venerdì 28 febbraio 2025

Venerdì 28 febbraio 2025: tempus fugit e domani è già marzo. Vestiamoci di SPERANZA e CORAGGIO: due parole care a PAPA FRANCESCO...

Tra gli ultimi coriandoli di Carnevale e i primi giorni di penitenza della Quaresima, mi sono imbattuta in due parole, che ritengo meravigliose per tanti motivi, non sempre scontati e non sempre da tutti accettati. Ma io corro il rischio di parlarne perché sono fermamente convinta che possano lenire in qualche modo le nostre pene, le nostre inevitabili fragilità. E anche per un altro motivo, che mi sta molto a cuore. Sono due parole suggeritemi da Papa Francesco, perché le ha messe in evidenza dal suo letto di dolore, in questi non facili giorni per Lui: SPERANZA e CORAGGIO.

SPERANZA e CORAGGIO: due parole il cui etimo risale al latino. Bellissime. Soprattutto nei tempi bui e tristi che stiamo vivendo a livello planetario. Fondamentale è, per me, oggi, armarsi di Speranza, “ultima Dea” del nostro percorso di vita sulla terra. Dal latino “spes”, come già detto, ma anche dalla radice sanscrita “spa”, che a me piace di più perché significa “tendere verso una meta”, in quanto prefigura un “movimento verso”, ossia un viaggio con destinazione... non sempre scontata nelle modalità, difficile da ipotizzare, da accettare!

Nell’arco dei secoli, comunque, essa ha avuto un significato molto controverso: i greci la ritenevano una illusione; i latini la negavano; i cristiani la misero a fondamento delle tre virtù teologali. Per molti filosofi e scienziati essa è un momento di “debolezza” e di “squilibrio”. Per Pascal “non si vive, ma si spera di vivere”, dunque la speranza è indispensabile alla vita. Anche per me è una forza propulsiva decisamente positiva, come lo è per Papa Francesco che continua a ripetercelo dopo aver pubblicato qualche anno fa Ti racconto la speranza (San Paolo Edizioni, Roma 2021).

Anche Coraggio = da cor-cordis, deriva da cuore, cioè dalla sua forza appassionata, che si fa audacia e determinazione e che risiede più nel palpitare di questo muscolo involontario vitale che non nel fegato che oggi si può anche sostituire. Per parlare di coraggio, però, occorre parlare di paura che non ha un’accezione negativa perché è proprio la paura che sollecita nell’essere umano, ma anche negli animali, una reazione di salvezza che si permea di coraggio. Ma a me piace abbinare il coraggio anche a cordata (non a caso hanno lo stesso etimo) perché è “l’unione” che fa la forza. Fare cordata in una impresa significa moltiplicare il coraggio del singolo e rendere più fattibile la realizzazione di quanto si ha in cuore di raggiungere. E quale impresa più grande della solidarietà tra gli uomini? L’estate scorsa sono stata per una settimana al mare in un luogo incantevole, in cui c’era una cura particolare per i disabili, facilitata da un’organizzazione particolare tra gli albergatori: tutti si davano una mano per rendere il soggiorno a tutti i clienti dei vari alberghi il più confortevole possibile. Bellissima cordata di angeli a far mettere le ali anche a noi che vivevamo in carrozzella. Siamo, dunque, tutti destinatari di questo tenero messaggio: aiutiamoci gli uni con gli altri per non perdere mai la le verdi vie della Speranza e del Coraggio! Ma i veri destinatari della Speranza e del Coraggio sono i giovani e giovanissimi, che oggi più che mai ne hanno bisogno. È questione anche di educazione a cercare sempre motivi di rinascita. Educare, del resto, è un bellissimo verbo che ha un duplice significato: da ex-ducere = tirare fuori, far venire alla luce, cioè tener conto e rispettare la personalità dell’educando, aiutandolo a realizzarsi con le doti innate che possiede; da edo, ossia mangiare, prendersi cura dell’allievo nel tempo. Pare che la domanda più premurosa da rivolgere a chi ci sta a cuore sia: “hai mangiato?” perché, come sostiene Elsa Morante, “La frase d’amore più vera, l’unica è: “Hai mangiato?”. E, infatti, Oscar Farinetti, rifacendosi alla Morante dice “non è solo una domanda, ma un atto d’amore”.

Nessun educatore (genitori, insegnanti, adulti) può prescindere dal formare i giovani e giovanissimi a queste due grandi virtù. Oggi la scienza pedagogica, con le sue “scelte alternative”, ci viene incontro per riprendere a sperare di formare gli uomini di domani: onesti, solidali e liberi. Ma, per quel che mi riguarda, anche la Poesia può rappresentare una valida alternativa alla desertificazione del cuore dei nostri giorni. I ragazzi e i giovani sono essi stessi Poesia, perché sono portatori di sogni e i sogni sono desideri e i desideri sono le stelle in cui ruota il loro firmamento. Anche de-sidera può avere due accezioni: o “intorno alle stelle” oppure “mancanza di stelle” (con il “de” deprivativo). Quante speranze e quanto coraggio nei giovani che non si arrendono! Bellissimo il monito di Giovanni Paolo II a loro dedicato: “Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro”.

Sta a noi anziani e adulti, soprattutto amanti di Poesia, scoprire i loro talenti e prendercene cura perché i ragazzi siano i protagonisti “creativi” del prossimo futuro! Futuro che quanti hanno la mia età vedranno con i loro occhi, attenti e incantati.

E, intanto, non posso fare a meno di ricordare il sogno che ho fatto all’alba ieri mattina: Papa Francesco in persona bussava alla mia porta. Quando aprivo, sorprendendomi enormemente perché lo sapevo ricoverato con prognosi riservata al Gemelli, mentre era venuto a piedi fino alla mia casa, balbettavo frasi di sorpresa, preoccupazione per la Sua salute, di ammirazione per la sua audacia e il suo coraggio. Lui mi rispondeva che in effetti non aveva tenuto conto che era ancora inverno e che all’alba faceva ancora freddo, nonostante qualche sentore di primavera. Mi chiedeva di entrare, dicendomi che aveva sentito il mio richiamo e la mia preghiera-non preghiera-ma preghiera in grado di riscaldare i cuori di quanti mi conoscono o mi leggono. Soprattutto dei giovani che mi stanno molto a cuore. Perché desidero ascoltarli. Sempre. “Siamo almeno in due ad amarli, ascoltarli e proteggerli”, mi diceva. “Ma in verità siamo tanti di più a pregare per loro nell’intero pianeta, per scongiurare la guerra e realizzare progetti di Pace e di Speranza… E che nessuno deve mai arrendersi…” Con le lacrime agli occhi gli dicevo di sì, di sì, di sì, ma ero già sveglia e con una nuova gioia nel cuore.

Certo, è stato solo un sogno, ma io mi sono svegliata, ricordando che in realtà non so più pregare ma ogni notte, nell’intimità silenziosa della mia anima nel silenzio, accarezzo Anna Paola che dorme accanto a me, e mi sento immensamente grata al buon Dio dei doni ricevuti e dell’amore che mi viene donato, molto di più di quello che io dono ai miei cari e agli altri. E mi sento una privilegiata. “Forza”, mi dico, “ti manca solo un pizzico di coraggio in più per sperare ancora”. Eppure non mi arrendo… Fino a quando il buon Dio vorrà…

Ed ecco una poesia che mi colma di Speranza e di Coraggio:

All’alba un sogno tra visione e realtà

a colmarmi di bianco e gelo

nella brina luminosa del mattino

e silenzio protetto

dallo scialle antico della casa.

Mi abbraccia un sorriso colmo di luce

e si fa preghiera e calore e tenerezza.

Tremo di gratitudine e di attesa

alla carezza che sa di Cielo.

(domani negli occhi di quanti amo

                   riamata

  accenderò lampade di Speranza

       e un solo cerino per scorgere

                    anche al buio il coraggio)

Grazie. Alla prossima. Angela/lina

 

 

martedì 25 febbraio 2025

Martedì 25 febbraio 2025: Recuperando "pezzi di scrittura" perché un "lettore sconosciuto", qualche anno fa, ha scritto sul nostro BLOG...

"I sentimenti forti, gli stati emotivi intensi possono regalare parole mai dette né pensate anche a chi non sa giocare con le parole, a chi non sa che una parola, seppure apparentemente banale, può trasportare pezzi di cuore. E cosa accade quando la sensibilità di una poetessa fatta e riconosciuta è sollecitata più di quanto già non lo sia di suo, quando la mielina dei suoi nervi si sfilaccia e li denuda spianando la strada al dolore che con la ferocia devastante dell’invasore si appropria di ogni singola cellula del suo corpo e di ogni pensiero? Accade che la poetessa immerga le mani gli occhi la bocca il naso le orecchie nel forziere mai chiuso che custodisce le sue parole e se le regala e le regala a noi, balsamo per le sue ferite e canto di speranza per ogni cuore che avrà la fortuna di condividerle. Hai superato te stessa, Angela? Spero di no: ce ne aspettiamo ancora e ancora. Persevera nella tua imprevedibilità…ma senza farti male!" (Sconosciuto)

"Angela condivido tutto ciò che hai mirabilmente descritto. Una poesia è il luogo dello stupore, della meraviglia, anche della solitudine... quando ti sieda accanto, la poesia tiene il diario di bordo di una coscienza dell'oltre, dell'attimo colto e separato... Noi possiamo abitare il viaggio, la vita dell'altro da noi, attraversando l'anima delle cose perché tutto è nel nostro sguardo. Grazie Angela!" (sconosciuto)

Pezzi della mia scrittura che un attento, ma sconosciuto lettore, ha colto qualche anno fa. Quando? Mi piacerebbe recuperarli, ma non sono esperta in operazioni di recupero di qualsiasi genere si tratti. Ci provo… Evviva! Ci sono riuscita! O quasi! Si tratta di ABITARE POETICAMENTE IL MONDO, che risale al 13 marzo del 2018 e che parte da due espressioni che non ricordo se siano mie o meno, ma forse sì: Il “prendersi cura” contro la “cultura dell’offesa”. Ma il mio “amico sconosciuto” potrebbe riferirsi ad alcune mie poesie scritte a fine febbraio con un lieve sentore di primavera nell’aria. Per evitare dubbi e incertezze, ripropongo quanto da me scritto alcuni anni fa, prima che il periodo più brutto della mia vita si abbattesse su di me, senza farmi sconti di sorta. Ma dopo sette anni, che non sono passati invano sul mio corpo, sulla mia mente, sul mio cuore, penetrando profondamente nella mia anima, sono ancora qui. Contenta di esserci e di ritrovare i vecchi amici. Contenta di esserci per incontrare nuovi amici. E, così, eccomi a rinverdire quanto scrissi allora:

<Mi piace proporre qualche riflessione sulla possibilità che ha la poesia ancora oggi di essere veicolo di salvezza in un mondo devastato dalla “cultura” della violenza, dell’offesa, della divisione, dell’odio e della disumana indifferenza nei riguardi di chi soffre, di chi è debole, solo, disperato, oppure ha bisogno di asilo perché scappa dall’orrore della guerra, dai morsi della fame, da una terra devastata e senza speranza. In questi giorni di totale confusione e notevoli discordanze nel nostro Paese, e non solo, mi chiedo allarmata e delusa se sia ancora possibile oggi vivere con poesia e di poesia. Prendo quotidianamente atto di essere completamente disancorata, con i miei ideali e le mie utopie, da questo mondo di pochezza e di pressappochismo, di arroganza e mancanza di senso storico, civico e sociale (in termini di unione corale tra gli uomini). Per evitare di ridurre il mio sgomento ai soliti pensieri romantici e poco realistici, ho cercato di farmene una ragione con la inevitabilità del fenomeno a causa di una cultura scientifica e tecnologica, che ha pian piano soppiantato, senza che ce ne accorgessimo, non solo nella scuola ma nella società tutta, quella cultura umanistica che  ci consentiva di essere ancora “umani”, a contatto con la letteratura, la filosofia, l’Arte in tutte le sue innumerevoli forme, e, perché no, a contatto con la natura, principale fonte di ispirazione per poeti, pittori, musicisti. La scienza e la tecnica, ma soprattutto l’elettronica, hanno finito per darci in pasto ad una fittizia realtà “virtuale”, che si è sempre più diffusa grazie ad internet e ai social. Senza volerli demonizzare, ma anche senza esaltarli oltre misura, li ritengo in buona parte responsabili della “non cultura” del nostro tempo, con tutte le accelerazioni linguistiche che essi comportano e sollecitano, e il conseguente depauperamento della ricchezza che ogni lingua e linguaggio porta in sé e con sé, e con tutte le velleità dell’apparire a discapito dell’Essere. Velocizzando ogni operazione, ogni contatto, ogni comunicazione e agevolando un solipsismo che sta diventando dominante e sempre più preoccupante, per non dire devastante. E con questo individualismo esasperato vanno sempre più aumentando le chiusure agli altri, gli egoismi, le divisioni. I social solo in apparenza aggregano, offrono possibilità di conoscenza, scambio, confronto. Basta andare su facebook o su twitter per averne conferma.

Come conciliare tutto questo con il mio sogno di “abitare poeticamente il mondo”?

“Abitare poeticamente la terra” è il titolo di un libro di poche pagine ma di pregnante e ricchissimo contenuto poetico-culturale del noto critico letterario Emerico Giachery che, nel donarmelo, ormai tanti anni fa, in un incontro nella sua Roma, mi disse che quel titolo, che a me sembrò subito bellissimo, gli era stato suggerito da una espressione attribuita al poeta  tedesco Friedrich Holderlin, ripresa successivamente dal filosofo Martin Heidegger, il quale puntualizzò che l’avverbio “poeticamente” stava a significare “essere alla presenza degli Dèi ed essere toccati dalla vicinanza dell’essenza delle cose”. Che per me consiste nell’illuminare di tenerezza il quotidiano, anche con la scrittura: le innumerevoli voci nascoste, ma reali, i suoni, i profumi, la musica, il sogno della terra, dei fiori, dei prati, delle acque, le nuvole, le onde, il mare… gli altri miei simili, con i quali desidero comunicare con gli occhi ancora prima che con la voce, col gesto, e non con un mezzo tecnologico, freddo e distante. È necessario, mi dico, ritornare ad ascoltare le voci della natura, come facevano gli uomini primitivi, quando la natura non era ancora “desacralizzata” (Carlo Sini). Prendere, magari, a modello i bambini che, con naturalezza, abitano poeticamente la terra. Si stupiscono. Si meravigliano. Non programmano i loro giorni, ma li vivono solo giocando e nel gioco e con il gioco imparano a scoprire il mondo, giorno dopo giorno, conquista dopo conquista, abbandonandosi senza steccati e senza confini al fluire del tempo e della vita. I programmi che noi adulti siamo soliti fare, frazionando il tempo, segnano dei limiti e delle strade obbligate, che dobbiamo percorrere se vogliamo realizzare i progetti che ci prefiggiamo di raggiungere. Ma così sacrifichiamo libertà e creatività. Forse sarebbe meglio avere solo degli intenti da perseguire e da trasformare pian piano che viviamo, escogitando di volta in volta il “come”, nel rispetto della libertà e delle “modalità” di ciascuno, cercando magari di trovare continuamente “punti d’ incontro” per non sentirci mai soli nella realizzazione di quanto riteniamo utile per ciascuno, ma anche per il bene di tutti. Sarebbe bello formare delle cordate vere, concrete, reali per aiutarci a vicenda e sentirci solidali, forti, felici. Ci riapproprieremmo così della semplicità della vita. E, del resto, lo stesso Heidegger affermava: “Lasciamo essere all’ESSERE”. Abbandoniamoci all’esistenza e tutto potrebbe accadere nel tempo giusto e nel luogo giusto. Non vivono gli uccelli cantando e ricamando i cieli di voli senza l’ansia del cibo o di programmare il nido che a primavera riempiranno di pigolii e fremiti di ali? Ecco, anche gli uccelli come i bimbi vivono poeticamente il mondo. E così la natura tutta quando segue il corso delle stagioni, le albe e i tramonti, lo sfolgorante mormorio delle stelle. Lo so, adesso mi taccerete di retorica, di romanticismo, di utopia, di scarsissima aderenza alla realtà, perché quest’ultima ha le sue leggi, le sue priorità, la sua arcigna faccia quotidiana. I suoi problemi. La sua sofferenza insita nelle nostre fragilità e nella nostra stessa umanità. No. Non ho dimenticato tutto questo. Anzi! Mi preoccupa, mi spaventa, mi fa “tremare le vene e i polsi”. Ma non per questo devo rinunciare ai miei sogni. Alla mia utopia, che non è “ciò che non si può raggiungere, ma ciò che non si è avuto ancora il coraggio di affrontare e realizzare”, come qualcuno ha scritto un po’ di tempo fa. Né voglio rinunciare alla mia Poesia. Che non è fatta solo di nuvole, ma di esperienze di vita, come ferite o esaltazioni quotidiane. Il poetare di Holderlin veniva definito: “illuminazione, veggenza, stato di grazia”, nonostante la sua eterna follia. I poeti sono allora dei privilegiati per un dono assolutamente gratuito che li salva e li salverà sempre? Probabilmente sì. Nei “Quaderni di Malte” Rilke afferma che i versi sono esperienze che si vestono di stupore. E le esperienze diventano così l’atto più alto del vivere. Prima di scrivere un solo verso, egli afferma, bisogna aver visto molte città, aver conosciuto gli animali e le piante; sentito il volo degli uccelli e ascoltato il linguaggio dei fiori; ripensato ai sentieri percorsi e a quelli mai attraversati; ritornare all’infanzia, alle ferite inferte ai nostri genitori per le inevitabili ribellioni; trascorrere i mattini davanti al mare e sognare tutti gli oceani. Più o meno così. Ho citato sul filo della memoria. Non ho tempo per documentarmi. Questo tempo parcellizzato che distrugge il tempo, la libertà, la creatività. La nostra stessa umanità. Ma in un tempo così buio si fa urgente trovare un fiammifero, un lumicino, una lampada per dissipare le tenebre e fare ancora spazio alla Speranza.  Riscoprire l’Armonia che non ammette vuoti e si sostanzia di pienezza e di unità. Riproporre la Poesia. E la poesia per William Blake è “vedere il mondo in un granello di sabbia/ e il cielo in un fiore di campo/ e l’eternità in un attimo”.

Se la poesia, dunque, è tutto questo e molto molto altro ancora, allora è possibile abitare poeticamente il mondo. Oggi più che mai. Non possiamo andare al fondo del fondo. Inevitabilmente si torna a galla. Non ricordo più chi abbia detto che “l’ora più buia prelude alla luce” e non può essere altrimenti. I primi segnali di rinascita ci sono. L’amore per la lettura che lentamente rinasce. E la lettura è il volano della conoscenza mediata dai libri: ampia e suggestiva. Profonda. Umana. Perché ogni pagina può essere riletta, meditata, rielaborata. Assaporando lentamente ogni parola, rileggendola se necessario. ad alta voce come più volte ha ribadito nelle sue opere poetiche il grande Vittorino Curci, perché si senta anche o soprattutto la sonorità, ossia la musicalità, insita nella voce di colui che recita, affascinando il pubblico con la sua musica interiore. E, poi, ci sono i giovani che stanno riscoprendo l’impegno senza dimenticare i sogni. Sono i nostri giovani che amano tornare sulle barricate, sporcarsi di fango e di sangue per salvare vite in pericolo, per accogliere chi non ha più nulla. Non esistono solo i ladri i violenti gli assassini che la cronaca quotidiana, i telegiornali, le “dirette” (con i nostri politicanti), sui social appunto, ci sbattono sul viso per fare audience. Ci sono anche i poeti, i nostri poeti rivoluzionari che cominciano a ribellarsi contro un mondo che vorrebbero diverso, migliore, più giusto, più corale e solidale, più vero. Ci sono. Esistono. Solo che non fanno notizia. Il bene è silenzioso come la foresta che cresce contro il rumore dell’albero che si schianta.

“Quando la gioia accade/ fatecelo sapere…”, ammoniva la grande poetessa serba, da me più volte incontrata in Italia e in Serbia, Desanka Maximovic, con il cuore pregno d’amore anche dopo i novant’anni. Ed io voglio concludere gridando che i miracoli accadono basta riconoscerli e gridarlo ai mille venti perché anche gli altri e gli altri e gli altri ancora ne abbiano contezza. E voglio cominciare dal miracolo dei giovani, che sono il nostro futuro, la nostra speranza. Guai se non sentissimo più germogliare nel nostro cuore questa tenera fogliolina, di cui prenderci cura perché continui a verdeggiare. Non è solo importante partorire un figlio o un’idea. È fondamentale “prendersene cura” e continuare a farlo fino a quando non ci abbandonano le forze. Certo, ci vuole coraggio e determinazione, ma abbiamo ricevuto in dono mente, mani e cuore. E con questi meravigliosi doni, gli uomini di “buona volontà” sono sopravvissuti ad un mondo ostile e pieno d’insidie e di cattiveria, e di violenza e di guerra e di catastrofi naturali e non. E sono sempre rinati. Perché ogni volta hanno scoperto dentro di sé quella Luce che ha rischiarato le tenebre ed ha annunciato una nuova alba. Delitto sarebbe stato e sarebbe ignorarla. Come lo sarebbe ignorare la memoria storica che ci riporta al passato e ci fa scoprire che il mondo non è nato con noi. Per evitare errori (e sono innumerevoli) e per far tesoro di chi anche in passato è riuscito ad abitare poeticamente il mondo. E i luminosi esempi non mancano: Mio nonno ce lo ha insegnato con i nostri giorni nutriti di fiabe, con le sue mani colme di fiori e di frutti, con il suo amore per noi, per gli altri, per la vita…>.

Grazie! Sono felice di aver ritrovato e di riproporre una pagina che restituisce anche al lettore sconosciuto una riflessione meritevole della mia gratitudine e dell’applauso di ciascuno di noi. Ma, per evitare di sbagliare, facendo riferimento solo ad “Abitare poeticamente il mondo”, desidero continuare, parlando di “Poesia”, riproponendo, ancora una volta, quanto scrissi circa sette anni fa:

<Anche la poesia va vissuta e cambia pelle e cuore a seconda degli anni e delle stagioni. E nel tempo rende universale ogni palpito condiviso perché in essa ognuno può scoprirsi e ritrovarsi... Poesia, compiutezza di sé nella disarmonia/armonia del proprio cuore più profondo, e bellezza che si sprigiona da un’emozione e si fa canto d’infinito… incontro di anime. Buona emozione!

Senza titolo

Giorni di pioggia nella mia casa

a cui mi arrendo fragile e insicura

perché il tempo non abbia di me ragione

e m’inchiodi alla sedia degli affanni.

Troppo lungo questo greve inverno

che ha messo radici nella carne

e geme e piange e urla la sua sorte

e non vuol morire con un ricordo di neve.

Ma d’improvviso il glicine è fiorito

e la rosa pure e la margherita da sfogliare,

il narciso, i tulipani, i nontiscordardimé.

Colorano di festoso arcobaleno

il grigio senza sorriso delle nuvole.

Il sole è uno squarcio dorato nell’azzurro

un cielo nuovo, un rinnovato incanto

di tersi mattini promette.

Sul terrazzo ancora spoglio esco

e offro il volto offeso dagli anni

alle carezze del vento innamorato…

(già è respiro di giovinezza dentro).

 Una rosa nel vento

 Turbine di vento nel giardino.

Una rosa rossa sfoglia il suo profumo.

Mi piovono tra mani deserte petali

di porpora e velluto e un sogno

a riportarmi primavera tra i pensieri

solo fino a ieri incatenati a cupi

giorni d’inverno vissuti dietro i vetri.

E nelle stanze vuote di sorriso.

Rosa sfilacciata prima di scoprire

l’incanto d’essere viva e bella.

Resta il sogno che non muore

tra velluto di tenero splendore

che custodisco tra dita innamorate.

 al vento dei ricordi

 Bimba del mio tempo breve

ridammi

il tuo filo d'aquiloni al vento

dove legare risposte mai ricevute

ai perché del mare e del firmamento

e un ditale d’argento e d’oro fino

per ogni ago che mi ferì nell’andare.

Cantami una ninnananna

stammi vicino.

Il vento dei ricordi che mi culla

fa’ che mi salvi dal tempo e dal dolore

che serena mi faccia addormentare

tra stanche foglie

del mio quieto giardino

dove è più facile riprendere a sognare

Raccontami

della fiaba che non muore

dei verdi passi perduti nel cammino

della sera che di lucciole esplode

nel mio cuore di papaveri e gelsomini.

(di stelle s'illuminava il tuo prato cuscino)>

E per oggi va bene così. Buona lettura a tutti, per ritrovarci ancora o per incontrarci per la prima volta e scoprire di stare bene insieme, aprendo anche un bellissimo dialogo fra noi… Grazie a tutti. Angela/lina

  

venerdì 21 febbraio 2025

Venerdì 21 febbraio 2025: Nel Ricordo di TEA DALMAS che il 21 febbraio 2024 raggiunse NICO MORI, suo marito, tra le stelle...

L’anno scorso mi è giunto questo messaggio di Manuela, amatissima figlia di Nico Mori e Tea Dalmas: Mamma Tea non c’è più. E ripropongo anche oggi quanto le scrissi l’anno scorso, quasi che il tempo si sia fermato in questo arco di tempo. Ormai non conto più gli anni. Conto le assenze fisiche che sono presenze vive nel cuore, nell’anima. E il riproporre quanto già scritto non è sfiducia nella memoria dei lettori del nostro blog, ma necessità mia personale di far rivivere, nei tantissimi ricordi, le tante persone amate e che amo perché vale la pena ricordarle per farle ri-nascere:

<Le ho scritto che il cuore è sempre più “straziato” ad ogni nuova perdita e che solo pochi giorni prima avevo avuto un incubo in cui mi sembrava di assistere da lontano a qualcosa di spiacevole che li riguardasse. Svegliandomi di soprassalto avevo “sentito” un pianto che mi aveva messo tristezza e ansia per tutto il giorno. E avevo concluso: Ora so perché.

E da ieri mi tornano alla mente i tanti episodi “del cuore” che hanno costellato la nostra vita in oltre quarant’anni di grandissima sincera affettuosa amicizia. Il primo incontro avvenne negli anni Ottanta del secolo scorso in una saletta in cui si presentava il primo libro di Nico Mori Non chiamarmi superficiale: un elenco di donne amate, da amare, da scoprire, raccontato con sottile ironia e autoironia a rendere frizzante e coinvolgente la serata. La cosa che più mi sorprese fu la risata di Tea, sua moglie. Tra i due si leggeva una incredibile complicità, dovuta al forte amore che li legava. Nico e Tea conquistarono letteralmente me e Primo. Mio marito, del resto, si ritrovò in perfetta sintonia con la scanzonata autoironia di Nico. Stringemmo subito un sodalizio durato fino alla morte. Alcuni giorni dopo, infatti, Nico era nella Sala degli Specchi del Palazzo di Città di Bitonto a presentare una delle mie prime pubblicazioni, non ricordo più quale, ma sicuramente una delle mie prime sillogi di poesie. Tea era tra il pubblico ad applaudire. E non ci siamo più persi di vista. Ormai le nostre pubblicazioni avevano le nostre prefazioni o presentazioni. E le nostre famiglie con i figli piccolini avevano le nostre case come luoghi di frequentazione in cui si parlava di poesia: sogni, progetti, incanti. E fiorivano anche i nostri libri da pubblicare, da presentare. Anna Maria, mia sorella, con la sua formidabile voce, ci accompagnava in ogni manifestazione culturale e letteraria, mostrando la sua grinta e la sua determinazione a “rinascere” dopo aver perduto il suo giovanissimo e innamoratissimo Nicola, che aveva solo trentatré anni quando, per un assurdo incidente d’auto, la lasciò con due bambine piccolissime, frutto del loro immenso amore. Poi, dopo oltre dieci anni di vedovanza, Anna Maria incontrò Gianni, amante della scrittura pure lui, che si rivelò ben presto ottimo marito e premuroso padre per le due bimbe di lei e i suoi tre figli, nati da un precedente matrimonio. Purtroppo Anna Maria, dopo un po’ di anni, dovette abbandonare la sua chitarra per alcune allergie che le procuravano preoccupanti crisi d’asma. Ma si era sempre insieme. Si stava bene insieme. Il primo a lasciarci per sempre, nel 2008, fu Primo e aveva soltanto sessantasette anni, ma negli ultimi anni aveva trascurato molto la sua salute, nonostante i nostri continui solleciti a prendersene cura. Saremmo dovuti andare ad una visita di controllo solo un paio di giorni dopo…

E, intanto, il 2015 con grande gioia, con la SECOP, pubblicammo un libro di Tea molto importante per la sua famiglia e sicuramente di grande valenza storica per la nostra Casa editrice: Puse. Chi è Puse! Mi sembra importante conoscerla attraverso le stesse parole di Tea che vibrano in una sua lettera che precede tutto il libro: Miei cari, Ho custodito gelosamente questo diario scritto per mia madre e affidatomi dalla nonna Vinka, con l’intento, un giorno, di tradurlo in italiano, perché ne restasse memoria nella nostra famiglia. Ora il proposito è diventato realtà, grazie anche al grande aiuto di Nico e Manuela: Nico ha saputo trasformare la mia traduzione “letterale” in un testo più “letterario”, vivo, conservando ed esaltando l’ironia e la curiosità intellettuale che animavano lo scritto e le parole della nonna e tracciando utili riferimenti storici. Manuela è stata impagabile per il lavoro al pc, la correzione delle bozze e l’impaginazione.

Man mano che traducevo, mi tornavano alla mente i tanti pomeriggi d’estate a Spalato, a casa della nonna Vinka, dove trascorrevamo le vacanze estive. Seduta sulla sua poltrona a dondolo, sul balcone, all’ombra dei rami di un grande fico mi raccontava della nostra famiglia, degli zii Ivo e Branco e dei nostri antenati. In questo diario sono citate delle persone che ho conosciuto da piccola, per cui tutto quanto scritto dalla nonna mi è ancor più familiare. Aver tradotto questo diario è stato per me un atto d’amore verso la nonna, i miei genitori, mio fratello, i nostri figli. Per questo vorrei che i ragazzi avessero questo ricordo della “none Puse” e del meraviglioso nonno Franco, che non hanno conosciuto, il mio amato “papacci”, come lo chiamavo da piccola. Traducendo e rileggendo questa storia, più di una volta i miei occhi si sono inondati di lacrime… ma non di dolore, piuttosto di tenerezza e nostalgia. Spero che questo scritto abbia anche per voi un grande valore sentimentale, come lo ha per me. Vi voglio bene. Tea

La prefazione al libro è mia. E mi piace riportarne qualche stralcio, per chiarire meglio chi è Puse e perché è così importante nella vita di Tea e di tutta la sua famiglia:

Puse è innanzitutto un atto d’amore di Tea Dalmas nei riguardi di sua madre Jelka, chiamata Puse, e di sua nonna Vinka Sperac Bulic (e chiedo scusa per gli accenti giusti che non so mettere), giornalista e femminista ante litteram nei primi anni del Novecento in quella terra mittleuropea tra Italia, Croazia e Dalmazia, che ha, nella storia di questa famiglia, come fulcro Spalato. (…). Si tratta, infatti, della pubblicazione del diario, che sua nonna aveva scritto dalla nascita della terzogenita, avvenuta nel febbraio del 2019, dopo parecchi anni da quella dei primi due figli, al 1953, anno in cui con una lettera accorata Vinka, dopo circa dieci anni di silenzio per aver chiuso il diario con le nozze della sua amatissima Puse, lo riprende per cercare col suo amore e la sua tenerezza materna di consolarla per la morte prematura dell’adorato Franco, stroncato da una grave malattia cardiaca. (…). Ma Puse è anche la straordinaria testimonianza di uno spaccato di vita che coinvolge sì due donne, madre e figlia, quindi due generazioni a confronto, ma anche un intero popolo, anzi più popoli con la loro tormentata storia che riguarda ideali di libertà e soprattutto di rivendicazione di appartenenza ad un ceppo storico-culturale piuttosto che ad un altro; ideali e rivendicazioni, che fecero di quegli anni e di quei territori veri e propri campi di battaglie, acerbe e devastanti, a volte anche cruente o di forte tensione propagandistica e sociale, senza ottenere reali soluzioni di giustizia e di equilibrio tra le sacrosante aspirazioni indipendentistiche, talvolta anche romantiche, dettate, soprattutto in quelle terre, dagli “eroici furori” di tutto l’Ottocento e la prima metà del Novecento (vedi l’impresa di D’Annunzio a Fiume e a Zara), e la concreta vita quotidiana della gente comune e dei suoi sacrifici per affrontare nuove e destabilizzanti situazioni famigliari e domiciliari come profughi o esiliati.  

Esperienza che toccò anche a Puse e ai suoi figli Tea e Rafo, che trovarono rifugio e ospitalità in terra di Bari.

*La “Storia di Puse” si conclude improvvisamente in una fredda mattina di marzo del 1991, seduta in cucina davanti a una tazzina di caffè, tra le dita una sigaretta mai accesa…*

Diciassette anni dopo Manuela Mori scrive di lei:

Mia nonna veniva dall’altra parte del mare, suonava il pianoforte ed era una regina, sola e straniera. Scappata dalla guerra, venuta nel profondo Sud del 1945. Fumava e portava i pantaloni, ed era uno scandalo. Vedova a trent’anni e con due figli da crescere, straniera, diversa. Capita da pochi, amata da pochissimi. A me è toccato trovarla, una mattina di marzo. La sera prima le avevo promesso che ci saremmo viste per stare un po’ insieme. Promessa non mantenuta. Per anni ho sognato film dell’orrore, silenzi, distanze. Mai un sogno felice, mai un abbraccio onirico, mai pace. L’ho amata tanto quanto mi manca. D’estate, quando torno dall’altra parte del mare, il primo bagno in mare è per lei. È, lei.

Il mio primo incontro con la Fine.

Le medicine, la solitudine.

Una vita in salita, ladra di sorrisi.

La canzone di Natale, il pianoforte.

Il tè alla menta, le sigarette.

Il nostro ultimo capodanno insieme, solo tu e io.

               Il profumo di lavanda.

Le carte, i cruciverba, il corso d’inglese a 45 giri.

               I libri gialli e i film western.

                    L’italiano a modo tuo.

           Il tuo grande, sfortunato amore.

Gli occhiali rosa e la tinta peldicarota al battesimo di mio fratello.

                                Il mare, i cani.

      Il pesce rosso nella vasca da bagno perché stesse più largo.

Tu seduta sul wc a sferruzzare, che ridi mentre sguazzo nella vasca col pesce, vestita di sana pianta.

Diciassette anni dopo, è solo ieri.

Non ti ho mai sognata, o almeno mai come avrei voluto.

Ti ritrovo nel volto di mia madre, e in un rito tutto mio.

Quando ogni anno torno dall’altra parte del mare, e davanti agli occhi, all’alba, eccoti.

                                                                     Con immenso amore,

                                                                                     Manuela

 

La Posfazione è di Nico. Bella. Sincera fino in fondo. Esplicativa dei tanti momenti bui vissuti in silenzio dalle due donne, madre e figlia, pur di non turbare il già scarso equilibrio socio-economico- familiare che entrambe stanno vivendo; ed esplicativa del travagliato momento storico che stanno vivendo l’una lontana dall’altra:

La “Storia di Puse” si incrocia anche con la tremenda storia dei popoli d’Europa in quegli anni: alla sua nascita, nel 1919, Zara è nel territorio del regno di Jugoslavia ma nel 1921, secondo gli accordi internazionali di Rapallo che ratificano il trattato di pace di Versailles del 1920, la città viene assegnata all’Italia e lei è già profuga con la sua famiglia, a due anni, verso Spalato, in territorio croato.

Poi… poi… poi… tutti gli avvenimenti si snodano fino all’adolescenza, la giovinezza, l’età matura di Puse. La sua venuta con i figli a Bari.

Il resto è storia che i nipoti conoscono benissimo e che Manuela ha sintetizzato con splendide parole e una tenerissima poesia.

Valeva la pena di raccontarvi una storia con tanto amore e tanto dolore, vissuta da Tea, Manuela e gli altri di casa fino a ieri. Solo fino a ieri.  Perché il pianto di Manuela, che ha tenuto tutta la notte tra le sue le mani di sua madre, perdendosi nei suoi occhi offuscati, diventi oggi la nostra preghiera, che raggiungerà, ne sono certa, Tea e Nico che si stanno abbracciando tra le stelle…> A presto. Angela/lina

 

 

 


domenica 16 febbraio 2025

Domenica 16 febbraio 2025: FRANCESCO SCOTTO ed ENRICA SIMONETTI: UNA SERATA DA RICORDARE...

Mi piace condividere, oggi, con tutti voi, dopo le poesie d’amore legate a San Valentino, il ricordo della memorabile serata vissuta giovedì scorso a Bari nella ricca di suggestioni letterarie e fornitissima Libreria Laterza per la presentazione del Libro di Francesco Scotto ACQUERELLI - Racconti per Immagini, pubblicato recentemente dalla SECOP edizioni, con copertina firmata dal talento del Graphic Designer della SECOP, Nicola Piacente, e retro-copertina con una bellissima frase riassuntiva di tutta l’opera dello stesso Autore e una sua biografia ridotta all’osso per evidenziare l’apporto significativo di alcuni amici di cordata. La mia presenza, presso la suddetta Libreria, è   stata motivata dalla mia postfazione al Libro. L’Editore, Peppino Piacente, che è mio genero e che amo come un figlio perché lo ritengo il mio “angelo protettore” sempre, mi ha portata sulla mia sedia a rotelle, con sua notevole fatica e mia giustificata apprensione, per darmi la possibilità di conoscere il nostro eccezionale Autore, la sua vivacissima e accogliente moglie, e la mia carissima e preziosa amica di tempi migliori, Enrica Simonetti. È stato davvero un incontro di anime, che mi ha procurato emozioni e commozione straordinarie, e che mi ha permesso anche di abbracciare, dopo tante amare mie vicissitudini di salute, alcune mie carissime amiche del cuore: Letizia Cobaltini, Gheti Valente, Celeste Maurogiovanni…

Letizia, per esempio, ha scritto, dopo la meravigliosa serata: " Angela De Leo carissima. Ci siamo emozionate e abbracciate come sorelle, amiche, cuori e anime che si corrispondono. Grazie a Francesco Scotto per questa bellissima occasione! Il libro che abbiamo "ascoltato" è un piccolo miracolo frutto della maestria di Francesco e della instancabile volontà di Peppino Piacente, di suo figlio Nicola, tua cara Angela, di tua figlia Raffaella, di tutti i collaboratori della Secop. E Gheti Valente ha commentato: "Grazie a te carissima Angela e a Peppino. Con Secop sempre cose belle. E grazie a Francesco Scotto con i suoi intensi racconti accompagnati da deliziosi dipinti. Ed, infine, ecco cosa ha scritto proprio il nostro grande Autore: "Emozionato e grato per tutte le difficoltà affrontate pur di esserci. Le persone che si riconoscono negli stessi valori e nelle stesse passioni riescono ad attribuire a un'amicizia recente una frequentazione senza tempo. E' semplice quanto è vero e sentito. Grazie davvero di cuore per la stima e l'entusiasmo". Ma c'è da dire molto molto di più per la mia gratitudine verso tutti tutti i presenti in una serata magica quale è stata quella di giovedì scorso. E cosa dire di Enrica Simonetti? Quanto affetto e quanta stima ci legano dopo tanti anni ancora! Sempre è un riconoscersi!

Non ero a mio agio sulla carrozzella, ma ne è valsa la pena per tanti motivi, oltre alla postfazione: ho ricevuto da Francesco Scotto una dedica meravigliosa sul suo libro destinato a me; ho potuto ricevere da lui, da Enrica e dai tanti miei amici di vecchia data, presenti nella gremitissima sala, testimonianze di affetto e di stima, di cui, in un periodo così buio per me avevo e ho molto bisogno; ho potuto, seduta stante, riprendere il Libro tra le mani e rinfrescarmi la memoria, leggendo rapidamente i due racconti menzionati nelle “Tracce”, per sottolineare  l’incidenza dell’ultimo racconto su tutto il tessuto narrativo e formale dell’opera di Francesco, e rilevare l’inevitabilità di ogni parola, ogni virgola, ogni puntualizzazione, ogni inciso, ogni virgolettato. Con delle cesellature invidiabili: “I posti riservati delle prime file erano occupati dai politici, di solito scarsamente interessati al teatro, che non si erano lasciati sfuggire una ghiotta occasione di presenzialismo; … Il loggione era invece invaso da turbolente scolaresche ‘deportate’ (notare il sapiente utilizzo di tale verbo, abbinato ad ‘arcigne insegnanti che minacciavano rappresaglie in caso di intemperanze caratteriali indomabili e desidero ricordare che la deportazione allontana dal luogo, dove viene commesso il reato. E il malfattore, deprivato di ogni diritto, è relegato in un territorio lontano dalla propria comunità di appartenenza, persino dalla propria nazione o patria che dir si voglia). E, ancora: “Mentre nel buio ‘residuavano’ gli schermi illuminati… un ‘insistito’ schiarimento della voce… ‘accompagnato da applauso trionfale… (a me suggerisce immediatamente la marcia di Radetzky, musicata magistralmente da Strauss - Radetzky che, come sappiamo è stato sempre mal ricordato da noi italiani per aver soffocato i nostri moti liberali contro l’Impero Austro-Ungarico del 1848 -). Anche “gesto imperioso” è inglobato nella marcia trionfale di prima. E, infine, “soppesandone lo ‘spessore’ (il ‘valore’ che si avvale del ‘ghigno ironico’ del protagonista… che alla fine ‘spalancò la bocca come un elefante in procinto di barrire ed emise un grido prolungato che si abbatté sul pubblico come uno tsunami’”.

La conclusione, ancora una volta, non è scontata, anzi sicuramente “divertita”, non solo del protagonista, ma anche degli eredi!    

Qualche altra mia riflessione: Bernard Berenson, ebreo lituano naturalizzato americano e italiano di adozione, importante studioso di “Critica d’arte” e grande esperto della pittura italiana del Rinascimento, ha teorizzato su “i valori tattili”. Scriveva Berenson: “I valori tattili si trovano nella rappresentazione di oggetti solidi allorché questi non sono semplicemente imitati (non importa con quanta veridicità) ma presentati in un modo che stimola l’immaginazione a sentirne il volume, soppesarli, rendersi conto della loro resistenza potenziale, misurare la loro distanza da noi, e che ci incoraggia, sempre nell’immaginazione, a metterci in stretto contatto con essi, ad afferrarli, abbracciarli o girar loro intorno”. Si tratta della stessa “coscienza tattile” (sempre Berenson) che si avverte nei racconti di Scotto. Leggiamo, per esempio, “CODICI A (S)BARRE” oppure “EX VOTO”: sembra di vivere in mezzo ai protagonisti, di percepirne pensieri, vibrazioni (“onde sonore”) di strumenti musicali, il suono cadenzato della “mano tamburellante”, e così via. I personaggi di Francesco Scotto, protagonisti o rapidi bozzetti, sono di una straordinaria evidenza plastica: le ombre, le luci, le penombre, persino i pensieri reconditi, che alla fine prendono sembianze di Poesia.

Il tempo è un fiume che mi trascina, e io sono il tempo; è una tigre che mi sbrana e io sono la tigre; è un fuoco che mi divora e io sono il fuoco”: sosteneva il grande poeta e visionario Luis Borges. Ritengo che la stessa percezione di identità unitaria e frammezzata e di totalità temporale si avverta nei racconti del nostro Autore: salti temporali s’intrecciano, si sovrappongono. Passato, presente e futuro sono su una stessa linea di continuità/discontinuità. E ci sembra di essere noi stessi immersi in un tempo che ci ingloba, ma si slarga in innumerevoli direzioni, offrendoci nuove prospettive e possibilità di vite altre. 

Grata sempre a tutti gli amici del nostro blog per la pazienza nel leggermi e per l'attenzione prestata alle mie parole. A presto (spero non sia per voi una minaccia, ma una speranza di un nuovo incontro...).                 Angela/lina 

venerdì 14 febbraio 2025

Venerdì 14 febbraio 2025: San Valentino: il Santo degli Innamorati dell'AMORE...

Oggi è un giorno particolare perché si festeggia, come noi tutti sappiamo, San Valentino, il Santo dell’AMORE. Io dedicavo sempre questo giorno a mia madre e lei, ogni volta, si schermiva: - che c’entro io - diceva. Ed io le rispondevo: - c’entri, c’entri perché hai sempre saputo darci tanto amore, educarci col tuo esempio ad amare -. Lei sorrideva con il suo sorriso tenero e malioso... 

Poi, sono passati i giorni e gli anni, sono accaduti mille e mille avvenimenti a cambiare la nostra costellazione familiare: matrimoni, figli, nipoti. Un albero genealogico sempre più allargato. Ho continuato a dedicare questa festa a mia madre nel silenzio del mio cuore che Lei legge e conosce. 

Ma, qualche anno fa, ho avuto un prodigioso dono da mio marito, Primo Leone, in una email a lungo ignorata per molte mie vicissitudini di salute, che ben conoscete e che non sto a raccontare. Si tratta di un grappolo di poesie a me dedicate dopo la sua morte: A LINA, DOPO

 CAPRICORNO SELVAGGIO

Capricorno Selvaggio

Sono nato prima di nascere

Assurdo capricorno

Di uno zodiaco senza cielo;

inseguivo tropici

con sangue di ghiaccio

lungo i confini del vento

che cerca la sua ragione

accusando le foglie

di bruciare l’autunno.

     Per rincorrere

Briciole di sabbia

Colme di niente

Ho rischiato la mia dignità

               E

Intanto ignoravo

La spiaggia immensa,

Come unico rifugio 

Per le mie ansie

Che si apriva sui confini

Del mio cuore.

Mi son giocato me stesso

Con dadi truccati,

mi sono giocato il tempo

da scontare senza più equilibrio

-          Assurdo clown

Che insegue il suo segno zodiacale –

Mi ritrovo selvaggio

Come sono nato

Inchiodato

Come un povero cristo

Dalle mani di pietra

Incapace

Di rovesciare la clessidra

E di sfogliare

I petali del vento

O inventare

Un natale di dolcezza…

 

PER SAPERE

Ti vestirò di pane e fiori

E di fragranza dolce

Di prato e di fresco mattino

Ti vestirò di pane

Per sapere il tuo cuore

       Ti vestirò di fiori

Per sapere il tu amore

Per mangiarti

Con la mia fame di te

Per coglierti

Petalo su petalo

        Mio pane quotidiano

        Mia primavera.

        Ti vestirò di pane

Soffice e caldo

Per i denti del mio cuore

Ti vestirò di fiori

Per le mie mani ansiose.

E sulla mia pelle

        Pane e fiori

La festa non avrà mai fine.

 PER LA GLORIA DEI GABBIANI

          Le conchiglie hanno sogni

Di acqua tenera

E di sole azzurro e verde

Lungo le orme

Di sabbia mai stanca

      Mai vinta.

      E il tuo canto

Ha vele di nostalgia

Per la gloria dei gabbiani in volo.

         Il tuo respiro

È un giorno profondo

Di luce e di stelle

Antico e immenso

Come un guerriero

Senza storia.

      E la tua presenza

È un canto senza fine

Come specchio di tempo

E di memoria.

 FAVOLA

         E tu

Scioglievi i rami

Dei tuoi sogni

Sulle note della nostalgia

Mentre il giullare

Inseguiva la noia

Alla Corte del Re

     La notte era fredda

E tu

Fata e poi strega

Con fiori di luna

Nei tuoi capelli

Parlavi di pianto

E di amori perduti.

     Poi, l’alba

Raggiunse il castello

Pietra su pietra

Fino ai tuoi occhi

Ciglia su ciglia

Fino al desiderio

Del Re

Tu Regina e Schiava

Con la tua pelle

Nuda di rugiada

Tra fiore e foglia.

     Dormivano i cavalli

Con le criniere stanche

Come sogni lasciati

 E mai vissuti.

          E tu

 Corda di mille chitarre

   Tu la notte

   Tu il giorno

   Tu favola di ieri

        Tu favola

        Di sempre.

 E I GIORNI

      E quando il vento

Si stancherà di noi

Trafugando foglie

Di stanca allegria

      E la notte sarà un treno

Di rami e fiori

Non ci sarà traccia

Delle nostre mani

Ormai colme di nostalgia.

       Il tempo è un colpo al cuore

Con radici nella pelle

E i giorni

Lasciano un segno

Di carta ingiallita.

 SE L’AZZURRO È  UN SOGNO

      Se l’azzurro è un sogno

La tua realtà è un’avventura

A trentacinque millimetri.

     Schermi bianchi le tue mani

Per una corsa senza idee

Campione di solitudine

In fuga contro il vento

Per la tua ombra

Morta di paura.

     Non serve rincorrere

I tuoi occhi

Con mille pazze ragioni

Di lucidi nonsense

A rime alternate:

     Il divieto è sempre

Assoluto

per la Corte dei giullari.

E la festa è la tua Croce

E il Sogno la tua Angoscia

Incontrata per le scale

Nei rifugi dell’Amore.

       Se l’azzurro è un sogno

Tutto di te

Sa d’azzurro.

 LA MIA TERRA

     La mia terra

È un sogno di spine

Ad una ad una

Nel fondo del cuore:

         E tu

Nata nella mia terra

Con tutta la forza

Del tuo ostinato amore.

Hai frutti di dolcezza

E radici di splendore.

La mia terra

È un sole

Stanco di pietre

Senza ombra

Né acqua per le sue rughe

Selvagge

E mai ribelli:

         E tu

Mio unico sole

Hai giorni di pietra

Sempre tenera e nuova

E radici nella mia pelle.

       La mia terra

Ha gesti di antica pietà

E canti di dura fatica

E pianto mai risolto

Negli occhi di spenta allegria:

         E tu

Sempre presente

Come ulivo secolare

Dai frutti sempre verdi

Mentre il canto delle cicale

Addormenta le zolle

Come un deserto

Stanco di sole.

         La mia terra

Non ha più sogni nel cuore

Né rimpianti negli occhi

      Ma ferite

      Tra le ossa

      E la cenere.

 COME UN SOGNO

          La corsa dei cavalli

Era una nuvola di pioggia impazzita

Tu eri il cavaliere ed eri il re

E quando giunse il tuono

Il mare si fermò

E ti bagnò i capelli

Con un fascio di raggi d’oro

    Fanciulla bianca e azzurra

Tra le onde del mare.

    Come un sogno

Correvi sul grano

Cavaliere senza nido

Sulle tracce del vento

Cercavi un incantesimo

E il cuore si spezzò

Cercavi l’amore

E il cuore si fermò.

      Farfalle d’oro

S’aprivano ai tuoi piedi

Nudi di pioggia e di sale

E baciavi i suoi occhi

Pieni di luna

E sceglievi il mare e la sua riva

Per il suo corpo bianco

Come un immenso fiore

Nudo e palpitante:

    quante canzoni

tra i suoi capelli

di principessa addormentata

ed eri ancora il suo re.

Quando il sole raggiunse le spighe

C’era un grande silenzio di cicale

E l’incantesimo divenne ragione

Lo stupore ti raggiunse il cuore

E la sua mano era ancora nella tua.

       E vennero i soldati

E la luce si fece d’acciaio

Quando il mare distrusse la riva

E il gallo tre volte s’addormentò.

      La sabbia ha mille spine

Per il tuo cuore di re

E mille rose

Per il suo cuore di fanciulla:

un solo richiamo ha la Morte

e il sogno

non è più tuo.

 AQUILONI E FIORI

     Hanno inchiodato l’assurdo

All’albero dell’inutile

Eliminato il rischio di sognare:

        Ma la mia storia

        Non ha parole

Stretta com’è alla tua

Quattro volte noi

     E ancora noi

Al di fuori della mischia

E della falsa pietà.

     Tu insegui ancora

Aquiloni e fiori

E mi trascini nel tuo cielo

Con la tua dolcezza

Mai stanca di primavera

E la notte

Respira i tuoi sogni

Inventati e mai vissuti.

      E tu come sempre

Regina di cuori

Per le mie mani

Intrecciate alle tue

Sfinite e incredule:

            Tu

Fra il sogno e la realtà

Ancora e sempre

A chiamarmi Amore.

 FIORI DI CARTA

     Fiori di carta

Per le occasioni perdute

Per i sogni

Sulla scia dei pesci rossi

Per le tombe dei re decaduti

Per le marce dei soldati.

    Fiori di carta

Da ritagliare

All’ombra dei tuoi occhi

Fiori di carta

Senza colore

Per conservare intatto

Il valore della notte.

     Ho inseguito invano

Il viaggio delle nuvole

Per ricondurti

Alla mia presenza

Fiore di carta eterno

E sono già morto

Nel deserto delle ore.

       SE UN GIORNO

Se un giorno ti diranno

di amarti tanto,

pensami e saprai

che ti amo più di tanto.

 

Se un giorno ti diranno

di amarti un mondo,

pensami e saprai

che ti amo più

di un mondo.

 

Se un giorno ti diranno

di amarti immensamente,

pensami e saprai che

ti amo di più

tanto di più

un mondo di più

immensamente di più …                

                      Primo Leone

 Meravigliose poesie d’AMORE immarcescibile, che oggi dedico a tutti voi che avete sempre la bontà di leggere quanto scrivo, per esprimervi tutta la mia gratitudine, il mio affetto. A presto. Angela/lina