domenica 5 ottobre 2025

Domenica 5 ottobre 2025: GIORNATA MONDIALE DEGLI INSEGNANTI...

Seneca ha scritto: C'è un vantaggio reciproco (nell'insegnare), perché gli uomini, mentre insegnano, imparano. (L. A. Seneca, Lettere a Lucilio)

È un giorno importantissimo per il mondo intero: l’importanza dell’istruzione e dell’educazione quale diritto fondamentale per ogni bambino a qualsiasi longitudine e latitudine del nostro pianeta. E, così, i ricordi di scuola si affacciano prepotenti nella mente: scolara difficile e senza parole… ragazzina consapevole di amare la scrittura e di detestare la scuola, con i suoi voti, le sue regole, i suoi richiami inutili e demotivanti… insegnante, mio malgrado, in una scuola che mi voleva tuttologa e da cui fuggire appena possibile… docente di scuola per preadolescenti in cerca di una identità provvisoria prima di scoprire, tra crisi e turbamenti, il primo amore e fughe da modelli poco amati di insegnanti restii al cambiamento… io alla ricerca di una dimensione di ascolto dei giovanissimi allievi in cerca di essere compresi e guidati con dolcezza e coraggio per affermarsi nella libertà di scegliere il proprio percorso di conoscenza e di socializzazione, per scoprire intese affettive ed emotive, per riconoscersi, realizzarsi, tra facili errori e dubbi, tra faticose conquiste e poche certezze di sé e del sé. E classi difficili da affrontare quotidianamente e singoli alunni da ascoltare singolarmente per aiutarli nella crescita e maturazione in tutte le direzioni della vita. Ho, ancora oggi tantissime perplessità sulla mia attività di insegnante, e conservo ancora oggi la consapevolezza di non aver mai amato la scuola, ma di aver amato tutti i miei alunni, uno per uno, singolarmente, dialogando col ciascuno, per aiutarli ad affrontare il mondo e la vita con i propri mezzi, le proprie inclinazioni, le proprie passioni. Ancora di più questo è stato possibile come preparatrice, per oltre un trentennio, dei candidati ai vari Concorsi per entrare di ruolo nella Scuola di ogni ordine e grado e… persino per Dirigenti scolastici. Un controsenso? Sì, certamente, nella consapevolezza, però, di comunicare le mie conoscenze pedagogiche, metodologico-didattiche e matetiche con continui approfondimenti per trasmettere, con tutta la passione possibile, la necessità e la gioia di svecchiare l’Istituzione scolastica e renderla sorridente, accogliente e concretamente inclusiva, realizzando con i miei allievi un rapporto affettivo molto forte ed empatico al di là di quello professionale che non va oltre il periodo della stessa preparazione. Rapporto che dura ancora oggi. E di cui vado fiera, come mi avessero appuntato sul petto una medaglia al valore. Non ho mai voluto prendere, però, una specializzazione come insegnante di sostegno perché convinta di non essere in grado di affrontare situazioni di disagio di alunni con particolari problemi di apprendimento, comportamentale e, quindi, anche di socializzazione. In realtà, spesso mi sono trovata a gestire, mio malgrado, casi molto difficili in collaborazione con le insegnanti di sostegno presenti nella mia classe, sempre alle prese con mille difficoltà dentro e fuori la stessa istituzione scolastica che, dopo oltre cinquant’anni dalla Legge n. 118/1971 e la successiva Legge 517 del 1977 fino alla Legge 104 del 1992, non ha risolto, in tutte le loro sfaccettature, i molteplici problemi che l’inclusività ancora oggi comporta.  Innanzitutto occorre avere la consapevolezza che non si può mai scindere la “didattica” (scienza e arte dell’insegnamento) dalla “matetica” (scienza e arte dell’apprendimento) per poter poi applicare la “metodologia” (ossia l’arte di scegliere i metodi più opportuni in riferimento alle aree di forza e di debolezza di ciascun alunno, comprese le individuali inclinazioni, per scegliere insieme il percorso o i percorsi per giungere alla conoscenza “motivata e desiderata” a sempre più vasto raggio. Per imparare insieme, maestri e alunni, in una pluralità sempre più inclusiva di presenze e di voci interne ed esterne alla scuola. Credo, infine, di dover partire dall’“avverbio di tempo adesso” perché, come scrive A.M. Mariani nel suo libro L’agire scolastico - Pedagogia della scuola per insegnanti e futuri docenti, esso rivela un impegno immediato di chi desidera educare e lo fa soprattutto nella scuola. Perché rivela entusiasmo, ma nello stesso tempo la preoccupazione di non procrastinare l’intervento educativo che potrebbe percorrere strade più accidentate in futuro. Perché “adesso” è “l’unica frazione di tempo in nostro potere”. Ma mi sembra inevitabile partire dalle due istituzioni educative fondamentali per la crescita e lo sviluppo del bambino: la Famiglia e la Scuola.  Quest’ultima è l’Istituzione che ha l’intenzionalità pedagogica e le competenze metodologico-didattiche, compresi i mezzi e le attrezzature per svolgere il proprio compito nel migliore dei modi; la famiglia e l’intera comunità in cui opera sono coinvolte per offrire agli educandi più ampi orizzonti di ricerche, scoperte, conoscenze, saperi, applicabili in qualsiasi circostanza e situazione nella comunità di appartenenza. Attualmente, del resto, si assiste a un nuovo fenomeno di abbandono scolastico dovuto spesso alle nuove tecnologie della comunicazione, alle nuove composizioni familiari, che definiscono una diversa dispersione della personalità e una nuova crisi esistenziale dei più giovani scolari e studenti. Definiti, purtroppo, non di rado, dai loro insegnanti “incapaci, demotivati, ingombranti e stupidi”. A tale riguardo, mi ritorna alla mente la grande lezione di Don Lorenzo Milani, il prete scomodo della scuola di Barbiana, che, con i suoi ragazzi diseredati, puntò il dito contro la classe insegnante con la Lettera ad una professoressa in cui, tra l’altro, affermava che la scuola dei suoi tempi era “come un ospedale che cura i sani e rifiuta i malati” e che, dunque, aveva “un solo problema, i ragazzi che dis-perde” (L. Milani e la Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, (prima pubblicazione maggio 1967, un mese prima della sua morte), Libreria Editrice Fiorentina 2017). E, infatti, la scuola, come si veniva profilando in quegli anni, aveva profondamente deluso Don Milani e le motivazioni più profonde è facile scoprirle proprio in quella “Lettera”, prodotta con tutti i ragazzi di Barbiana che “facevano scuola” col “prete scomodo” anche di sabato e di domenica, senza soluzione di continuità, per affermare i diritti dei meno abbienti, attraverso “il possesso e l’utilizzo della “parola-scrittura”, fondamentale per rendere uguale il figlio dell’operaio al figlio del medico o dell’ingegnere. La pedagogia dell’emancipazione di Don Milani fu etico-politica per una società in cammino verso la democrazia e l’uguaglianza. Non a caso, la sua preoccupazione costante fu la scuola statale di quegli anni. “Perché non c’è nulla che sia ingiusto – egli sosteneva - quanto far parti uguali fra disuguali”. Sono passati circa sessant’anni da allora, ma ancora oggi la scuola è rimasta, per alcuni versi, ancora lontana dalla vera inclusione per evitare ogni possibile esclusione, nonostante oggi si parli di “nuovi saperi” in rapporto a nuove “scienze dell’educazione”, come la sociologia, la psicologia, la psicoanalisi, l’antropologia culturale, l’etnometodologia, la statistica, che hanno prospettato nuovi modelli scientifici” di insegnamento-apprendimento in una nuova scuola che si va sempre più facendo promotrice di cambiamento in questa società, come ho detto prima, in continua e rapidissima  trasformazione in tutte le sue istituzioni. Oltre alle nuove costellazioni familiari, per esempio, ci troviamo di fronte a studenti appartenenti ad altre culture, per l’intensificarsi dei flussi migratori, con notevoli problematiche a livello di istruzione, educazione, inclusione nella scuola e nella comunità sociale, con nuove   dinamiche inconsce” nei “processi cognitivi, gli atteggiamenti affettivi, le relazioni sociali ecc.”, come sostiene il prof. Cosimo Laneve nel suo libro La didattica fra teoria e pratica. Diventa sempre più importante allora una scuola accogliente per tutti con la possibilità di scoprire il valore del gruppo per l’apporto di ciascuno nella realizzazione dei molteplici progetti laboratoriali, oggi sempre più frequenti nei diversi “campi dei saperi”. Il tutto deve servire oggi a evitare la nuova dispersione scolastica e la “disperazione” delle nuove generazioni di fronte al devastante futuro che sembra profilarsi all’orizzonte dei tempi bui che stiamo vivendo tra nuovi terribili conflitti mondiali, nuovi totalitarismi, nuovi interrogativi   a cui è difficile rispondere tante sono oggi le contraddizioni della complessità del nostro tempo. Probabilmente tutto si tinge di grossi dubbi e vane certezze in un processo continuo di cambiamento e trasformazione nelle “variegate realtà della vita umana” (D. Capperucci). La maggiore speranza, a mio parere, della nostra riumanizzazione è affidata alla scuola e a quanti vi operano con coraggio, buona volontà, nobiltà di intenti. E concludo con alcuni versi che accendono i nostri cuori alla Speranza, che mai deve abbandonarci

                                                                  … il cielo

                                                                      infinito,

                                                               ciò nondimeno

                                                           del tutto presente

                                                      nella fugace pozzanghera

                                                            (Yves Bonnefoy)

A presto. Grazie. Angela/lina

  

sabato 4 ottobre 2025

Sabato 4 ottobre 2025: A DRAGAN MRAOVIC per il suo anniversario tra le stelle e l'erba dei prati...

Oggi Dragan Mraovic, mio carissimo amico serbo per oltre quarant’anni, avrebbe compiuto 78 anni, se ho fatto bene i conti: 4 ottobre 1947-20 marzo 2025 Dragan, dopo lo sbigottimento, il nodo alla gola, il pianto e il rimpianto, anch’io, in questo giorno così difficile da vivere, voglio dedicarti un pensiero che ti riporti con velieri, “corde, ancore, bussole”, da noi in Italia. Almeno per un saluto, un abbraccio.
Ho cercato tra i tanti file delle tue traduzioni, a cui avrei dovuto fare l’adattamento alla lingua italiana, e mi è venuta prodigiosamente incontro una poesia di DRAGOSLAV GRAOČANKIĆ, tradotta da te ma senza il mio adattamento. Rimasta in attesa, dunque, come tutto il resto. Eppure questo ritrovamento oggi, tra i mille file che imbrogliano e imbrigliano il mio desktop, ha senso e significato. È segno. È emozione e commozione. È poesia. È il tuo amore per l’Italia e per la nostra Puglia. Come sarà facile scoprire. Ed io ci credo ai segni. Niente accade per caso. Eccola così come l’hai tradotta:

DRAGOSLAV GRAOČANKIĆ
VERSO L’ITALIA

A Properzio con ossequi


Quale vento, meglio degli altri,
porta verso l’Italiaдо?!
Siamo così tanto
sfaccendati e sognatori,
perché in noi la voglia è grande
da far perfino questa domanda?!

Dove sono natanti, vele,
corde, ancore, bussole?
Raggiungeremmo la destinazione
magari col vento migliore?!

Se aspettiamo che tutto accada da sé,
se tutto ciò fiaccamente ci attrae, questo 
ci manca comunque qualcosa
stessi forse.

Non siamo abili lupi di mare,
а, аma che ce ne importa!
Conosciamo la terra ferma quanto l’alto mare
e ci sentiamo a nostro agio come a casa nostra.

Forse impareremo tutto lungo il nostro cammino
sulla nostra nave non ancora in vista,
eternamente giovane,
la maieutica,
che ci aspetta pronta, ора
e non confezionabile,
esperienze meravigliose,
dei numerosi suoi ultimi viaggi
dei suoi sempre nuovi vari,
essa che con il tu si rivolge 
alla Cina, al Giappone, alla Somalia -
e per noi si strugge almeno
quanto noi stessi per l'Italia о per l'Italiaci struggiamo.
Mogadiscio, XII / 2017. 

(Traduzione dal serbo a cura di Dragan Mraovic)

Ed ora, carissimo Dragan, dopo essere tornato tra noi, ti so nuovamente in volo verso le rive venerate del tuo Danubio. Fai buon viaggio, amico di una vita! Porta con te il mio abbraccio a Mira, ai tuoi figli, ai tantissimi amici Serbi che mi porto nel cuore. Ma è un omaggio che non può bastare. Oggi ho ritrovato anche un altro bellissimo lavoro di Dragan, scritto in ottimo italiano senza il mio consueto adattamento, rivelandosi non solo ottimo traduttore, ma anche grande scrittore e poeta, sicuramente uno degli ultimi poeti bohemien serbi. Già il titolo mi intriga molto: IL POPOLO DEL VENTO. E parla degli zingari.

Scrive Dragan Mraovic:


La maggior parte della gente ha un’immagine stereotipata degli Zingari, cioè del popolo dei Rom. Si pensa agli Zingari, di solito, come a dei nomadi che chiedono elemosina, fanno furtarelli oppure vanno in giro a indovinare il futuro, il che è abbastanza errato. I Rom, invece, sono uno dei popoli più infelici di questa nostra Terra, ma sono gente dotata di moltissime facoltà, tra le quali non ultima quella di essere artisti, musicisti e poeti spesso di grande valore. Gli Zingari sono un popolo molto sensibile e con una concezione filosofica della vita del tutto eccezionale, tanto da fare invidia a tutti noi, diventati ormai servi della società moderna. Sono un popolo del vento, perché temono i venti che portano il freddo nelle loro povere abitazioni oppure mentre camminano per le strade del mondo. I Rom hanno un animo delicato, fucina di emozioni, e non per caso la loro musica e le loro canzoni d’amore sono, come diceva Cervantes, “la pace dell’animo, la festa dei sensi”. I valori di vita dei Rom non hanno niente a che fare con i valori materiali della società consumistica. Naturalmente, col tempo, anche gli Zingari si stan­no adeguando a certe regole della società moderna, ma il loro senso naturale della libertà e i pregiudizi della gente rendono i Rom ancora un popolo “senza casa, senza tomba”. Speriamo che la cosiddetta gente civile si liberi dai pregiudizi per contribuire a valorizzare un popolo che merita di essere apprezzato, perché ha saputo sopravvivere a tante ingiu­stizie e per di più ha creato un’arte di valore eccezionale, di cui la poesia costituisce una fondamentale testimonianza. In un convegno dedicato allo stato sociale dei Rom svoltosi a Foggia il 17 marzo 2000 gli Zingari hanno detto all’operatrice sociale italiana: “La verità è, signora, che tutti ci chiedono di votare, ma nessuno fa nulla per noi. Forse perché portiamo vestiti poveri e non siamo profumati. Ma, comunque, ricordi che noi puzziamo solo dall’esterno, mentre gli altri puzzano dall’interno!” Avevano ragione quegli Zingari, avvalorati anche da Fabrizio De Andrè che canta “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Comunque, la Regione Puglia ha emanato una buona legge per difendere l’identità etnica e culturale dei Rom, riconoscendo loro soprattutto “il diritto al nomadismo e al soggiorno stabile”, a seconda della loro scelta. Questa legge prevede pure uno stanziamento di fondi per l’educazione scolastica e per l’educazione professionale dei Rom, per la loro sistemazione, per la costruzione delle loro case, per la salvaguardia della loro lingua, ecc. All'inizio di questo secolo in Italia vivevano circa 110.000 Zingari, di cui 70.000 con la cittadinanza italiana. Ci sono Zingari abruzzesi, napoletani, i cosiddetti “napulengre”, cilentini di Salerno, lucani, pugliesi, calabresi, cioè “khorakhanè” prevalentemente musulmani, siciliani (“camminanti” e “kalderasha”), poi ci sono i vari Sinti “(Sinti delle giostre”, marchigiani, emiliani, veneti, lombardi, piemontesi, Gacane dell’Alto Adige, cioè sinti tedeschi). Citiamo pure gli Zingari “carvati”, “lovara”, “rudari”. Ci sono quelli di origine spagnola, polacca, istriana, slovena, montenegrina, romena, poi Zingari “schipetaria” e “mangiupi” della Serbia, precisamente della provincia serba Kosovo e Metohija, e della Macedonia del Nord e del Montenegro. Dalla Serbia provengono anche gli Zingari “mrsnaria”, “bulgaria”, “busnaria”, “banculesti”, “Arlia”. In Puglia vivono molti Zingari “schipetaria” della provincia serba Kosovo e Metohija, soprattutto a Foggia, Lecce, Altamura e Brindisi. Il loro passaggio dall’equilibrio psico-ambientale del seminomadismo allo squilibrio dei campi recintati e delle case popolari nelle città è spesso traumatico per loro, che essenzialmente sono divisi in tre gruppi: nomadi, seminomadi e sedentari. Il nome Rom, secondo me, non è una scelta felice. Questa parola della loro lingua vuol dire “uomo”, termine generico che assomiglia troppo all’“hey man” americano. Cioè, un saluto a nessuno. Un saluto senz’anima. Questo cambiamento del nome fatto artificialmente non cambia nulla nella vita degli zingari. È solo un trucco della società moderna che tende alla superficialità, è solo “il vestito nuovo del re” oppure come canta il nostro poeta Brana Crncevic:

Fui lo Zingaro una volta,
ora Rom, che invenzione stolta!
Ma ciò non m’interessa affatto.
Rimasi ciò che sono sempre stato.


Il termine Zingaro è nobile e poetico, malgrado il suo significato etimologico sia negativo. Ma spesso avviene che il tempo, la storia, l’avvicendarsi delle società e delle culture modificano l’uso delle parole e i loro significati. Cosicché, la parola “zingaro” è evoluta verso la nobiltà, come, al contrario, la parola tiranno, nata con un’accezione positiva, ha acquisito un significato di indiscutibile negatività. Ma poi gli Zingari sono Indiani dell’India, sono i Sinti e altri che ho nominato. Come mai un attore Kabir Bedi, credo amato e rispettato da tutti, sia per noi un Indiano, mentre chiamiamo Zingari i suoi compatrioti venuti dalle Indie secoli fa? Ma allora anche Bedi è uno Zingaro. E ciò non toglie nulla alla sua arte e alla sua personalità. Arrivarono in Europa dalla provincia del Rajasthan in India nel X secolo. Tuttavia, si dice che provengano dal Punjab (India settentrionale e Pakistan), i cui abitanti hanno grandi somiglianze linguistiche ma, secondo altri, i Rom provenivano dallo Sri Lanka, perché la loro base linguistica è identica alla lingua singalese parlata nello Sri Lanka. Tuttavia, poiché i Rom fino alla fine del XX secolo vivevano principalmente una vita nomade ed entravano in contatto con molte culture e lingue, cambiarono, e quindi ci sono molte varianti, circa 80 gruppi etnici. Non hanno una religione unica. La disoccupazione e la povertà, calamità endemiche per la popolazione Rom, affliggono in particolare le donne, la cui aspettativa di vita media è di 48 anni! Tra i Rom sono pochi quelli che hanno ricevuto l'istruzione superiore. Tuttavia, la situazione sta cambiando in meglio e ci sono sempre più membri importanti della società tra i Rom.
Gelem, Gelem è l'inno del popolo Rom, adottato ufficialmente al primo Congresso Mondiale Rom svoltosi a Londra nel 1971. È stato composto, nella sua forma ufficiale, dal musicista serbo Zarko Jovanović, che scrisse il testo in lingua romaní adattandolo a una melodia tradizionale. Nel brano sono presenti riferimenti al Porajmos, lo sterminio di Rom e Sinti perpetrato dai nazisti, precisamente dagli Schutzstaffel, la Legione Nera. Associare gli zingari alla musica è pressoché scontato. La loro cultura è inseparabile dalla musica magica che creano. I loro più illustri musicisti vivono in Russia, Ungheria, Romania, Serbia, Spagna... Il flamenco, considerato musica e danza nazionali spagnole, è di origine rom. I Rom sono i migliori con i tamburelli in Ungheria e in Vojvodina, provincia serba del nord confinante con l’Ungheria, con i violini in Romania, senza parlare dei suonatori di tromba nel sud della Serbia. Мolti sono i personaggi famosi Rom, che non solo non hanno nascosto la loro origine, ma l’hanno rimarcata con orgoglio: Django Reinhard, primo musicista jazz europeo di origini Rom; Pablo Picasso, che dichiarava orgogliosamente di essere un Rom; Yul Brynner, la cui nonna materna era una Rom russa, presidentessa onoraria dell’Associazione mondiale dei Rom fino alla fine della sua vita, nel 1985; Tyson Fury, Rom irlandese, campione del mondo di boxe; l’attore inglese di fama mondiale Michael Caine, insignito di alte onorificenze britanniche e straniere, era di etnia rom romanichael, come Charlie Chaplin, nato a Smetwick, vicino a Birmingham, nello stesso insediamento di roulotte rom dove era nata sua madre; la famosissima attrice Rita Hayworth, nata come Margarita Carmen Cancino, figlia di un Rom spagnolo. In Serbia i Rom sono conosciuti soprattutto nel mondo della musica: Saban Bajramovic, koEsma Redzepova, Usnia Redzepova, Jay Ramadanovski, Boban Markovic. La cantante lirica serba di etnia Rom Natasa Tasic Knezevic ha descritto gli stereotipi che accompagnano i Rom: “All'estero, mi presentano come un'artista, non una donna rom, anche se sono una donna rom”. Gli zingari si chiamano tra loro con l’appellativo di fratello e sorella.
In Serbia i Rom, i nostri fratelli Zingari, sono rispettati e amati. Lo affermano loro stessi. Non c’è alcuna discriminazione o isolamento. Loro hanno pregi e difetti, come noi serbi, dunque nulla che riguardi il colore della pelle o la loro condizione umana e il loro modo di vivere. Loro stessi dicono che la Serbia è il Paese in cui sono di casa. Durante l’aggressione illegale hitleriana della NATO alla Serbia nel 1999, quando noi serbi dicevamo d’essere rimasti soli, perché siamo giusti come il nostro Signore Gesù Cristo che rimase solo sulla croce pur essendo un giusto, i Rom di Serbia ci hanno rivolto un messaggio: “Serbi, non siete soli, noi Zingari siamo con voi!”
Un atto di umanità e di senso di giustizia ignorato dalla cosiddetta comunità internazionale in cui i Rom, gli Zingari, sono gente di grado inferiore.

Continuerò nei prossimi giorni a proporvi il bellissimo e documentatissimo articolo di Dragan Mraovic perché è veramente degno di essere letto per farci riflettere sui tanti pregiudizi che ancora ingombrano la nostra mente nei riguardi degli zingari. Vi auguro un buon fine settimana con la partecipazione in tantissimi allo sciopero nazionale per Gaza per porre fine, anche con la nostra voce, a questo devastante e imperdonabile genocidio e all’imperdonabile comportamento di quanti ci governano. A prestissimo. Grazie. Angela/lina

giovedì 2 ottobre 2025

Giovedì 2 ottobre 2025: GLI ANGELI CUSTODI - FESTA DEI NONNI...

                                                      Scrivere vuol dire farsi eco                                                                                                                     di ciò che non può cessare di parlare…                                                                                                                       (Maurice Blanchot)

 E oggi, 2 ottobre, la chiesa ci ricorda gli Angeli Custodi, che sempre mi hanno parlato al cuore attraverso il canto dolce di mia madre: Angioletto del mio Dio/ che fai tu vicino a me?/ Che fai tu vicino a me?// Sono l’angelo del Signore,/ sto vicino al tuo cuore,/ quando vegli e quando dormi,/ sempre sempre sto con te./ Sempre sempre sto con te. Era una canzoncina rassicurante. Pure, io non riuscivo ad addormentarmi e chiamavo mio nonno che, per tutti noi sei nipoti, è stato sempre “papa”, per via dell’assenza di babbo, che era in guerra, durante i primissimi anni della nostra vita (di Lizia, la primogenita, e mia, che avevo solo venti mesi in meno). Tutti gli altri sono nati dopo il suo ritorno. Ma tutti abbiamo continuato a chiamare nonno Mincuccio “papà”. E a giusta ragione: per noi è stato sempre il nostro tenero papà. E così lo chiamano ancora i miei figli e nipoti perché io spessissimo parlo di lui e di Nonna Angelina, di cui porto il nome. I nostri meravigliosi nonni di un tempo ormai troppo lontano, ma mai dimenticato. Dunque, io di notte chiamavo papà perché mi fidavo solo della sua voce e della sua presenza. Era lui il mio “angelo custode”. E lo è ancora oggi. Per questo mi rivolgo a lui direttamente ed è come se parlassi al mio cuore: Mio caro e buon papà, sono passati oltre cinquantotto anni dal tuo sorriso rivolto a noi in un presagio di stelle, mentre l’alba si vestiva di campane festose nel tuo cortile d’inverno, ma le tue parole sono ancora qui, scolpite nella mente e ancorate all’anima che non dimentica. È ancora la tua voce a parlarmi, a guidarmi, a salvarmi. La tua presenza in ogni nuova alba e nuovo tramonto. La mia vita tutta ne è impregnata perché devo a te la mia continua rinascita dopo ogni naufragio. A te devo quanto di bello ho realizzato fino ad oggi anche attraverso la scrittura. Sì, devo a te anche la mia inesauribile capacità di narrare storie, di sentirle vibrare dentro prima che prendano forma di parole e si vestano di poesia. Tu sei stato il mio FARO dopo tutte le tempeste. Tu con le tue fiabe, i tuoi ricordi, la poesia, dolente e dolce, della tua vita, vissuta per tanti lunghi anni con Nonna Angelina, che hai amato con immenso amore, condividendo il dolore, altrettanto immenso, del volo al Cielo delle infinite stelle dei tanti vostri bambini. Nostra madre l’unica superstite a darvi la gioia di diventare nonni e di prendervi cura di noi con infinito amore, fino alla nostra prima giovinezza. Ecco perché la vostra storia si riversa continuamente dalla brocca inesauribile del passato nel fiume in piena della nostra storia presente. Della mia, che continuo a scrivere di te e, di riflesso, di quella di nonna, che ti seguì solo un anno dopo, e di quella dei miei figli e dei figli dei miei figli, che stanno già scoprendo il mondo e il futuro, attraverso il loro impegno negli studi e nelle attività lavorative, impregnate per entrambi di talento e creatività, sia pur lavorando in campi diversi. Sono la mia fierezza e il mio orgoglio. Come noi nipoti lo eravamo per te. E niente più ha inizio né fine. Tutto rimane in sospensione, agganciato soltanto all’attimo che si fa eterno. E tutto mi rimanda ai sentimenti che ci appartennero e alla creatività, fantasia, immaginazione che da te, nonno mio carissimo, ereditammo; al buio e alla luce che attraversammo per ritrovarci, noi tuoi nipoti ma soprattutto i pronipoti, e i figli dei figli dei figli, che, insieme, ancora parlano di te. Infatti, dopo noi sei, i tuoi nipoti sempre più deboli e fragili, sempre più “in prima linea”, come eri solito dire tu alle soglie dell’Eternità, saranno loro a parlare ancora di te e della nonna con ancora tanta Bellezza negli occhi oltre ai nuovi possibili e forse inevitabili naufragi. E voi due, nostri ANGELI CUSTODI, con il vostro luminoso Faro li aiuterete a scongiurare le sconfitte e gli inciampi per giungere sempre nel porto sicuro del loro cuore. E, intanto, mentre scrivo di voi, è già un nuovo giorno. Il canto improvviso dell’alba mi ha riportato alla realtà dei colori, delle forme e delle dimensioni. E tutto si fa definito, certo, chiaro. Almeno in apparenza. Sì, solo in apparenza. Perché è un giorno che ha trovato rifugio in una rada insicura e accidentata, dopo più di mille miei naufragi. Ma sono ancora qui a scrivere. Occorre farsene una ragione e cercare sulla riva i sentieri meno impervi, più ampi e lineari, magari fioriti, e con ventagli di chiome d’alberi a creare un’ombra che ci possa riparare dagli abbagli dell’ultimo sole di un tempo che comprende tutte le stagioni della vostra e della nostra vita. Siamo tutti cercatori di certezze che mai saranno, mentre i dubbi fanno a gara per intrufolarsi nei pensieri e creare nuove paure, dare la stura a nuove pagine. E i sentieri larghi e chiari e fioriti, appena immaginati, si perdono tra sterpaglia e rovi e violenze e guerre e orrori e tremori senza fine. Meglio trovare rifugio nella propria casa, dove i muri sono muri e le finestre sono finestre e tutto ha un suo ordine anche nel disordine di una casa viva e vissuta? Forse. Ma non ci credo più. Il nostro cortile di gelsi e di rose, di fiabe e racconti sempre diversi, ma tenerezze sempre uguali, ci impedì di avere paura della guerra ancora in atto e degli aerei e delle sirene e dei rifugi. Tanto c’eravate voi a proteggerci, insieme a compare Luigi, generoso amico tuo e di babbo, che si prendeva con voi cura di due bimbette ignare e fiduciose. Ma oggi è diverso. Ogni serenità è rimasta in quel cortile. Occorre avere tanta nuova forza e tanto nuovo coraggio per affrontare quanto sta accadendo nel mondo e pregare e sperare con tutte le nostre deboli forze congiunte che altrettanti “Angeli Custodi” siano presenti più che mai a vigilare con il loro infinito amore sui tantissimi bambini che hanno oggi più che mai bisogno urgente della loro protezione. E, oggi, anche se sono sgomenta, provo ad avere un briciolo di fiducia ancora nella nostra umanità, perciò dedico alcuni miei versi a te a alla nonna, per abbracciare tutti i nonni presenti, passati e futuri:

Ebbi canto nelle braccia di mia madre

Nacquero papaveri e gelsomini

nel giardino d’ogni incanto

con i laghetti che ridevano di secchi

colmi d’acqua in cui si specchiava il cielo

fiorito di primavera e stelle mattutine.

Io ebbi rifugio nelle braccia di mia madre

prima che il tramonto incendiasse la sera

e l’usignolo avesse voce di violino

in gara con i grilli sul balcone.

Il nonno piantò un ramo di rose,

di preghiera la nonna riempì

le ombre della sua malinconia.

Nelle loro mani la mia prima alba

in fuga verso la chiesa e campane a festa

ad accogliere il mio vagito alla fonte battesimale...

(grandi i miei occhi negli occhi grandi

  di mia madre, ma tenera carezza dei nonni

             mi penetrò nel cuore             

   fino al canto che ancora oggi mi sorride

                        ad ogni nuovo giorno)

Buona festa degli Angeli Custodi a tutti e a tutti i nonni! A presto! Angela/lina

 

 

martedì 30 settembre 2025

Marted' 30 settembre 2025: LE AUTRICI CHE SCRIVONO LA LETTERATURA DEL TERZO MILLENNIO... (8^ e ultima parte)...

E sono giunta all’ultima puntata di questa lunga carrellata delle nostre Autrici italiane e straniere e molte altre saranno quelle che pubblicheranno con la nostra Casa editrice fino al primo semestre del 2027. Poi, ricominceremo!

Intanto, comincio da Ela Iakab con il suo Libro L’ULTIMO DONO TERRENO - Poesie d’Amore - , una silloge poetica ricca dei chiaroscuri dei sentimenti, delle emozioni, delle passioni intense e, nello stesso tempo, lievi come ali di farfalla a volare verso cieli di purezza e di candore. La silloge è del 2024 (pp.123, euro 12,00).  La sua Autrice è una Dottoressa rumena in Filologia, e ha al suo attivo parecchi libri con cui ha vinto prestigiosi premi e ha avuto numerosi, meritatissimi riconoscimenti. Basti pensare che è sua la traduzione dal rumeno all’italiano. Miei l’adattamento alla nostra lingua e la postfazione. E stralcio dalle mie “Tracce” sulla silloge qualche approfondimento, data la complessità della Libro di questa meravigliosa Autrice, sempre alle prese con la sua anima e il suo corpo, avvolti dal mistero e dal sorriso del Cielo. Non a caso, la splendida copertina, opera del nostro Graphic Designer Nicola Piacente (con l’aiuto della Intelligenza artificiale) è una scala che s’inerpica fino a incontrare l’azzurro tra misteriosi squarci di luce abbagliante. Ecco le mie parole: … Nel libro di Ela Jakab non ci si può fermare alla prima lettura tanto è denso di simbologie misteriche e misteriose da rimandarci continuamente a un canto ultraterreno. Canto dell’anima? Forse. È nell’anima che si cela e si rivela la forza sublime dell’amore e della morte. Nel bel mezzo si snoda la vita. Una vita vissuta visionario e profetico del mistero legato ai sottili fili ancestrali di memorie, antiche milioni di anni per giungere alle origini di un popolo nomade e sempre sospeso tra terra e cielo, in un intrico di miliardi di vite come le stelle già spente del cielo che solo una divinità (il Taumaturgo) può accogliere e forse guarire. L’ultimo dono terreno è un libro ricco di simbologie legate a più destini e a più religioni, che si originano dalle “epifanie” che trovano in ogni tempo la “manifestazione/ apparizione/ rivelazione” di una “presenza divina” attraverso “segni” (sogni, visioni, prodigi)… E concludo con i versi della sua ultima poesia “La città sublime” a conferma di quanto detto fin qui: Io sono l’asceta/ venuto dall’aldilà/ per innalzare/ con le pietre/ da lontane visioni// la città sublime// e per legarla/ con la forza dei cinque elementi/ intorno al tuo tempio.// C’è nel mio amore/ lo sfolgorio/ della montagna invisibile.// Dio mi ha promesso/ che ascolteremo/ nelle torri,/ alle porte e agli altari,/ i suoni creati/ durante le sette notti/ della Genesi.

Poi, ancora altri libri a completare il quadro delle Scrittrici straniere. Tra queste, vorrei ricordare Zorica Mandaric con il suo Libro IN UNA GOCCIA IL MARE, anno 2019 (pp. 110, euro 10,00). Traduttore Dragan Mraovic. Edizione bilingue: italiano-serbo. Mia la prefazione. Molto bella e luminosa la copertina ad opera del nostro Graphic Designer Nicola Piacente. Il Libro è reperibile presso la libreriauniversitaria.it

Accanto alle Autrici straniere occorre ancora ricordare quelle italiane dalle più remote alle più recenti. È bene ricordare, per esempio, la mia carissima e rimpianta amica e scrittrice di Trani Maria De Palo, che ha pubblicato con noi, nel 2009, il Libro, riguardante la sua vita romanzata, UN CANE DUE GATTE E UNA DONNA, essendo Maria amante degli animali e della natura in maniera viscerale e materna. Il tenerissimo Libro fu da me presentato subito dopo la sua pubblicazione presso il Monastero di Colonna di Trani, con la commossa partecipazione di Mimì Di Palo, scrittore tranese affermato e carissimo amico di entrambe, nonché nostro Autore. Fu una magnifica serata con un numeroso e partecipe pubblico venuto ad applaudirli.

Altro Libro risalente al 2009 è quello di Giusy Zitoli MALALINGUA nel bellissimo formato quadrato della SECOP START (pp. 60, euro 10,00). Si tratta di una silloge poetica particolarissima, forse ancora oggi unica nel suo genere, essendo legata essenzialmente alla corporeità erotica e libera da ogni costrizione anche ambientale o etico-sociale, in cui l’Autrice rivela tutta la forza della ribellione e la purezza della sua anima, “sigillo del nostro essere oltre ogni mutamento”, inevitabile, quest’ultimo, con il passare degli anni. E l’anima, a volte, raggiunge l’estasi, nel senso di “e-stasi”, cioè uscire fuori dall’immobilità (stasi: si sta) per trasformarsi in un fuoco che brucia e porta fuori da ogni realtà contingente e cogente. Ravviso, però, nei suoi versi, quelli erotici, impudichi e verginali della fantastica Rossella Piccarreta, pubblicati di recente in CARNE SACRA, di cui ho parlato nelle precedenti puntate. La Prefazione, intanto, è del bravissimo Alberto Conti. La copertina e progettazione grafica sono di Francesco Pinto. Un Libro da rileggere ancora con rinnovato interesse per il contenuto prima di tutto (la scissione della propria coscienza, che si divide in frammenti di sé attraverso gli anni che passano), e poi per la forma, ricca di figure retoriche che passano dalla metafora alle allitterazioni, dalla visionarietà mentale ai riferimenti concreti e ossimorici, a note canzoni di altrettanti noti cantanti fino alla focalizzazione di frasi di autori famosi anche in altre lingue e linguaggi.

Del 2012, è, invece, il Libro di Ada Bagnato Ranieri 50 DI SEMOLA 50 DI FARINA - i racconti del Borgo Antico - (SECOP edizioni, pp. 464, euro 18,00). È, dunque, un Libro di racconti su Bari Vecchia, centro incontaminato di baresità, pugliesità e insostituibile culto di San Nicola con tutte le sue storie e leggende. Il libro è arricchito dalla dettagliata Prefazione di Padre Lorenzo Lorusso O. P. l’allora Priore della Basilica di San Nicola, una Prefazione straordinaria per la puntuale documentazione sul Borgo Antico, dove, se ci si accosta con fede, è possibile incontrare Dio. Il titolo è mistificatore: si pensa subito a un libro di ricette, mentre è un romanzo che pullula di innumerevoli storie. Il Borgo Antico, del resto, è una conchiglia con echi di mare a portarci lontano con la fantasia e la memoria, tra identità e appartenenza. Gli fa da contraltare il “Fortino”, molto poetico nella sua personificazione. Qui si intrecciano altre storie di una comunità che vive ai limiti della illegalità, fra omertà e solidarietà. Molte le donne: Vera, Regina, Elena Filomena, Rinetta, Frida, Francesca, Anna. E la Signora: colta, elegante, solitaria, misteriosa. Pochi gli uomini (solo in apparenza forti): Antonio, Marco, Vito. Lungo le vie del Borgo e del Fortino si snoda una umanità, che si riconosce perché ubbidisce atavicamente alle sue tradizioni, alle sue leggi, ai suoi vari linguaggi e ai suoi comportamenti, legati ad una filosofia di vita condivisa, tra riti religiosi e pagani: la benedizione della casa (rito sacro), e la presenza di corni, gobbi, chiodi arrugginiti (riti profani). Fede e fanatismo, dunque. Poi, gli odori e i sapori della nostra cucina a spandersi tra le strade e nei crocicchi delle viuzze antiche. Infine, uno spazio che l’Autrice si concede, quasi un coro greco, per spiegare, ammonire, precorrere tempi e situazioni, invocare, narrare. Una narrazione nella narrazione: “Non si va a scuola delle lacrime”, “Le lacrime non si studiano”. Una bella lezione!

  Del 2016 è CANTI PER UN CUORE VAGABONDO (SECOP edizioni, pp. 67, euro 10,00) di Rosalba Fantastico di Kastron, Docente di Storia dell’Arte nei Licei, Commediografa, Pittrice, Regista teatrale. Poetessa. Vincitrice di numerosi Premi, ha ricevuto anche meritati riconoscimenti, sia per la poesia in vernacolo che in lingua italiana. Sua è la copertina. La Prefazione è di Cecilia Pignataro, la quale così scrive: … È questo il tratto distintivo della poesia della Fantastico: la verità che non indulge, non si lascia grattare oltre la superficie dell’apparenza, inoltrarsi nei penetrali dell’inconscio, inabissarsi nelle pieghe più nascoste dell’io, questa è la missione della sua azione poetica e in questa catabasi in corde suo la poetessa porta a spasso il lettore. Tale discesa, tuttavia, comporta fatica. Raccontarsi impudicamente costa, dirsi ferocemente è fonte di sofferenza. Non sempre catartica. Ma questa è l’unica chiave d’accesso all’autenticità, senza la quale non ci può essere poesia 

Del 2021, invece, è un Libro di racconti di Autori Vari, curato da Maria Teresa Gallo, DECLINAZIONI DI UN COLORE - sedici racconti tinteggiati di rosso - (SECOP edizioni, pp. 115, euro 12,00). La suggestiva copertina è la rielaborazione di una foto di Anna Paola Piacente, operata dal nostro Graphic Designer Nicola Piacente. La Prefazione è della stessa Curatrice. I racconti sono perlopiù scritti da Donne (Ester Basile, Marta Maria Camporeale, Marisa Carabellese, Slobodanka Ciric, Angela De Leo, Carmen Dinota, Rita Felerico, Maria Teresa Gallo, Raffaelle Leone, Girma Mancini, Maria Rosaria Rubulotta, Lucia Cervelli Stefanelli) e pochissimi uomini (Massimiliano Cavallo, Pasquale Gallo, Zaccaria Gallo, Roberto Masi), insomma degli “infiltrati”. Maria Teresa Gallo, nella sua esplicativa Prefazione, così scrive: … ciascuno di noi ha nel suo corpo (che sia mente, cuore o anima) una traccia di Rosso. Un’impronta lasciata dalla vita attraverso degli incontri, delle esperienze, dei ricordi o semplicemente delle fantasie. Insomma, il rosso abita in ciascuno di noi…     

Del 2004, infine, è il Libro CONOSCI TE STESSO (SECOP edizioni, pp. 118, euro 12,00) di Gabriella Basile, che ci aiuta a scoprire, con un Vademecum davvero molto interessante, i nostri punti di forza e le nostre fragilità per migliorarci nella prospettiva di migliorare questo nostro vecchio mondo “alla deriva”, come Serge Latouche ci ha predetto e teorizzato, con la sua opera più recente BREVE TRATTATO SULLA DECRESCITA. È, dunque, un Libro che non può mancare sulla nostra scrivania.

Dei miei innumerevoli libri è superfluo parlare. Vi rimando alle pagine della SECOP edizioni, almeno per quelli pubblicati con la nostra Casa editrice. Buona lettura a tutti. Mille volte grazie. E da domani si parla di altro. Missione compiuta! Vi abbraccio forte. Angela/lina 

sabato 27 settembre 2025

Sabato 27 settembre 2025: LE AUTRICI CHE SCRIVONO LA LETTERATURA DEL TERZO MILLENNIO... (7^ parte)

Tra le nostre Autrici straniere, fondamentale è partire dalla grande Ljiljana Habjanovic Djurovic, la prima ad aver pubblicato in Italia con la SECOP edizioni (anno 2010, pp. 577, euro 20,00). Il titolo del Libro è Il Gioco degli Angeli.  Traduzione del più grande traduttore serbo Dragan Mraovic. Mio è, invece, l’adattamento alla Lingua italiana. Mia la Prefazione. La copertina rispecchia la tradizione degli Affreschi tipicamente serbi. Anche perché il romanzo è, a mio parere, il più straordinario affresco della seconda metà del Quattordicesimo secolo, nelle due Istituzioni tipiche medievali: Impero e Monasteri, che in Serbia ebbero una notevole fioritura proprio nell’Alto Medioevo. Riguarda la storia di Milica, principessa serba della dinastia dei Nemanidi, e del suo intrecciarsi continuo con il soprannaturale: il suo Angelo custode, voce narrante, e i sette Arcangeli, che si prendono cura di Lei e del suo percorso verso la salvezza di sé stessa, come donna e regnante, della sua famiglia, del suo popolo, del regno Serbo. Della sua anima. Molte le chiavi di lettura: umane e divine. Tra atmosfere storiche, documentate dalla puntualizzazione cronologica degli avvenimenti, che si dipanano lungo i settant’anni della vicenda terrena ed esistenziale di Milica, e quella dinastica del regno Serbo.  Riguarda, inoltre, la vita delle donne nel Medioevo e, in particolar modo, delle donne nobili e degli obblighi del loro rango; della necessità di assicurare la continuità della dinastia sul trono; della interazione dei vari membri all’interno della costellazione familiare; il conflittuale e doloroso rapporto di Milica con le sue cinque figlie e soprattutto con Mara, la primogenita, e Oliveira, l’ultima nata. Conflittualità generazionali, all’interno dello stesso nucleo familiare, che riguardano l’umanità tutta, in senso orizzontale e verticale. Si pensi a Caino, il primo “assassino” della storia dell’uomo, dalla nascita biblica del mondo. Giunta a questo punto, non mi resta che aggiungere un breve stralcio della mia prefazione: … mi piace presentare al lettore la sua Autrice, la scrittrice “più amata” in Serbia, la più letta e apprezzata, la più premiata, e non soltanto nella sua terra, Ljiljana Hbjanovic Djurovic, perché dovrà a lei le forti emozioni, le insolite riflessioni, i profondi percorsi interiori, che lo accompagneranno nello straordinario viaggio nelle pagine di questo libro. e mi riferisco al singolo lettore perché ogni storia nasce dalla penna di uno scrittore, ma rinasce nella mente e nel cuore di chi la legge, assumendo significato e valore diversi, in quanto filtrati dalla sensibilità, dalla cultura, dalla storia personale di ciascuno… Ljiljana ha pubblicato altri suoi romanzi con la nostra Casa editrice fino a qualche anno fa. Poi le mie note vicissitudini a Belgrado hanno interrotto il nostro sodalizio letterario, venuto meno anche il nostro indispensabile traduttore e soprattutto amico Dragan Mraovic, ma non la nostra bella e sincera amicizia.

Altra scrittrice molto nota, amata e apprezzata in Serbia (e non solo) è senza dubbio Milanka Mamula, che ha scritto parecchi romanzi, con cui ha vinto diversi premi. SALVO ERRORI E OMISSIONI - E.&O.E.- è il primo Libro che ha pubblicato il 2015, con la SECOP edizioni (pp. 486, euro 19,50). Il traduttore è naturalmente Dragan Mraovic. Mio l’adattamento alla Lingua italiana, mia la Prefazione. L’immagine di copertina è della figlia dell’Autrice, Tijana Mamula, a cui il romanzo è dedicato, oltre che al fratello Pavle Mamula. Prendo dalla mia prefazione spunto per presentarvi questo romanzo davvero insolito, in quanto ha un intreccio catturante per i molteplici colpi di scena che si susseguono dall’inizio fino all’ultima pagina. Il Libro, inoltre, vede i personaggi vivere sentimenti ed emozioni molto forti e avvincenti, ma che spesso ci lasciano l’amaro in bocca e il desiderio di una soluzione positiva. Salvo errori e omissioni!?! Devo, intanto, precisare che romanzo è decisamente criptico per i non “addetti ai lavori”, ma altrettanto catturante, quantomeno per la curiosità che suscita nel desiderio di volerne sapere di più. Di scoprire l’arcano che si cela dietro una sigla che, indubbiamente, proviene dal settore commerciale e finanziario, a cui è stato legato per molti anni il marito dell’Autrice, lo straordinario scrittore e compianto amico Nikola Mamula, la cui sagacia, generosità, ironia e autoironia non potremo mai dimenticare, in quanto per anni ci siamo frequentati, con tutta la famiglia, provando profonda stima e sincero affetto. E con la carissima Milanka tutto è rimasto immutato. Intanto, ritornando alla prefazione, eccone un breve stralcio: … Per fortuna ci viene subito in aiuto il titolo, che spiega in maniera inequivocabile il suo significato: quando si tratta di maneggiare denaro in proprio o per conto terzi, non si possono commettere errori. Questi ultimi sono esclusi dall’umana esperienza. Non ci è dato di commetterli, trasformati come siamo in efficientissimi robot, veri e propri computer, cui non è concesso sbagliare. Viene forse in aiuto all’umana fallacità (…) quel “Salvo” messo all’inizio, che mitiga il senso della proibizione, ci offre una possibilità e, quindi, una scappatoia. (…). Dunque, un romanzo “sui generis”, molto particolare, che la bravissima Autrice, Milanka Mamula, serba di nascita e italiana di adozione, ha saputo costruire, con dovizia di particolari, proprio su questo assunto, che è, alla fine, l’anima della storia. La protagonista Nina, una donna in carriera, che ricopre un ruolo manageriale in una importante ditta milanese di import-export, si divide tra Belgrado, sua terra di origine, e Milano, città dove lavora, e, quindi, tra rigido senso del dovere e cedimenti emotivi, che non dovrebbe concedersi, tra i solidi affetti di ieri e le variegate amicizie di oggi; tra la famiglia che si sfalda e il pressante lavoro, che mantiene alta la sua autostima; tra fragili nostalgie e tenaci progetti di vita… Da leggere e rileggere per la sapiente e mai scontata scrittura dei sentimenti più intimi e profondi che appartengono in modo inequivocabile alla sensibilità di animo della nostra Autrice.                 

Altro Libro pubblicato dalla SECOP edizioni nel 2015 (pp. 106, euro 11,00) è quello di una delle più grandi poetesse serbe, la favolosa Milica Lilic Jeftimijevic. Si tratta di una splendida silloge di poesie che si intitola IL FUOCO E IL VERBO, in versione bilingue a fronte (serbo e italiano). Anche qui la traduzione è dell’inestimabile Dragan Mraovic, l’adattamento all’italiano e la prefazione sono miei. La pregevole Opera in copertina è della nostra Artista, Maria Grazia Giovanna Dell’Aere, che dipinge con un suo stile molto originale. La copertina è del nostro Graphic Designer Nicola Piacente, che dà sempre un taglio fortemente connotativo della Casa editrice. Riporto qualche notizia esplicativa della bellezza della silloge attraverso le mie parole che stralcio dalla prefazione: Bellissimo è, per esempio, il titolo: Il fuoco e il verbo. Esplosivo, caldo, magmatico, come solo il fuoco può essere; e intenso, profondo, elevato, come solo il Verbo sa e può diventare. Racchiude in sé le due forze vitali di questa superba poetessa e scrittrice serba, nonché critico letterario e giornalista: la passione amorosa e la passione poetica. Forze dirompenti, che esplodono in ogni verso tanto da indurci ad esaltarci per le inimmaginabili vette raggiunte, e intristirci per i terribili abissi paventati e, a volte, sfiorati con annientante dolore. Ma la poetessa ha in sé una forza in più, magica e misteriosa eppure profonda da vincere ogni altra parola. (…). La sua è una poesia balcanica, ma anche molto occidentale. E soprattutto è la sua poesia, quella che la rende fiera e sicura di sé, quella che la fa sentire “domina” e mai “ancella” della parola alata. Con brevi momenti di mite accondiscendenza, dettata più dalla sua profonda “necessità cosmica” che dalle ali dispiegate della sua straordinaria fantasia. Ma è il suo cuore che conclude la silloge con un inno alla bellezza che la parola esalta, incantandoci; e persino con una carezza d’amore all’Italia, a Bari e a San Nicola che rende benedetta questa terra. Splendido, sentito, commosso omaggio al nostro Sud…

Un lavoro a sé è PICCOLO VESTITO NERO - omaggio a Coco Chanel - che la SECOP edizioni ha pubblicato nel 2022 per omaggiare, a sua volta, la grande e famosa attrice serba Vjera Mujovic, che abbiamo conosciuto e ammirato a Belgrado. La traduzione è di Radmila Pavlovic. La copertina è opera del nostro Graphic Designer, Nicola Piacente, sempre molto creativo, anche alle prese con un Libro unico nel suo genere. Il personaggio di Coco Chanel, infatti, è rappresentato, in questa piece teatrale, in duplice veste: proprio come il logo del suo marchio, composto da una C regolare e una invertita che si intersecano. Si tratta, intanto, di un dramma, il cui contesto psicologico rappresenta il confronto dell’uomo con sé stesso, con il passato e il presente, tra verità e menzogna; il confronto con ciò che pensiamo sia vero, con la solitudine infinita e l’amore perduto. Due attrici, dunque, che, in questo dramma, danno voce a una sola voce, rivivendo infanzia, amori, lotte, desideri e aspirazioni di una personalità complessa come era quella di Coco Chanel. Il personaggio viene rivissuto in un momento di grande sconvolgimento globale: la guerra, la rivoluzione, la lotta per l’uguaglianza sociale. Chanel ha liberato la donna dal “corsetto” e ha accorciato vestiti e tacchi alti, per permettere anche ad una donna di amare e di decidere il proprio destino. Questo pezzo teatrale, infine, racconta la solitudine e l’eterna ricerca dell’amore. Vorrei concludere, puntualizzando che è perlopiù un dramma dialogico, raccontato in cinque lingue diverse per rispettare i diversi Paesi in cui è stato rappresentato: italiano, francese, inglese, serbo, cinese. È un libro di un fascino senza paragoni. Una ulteriore puntualizzazione: Vjera Mujovic è attrice e autrice del testo. È membro permanente del Teatro Nazionale di Belgrado. Si è laureata alla Facoltà di Arte drammatica di Belgrado. È attrice di Teatro, Televisione e Cinema. Sono tantissimi i personaggi che ha interpretato in diversi ruoli. Ha lavorato per il Teatro e il Cinema di San Pietroburgo, Mosca, Parigi. Ha fatto delle tournèe in Russia, Ucraina, al Circolo Polare Artico, in Georgia, Armenia, Svezia, Italia, Grecia, Polonia, Croazia, Francia, Mongolia… ha vinto numerosi e prestigiosi premi. Ha scritto due romanzi e diversi pezzi teatrali.

E, per oggi, va bene così. Ma devo necessariamente continuare perché sono ancora parecchie le nostre autrici italiane e straniere. Spero di concludere questa lunga carrellata per la fine di settembre, in quanto ci sono altre belle novità fino a dicembre, a partire da ottobre, mese autunnale tra i più dolci e malinconici dei mesi dell’anno. A prestissimo. Grazie sempre. Angela/lina

 

  

martedì 23 settembre 2025

Martedì 23 settembre 2025: LE AUTRICI CHE SCRIVONO LA LETTERATURADEL TERZO MILLENNIO... (6^ parte)

E torno a parlare delle nostre Autrici perché sono ancora tante e occorre farle conoscere tutte, italiane e straniere, perché ciascuna ha lasciato di sé e del suo modo di scrivere una traccia, meritevole di attenzione. A Laura Vitale, per esempio, fa da contraltare Isabella Bavaro che con FOS edizioni ha pubblicato due anni fa il suo Libro in dialetto giovinazzese e in italiano, corredato da immagini, fotografie, ricette paesane e tanto altro ancora in una sorta di rassicurante coralità. Il titolo è: Crìste nan ze còlche, ce nan arreggètte a tùtte - Cristo non si corica, se non sistema tutto - . Già il titolo, in dialetto e in italiano, è un atto di fede nel buon Dio e nella vita. Offre il senso della speranzosa attesa in un mondo migliore, perché ogni essere umano è “guardato a vista” e sorretto dalle Braccia di Chi ci ha creato e si prende costantemente cura di noi, come ogni buon padre fa o dovrebbe fare. Anche questo Libro, come quello di Rosi Brescia o di Laura Vitale, nasce e si irrobustisce durante la forzata “clausura” di tutti noi per il COVID 19, che ha fatto tante vittime nel mondo intero e anche in Italia, non risparmiando certamente il Sud. Pure, tra tanti devastanti lutti, la nostra Autrice sente il richiamo degli esempi di sua madre, che era solita sistemare tutto in casa, prima di andare a letto e dopo una giornata di duro lavoro, per affrontare la notte con maggiore serenità. Lo stesso, dunque, fa il buon Dio? Sì, Isabella Bavaro non ha alcun dubbio. Ecco cosa scrive nella Premessa: … Durante il periodo del lockdown, quando ci è stato imposto il divieto di uscire dalle nostre case, siamo stati privati, soprattutto, del contatto umano con la gente, dell’affetto delle persone a noi care, degli abbracci e delle parole di conforto. Per compagnia avevamo solo la televisione. Proprio in quei mesi di isolamento veniva trasmessa una fiction, ambientata a Bari, dove i personaggi, nei loro dialoghi, pronunciavano delle battute in cui erano racchiusi tanti nostri modi di dire. Perciò, io e altre persone che conoscevo facevamo a gara a chi ne trovasse di più, poi li scrivevamo sui social per confrontarci e vedere quanti eravamo riusciti ad individuarne. Questa voglia di “baresità” che ci accomunava ci faceva commuovere e sprigionava in noi un forte sentimento di appartenenza alla nostra terra e alle nostre tradizioni. In quel momento, più determinato si delineava in me il desiderio di portare a termine questo libro… E, così, se Rosi ascoltava la radio e cantava a squarciagola le tante canzoni che trasmetteva, non ultime quelle di Ultimo (pseudonimo di Niccolò Moriconi), tanto amato da sua figlia e, poi, anche da lei, Isabella guarda la televisione e si compiace della sua “baresità”. Entrambe, Rosi e Isabella, traggono spunto da questi elementi quotidiani, che alleviavano la solitudine dovuta alla chiusura al mondo esterno, per scrivere il loro Libro, consapevoli della forza salvifica della scrittura.     

Le parole, soprattutto quelle scritte, infatti, hanno un peso specifico molto importante nella vita di ciascuno di noi. Un esempio eclatante è il Libro di prose e poesie di Maura Picinich IL RESPIRO DELLE PAROLE (SECOP edizioni, 2015, pp. 107, euro 12,00). Parto dalla mia Prefazione per comprendere meglio il profilo letterario e poetico di un’autrice di particolare caratura e sensibilità mittleuropea, essendo nata e vissuta a lungo a Trieste, terra di confine: Mi cattura il titolo del libro di Maura, Il respiro delle parole: una raccolta di poesie, aforismi, pensieri, racconti, lettere, ricordi. E mi emoziona l’immagine di copertina della bravissima illustratrice Ileana Visigalli. Immagine, ricca di suggestioni che accoglie in sé e affida, ad un filo teso da un “altrove” ad un altro (di cui si perdono le tracce, perché ogni altrove è sempre indefinito e lontano, in sospensione tra terra e cielo), il coraggio di questa donna che, forte soltanto dei suoi sogni e della capacità di reinventarli ad ogni meteorite che intralcia i percorsi azzurri dei suoi più intimi sentieri, si mantiene in bilico con la bacchetta magica della lunga scia di parole, che ricamano di poesia i suoi giorni e le sue notti. E il titolo, quasi un sussurro, quasi una espansione, leggera e trasparente di sé e del sé, si fonde e si confonde con l’immagine eterea della donna stilizzata che danza sul filo e s’innalza a cercare le stelle e a sfidare il destino (…). C’è in ogni parola di Maura Picinich il “respiro” di quel “vitalismo” bergsoniano, che diventa principio di rigenerazione e di resurrezione... Ma il respiro più potente è quello del mare (…). Il mare, sempre presente alla sua vita. Un Maredentro che trascende la fisicità del mare per farsi spirito e anima della scrittrice. Per farsi vita. Eterno movimento. Canto e fremito di lente onde alla battigia, dove ogni orma viene cancellata, come ogni rimpianto. La vita è oggi... Altro punto di riferimento continuo è suo figlio, Jehoshua Aaron, cui dedica le lettere e le poesie più intense e vere, come quelle che la vedono partecipe convinta e determinata, innamorata della natura, delle piante, degli animali, suoi compagni di vita ancora oggi. Ma in un sussurro d’anima scopriamo le tenere poesie e prose dedicate al suo compagno di vita, l’immenso Livio Sossi, di cui tutti conserviamo memoria con profonda stima, grande ammirazione, imperituro affetto.   

Altra scrittrice mittleuropea, per via delle sue origini croate, nata a Spalato, sulla costa della Dalmazia, è Tea Dalmas, Autrice di Puse (SECOP edizioni, 2015). Chi era Puse? È abbastanza facile trasformare questo nome in Jelka, madre di Tea. Ma mi sembra importante conoscerla attraverso le stesse parole dell’Autrice che vibrano in una sua lettera che precede tutto il Libro: Miei cari, Ho custodito gelosamente questo diario scritto per mia madre e affidatomi dalla nonna Vinka, con l’intento, un giorno, di tradurlo in italiano, perché ne restasse memoria nella nostra famiglia. Ora il proposito è diventato realtà, grazie anche al grande aiuto di Nico e Manuela: Nico ha saputo trasformare la mia traduzione “letterale” in un testo più “letterario”, vivo, conservando ed esaltando l’ironia e la curiosità intellettuale che animavano lo scritto e le parole della nonna e tracciando utili riferimenti storici. Manuela è stata impagabile per il lavoro al pc, la correzione delle bozze e l’impaginazione.

Man mano che traducevo, mi tornavano alla mente i tanti pomeriggi d’estate a Spalato, a casa della nonna Vinka, dove trascorrevamo le vacanze estive. Seduta sulla sua poltrona a dondolo, sul balcone, all’ombra dei rami di un grande fico mi raccontava della nostra famiglia, degli zii Ivo e Branco e dei nostri antenati. In questo diario sono citate delle persone che ho conosciuto da piccola, per cui tutto quanto scritto dalla nonna mi è ancor più familiare. Aver tradotto questo diario è stato per me un atto d’amore verso la nonna, i miei genitori, mio fratello, i nostri figli. Per questo vorrei che i ragazzi avessero questo ricordo della “none Puse” e del meraviglioso nonno Franco, che non hanno conosciuto, il mio amato “papacci”, come lo chiamavo da piccola. Traducendo e rileggendo questa storia, più di una volta i miei occhi si sono inondati di lacrime… ma non di dolore, piuttosto di tenerezza e nostalgia. Spero che questo scritto abbia anche per voi un grande valore sentimentale, come lo ha per me. Vi voglio bene. Tea. Nico, di cui si parla, è il nostro amatissimo Autore e Amico Nico Mori, mentre Manuela è la loro figliola maggiore. Purtroppo, Nico è volato tra le stelle oltre quattro anni fa e Tea lo ha raggiunto l’anno scorso. Di entrambi ci resta un tenerissimo ricordo. E le mie lacrime si mescolano a quelle di Manuela, nostra imperdibile amica, di Alberto, suo fratello, e di Carlo Alberto, suo marito. Ma, tornando al Libro, desidero ricordare che la Prefazione è mia. E mi piace riportarne qualche stralcio, per dare qualche notizia in più sulla figura di Puse/Jelka e sul perché sia stata così importante nella vita di Tea e di tutta la sua famiglia:

Puse è innanzitutto un atto d’amore di Tea Dalmas nei riguardi di sua madre Jelka, chiamata Puse, e di sua nonna Vinka Sperac Bulic (e chiedo scusa per gli accenti giusti che non so mettere), giornalista e femminista ante litteram nei primi anni del Novecento in quella terra mittleuropea tra Italia, Croazia e Dalmazia, che ha, nella storia di questa famiglia, come fulcro Spalato. (…). Si tratta, infatti, della pubblicazione del diario, che sua nonna aveva scritto dalla nascita della terzogenita, avvenuta nel febbraio del 2019, dopo parecchi anni da quella dei primi due figli, al 1953, anno in cui con una lettera accorata Vinka, dopo circa dieci anni di silenzio per aver chiuso il diario con le nozze della sua amatissima Puse, lo riprende per cercare col suo amore e la sua tenerezza materna di consolarla per la morte prematura dell’adorato Franco, stroncato da una grave malattia cardiaca. (…). Ma Puse è anche la straordinaria testimonianza di uno spaccato di vita che coinvolge sì due donne, madre e figlia, quindi due generazioni a confronto, ma anche un intero popolo, anzi più popoli con la loro tormentata storia che riguarda ideali di libertà e soprattutto di rivendicazione di appartenenza ad un ceppo storico-culturale piuttosto che ad un altro; ideali e rivendicazioni, che fecero di quegli anni e di quei territori veri e propri campi di battaglie, acerbe e devastanti, a volte anche cruente o di forte tensione propagandistica e sociale, senza ottenere reali soluzioni di giustizia e di equilibrio tra le sacrosante aspirazioni indipendentistiche, talvolta anche romantiche, dettate, soprattutto in quelle terre, dagli “eroici furori” di tutto l’Ottocento e la prima metà del Novecento (vedi l’impresa di D’Annunzio a Fiume e a Zara), e la concreta vita quotidiana della gente comune e dei suoi sacrifici per affrontare nuove e destabilizzanti situazioni famigliari e domiciliari come profughi o esiliati.  Esperienza che toccò anche a Puse e ai suoi figli Tea e Rafo, che trovarono rifugio e ospitalità in terra di Bari. La Posfazione è di Nico. Bella. Sincera fino in fondo. Esplicativa dei tanti momenti bui vissuti in silenzio dalle due donne, madre e figlia, pur di non turbare il già scarso equilibrio socio-economico- familiare che entrambe stanno vivendo; ed esplicativa del travagliato momento storico che stanno vivendo l’una lontana dall’altra. Poi… poi… poi… tutti gli avvenimenti si snodano fino all’adolescenza, la giovinezza, l’età matura di Puse. La sua venuta con i figli a Bari. Il resto è storia che i nipoti conoscono benissimo e che Manuela ha sintetizzato con splendide parole e una tenerissima poesia. L’anno scorso, infine, mi è giunto questo messaggio di Manuela: Mamma Tea non c’è più. Ed io, ormai, non conto più gli anni. Conto le assenze fisiche che sono presenze vive nel cuore, nell’anima. E il riproporre quanto già scritto non è sfiducia nella memoria dei lettori del nostro blog, ma necessità mia personale di far rivivere, nei tantissimi ricordi, le tante persone amate e che amo perché vale la pena ricordarle per farle ri-nascere.

Grazie, sempre, per l’attenzione. La prossima volta parlerò delle nostre Autrici straniere, a partire dalla più conosciuta e amata anche in Italia Ljiljana Habjanovic Djurovic, la tanto apprezzata e amata Milanka Mamula, la mitica MilicaLilic Jeftimijevic, ecc. A presto. Angela/lina 

giovedì 18 settembre 2025

Giovedì 18 settembre 2025: LE AUTRICI CHE SCRIVONO LA LETTERATURA DEL TERZO MILLENNIO... (5^ parte)

Oggi è in compleanno di Daniela, la mia figlia più giovane, e io avrei voluto farle una sorpresa andando a Roma, ma non è proprio possibile. Il capofamiglia è, in questi giorni, a Firenze per presentazioni varie e andrà anche nella Capitale per una “toccata e fuga” per altri impegni culturali. Non mi rimane che inviarle una delle mie solite poesie che riservo a quelli di casa, per il loro compleanno. E non è più una sorpresa, piuttosto una cosa scontata che sanno ormai a memoria. E, allora, faccio qualcosa di diverso, scrivo un pezzo del suo vecchio diario per riportarla indietro negli anni. <Otto settembre: come ogni anno, e mai una volta che si riesca a saltare il turno, arriva il compleanno… tra dieci giorni saranno già 22… non è per quel velo di cellulite che inizia ad insinuarsi, buchetto alla volta sulle cosce; non è neppure la pancetta - zona ombelico - sbucata da non so dove… sono i pensieri capovolti che mi danno il tormento… è il dover mettere in discussione tutto ciò che mi appartiene, tutto ciò di cui sono fautrice, tutto quello che ho creato in 21 anni di vita che non mi convince più… e forse penso che la strada che ho scelto non sia proprio quella che credevo giusta… magari tra un mese sarò ancora su questo stesso cammino con torcia e scarponi a scansare liane e serpenti e gli occhi avvelenati di fervore, o forse sarò ancora qui che scrivo disperata “AIUTO - MI - SONO - PERSA”, con le mollichine di pane che io - pollicina - ho ancora in tasca, e nella mente ancora sogni, tanti, tutti da realizzare…>. Un SOS a me, sua madre, a sé stessa, ai suoi pochi anni, alla vita. Cosa scriverebbe oggi che gli anni le si sono moltiplicati fino a contarne quasi cinquanta? In realtà, la vedo più serena oggi di ieri; più consapevole di sé e delle sue scelte professionali, sentimentali, amicali. E questo mi conforta. Mi esorta ad affrontare più serenamente i lunghissimi anni che mi porto addosso tra mille difficoltà di ogni genere. Mi spinge a osare ancora una poesia da dedicarle. Si intitola “Versi ribelli”: Ti rincorro a ritroso per farti tornare/ ragazza - azzurra meraviglia di mare/ a risalire/ in superficie nella clessidra d’argento/ tuo dono/ tra le mie incredule mani -/ un giorno che sapeva d’estate di sogni/ di noi due a scongiurare domani/ per non farmi invecchiare/ - Battiato e la sua cura,/ che fu tua premura/ inviarmi un giorno di straordinaria nostalgia? - / La tua la mia!/ E mentre a rotoli va il nuovo mondo/ all’incontrario io e te rotoliamo/ verso i mille volti della luna stranita / sfiorando la fortuna di un anno in meno/ tra le dita/ mentre ridiamo senza freno/ tra progetti sospesi/ e a lungo attesi/ per la ribellione all’inganno del canto/ dei giorni a rincorrersi come nuvole/ tra ali di vento e velieri/ come i nostri pensieri/ che tornano a colmarsi d’incanto/ il mio il tuo soltanto/ (quando la mia carezza è un inno/ alla nostra eterna giovinezza/ graffio di follia / per augurarti/ un anno in meno, figlia mia). E non può certamente mancare tuo padre all’appuntamento con te per il tuo “non-compleanno”. I suoi versi stridono con i miei un po’ perché sono più datati e risentono del suo “pessimismo cosmico” e un po’ perché siamo sempre stati piuttosto dissonanti in poesia come nella vita, ma eravamo l’“amore necessario” (ricordi Sartre e la sua donna part-time, ma indispensabile alla sua vita: Simone de Beauvoir?). Ma ecco i versi che purtroppo ho dovuto scegliere io per lui. Spero che anche per te siano quelli giusti. Titolo “SI POTEVA CREDERE”: Potevamo credere a tutto/ anche all’impossibile/ quando il mondo/ ci sembrava un sentiero nell’erba/ da percorrere in volo/ Ma il tempo/ era il nostro nemico/ in agguato/ con promesse di eternità/ Si poteva credere a tutto/ senza l’ansia nel cuore/ con le nostre facce/ irriverenti e scontrose./ In tasca nessuna verità…// Si poteva credere/ alla realtà dei sogni/ scambiati alla pari/ sui campi da gioco inventati/ i nostri cuori come palloni/ da giocare…/ il tempo inchiodato/ sui muri… (Primo Leone, lontano da ieri, SECOP edizioni, 2008 - pubblicato postumo - e con foto e disegni di Ombretta Leone)

Ed ora, per rimanere in qualche modo in tema, oltre il senso comune della scrittura, un Libro pubblicato nel 2023, per i tipi della FOS edizioni (pp. 183, euro 13,00), da Laura Vitale, una musicista (violinista), ormai in pensione, che va a ritroso nel tempo e fa giustizia dei luoghi comuni e delle illusioni di chi guarda dall’esterno il mondo professionale e lavorativo degli altri. Il titolo del Libro, infatti, è molto significativo ed esplicativo perché di denuncia etica e di polemica costruttiva: VE LA RACCONTO IO L’ORCHESTRA - dietro le quinte - . Tutto quanto emerge, però, dopo quarant’anni di pensionamento dal lavoro di Professore d’Orchestra, amato visceralmente e visceralmente odiato, riguarda i ricordi di questo odio-amore che sembrano appartenere all’Autrice, ma anche no. Marisa Sicolo, sua grande amica, nella quarta di copertina, infatti, così scrive: questa è la storia fantastica di un’Orchestra di una città qualsiasi della nostra bella Italia. Un’Orchestra formata da musicisti di ottimo livello che durante i concerti riescono a creare arte ma, finito lo spettacolo, spente le luci, “dietro le quinte”, esprimono il peggio di sé stessi. Questa è anche la storia fantastica di una piccola donna che, con coraggio e per sete di giustizia, riesce a scoperchiare i sepolcri imbiancati di uomini corrotti, a sfidare e combattere intrighi illeciti, meschinità e cattiverie, senza farsi intimidire, rimanendo fedele a sé stessa. Un’eroina dei nostri tempi. In pratica, è una storia romanzata che parte, come sempre accade, da un fondo di verità, da una esperienza vissuta o ascoltata da altri, da una osservazione reale, prolungata nel tempo, con un retrogusto di creatività a darle quel tocco di irrealtà e di compiutezza che altrimenti non avrebbe avuto. Molto importanti, tra l’altro, sono i RINGRAZIAMENTI che offrono nuovi spunti di conoscenza dell’iter, alquanto faticoso e incerto, di questo lavoro. L’Autrice ha avuto l’impulso di narrare senza essersi cimentata mai prima nella scrittura; di qui le difficoltà linguistiche e grammaticali, che ottimi maestri le hanno fatto superare, tra umiltà e autostima. Anche la copertina è frutto corale (tutti i suoi cari a raccolta, a partire dall’amica del cuore Marisa), per realizzare il delicatissimo e simpaticamente dimostrativo disegno che mette a fuoco la esplosione negativa e dirompente dell’affiatamento di una orchestra, appena dopo la chiusura del sipario. Resta, però, che il Libro ci permette di sottolineare la necessità della narrazione per rendere credibile una storia non vera e viceversa. Ma alla base c’è un’altra considerazione da fare. La narrazione è sempre legata a un incontro, all’apertura all’altro, sia in senso verticale (abbraccia più generazioni, che si tramandano una storia da ieri fino a domani, attraverso il racconto orale), sia in senso orizzontale (allargando i confini di quanti ci stanno ad ascoltare, acconsentendo o anche dissentendo. Nascono così, tra autori e lettori, dibattito e confronto che permettono, quantomeno, di sfiorare la verità. Questo è quanto accade nel Libro di Laura Vitale, che tutti dovremmo leggere. Per scoprirci forti e coraggiosi nell’affrontare “l’avventura della vita” anche in tarda età. Per non demordere mai dallo scoprirci e riscoprirci nella nostra pienezza e consapevolezza di quello che realmente siamo. Fragilità e talenti compresi. Fondamentali, dunque, le connessioni tra noi esseri umani che abbiamo avuto il dono della parola proprio per poter comunicare in una forma più completa di quella concessa agli animali, che pure sono in grado di comunicare perfettamente tra loro e spesso anche con l’uomo. Ma il nostro linguaggio offre innumerevoli possibilità e modalità di usare termini diversi con sfumature sempre nuove per far comprendere ai nostri simili emozioni, sentimenti, sofferenze, aspettative, ricordi e così via. Non così avviene per gli animali. Mi sembra opportuno, allora, ritornare alla nostra carissima Silvana Folliero, la quale usa, come introduzione a Tersicoree, i seguenti importantissimi suoi versi:


Mi piace sempre più nel Tempo

scivolare e nel Silenzio

restare immobile solo

nella vita cadenzata ma

fieramente dialettica la mente

scatena onde sonore ritmiche

d’informazione cosmica sempre

più vaste nel mondo tra le cose

del piacere universale. (S.F. 1993)



Questa poesia è pregevole perché è sintesi connotante il suo pensiero, che ben presto si dilata ad abbracciare i nuovi orizzonti della “poetica” del Terzo Millennio. Orizzonti ricchi di continue interconnessioni di voci che contraddistinguono la musicalità che accompagna ogni parola che scegliamo per favorire una meravigliosa “informazione cosmica”, per vincere ogni silenzio e scatenare “onde sonore ritmiche sempre più vaste nel mondo tra le cose del piacere universale”, in funzione di un nuovo Umanesimo, e non solo storico, culturale, letterario, ma soprattutto etico. Ne sono stupenda sintesi visiva le illustrazioni con inchiostro di china realizzate dalla mano delicata e incisiva di Ombretta (Leone).

E, ancora una volta, mi fermo. Ma le Autrici di cui parlare sono ancora molte, tra quelle italiane e straniere. Impiegherò, penso, tutto il mese di settembre e oltre. Grazie per la vostra paziente e attenta lettura. A presto. Angela/lina