Verrà il tempo/ in cui, con gioia,/ ti saluterai arrivando/ alla tua porta, e nello specchio/ ognuno sorriderà alla presenza dell’altro.// E dirai, siediti qui. Mangia./ Amerai di nuovo lo straniero che eri./ Offrigli vino. Offrigli pane. Riconsegna il tuo cuore/ a te stesso, allo straniero che ti ha amato/ per tutta la tua vita, che hai ignorato/ per un altro, colui che ti conosce profonfamente.// (…). Siediti. Celebra la tua vita. (Derek Walcott, Premio Nobel 1992)
La notte tra il 27 e il
28 luglio, presso una location molto suggestiva e accogliente, siamo stati in
SESSANTA (tra parenti, amici, cantanti, disc jockey, responsabili della
bellissima struttura, e del ricco e invitante catering) a festeggiare i SESSANT’ANNI
di PEPPINO PIACENTE, Editore della SECOP edizioni e Direttore responsabile dell’Associazione
culturale FOS insieme con Nicola Piacente, Graphic Designer delle stesse,
impaginatore e autore delle splendide copertine delle pubblicazioni dei nostri
Libri e Riviste cartacee: NEDA e CORRELAZIONI UNIVERSALI.
La festa è stata voluta
e minuziosamente organizzata dai figli di Peppino: Nicola e Anna Paola, con la
consulenza silenziosa e costante di Raffaella Leone, sua moglie da oltre trent’anni.
Ne è venuta fuori una notte simpatica, divertente, allegra, ricca di
particolari soliti, insoliti, creativi, come la maglietta di cotone su cui sono
state scritte per Peppino dagli ospiti, col pennarello, tante parole ed
espressioni connotanti il festeggiato nelle sue caratteristiche più salienti. Ne
è venuto fuori un vivacissimo, veritiero, megagalattico ritratto che i ragazzi
hanno portato a casa come “sacra reliquia” da appendere al muro a imperitura
memoria.
Si è ballato
instancabilmente come foto e video testimoniano. Persino io sono stata portata
in pista da Nicola e Anna Paola per farmi vorticare come una perfetta ballerina
“disabile”, ma con le ali negli occhi e nel cuore.
A fine serata, dopo la
squisita torta, ancora interventi per rendere omaggio a Peppino con rinnovati
auguri, battute affettuose e divertenti, nuove parole per meglio definirlo. Personalmente,
con tanta commozione sono riuscita a pronunciare solo tre parole: “pragmatico”,
“romantico”, “altruista”, riservandomi di chiarirle meglio scrivendo di lui nel
blog, come sto facendo: “pragmatico”, perché Peppino è uomo pratico, concreto,
organizzatore nato e determinato di eventi di ogni genere, anche difficili e
problematici da risolvere perlopiù da solo con il suo innato “modus operandi”
costi quel che costi; “romantico” potrebbe sembrare in netta contraddizione con
il primo termine, in realtà, incredibile a dirsi, Peppino è un sentimentale “senza
se e senza ma” (si commuove davanti alle storie d’amore, ai film romantici,
alle travagliate situazioni familiari di difficile soluzione). Basti pensare
che quando si sposò, mentre Raffaella, padrona delle sue emozioni, recitò
tranquilla la formula di rito “io prendo te come mio sposo…”, lui scoppiò in
lacrime e ci volle del bello e del buono perché riuscisse a completare la
frase, facendoci commuovere fino alle lacrime; “altruista” è una connotazione
fondamentale della sua personalità. Peppino in famiglia, ma anche con tutti gli
altri che conosce, si prodiga in maniera totale. Vengono sempre prima gli
altri. A tavola deve servire prima me, poi Raffaella, Anna Paola e Nicola. Poi prepara
il suo piatto, preoccupandosi di dare agli altri commensali tutto quello, a
portata di mano, che desiderano. Lo stesso avviene con i parenti e gli amici.
Ma Peppino è molto di
più di queste tre parole. Ne sanno qualcosa in Italia e all’estero, dove per
anni è stato il mio accompagnatore ufficiale nei vari Congressi e Convegni
culturali a cui abbiamo partecipato. Mi ha sempre accompagnato, anche con le
stampelle o in carrozzella, con devozione di figlio più che di genero. Ed io
non l’ho mai considerato mio genero, ma sempre figlio da quando l’ho conosciuto
tanti anni fa. Né per lui io sono sua suocera. Nelle varie strutture ospedaliere in cui ho spesso, purtroppo, “soggiornato”,
in Italia e all’estero, tutti pensavano fosse mio figlio perché era
quotidianamente al mio fianco. Non a caso, proprio per il compleanno dello
scorso 28 luglio gli dedicai la seguente poesia: Dove la luna ha incontrato il mare,/ ha incontrato il cielo,/ ha
incontrato mille nuvole nere/ che d’azzurro continuo/ ad inchiostrare perché nuovi
voli/ negli occhi possa tentare,/ la tua premura di figlio/ ho incontrato/ in
quotidiana ansia/ d’allevare i miei affanni/ più veloci del vento veloce/ degli
anni pesanti da portare./ Silenziosa cura che il ricordo assorda/ del rosso
fragore/ il tonfo delle ossa frantumate/ il pianto muto/ che seppe il prodigio/
di lacrime non versate./ E la preghiera fu promessa/ di ritrovati legami e
rinnovate intese/ ad acquietarmi il cuore./ Il mio tempo è ora una vela
ammainata/ che ti ostini a dispiegare/ perché il sole/ possa ancora ascoltare/
il mio canto/ (la vita che ti devo è sussurro/ lieve di inosata carezza/
stretta nel palmo delle mani). Buon compleanno, Peppino! (28 luglio 2023).
Ma non finisce qui.
Oggi è la Giornata Mondiale dell’AMICIZIA e io non posso fare a meno di pensare
all’altra sera e ai tanti amici a fare corona al festeggiato con sincero e
grande affetto. Amici, con cui condividere racconti di noi, simpatiche
esperienze e sintonie. Per me
personalmente, sospensione da tutto e
soprattutto dal dolore, pur sempre in agguato in questi ultimi mesi sempre in
bilico tra nuvole nere e rari momenti di luce e di speranza. Con mille ansie e nessuna certezza; ma
gli amici virtuali e reali tra battute e risate hanno reso più vivibile la mia
pena, insostituibile la nostra amicizia.
Nella nostra casa, da tempi remoti, abbiamo sempre avvertito il bisogno di sentirci “insieme”. E questo modo di vivere lo abbiamo continuato sia nella nostra casa con Peppino, Raffaella, i ragazzi, sia nelle case dei miei figli che vivono a Roma. L’amicizia è sacra. Riccardo, il compagno di Ombretta, ha amici che frequentavano con lui le scuole elementari e che sono diventati miei amici grazie alla loro frequentazione amicale mai venuta meno nell’arco di tutti questi anni. Lo stesso avviene con gli amici di Daniela e con quelli di Viviana, divenuti amici di Giuliano e, in alcuni casi, anche miei. Non sono mai stata da sola in nessuna circostanza della mia vita. “Essere insieme” è per me forza e conforto. O, quantomeno, “sapermi insieme”, pure nella solitudine della mia casa e del mio lavoro, che ancora oggi mi impegna a trecentosessanta gradi. E anche questo lo devo a Peppino. La nostra casa a Corato è sempre piena di voci e di persone amiche a farci compagnia. Lo stesso avviene nelle case dei miei figli a Roma. Diciamo che è un salutare “vizio di famiglia” che si perpetua nel tempo. Oltre il tempo e lo spazio. Ci sono amici che si sono trasferiti al nord o addirittura all’estero. Con tutti l’amicizia continua anche attraverso le possibilità che oggi offrono i vari social, le videochiamate, i messaggi su Messenger, whatsapp e così via. La vera amicizia rivendica sempre il diritto all’incontro, virtuale o reale, al saluto, all’abbraccio, a un “ciao, come stai?”. Del resto, tutto passa e tutto ritorna nell’incessante movimento dell’esistere. Ma come faccio a non ricordare anche la mia prima caduta il 29 maggio dell’anno 1993, anno in cui Peppino e Raffaella avevano deciso di sposarsi il X agosto, nella notte delle “stelle a migliaia”. La mia caduta ad una festa e il tac del femore spezzato. Oh, se non ci fossi mai andata a quella presentazione di un libro di poesie, a cui Primo non avrebbe voluto partecipare. Insistetti. L’autrice era una mia cara amica che ora non c’è più. Non volli darle un dispiacere. Ancora oggi sconto pesanti e dolorose conseguenze per quell’appuntamento con il Destino o Karma a cui non seppi sottrarmi. Una brutta frattura solo da me immediatamente avvertita, mentre ben cinque luminari della medicina e chirurgia, ignari della mia resistenza al dolore, mi fecero alzare con la gamba ciondoloni. Mi fecero camminare: tentativo inutile, dolorosamente da me assecondato, per obbedire a chi ne doveva sapere più di me che, invece, sapevo e mi raccomandavo ai santi, senza un solo lamento, per non svenire. (Ma il dolore guardato e non vissuto non si vede e non si sente. Si può solo intuire dalla mimica del volto sofferente. Dalla postura sbagliata, dalla difficoltà del respiro o di un movimento, ma l’intensità del tormento fisico e la resistenza alla sofferenza sono appannaggio solo di chi le prova e fa immediatamente i conti con sé stesso). Mi caricarono sulla macchina di Pinuccio, spingendo dentro la gamba che non obbediva… Giungemmo come Dio volle o non volle (non me lo chiedo più) al primo ospedale e lì finalmente diagnosticarono una frattura del femore sotto capitata e scomposta con immediato ferro come proiettile e senza anestesia a trapassare il ginocchio e immobilizzare la gamba. Intervento non corretto. Firma e fuga al CTO del capoluogo e intervento con viti canulate per salvare il mio femore ed evitare la protesi. Peppino sempre presente, attento, attivo, nella illusione di poter risolvere il problema in poco tempo perché lui e Raffaella stavano preparando il loro matrimonio e mancava poco più di un mese alla cerimonia, che dovettero organizzare da soli e tra mille difficoltà. Alle loro nozze mi presentai con le stampelle a reggere una gamba enorme e tutte le spente speranze, riaccese di verde negli occhi di Peppino, unico immenso amore di Raffaella. E fu una notte di stelle, che solcarono il cielo in una pioggia di sogni che avrebbero colorato anche i giorni dei difficili passi e dei rimandati sorrisi. E, in quella pioggia di stelle, io ferita nel corpo e nell’anima, intravidi il suo preoccupato sorriso, quasi una consolazione di ogni perdita di ogni inganno di ogni muto dolore. Quanti sogni scoprii nella luce dei loro occhi sotto la pioggia luminosa di quel cielo d’agosto!… E quante delusioni! Quante! Solo tre mesi dopo sotto un Cielo dal respiro breve e incerto, interrotto dalla perdita del padre del giovane sposo. Solo tre mesi dopo. Anche per me perdita del suo saluto mattutino alla luce di canti e incanti affettuosi tra consuete sue geometrie (essendo un conosciutissimo ingegnere a Bitonto) di progetti di multipiani da realizzare e mie poesie da condividere in un intreccio di sintonie culturali molto belle. Perdita dei suoi aneddoti, veri poemetti, nel nostro dialetto duro e imperioso, che connotavano tutti i paesani con “rə sopannòmərə (i nomignoli), che meglio identificavano una persona, la sua famiglia, il ceppo d’appartenenza, lavoro, professione, modi di dire o di essere, difetti e rare qualità. Qualche anno prima, sempre il papà di Peppino aveva dedicato una tenerissima poesia nel nostro dialetto a Raffaella, a cui Primo aveva aggiunto un ritratto con inchiostro di china in un abbraccio di capelli e di sogni. Mani protettive e tenere ad avvolgerla tutta.
Seguirono giorni difficili e
amari per tutti noi, a partire, almeno per quello che mi riguardava, dalla
necrosi del femore spezzato e riattaccato. alcuni mesi prima sembrava tutto superato, con due
ortopedici supervisori venuti dalla Francia. Primo pianse di gioia. E mi
accarezzò con gli occhi di tenere lacrime. Ma io non mi attenni alle regole.
Ripresi a lavorare piegata sull’unica arteria che alimentava la testa del
femore, che andò in necrosi, dopo circa due anni. 1995. Ricerca affannosa del
nuovo chirurgo per il nuovo intervento. E sotto il cuore di Raffaella a battere
un nuovo cuore… Me lo dissero dopo una ulteriore visita ortopedica presso un
luminare francese venuto da Saint Etienne nella Capitale; visita brevissima che
mi lasciò l’amaro in bocca. Il luminare non era più in grado di operare. Nulla
di fatto sul versante protesi. Ma quel segreto mormorato a fior di labbra quasi
fosse sogno fu subito felicità. Poi, la corsa a Lione, con Peppino, Raffaella e
Nicola a pulsare sotto il cuore di sua madre (ormai le ecografie all’utero erano in
grado di evidenziare il sesso del nascituro), per la nuova speranza di
camminare come un tempo, in una clinica privata di lusso che prometteva prodigi
col verde di giardini fioriti per ogni camera/suite e tanto felpato tepore di
mani esperte ad alleviare la sofferenza a coltivare sorrisi e laute mance. E nessuno
a salvarmi dai madornali errori del famoso chirurgo, ma tutti pregarono perché ne uscissi viva. Il ritorno fu incanto di
Costa Azzurra tra merletti di mare in una Montecarlo che ci affascinò per la
sua abbagliante bellezza, e il palazzo del re a frastagliarsi di scogli e la
corsa automobilistica di Formula 1 nel serpente di larghe strade e stretti
tornanti. E, come d’incanto, due mesi dopo, s’affacciò al nostro mondo
quotidiano, per farsi amare, il nostro bambino già viaggiatore: NICOLA. Col
nome del nonno paterno che non era riuscito ad attenderlo. Un nome che aveva
anche echi lontani di giovane sposo e padre innamorato, rimasto nel cuore di
tutti noi. Bambino benedetto, nato di notte, fiore di rossa estate nel prato
verde del panno a coprirlo neonato, per la gioia delle nonne (io e nonna Anna)
a mangiarlo di meraviglia e di baci. La vita riprese a sperare. Riprese a
vivere.
L'inizio di nuova vita che si intrecciò ben presto
con un nuovo germoglio nella nostra casa: ANNA
PAOLA (1999). E fu nuova magia quel germoglio di rinnovate promesse. La sua
nascita nel giorno in cui rinasce primavera. Tripudio di fiori. Luce di
sorrisi. Nuovi giorni da vivere tra progetti e rimpianti. Giochi e attese.
Impegni e viaggi. Passi ritrovati sempre grazie alle premure quotidiane di
Peppino e dei piccoli di casa a farmi tenera compagnia sulla terrazza della
nuova casa per aiutarmi a camminare senza stampelle, una villa nei pressi di Corato, dove scegliemmo di abitare insieme, e dove ancora abitiamo. Sono così passati gli anni. L’anno scorso abbiamo festeggiato
insieme il trentesimo anniversario del matrimonio di Peppino e Raffaella. Ancora una volta una mia poesia con
dedica. Eccola: D’AMORE/ palpitano mani
febbrili/ di tenerezza nel portarvi doni/ d’infinite stelle nel giardino/ che
questa notte anch’io/ ho sfiorato / con dita di pianto per i lunghi/ giorni
persi nel dolore/ della casa insonne d’intense cure/ e d’infinito amore./ Ma
luci a migliaia/ questa notte abbiamo acceso/
INSIEME / con la follia di
giovani folli/ d’indomiti sorrisi / a far ballare sedia a rotelle/ e sogni e
nuvole e aerei/ di un cielo capovolto/ sui vostri TRENT’ANNI/ già vissuti da vivere con un
solo/ CUORE / in una moltiplicazione di sogni/ che sono
ancora tanti/ ancora vostri ancora colmi/ di infinite stelle e il loro canto…
(Per Peppino, Raffaella, Nicola, Anna Paola da nonna Lina con immensa
gratitudine e tanto tanto cuore…). Il resto e storia di due giorni fa. Peppino è
tutto questo e tanto altro ancora. Ho ragione a dirvi che è mio figlio a tutti
gli effetti?