammino
sulla nostra nave non ancora in vista,
eternamente giovane,
la maieutica,
che ci aspetta pronta, ора
e non confezionabile,
esperienze meravigliose,
dei numerosi suoi ultimi viaggi
dei suoi sempre nuovi vari,
essa che con il tu si rivolge 
alla Cina, al Giappone, alla Somalia -
e per noi si strugge almeno
quanto noi stessi per l'Italia о per l'Italiaci struggiamo.
Mogadiscio, XII / 2017. 

(Traduzione dal serbo a cura di Dragan Mraovic)

Ed ora, carissimo Dragan, dopo essere tornato tra noi, ti so nuovamente in volo verso le rive venerate del tuo Danubio. Fai buon viaggio, amico di una vita! Porta con te il mio abbraccio a Mira, ai tuoi figli, ai tantissimi amici Serbi che mi porto nel cuore. Ma è un omaggio che non può bastare. Oggi ho ritrovato anche un altro bellissimo lavoro di Dragan, scritto in ottimo italiano senza il mio consueto adattamento, rivelandosi non solo ottimo traduttore, ma anche grande scrittore e poeta, sicuramente uno degli ultimi poeti bohemien serbi. Già il titolo mi intriga molto: IL POPOLO DEL VENTO. E parla degli zingari.

Scrive Dragan Mraovic:


La maggior parte della gente ha un’immagine stereotipata degli Zingari, cioè del popolo dei Rom. Si pensa agli Zingari, di solito, come a dei nomadi che chiedono elemosina, fanno furtarelli oppure vanno in giro a indovinare il futuro, il che è abbastanza errato. I Rom, invece, sono uno dei popoli più infelici di questa nostra Terra, ma sono gente dotata di moltissime facoltà, tra le quali non ultima quella di essere artisti, musicisti e poeti spesso di grande valore. Gli Zingari sono un popolo molto sensibile e con una concezione filosofica della vita del tutto eccezionale, tanto da fare invidia a tutti noi, diventati ormai servi della società moderna. Sono un popolo del vento, perché temono i venti che portano il freddo nelle loro povere abitazioni oppure mentre camminano per le strade del mondo. I Rom hanno un animo delicato, fucina di emozioni, e non per caso la loro musica e le loro canzoni d’amore sono, come diceva Cervantes, “la pace dell’animo, la festa dei sensi”. I valori di vita dei Rom non hanno niente a che fare con i valori materiali della società consumistica. Naturalmente, col tempo, anche gli Zingari si stan­no adeguando a certe regole della società moderna, ma il loro senso naturale della libertà e i pregiudizi della gente rendono i Rom ancora un popolo “senza casa, senza tomba”. Speriamo che la cosiddetta gente civile si liberi dai pregiudizi per contribuire a valorizzare un popolo che merita di essere apprezzato, perché ha saputo sopravvivere a tante ingiu­stizie e per di più ha creato un’arte di valore eccezionale, di cui la poesia costituisce una fondamentale testimonianza. In un convegno dedicato allo stato sociale dei Rom svoltosi a Foggia il 17 marzo 2000 gli Zingari hanno detto all’operatrice sociale italiana: “La verità è, signora, che tutti ci chiedono di votare, ma nessuno fa nulla per noi. Forse perché portiamo vestiti poveri e non siamo profumati. Ma, comunque, ricordi che noi puzziamo solo dall’esterno, mentre gli altri puzzano dall’interno!” Avevano ragione quegli Zingari, avvalorati anche da Fabrizio De Andrè che canta “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Comunque, la Regione Puglia ha emanato una buona legge per difendere l’identità etnica e culturale dei Rom, riconoscendo loro soprattutto “il diritto al nomadismo e al soggiorno stabile”, a seconda della loro scelta. Questa legge prevede pure uno stanziamento di fondi per l’educazione scolastica e per l’educazione professionale dei Rom, per la loro sistemazione, per la costruzione delle loro case, per la salvaguardia della loro lingua, ecc. All'inizio di questo secolo in Italia vivevano circa 110.000 Zingari, di cui 70.000 con la cittadinanza italiana. Ci sono Zingari abruzzesi, napoletani, i cosiddetti “napulengre”, cilentini di Salerno, lucani, pugliesi, calabresi, cioè “khorakhanè” prevalentemente musulmani, siciliani (“camminanti” e “kalderasha”), poi ci sono i vari Sinti “(Sinti delle giostre”, marchigiani, emiliani, veneti, lombardi, piemontesi, Gacane dell’Alto Adige, cioè sinti tedeschi). Citiamo pure gli Zingari “carvati”, “lovara”, “rudari”. Ci sono quelli di origine spagnola, polacca, istriana, slovena, montenegrina, romena, poi Zingari “schipetaria” e “mangiupi” della Serbia, precisamente della provincia serba Kosovo e Metohija, e della Macedonia del Nord e del Montenegro. Dalla Serbia provengono anche gli Zingari “mrsnaria”, “bulgaria”, “busnaria”, “banculesti”, “Arlia”. In Puglia vivono molti Zingari “schipetaria” della provincia serba Kosovo e Metohija, soprattutto a Foggia, Lecce, Altamura e Brindisi. Il loro passaggio dall’equilibrio psico-ambientale del seminomadismo allo squilibrio dei campi recintati e delle case popolari nelle città è spesso traumatico per loro, che essenzialmente sono divisi in tre gruppi: nomadi, seminomadi e sedentari. Il nome Rom, secondo me, non è una scelta felice. Questa parola della loro lingua vuol dire “uomo”, termine generico che assomiglia troppo all’“hey man” americano. Cioè, un saluto a nessuno. Un saluto senz’anima. Questo cambiamento del nome fatto artificialmente non cambia nulla nella vita degli zingari. È solo un trucco della società moderna che tende alla superficialità, è solo “il vestito nuovo del re” oppure come canta il nostro poeta Brana Crncevic:

Fui lo Zingaro una volta,
ora Rom, che invenzione stolta!
Ma ciò non m’interessa affatto.
Rimasi ciò che sono sempre stato.


Il termine Zingaro è nobile e poetico, malgrado il suo significato etimologico sia negativo. Ma spesso avviene che il tempo, la storia, l’avvicendarsi delle società e delle culture modificano l’uso delle parole e i loro significati. Cosicché, la parola “zingaro” è evoluta verso la nobiltà, come, al contrario, la parola tiranno, nata con un’accezione positiva, ha acquisito un significato di indiscutibile negatività. Ma poi gli Zingari sono Indiani dell’India, sono i Sinti e altri che ho nominato. Come mai un attore Kabir Bedi, credo amato e rispettato da tutti, sia per noi un Indiano, mentre chiamiamo Zingari i suoi compatrioti venuti dalle Indie secoli fa? Ma allora anche Bedi è uno Zingaro. E ciò non toglie nulla alla sua arte e alla sua personalità. Arrivarono in Europa dalla provincia del Rajasthan in India nel X secolo. Tuttavia, si dice che provengano dal Punjab (India settentrionale e Pakistan), i cui abitanti hanno grandi somiglianze linguistiche ma, secondo altri, i Rom provenivano dallo Sri Lanka, perché la loro base linguistica è identica alla lingua singalese parlata nello Sri Lanka. Tuttavia, poiché i Rom fino alla fine del XX secolo vivevano principalmente una vita nomade ed entravano in contatto con molte culture e lingue, cambiarono, e quindi ci sono molte varianti, circa 80 gruppi etnici. Non hanno una religione unica. La disoccupazione e la povertà, calamità endemiche per la popolazione Rom, affliggono in particolare le donne, la cui aspettativa di vita media è di 48 anni! Tra i Rom sono pochi quelli che hanno ricevuto l'istruzione superiore. Tuttavia, la situazione sta cambiando in meglio e ci sono sempre più membri importanti della società tra i Rom.
Gelem, Gelem è l'inno del popolo Rom, adottato ufficialmente al primo Congresso Mondiale Rom svoltosi a Londra nel 1971. È stato composto, nella sua forma ufficiale, dal musicista serbo Zarko Jovanović, che scrisse il testo in lingua romaní adattandolo a una melodia tradizionale. Nel brano sono presenti riferimenti al Porajmos, lo sterminio di Rom e Sinti perpetrato dai nazisti, precisamente dagli Schutzstaffel, la Legione Nera. Associare gli zingari alla musica è pressoché scontato. La loro cultura è inseparabile dalla musica magica che creano. I loro più illustri musicisti vivono in Russia, Ungheria, Romania, Serbia, Spagna... Il flamenco, considerato musica e danza nazionali spagnole, è di origine rom. I Rom sono i migliori con i tamburelli in Ungheria e in Vojvodina, provincia serba del nord confinante con l’Ungheria, con i violini in Romania, senza parlare dei suonatori di tromba nel sud della Serbia. Мolti sono i personaggi famosi Rom, che non solo non hanno nascosto la loro origine, ma l’hanno rimarcata con orgoglio: Django Reinhard, primo musicista jazz europeo di origini Rom; Pablo Picasso, che dichiarava orgogliosamente di essere un Rom; Yul Brynner, la cui nonna materna era una Rom russa, presidentessa onoraria dell’Associazione mondiale dei Rom fino alla fine della sua vita, nel 1985; Tyson Fury, Rom irlandese, campione del mondo di boxe; l’attore inglese di fama mondiale Michael Caine, insignito di alte onorificenze britanniche e straniere, era di etnia rom romanichael, come Charlie Chaplin, nato a Smetwick, vicino a Birmingham, nello stesso insediamento di roulotte rom dove era nata sua madre; la famosissima attrice Rita Hayworth, nata come Margarita Carmen Cancino, figlia di un Rom spagnolo. In Serbia i Rom sono conosciuti soprattutto nel mondo della musica: Saban Bajramovic, koEsma Redzepova, Usnia Redzepova, Jay Ramadanovski, Boban Markovic. La cantante lirica serba di etnia Rom Natasa Tasic Knezevic ha descritto gli stereotipi che accompagnano i Rom: “All'estero, mi presentano come un'artista, non una donna rom, anche se sono una donna rom”. Gli zingari si chiamano tra loro con l’appellativo di fratello e sorella.
In Serbia i Rom, i nostri fratelli Zingari, sono rispettati e amati. Lo affermano loro stessi. Non c’è alcuna discriminazione o isolamento. Loro hanno pregi e difetti, come noi serbi, dunque nulla che riguardi il colore della pelle o la loro condizione umana e il loro modo di vivere. Loro stessi dicono che la Serbia è il Paese in cui sono di casa. Durante l’aggressione illegale hitleriana della NATO alla Serbia nel 1999, quando noi serbi dicevamo d’essere rimasti soli, perché siamo giusti come il nostro Signore Gesù Cristo che rimase solo sulla croce pur essendo un giusto, i Rom di Serbia ci hanno rivolto un messaggio: “Serbi, non siete soli, noi Zingari siamo con voi!”
Un atto di umanità e di senso di giustizia ignorato dalla cosiddetta comunità internazionale in cui i Rom, gli Zingari, sono gente di grado inferiore.

Continuerò nei prossimi giorni a proporvi il bellissimo e documentatissimo articolo di Dragan Mraovic perché è veramente degno di essere letto per farci riflettere sui tanti pregiudizi che ancora ingombrano la nostra mente nei riguardi degli zingari. Vi auguro un buon fine settimana con la partecipazione in tantissimi allo sciopero nazionale per Gaza per porre fine, anche con la nostra voce, a questo devastante e imperdonabile genocidio e all’imperdonabile comportamento di quanti ci governano. A prestissimo. Grazie. Angela/lina

giovedì 2 ottobre 2025

Giovedì 2 ottobre 2025: GLI ANGELI CUSTODI - FESTA DEI NONNI...

                                                      Scrivere vuol dire farsi eco                                                                                                                     di ciò che non può cessare di parlare…                                                                                                                       (Maurice Blanchot)

 E oggi, 2 ottobre, la chiesa ci ricorda gli Angeli Custodi, che sempre mi hanno parlato al cuore attraverso il canto dolce di mia madre: Angioletto del mio Dio/ che fai tu vicino a me?/ Che fai tu vicino a me?// Sono l’angelo del Signore,/ sto vicino al tuo cuore,/ quando vegli e quando dormi,/ sempre sempre sto con te./ Sempre sempre sto con te. Era una canzoncina rassicurante. Pure, io non riuscivo ad addormentarmi e chiamavo mio nonno che, per tutti noi sei nipoti, è stato sempre “papa”, per via dell’assenza di babbo, che era in guerra, durante i primissimi anni della nostra vita (di Lizia, la primogenita, e mia, che avevo solo venti mesi in meno). Tutti gli altri sono nati dopo il suo ritorno. Ma tutti abbiamo continuato a chiamare nonno Mincuccio “papà”. E a giusta ragione: per noi è stato sempre il nostro tenero papà. E così lo chiamano ancora i miei figli e nipoti perché io spessissimo parlo di lui e di Nonna Angelina, di cui porto il nome. I nostri meravigliosi nonni di un tempo ormai troppo lontano, ma mai dimenticato. Dunque, io di notte chiamavo papà perché mi fidavo solo della sua voce e della sua presenza. Era lui il mio “angelo custode”. E lo è ancora oggi. Per questo mi rivolgo a lui direttamente ed è come se parlassi al mio cuore: Mio caro e buon papà, sono passati oltre cinquantotto anni dal tuo sorriso rivolto a noi in un presagio di stelle, mentre l’alba si vestiva di campane festose nel tuo cortile d’inverno, ma le tue parole sono ancora qui, scolpite nella mente e ancorate all’anima che non dimentica. È ancora la tua voce a parlarmi, a guidarmi, a salvarmi. La tua presenza in ogni nuova alba e nuovo tramonto. La mia vita tutta ne è impregnata perché devo a te la mia continua rinascita dopo ogni naufragio. A te devo quanto di bello ho realizzato fino ad oggi anche attraverso la scrittura. Sì, devo a te anche la mia inesauribile capacità di narrare storie, di sentirle vibrare dentro prima che prendano forma di parole e si vestano di poesia. Tu sei stato il mio FARO dopo tutte le tempeste. Tu con le tue fiabe, i tuoi ricordi, la poesia, dolente e dolce, della tua vita, vissuta per tanti lunghi anni con Nonna Angelina, che hai amato con immenso amore, condividendo il dolore, altrettanto immenso, del volo al Cielo delle infinite stelle dei tanti vostri bambini. Nostra madre l’unica superstite a darvi la gioia di diventare nonni e di prendervi cura di noi con infinito amore, fino alla nostra prima giovinezza. Ecco perché la vostra storia si riversa continuamente dalla brocca inesauribile del passato nel fiume in piena della nostra storia presente. Della mia, che continuo a scrivere di te e, di riflesso, di quella di nonna, che ti seguì solo un anno dopo, e di quella dei miei figli e dei figli dei miei figli, che stanno già scoprendo il mondo e il futuro, attraverso il loro impegno negli studi e nelle attività lavorative, impregnate per entrambi di talento e creatività, sia pur lavorando in campi diversi. Sono la mia fierezza e il mio orgoglio. Come noi nipoti lo eravamo per te. E niente più ha inizio né fine. Tutto rimane in sospensione, agganciato soltanto all’attimo che si fa eterno. E tutto mi rimanda ai sentimenti che ci appartennero e alla creatività, fantasia, immaginazione che da te, nonno mio carissimo, ereditammo; al buio e alla luce che attraversammo per ritrovarci, noi tuoi nipoti ma soprattutto i pronipoti, e i figli dei figli dei figli, che, insieme, ancora parlano di te. Infatti, dopo noi sei, i tuoi nipoti sempre più deboli e fragili, sempre più “in prima linea”, come eri solito dire tu alle soglie dell’Eternità, saranno loro a parlare ancora di te e della nonna con ancora tanta Bellezza negli occhi oltre ai nuovi possibili e forse inevitabili naufragi. E voi due, nostri ANGELI CUSTODI, con il vostro luminoso Faro li aiuterete a scongiurare le sconfitte e gli inciampi per giungere sempre nel porto sicuro del loro cuore. E, intanto, mentre scrivo di voi, è già un nuovo giorno. Il canto improvviso dell’alba mi ha riportato alla realtà dei colori, delle forme e delle dimensioni. E tutto si fa definito, certo, chiaro. Almeno in apparenza. Sì, solo in apparenza. Perché è un giorno che ha trovato rifugio in una rada insicura e accidentata, dopo più di mille miei naufragi. Ma sono ancora qui a scrivere. Occorre farsene una ragione e cercare sulla riva i sentieri meno impervi, più ampi e lineari, magari fioriti, e con ventagli di chiome d’alberi a creare un’ombra che ci possa riparare dagli abbagli dell’ultimo sole di un tempo che comprende tutte le stagioni della vostra e della nostra vita. Siamo tutti cercatori di certezze che mai saranno, mentre i dubbi fanno a gara per intrufolarsi nei pensieri e creare nuove paure, dare la stura a nuove pagine. E i sentieri larghi e chiari e fioriti, appena immaginati, si perdono tra sterpaglia e rovi e violenze e guerre e orrori e tremori senza fine. Meglio trovare rifugio nella propria casa, dove i muri sono muri e le finestre sono finestre e tutto ha un suo ordine anche nel disordine di una casa viva e vissuta? Forse. Ma non ci credo più. Il nostro cortile di gelsi e di rose, di fiabe e racconti sempre diversi, ma tenerezze sempre uguali, ci impedì di avere paura della guerra ancora in atto e degli aerei e delle sirene e dei rifugi. Tanto c’eravate voi a proteggerci, insieme a compare Luigi, generoso amico tuo e di babbo, che si prendeva con voi cura di due bimbette ignare e fiduciose. Ma oggi è diverso. Ogni serenità è rimasta in quel cortile. Occorre avere tanta nuova forza e tanto nuovo coraggio per affrontare quanto sta accadendo nel mondo e pregare e sperare con tutte le nostre deboli forze congiunte che altrettanti “Angeli Custodi” siano presenti più che mai a vigilare con il loro infinito amore sui tantissimi bambini che hanno oggi più che mai bisogno urgente della loro protezione. E, oggi, anche se sono sgomenta, provo ad avere un briciolo di fiducia ancora nella nostra umanità, perciò dedico alcuni miei versi a te a alla nonna, per abbracciare tutti i nonni presenti, passati e futuri:

Ebbi canto nelle braccia di mia madre

Nacquero papaveri e gelsomini

nel giardino d’ogni incanto

con i laghetti che ridevano di secchi

colmi d’acqua in cui si specchiava il cielo

fiorito di primavera e stelle mattutine.

Io ebbi rifugio nelle braccia di mia madre

prima che il tramonto incendiasse la sera

e l’usignolo avesse voce di violino

in gara con i grilli sul balcone.

Il nonno piantò un ramo di rose,

di preghiera la nonna riempì

le ombre della sua malinconia.

Nelle loro mani la mia prima alba

in fuga verso la chiesa e campane a festa

ad accogliere il mio vagito alla fonte battesimale...

(grandi i miei occhi negli occhi grandi

  di mia madre, ma tenera carezza dei nonni

             mi penetrò nel cuore             

   fino al canto che ancora oggi mi sorride

                        ad ogni nuovo giorno)

Buona festa degli Angeli Custodi a tutti e a tutti i nonni! A presto! Angela/lina