sabato 18 maggio 2024

Sabato 18 maggio 2024: Poesie di maggio di Angela De Leo... così... per ritrovarci nella Poesia con Poesia...

Sono passati alcuni anni dalla pubblicazione della mia ultima raccolta poetica L’ora dell’ombra e della riva (della SECOP Edizioni) ma, rileggendo alcune poesie dedicate al mese di maggio, mi sono accorta che nulla è cambiato in me e nel mondo e che persino la pioggia, il vento, gli improvvisi squarci di sole continuano a rendere questa primavera solo un desiderio, un’attesa, un improvviso ritorno di una quasi estate. E, allora, le ripropongo. Per chi non avesse mai letto il libro. Per chi "sente" che la primavera - che sa già d’estate - prima o poi ritorna. E rende leggero il cuore…

Nata di maggio                     

 

Se quel che insistiamo a chiamare  

Fato sembra inspiegabile e crudele

È soltanto perché

Manchiamo d’immaginazione

Per desiderare quel che con sé porta

Per illuminarlo con qualcosa di più inventivo

Dello sgomento.

                          (John Burnside)                                                                

 

Nata di maggio
appartengo ai colori accesi
di papaveri rose tulipani
Profumo di scalpitante
allegria mi arde nelle vene
percuote questo autunno
che cede all’inverno
i tramonti suoi dorati
In abissi di taglienti lame
riafferro il mio arcobaleno

distrutto e sempre rinasco            

- Culla tra le tue mani calde                                                          

le mie vili attese del sole
scaccia i miei pensieri di neve

cancella quella ferita rosso fuoco

che soltanto sogna di farsi risata -

 

(tra ridenti labbra di fragole e ciliegie)

 

Ritornano sinfonie di rose blu

C’è come una festa di ali

in questo tiepido pomeriggio

di piena primavera con rose

che tornano a ridere in giardino.

Petali blu franano lungo pareti

trasparenti del vaso sul tavolo.

Dipingono di voli i miei occhi.

Nell’azzurra penombra ricordi

s’affacciano dai sotterranei

della mente in lotta col cuore

- sinfonia d’archi flauti e violini -.

(solo la musica è immortale?)

Volteggiano mezzelune gialle

comprate al mercato delle pulci

sul mio capo di nuvole e sogni

nella camera che ha per cappello

il cielo e una fronte quasi obliqua

che di sole sghimbescio colma

pensieri e cautamente l’infutura.

La bambola di organdis e bisquit

mi guarda preziosa più del ricordo.

Dono di tenere mani, il suo sorriso

di corallo mi consegna un rimpianto.

(solo il ricordo ci rende immortali?)

Guardiana del tempio dell’amore

ho perso il filo del mio starti accanto.

Da lunghe braccia giovani circondata

misuro ormai il mio tempo arreso

dalle loro corse alle attese primavere

avare ora per me di fiori erbe chimere.

“L’amore è nostalgia” decretò Freud

con occhi di nebbia rivolti al passato.

Darei il mio regno di carta stampata

per un (in)canto d’amore a perdifiato

che coniughi il mio tempo all’infinito.

(può l’amore rendere immortali?)

Agli inganni della mente lama affilata

che in opposti macigni taglia il pensiero

- e buone intenzioni e incontri ferisce -

io del cuore salvo le antiche ragioni

di Pascal e il suo esprit de finesse:

rami fioriti di fresca primavera pini

svettanti e fragranze di tiglio e cedro

che imbrigliano ali e le dispiegano.

Non omnis moriar per noi Orazio cantò.

Se la Parola è monumento aere perennius.

Se Musica Memoria Amore è il VERBO…

(rose blu sinfonia di saggezza e sogno

   illusione di preludio all’eternità)

 

 

Scroscia a maggio la pioggia                                                                         

Sono qui seduto su un tappeto

di foglie e fiori di primavera

e il mio silenzio è una preghiera

ed ho con me la coppa e il vino.

                               (Giuseppe Conte)

S’abbatte sui tetti rossi e i lucernari

(“riccioli rossi” e occhi di cristallo)

un cielo liquido che frana di gocce,

e di terra bagnata e di rose profuma.

Richiamo a gloria di campane l’alba

della domenica, giorno del Signore.

S’infrange di pioggia e cinge il capo

non d’alloro come s’addice ai poeti

ma di mirto e d’uva come vogliono

amore e follia, ebbrezza e sogno

che un giorno m’appartennero

come ago e filo, sonno e cuscino,

fiamma e calore, come ti dissi,

“dorso e palmo della stessa mano”.

(ma la pioggia dilava campane e ricordi)

Il giardino è scintillio di petali d’acqua.

Agli occhi mi dardeggiano,

di rosso e di giallo,

rose tulipani papaveri e fresie

e un canto di foglie di un maggio

che s’affretta a donarmi

un altro anno di tormenti e magie,

di silenzi e frastuoni, di pause e poesie.

Cadono petali di cielo

sul glicine blu innamorato

di trine e ricami agli altari sconsacrati,

che lavano capricciose nuvole

al respiro degli arcobaleni.

E nuove ali ricamano i miei giorni di sole.

Lontano il mondo dei violenti e dei folli,

degli assassini in marcia

per “prendere il potere” ad ogni costo,

 e Brecht il denaro e i bimbi violati

e la bellezza umiliata.

Rumore che assorda, smog che uccide.

Lontano Caino che si finge Abele

e ogni Abele massacrato senza pietà

perché Caino trionfi ancora

ed abbia altari e onori e moltiplichi

i trenta denari di Giuda.

Per vantarsi dell’agnello innocente

sgozzato

e nuovi riti pagani via etere

con foto e video a stordire menti

e rattrappire l’anima, il cuore.

E fingere un niente di sentimenti

in liquida fuga

per negare il limpido candore

delle mani intrecciate.

(la pioggia lava colpe e misfatti

lava ferite e tormenti la pioggia)

Sapeva di pioggia, di gelsi, di rose

e di gatti il mio cortile,

sapeva di sere chiare di stelle,

di fiabe e misteri,

voli d’angeli, riso di cielo.

C’era sempre, nella voce

di mio nonno, una fata buona,

uno gnomo innamorato. E ci fu

un cavaliere gentile e coraggioso

che, in una sera di pioggia, trovato

aveva rifugio nel castello del re

quando con doglie di madre la regina

s’affidò al suo canto per avere un figlio.

Cantò il cavaliere per tutta la notte,

per tutta la notte il cavaliere cantò

purché da bere gli dessero

e da mangiare.

- Piove e lascia piovere

ché al coperto mi trovo

nient’altro chiedo per me.

Il mio cavallo s’asciuga.

Signore un bel bambino dai

alla regina e al potente mio re… -

All’alba di sole e pianto di bimbo

lo videro felice sul suo bianco destriero

lo videro correre con occhi di sogno

tuffati nel suo cielo arcobaleno,

grande quanto grande il suo cuore

bambino…

(ritornano di pioggia e di vento

le sue magiche parole che sotto

il piombo di giorni di sgomento

raccolgo in un canto d’amore

 e del sogno che non può morire).

 

Non so vivere

non so vivere

come quelli che non nacquero mai

che vanno ad occhi spenti per il mondo

- avide mani tra oggetti impolverati

carezzano denaro schiaffeggiano vento -

Non so nutrirmi di ideologie

vesti desuete e disperate

che fingono bandiere multicolori

e ignorano sorrisi

in assalto contro nuovi lidi

- tormento di molteplici verità

alla ferocia del pensiero unico -

Amo l’idea nastro colorato controvento

libera io di essere libera

su bianche vele lontane dalla rada

Nella pratica delle ore quotidiane

non so stabilire record di perfezione

in giro per la casa o per le strade

fingendo una sicurezza di mete

e destinazioni colme di sgomento

Aliena come rondine d’inverno

stellata gemma di neve a primavera

mi manca il senso finito delle cose

Mi sfuggono opportunità e circostanza

Mi spaurano rabbia e indifferenza

la volontà di uccidere ad ogni alba

- bagliori di coltelli affilati nel buio

di livide notti insonni ed assassine -

Mi trafigge il vuoto d’inutili parole

aggrappate a silenzi che non so capire

dove mai s’incontrano navi da crociera

solo rapaci galeoni di feroci pirati

al canto di certezze addormentate

 

Io nacqui alle otto di una sera

che sfogliava petali di rose

per farne farfalle profumate

in un campo di ciliegi e melograni

- tra papaveri da scoppiare tra le dita

scrivevo i miei ti amo ad un amore

volto di sole e un buco dentro il cuore -

Io nacqui con negli occhi gli aquiloni

a conquistare un cielo di turchesi

barchette di carta al gioco dei bambini

in un altrove che mi strania e mi cattura

Ma ho versato lacrime di sale

per ogni veliero sparito in fondo al mare

Però nacqui e non m’importa dovecome

se non so vivere come gli altri sanno

se non dormo sull’altrui dolore

se dentro mi vola un gabbiano

sotterraneo sogno di giorni delusi

tra ragnatele di anni sempre uguali

e scuse banali per non sapere amare

Io nacqui sotto feroci bombe nel cielo

ma contai sempre i passi delle stelle

ad ogni rombo che mi franava il cuore

Però nacqui e più non m’importa

se una ferita lunga è questo amore

da ricucire con cento fili di seta

su corazze di ferro arrugginito

(... e fingersi un sogno in differita

                per non rimpiangere

                       di non essere mai nata...)

 

Amo                                                                            

Il cuore vola

Dove la mente non sa

neppure camminare

                     (Colette Haddad)

 

Amo le epifanie di giorni come questi

quando è sorpresa e dono il tuo nome

ai cancelli dischiusi ad ogni attesa

 

Amo i treni che improvvisi ritornano

e hanno fasci di rose ai finestrini

e un fischio lungo che promette

un arrivo senza più partenze

 

Amo il trillo di un telefono muto

tenero pensiero o stupido errore

Viene nella mia casa senza canto

a darmi ad un tratto compagnia

e mi trova opaca luna solitaria

inutile come sogno dimenticato

Ferita dalla luce del nuovo giorno

(colori accesi e notte cancellata)

l’insonnia mi fa vivere due volte

e mi regala sempre qualche verso

tra labbra d’arsenico e coralli

perché io non muoia mai del tutto

 

Amo la notte accesa che mi riporta

insane insonnie di menta e cioccolato

quando negli occhi anticipi racconti

di fughe abbandoni che non vuoi dire

e che io fingo di non aver letto ancora

e i lunghi silenzi che non voglio capire

Cronaca d’inganni ogni altro da noi

che non osiamo più ricordare

quando in fiore era quel sentiero

lungo il muro perduto e straniero

che rare pagine di diario dipinse

strappate a pezzi e poi dimenticate

nello scrigno del tempo abbandonato

 

Amo la libertà del mare il suo mistero

quando i velieri dei giorni prigionieri

lasciano la rada per navigare a vista

in tumultuose acque di terre lontane

straniere agli smarginati scogli di sale

tra ormeggi di vino e onde di gabbiani 

 

Amo fanfare e bande di paese la danza

l’orchestra i tamburi i fuochi tra le stelle

feste del patrono da spiare dentro casa

le luminarie i gelati e di Sicilia le cassate

e palloncini e aquiloni e zucchero filato

 lucciole e lampare quadri da guardare

I mercatini le cianfrusaglie le bancarelle

fiori tra i capelli e souvenir da inondare

le stanze gli angoli mensole scale e muri

su cui disegnare mille poesie d’amore

Poi fermagli spille e carabattole e anelli

foulard sciarpe colorate cappelli d’estate

carte e libri e musica e canzoni dell’addio

(leggere e leggere e poi intrecciare parole)

 

Amo poi la tua maschera apotropaica

che sul viso dissimula misteri e sortilegi

di gatti randagi cani fedeli e ore ballerine

Recide abbracci e cela oscuri volti di verità

                  (la mia? la tua?)

Spergiuro specchio di triste afasia la terza

verità ancora tutta da ascoltareconfessare

                  (e… io amo le bugie)

 

Oltre un maggio di rose

(3-4 giugno 2013 - cinque anni dopo)

Il maggio di rose si sfinisce

in un giugno di pioggia

che mi rema contro

alla conta degli anni passati

nel reiterato ricordo

delle tue impronte nella casa

vuota di parole e di silenzi

E c’è ancora un rovesciarsi di luna

all’assalto di tetti addormentati

e una furia di vento a scompigliare

i rami intricati della notte

E c’è ancora la mia insonnia accesa

di mille perché e non una risposta

Tutto si ripropone nel tempo

e tutto si rinnova e si perde

in questo giorno foriero di presagi

e di attimi aggrovigliati  

         di senso oscuri

 

domani sarà un giorno lungo

da scrivere sul mio calendario

sui tuoi giorni ormai spenti altro

anno attraverserà forse il mio cielo

(forse… anche… la pioggia… domani…)

E basta così, per ritrovarci in poesia con poesia. Alla prossima. Angela/Lina 

sabato 11 maggio 2024

Sabato 11 maggio 2024: IL MIO RAPSODICO "SPOON RIVER" CHE MI PORTO NEL CUORE... (fine)

<Con te abbiamo vissuto il dono dell’amore in tutte le sue innumerevoli forme fino ad identificarsi con il dono della poesia. (…). Ecco, nonno mio carissimo, che ritorna la parola Amore nella sua essenza più pura, profonda e vera. L’Amore: Palpito del Cuore, Volo e Abisso, Luce dell’Anima in cui è riposta davvero ogni Speranza… In realtà, dell’amore non si dovrebbe parlare perché è un sentimento talmente intimo e profondo che va soltanto sentito, assaporato, vissuto, sofferto. Eppure, tutti parliamo d’amore quasi a colmare il vuoto che ci lascia questo bisogno inappagato perché è tanto grande da comprenderci tutti, ma tanto fragile da lasciarci sempre e comunque una ferita. Anche quando è reciproco. Condiviso. La inevitabile diversa intensità è fonte di dolore. La felicità, in amore, è l’attimo in cui i sensi sono accesi in entrambi e i cuori battono all’unisono… Ma non è facile che ciò avvenga, occorre appunto “cogliere l'attimo”.

Tu sei stato sempre l’eccezione a confermare la regola. Il tuo amore è sempre sopravvissuto a tutto. Forse perché era troppo grande per arrestarsi davanti a un limite, un confine. Tu rendevi positivo ogni sentimento e lo nobilitavi. Anche il sentimento, comunque, ogni sentimento nasce sempre da un “incontro”: quello della madre col proprio bambino, che “sente” forse sin dal momento del concepimento; quello tra padre e figlio, appena il papà prende tra le braccia quel batuffolo di carne e di pianto; quello tra nonno e nipotino comincia con la prima carezza; quello di due destinati ad amarsi o a volersi bene o ad odiarsi, a diventare amanti, amici o nemici, comincia così quasi sempre per caso, ed è dovuto ad una folgorazione e non è mai un qualsiasi incontro.

In alcuni casi si parla di anime gemelle, destinate ad incontrarsi sempre e comunque e a riconoscersi per continuare ad amarsi per l’eternità. Mi affascina questa teoria esoterica, che mi riporta indietro fino a Platone e al Simposio, in cui ogni essere umano tenta di ricongiungersi alla sua metà, separata da un fulmine di Zeus. Una teoria, dunque, che viene da lontano e va lontano, come la teoria del Karma di alcune religioni orientali (buddismo, induismo…), che predicano la reincarnazione come mezzo di elevazione e di ritorno nell’Assoluto da cui l’anima proviene. A questo punto mi si confondono le idee. Non so più dove cercare una qualche verità.

Con te non esistevano teorie o altre religioni. Sapevi che la fede cristiana parlava d’amore santificato dal matrimonio in chiesa, davanti al sacerdote celebrante. L’anima gemella era quella che avevi accanto e che dovevi amare e onorare nella buona e nella cattiva sorte. E ce ne hai offerto un indimenticabile esempio fino all’ultimo tuo respiro. Pure, a me oggi piace confrontarmi con altre realtà, altre possibilità. Mi piace cimentarmi con riflessioni e teorie varie. Nessun orizzonte deve rimanere inesplorato. Non si sa mai. Nessun orizzonte deve essere precluso alla vista e alla conoscenza degli uomini. Il più grave peccato è, secondo me, l’ignoranza, da cui deriva una serie molteplice di errori, dovuti perlopiù a deleteri pre-giudizi. Quando un rapporto dura nel tempo, avviene perché ci si “consegna” all'altro reciprocamente, perché si impara a conoscere l'altro/a e a riconoscersi in quello che si è, si può dare e ricevere; a fidarsi, a capirsi, a stimarsi e ad affidarsi: ci si abbandona all'altro/a dopo aver conquistato la consapevolezza di sé e di ogni altro da sé, oppure per trasporto naturale o, semplicemente, per amore. Soltanto per amore.

Ecco, l'amore. Non è facile parlarne perché tra tutti gli “incontri” è quello più misterioso, complicato, complesso. Non credo, come alcuni studiosi sostengono, che sia pura chimica biologica o un fatto di ormoni o di feromoni; credo che alla base ci sia quella misteriosa attrazione che viene da lontano perché si vada lontano insieme. Perché fra migliaia di persone, che si incontrano nella vita, proprio lui, proprio lei? E magari nel luogo giusto e al momento giusto?

L'amore, dunque, è mistero. Come tutto ciò che è immenso rispetto alla nostra finitezza di piccoli uomini, venuti a far parte, senza sapere come e perché, di un arcano: ricamo di universi, anch'essi innamorati, che vanno a generarsi e a rigenerarsi all'infinito.

L'IMMENSO nell'IMMENSO! Allora, l'AMORE è, almeno per me, quella meravigliosa fragilissima FORZA che si porta, centuplicando all'infinito la sua POTENZA, per tenere in vita il TUTTO. Parlo di quella energia incommensurabile che tiene insieme fortemente coeso, per l'attrazione dei corpi celesti, anche il Creato. Immensamente grande, perciò, è l'AMORE per essere compreso e vissuto nella sua totalità da esseri immensamente piccoli, quali siamo noi uomini. E tra l’immensamente grande e l’immensamente piccolo si snoda la vita, che è “culla e urna”: nascita e morte.

Sono passati così ancora anni: altre vicende, altre gioie, altri lutti, altri presagi e misteri, altri addii feroci e definitivi. Altre parole. Altri silenzi. Una vita altra dopo la caduta e gli interventi mai riusciti e mai risolutivi. La perdita di me con ogni altra perdita. Altre destinazioni. Altri distacchi. Altre disarmonie. Tutto quello che avrei voluto evitare. Tutto quello che ho dovuto accettare. E tra migliaia e migliaia di parole dette, ascoltate, lette, corrette, sussurrate e mai urlate… i silenzi… i Silenzi… I SILENZI…: Ho conosciuto il silenzio delle stelle e del mare/ e il silenzio della città quando si placa/ e il silenzio di un uomo e di una vergine/ e il silenzio con cui soltanto la musica trova linguaggio

il silenzio dei boschi/ prima che sorga il vento di primavera/ e il silenzio dei malati quando girano gli occhi per la stanza. (…). C’è il silenzio di un grande odio/ e il silenzio di un grande amore/ e il silenzio di una profonda pace dell’anima/ c’è il silenzio degli dèi che si capiscono senza linguaggio/
c’è il silenzio della sconfitta/ e il silenzio di coloro che sono ingiustamente puniti/ e il silenzio del morente la cui mano stringe subitamente la vostra/ c’è il silenzio che interviene tra il marito e la moglie/ c’è il silenzio dei falliti.
(…). E c’è il silenzio dei morti./ Se noi che siamo vivi non sappiamo/ parlare di profonde esperienze/ perché vi stupite che i morti non vi parlino della morte?/ Il loro silenzio avrà spiegazioni quando li avremo raggiunti. (Edgar Lee Masters, stralci da “Il silenzio”). Silenzio. Paradossalmente è una parola che mi piace. Se penso al silenzio che fa parlare il cuore. Come dicevi tu, quando sorprendevo te e la nonna seduti vicini nella penombra della sera, dietro i vetri di casa, in silenzio, a salutare il buio che annullava le cose e i rumori e le voci del nostro piccolo mondo quotidiano: la strada di casa, allora ancora un po’ in periferia, o la semplice scia di un amore che vi teneva indissolubilmente uniti. Sereni, nonostante gli innumerevoli dolori e dispiaceri vissuti da entrambi. Anche a Primo, il mio tempestoso compagno per circa quarant’anni, piaceva il silenzio del nostro raccontarci il giorno con gesti d’amore; lui, che aveva come codice preferito di comunicazione l’urlo, e si meravigliava del mio accoglierlo in silenzio. Per lui ero “la lite senza lo scontro”. Se torna il silenzio: era una aspirazione ed una invocazione. Una necessità di vita per riscoprirci insieme. Eppure c’è stato anche il tempo dei nostri “disperati silenzi”. Non ho più saputo dei suoi pensieri. Lui ignorava i miei o forse li intuiva. Ecco perché il silenzio è anche una parola che mi sgomenta, quando penso al silenzio che crea un vuoto; che separa con fratture e divisioni; che è culla di odio e di rancore; che cova vendetta; che coltiva un equivoco e lo fa ingigantire nella mente; che nasconde un sentimento mai rivelato e, quindi, mai conosciuto e riconosciuto, mai vissuto nella pienezza del gesto e delle parole e delle accorciate distanze. Silenzio atteso e temuto, dunque. Silenzio invocato e nutrito. Infranto e chiacchierato. Silenzio raccontato. Come il nostro silenzio, caro papà. Invocazione muta dell’anima. Preghiera. Nella nostra casa c’erano spesso, dal tardo pomeriggio fino a sfiorare il buio della sera, penombra e silenzio.

Penombra e Silenzio lasciavano parlare il cuore. Penombra e Silenzio si facevano compagnia. Ci permettevano di incontrarci nell’ascolto delle parole non dette ma sentite ugualmente. Ed era bellissimo ritrovarci nei volti che via via si cancellavano mentre si facevano più evidenti e vivi e veri i sentimenti che provavamo per noi, tra di noi. Lontano il mondo con la sua realtà.

In quella penombra e in quel silenzio forse registravamo i nostri anni vissuti insieme con i ricordi belli, ma anche tutte le lacrime per ogni perdita, ogni sconfitta, ogni ferita difficile a rimarginarsi. E ancora oggi, caro papà, tu mi guardi con rassegnata comprensione. Lo so, vedo i tuoi occhi, scorgo il tuo sguardo, l’accenno di un sorriso di malinconia. Solo con te avevo stabilito quel rapporto empatico che era immediata conoscenza da parte tua della mia anima. Ma quanto io ignoravo di te? Era soltanto la mia anima a ricevere tenerezza e consolazione nel nostro involucro che escludeva il mondo. Un involucro di conforto e protezione che sentivo tutto per me, non potendo fare altrettanto io con te: troppo piccola e spaventata io, troppo forte e coraggioso tu. Almeno ai miei occhi. E, così, al di là delle mie paure, mi rannicchiavo nel tuo cuore sicura di essere amata, protetta, capita. Sensazione mai più ritrovata in tutti questi anni senza te. Dopo di te: in una società non più patriarcale ma nuclearizzata, ognuno di noi, tuoi nipoti, vive, come è giusto che sia, i propri problemi e le proprie gioie nella propria famiglia ed è sempre più raro il tempo del nostro incontrarci per parlare di noi, per ascoltarci e capirci. Nei rari incontri ci ritroviamo in una confidenza, in una battuta, in una risata amara. Ci ritroviamo. Ma quanta parte di noi rimane sconosciuta nella stessa costellazione familiare?

Neppure i miei amati ragazzi, non più ragazzi, che sono altri me ma altro da me, mi conoscono profondamente. Né io conosco loro. Eppure dovrebbero essere il mio prolungamento. Mi amano tantissimo come i figli sanno e possono amare una madre. Ma cosa sanno realmente di me? Cosa intuiscono, immaginano, ignorano? Spesso si stupiscono ancora di fronte alle mie parole che percepiscono come esagerazioni. Si allarmano. Mi rimproverano. Per amore. Con amore. Hanno a loro modo ragione: non riesco a rimanere incasellata in quello che loro credono io sia, o vogliono che io sia. Sempre spaiato il mio pensiero, come i calzini dopo ogni lavaggio. Ho le mie fragilità che non accettano. I miei molti dubbi che non accettano. Le mie àncore tradizionali che non accettano. Le mie poche certezze (o probabilità che sbandiero come tali)) che non accettano. Salvo poi ad accettarmi in toto così come sono. E questo rapporto “a specchio”, in fondo, è reciproco. E ci si ama incondizionatamente. Come avviene in tutte le famiglie normali. Ma cosa è oggi la normalità? Me lo chiedo ancora!!! Dopo di te, ho incontrato tanti amici, tante persone care che mi hanno dato parole e mi danno amore, ignorando in parte il mio mondo interiore, le mie emozioni. Alcune volte ritenute anche da loro spropositate. E, senza saperlo o volerlo, mi fanno sentire, come da bambina, “tutta sbagliata” (sempre sulle righe… sempre in eccesso ogni cosa che dici e che fai… sempre cervellotica… cerca di semplificare di distenderti di evitare… tu e le tue tiritere da strizzacervelli… Possibile che ogni volta con te è come se fosse la prima volta? Ci sei o ci fai? Te la tiri o che? Fingi di essere accogliente ma poi sei così distante…). Non ho mai negato la mia complessità, ma mi sembra un’offesa definirmi cervellotica né posso confessare a cuor leggero ai tanti, conosciuti in brevi incontri, che sempre più negli anni ho scoperto con dolore e disagio una prosopagnosia più o meno lieve che non mi consente, però, di riconoscere volti e di ricordare nomi di persone incontrate solo poche volte. Nonostante la mia proverbiale memoria di ferro in altri ambiti. In quelle circostanze mi sento come una bambina sperduta tra la folla indefinita ed estranea, con un senso di paura che mi vince e mi avvilisce. Mi occorrono più e più incontri per mettere a fuoco chi finisce col diventarmi poi amico/amica. Mi viene in soccorso Raffaella che, con disinvoltura e senza darlo a vedere all’interlocutore di turno, mi ripropone il nome e il luogo e il momento del primo incontro, illuminando così le mie tenebre. Fino ad un nuovo incontro e al mio nuovo perdermi… Sono anche queste, oggi, le mie ferite che molti ignorano.

Solo tu sapevi. Non di questa sorta di patologia forse congenita forse acquisita; non dei miei tormenti intimi e inespressi; non delle mie paure e fragilità, ma di sicuro sapevi la mia anima. Neppure io, però, sono stata e sono in grado di conoscere profondamente gli altri. Cari e meno cari. È questo l’inganno della vita. Noi perfetti sconosciuti a noi e agli altri con l’illusione/presunzione di sapere tutto di noi e degli altri.  Siamo nuvole che si aggregano e si disgregano, si formano e si disfano, assumono sembianze diverse che fluttuano nello spazio e si dileguano… Vanno/ vengono/ 
ogni tanto si fermano/
e quando si fermano/ sono nere come il corvo/ sembra che ti guardino con malocchio/ Certe volte sono bianche/ e corrono/. (…)./ Vanno/ vengono/ ritornano/ 
e magari si fermano tanti giorni/
che non vedi più il sole e le stelle/e ti sembra di non conoscere più/ il posto dove stai.  (…)/ e si mettono lì tra noi e il cielo/ per lasciarci soltanto una voglia di pioggia. (Fabrizio De Andrè, stralci di “Le nuvole”).

Come conoscerci e riconoscerci nella proteiforme realtà che ci circonda e che noi stessi siamo? Diventa quasi impossibile. In realtà, più ci amiamo e più ci feriamo (… ogni uomo uccide ciò che ama… dalla intensa Ballata dal carcere di Reading di Oscar Wilde)>.

Poi, mia figlia Daniela, ormai lontana e in pena per ogni mia pena, raccontata più con i generosi silenzi che con le parole palesi, mi ha mandato non una ballata ma una ninnananna per addolcire i miei giorni delusi e stanchi in una casa sempre più vuota, dove lei più non abita e dove anch’io non abito più.

                                            RESPIRANDOTI ACCANTO

Ecco la mia ninnananna per te. Ogni notte potrai rinchiudere qui i tuoi sogni per far sì che non si disperdano durante il giorno, e ricordare che non bisogna mai smettere di sognare, perché fa bene al cuore. Ogni notte potrai sentire il mio sussurro e la mia mano stringere la tua mano, il nostro “ABBRACCIO ETEREO” prenderà forma e colori e non avrai più paura del risveglio dell’alba. Il mio bacio della buonanotte ti sfiorerà i capelli, ti accarezzerà il viso, ti soffierà tra le ciglia, ricamerà nuovi sogni da costruire insieme… io sarò sempre accanto a te, e ti farò dono del mio sogno più bello. Daniela con la sua ninnananna per te che non dormi mai…

“NINNANANNA DELL’ACCHIAPPASOGNI”: Dormi, bambina, dormi/ c’è un’altra notte da creare/ per il mondo ci han messo sette giorni/ a te basta una notte per farlo cambiare// Dormi, bambina, dormi/ che non c’è niente da regalare/ tranne un fagotto di sogni/ per vivere e non dimenticare// Dormi, bambina, dormi/ il vento va dal monte al mare/ e accanto al fuoco una ninnananna/ è tutto quel che resta da cantare// Dormi, bambina, dormi/ non aver paura di sognare/ troverai la nostra voce migliore/ all’ombra di un albero di parole// Dormi, bambina, dormi/ per te gli anni non passano/ per te ancora non si contano/ per te son sempre musica// Dormi, bambina, dormi/ nel tipì c’è polline di sole/ la tela si tesse adagio/ un filo per ogni colore// Dormi, bambina, dormi/ per te gli anni non passano/ per te ancora non si contano/ per te sono sempre musica// Dormi, bambina dormi/ una piuma è come una nuvola/ niente ti sfiorerà le palpebre/ per te basta che sia musica (anonimo indiano)

E ora sono ancora una volta a Roma presso i miei figli che cercano di alleviare la mia ansia e la mia pena perché lontana da casa in un momento difficilissimo per tutti noi. E scrivo perché non so, né posso, fare altro.

In questi anni altri punti di riferimento affettivo mi sono venuti meno. Sono davvero tanti. E tutti sono in me presenti e arricchiscono la mia anima con lo splendore della loro presenza. TANTI. TUTTI. Non posso elencarli tutti. Ma di tutti e tanti parlerò ancora e ancora “fino all’ultimo respiro”. A presto. Con tutti voi. In uno scambio di autentica Amicizia. Di autentico Amore. Angela/Lina