È passata una settimana di silenzio. Senza la forza di dire una sola parola. Di scrivere una sola parola. E in tanto avvilimento non mi ha risparmiato neppure una pessima caduta che ha peggiorato notevolmente il mio stato fisico e mentale, mandandomi fuori da tutti i circuiti di recupero. Poi, per fortuna, i miei di casa con infinita pazienza e infinito amore, sono riusciti a portarmi sulla sedia a rotelle e ad avvicinarmi alla scrivania, ben sapendo che solo la scrittura mi avrebbe stanato dal dolore. E, infatti, ho ripreso a scrivere. E continuo a scrivere di te, per te e con te, qui dentro di me, ci sei sempre, mia Anna Maria. Scrivo per disperdere i pensieri negativi che mi fanno sprofondare in quell’abisso di dolore che ben conosco e che mi ha portato spesso, negli anni, ad annegare in quel “male oscuro” (Giuseppe Berto, Neri Pozza, Milano 1964) che è la depressione, da cui sono emersa sempre con la scrittura. Appunto. Per me da sempre salvifica. Spero che accada ancora, anche se le mie ancore diventano sempre più fragili e sconnesse. Ma penso ancora (e come non potrei?) che la scrittura sia un dono divino: fissa nel tempo lacrime e sorrisi. È simile a una foto. Questa, però, eterna volti e corpi, l'involucro di noi. La scrittura perpetua l'anima. Doppia immortalità. Dono meraviglioso sempre. Come non dire grazie al buon Dio per la sua totale gratuità? Ma noi uomini spesso manchiamo di gratitudine verso il nostro Creatore per i tanti doni, quasi sempre ignorati o ritenuti scontati perché ce li portiamo addosso dalla nascita, quindi ci appartengono di diritto. Oppure, pensiamo presuntuosamente che siano dovuti ai nostri meriti personali tanto che non ci scomodiamo mai a dire un grazie né a Lui né a quanti i nostri talenti apprezzano e li rendono visibili con bontà e generosità… Ma anche questo è un altro discorso su cui si potrebbe scrivere un trattato. Titolo? La difficile riconoscenza…
Naturalmente parlo per
me e per chi crede in un Essere Superiore, che è Essenza di puro AMORE che
tiene insieme i multiversi che continuano a auto-rigenerarsi come se fossimo ai
primordi della Storia Universale. E sarei tentata di citare Einstein, Zichichi,
la Teoria Quantistica che dimostra, a quanto pare, scientificamente l’esistenza
dell’anima e la sua immortalità, il Bosone di Higgs, la Teoria del Tutto di
Hawking ma potrei commettere grossolani errori di interpretazione, essendo
profondamente ignorante in materia e non avendo affatto una mente scientifica,
per cui faccio riferimento esclusivamente alla mia fede. Ai vari Convegni sul
tema, a cui per anni ho partecipato. A cui abbiamo io e te partecipato. Ricordi?
E alle tante letture che mi consentono un confronto aperto a tutte le
possibilità in un campo illimitato e misterioso come la Vita e la Morte.
La lettura è, secondo
me, alla base della scrittura. Entrambe, poi, hanno bisogno dell’ascolto.
Quanto ascolto abbiamo dato noi, mia carissima Anna Maria, ai racconti
fiabeschi del nonno, con l’incanto che accendevano nei nostri occhi!
Germogliava dentro, a nostra insaputa, la curiosità di scoprire in quali libri
cercare le fiabe del nonno. Tu eri ancora piccolina, ma io feci tesoro di
quelle fiabe fino a scoprire che alcune erano frutto della sua fantasia, altre
facevano parte del patrimonio della narrazione orale pugliese, ed altre erano
state pubblicate da Italo Calvino in Le
fiabe italiane del 1956 (Einaudi, Torino). Il passo dall’ascolto alla
lettura fu breve. Poi subentrò la scrittura.
Tu, invece, appena
fosti in grado di scrivere passasti direttamente alla scrittura e cominciasti a
scrivere poesie. In particolare le filastrocche. Non ti piaceva leggere, forse
perché avevi una fantasia così fervida da poter fare a meno di quanto scritto
dagli altri. Nicoletta, la tua seconda nata, sta ora recuperando tutte le tue
bellissime filastrocche e poesie, per ritrovarti anche in quelle e per darti
nuova voce e per farti rinascere, al di là delle tue stesse canzoni, di cui
scrivevi anche i testi. Potere della creatività, della fantasia e della
immaginazione, che alla memoria a volte, aggiunge parole mai dette e vite mai
vissute, come è anche accaduto molto spesso nella mia scrittura. In me è
prevalso, certo, il potere della memoria, accompagnato dalle esperienze vissute
e maturate, in mille modi diversi nei tanti anni, con un ritorno quasi sempre
all’infanzia, la nostra età felice. Del resto, la narrazione fa rivivere il
passato e appaga la nostra gioia di raccontare…
“Scrivere vuol dire farsi eco di ciò che non può cessare di parlare…”
(Maurice Blanchot)
E tu non cessi mai di
parlare e di cantare nei miei pensieri, h.24. E i miei pensieri sono colmi di
te e dei nostri ricordi insieme. Certo, andrò zigzagando continuamente perché
pensieri e ricordi non seguono una cronologia storica, ma sono solo la voce del
cuore e si presentano improvvisamente e imperiosamente. I ricordi + il cuore si
prendono per mano per fare la stessa strada, come è sempre successo a noi due.
Cor-cordis e ri-cordi(s) ripropongono il cuore e il passato e riattualizzano
ciò che è stato. Ed ecco ancora in un nuovo flash il resto del racconto del
Santo Natale in casa di zia Maria e zio Michele, anche perché ci sono ancora
risate che non vanno dimenticate. Ci appartengono. Sono NOI. E noi registravamo
con gli occhi, gli orecchi attenti e il cuore quanto accadeva realmente in
quella casa, dove era bello e divertente andare, anche per via dell’incanto che
zia Maria era in grado di suscitare. Più disincantate di lei, le sue due figliole: Rosaria, sorridente
e luminosa con i suoi riccioli biondi e guance di pesca; Rita, silenziosa e
notturna come i suoi neri capelli.
Nella
loro casa incontravamo spesso una sorella di zia Maria di nome Lauretta (zia
Lauretta per tutti), più bruttarella ma tanto allegra e spiritosa anche lei.
Amava raccontare, tra mille risate, di sé e dei suoi tanti mariti, l'ultimo dei
quali era ancora vivo e vegeto. Bello e aitante e innamoratissimo della sua
Lauretta. Insieme formavano una coppia prodigiosa. Di magica luce nei cieli bui
e tempestosi di quegli anni.
Spesso
zia Maria e zia Lauretta, ma anche nonna si alternava nel duetto con zia Maria
in una casereccia rappresentazione teatrale, risalente alle precedenti generazioni
di nonni e bisnonni, con eventuali ritocchi recenti: inscenavano uno
spettacolino ad uso e consumo dei presenti, tutto nel nostro sapido e forte dialetto
antico o dialettaccio per dimostrare come fosse difficile, ai tempi di quando
erano bambini i loro nonni e bisnonni, i rapporti tra marito e moglie in
famiglia, soprattutto quando si trattava di dover dare in sposa la propria figliola
ad un pretendente, di cui bisognava conoscere vita, morte e miracoli, con feroce
litigata finale tra le due donne che avrebbero dovuto combinare e sancire il
matrimonio tra i due giovani che, a loro volta, neppure si conoscevano. Roba da
matti, ma era così ai tempi giovanili del passato più o meno remoto!
Era
una rappresentazione che si ripeteva ogni anno con delle variazioni
estemporanee sul tema, legate agli ultimi avvenimenti in casa di “commàra Fələcéttə” (comare Felicetta, un
nome che era tutto un programma!). Ma il repertorio era molto vasto e si
arricchiva, di anno in anno, sempre più di particolari per la felicità delle
improvvisate attrici, compiaciute della loro parte e di occupare per un po’ la
scena, e per la gioiosa spensieratezza di quanti stavamo in religioso silenzio
a guardarle e ad ascoltarle.
Come
è facile immaginare, allora a casa di zia Maria e zio di Michele, la Notte
Santa era una festa colma di tanta allegria e tanta confusione: fede e miscredenza, pettegolezzo e preghiere,
canti e abbuffate, battibecchi e chiacchiere,
cantilenanti preghiere e ambiziosi proclami, canti poesie risate dolci liquori
gioia di vivere.
Gesù
Bambino impiegava molto tempo a nascere. Veniva portato tra le mani-conchiglia
del bimbo più piccolo, in testa ad una processione lunghissima che si snodava
per tutte le stanze della grande casa che aveva un pianterreno, un primo e un
secondo piano. Dopo aver salito, sceso, attraversato scale e stanze e camere e
ogni più piccolo anfratto della casa e persino i balconi e il terrazzo, si
ritornava giù per deporre il Bambinello nella grotta tra Maria e Giuseppe, il
bue e l'asinello. La lunga processione si illuminava di candeline bianche o
rosse, spente subito dopo con un brutto odore di cera bruciata e piccoli fili
di fumo grigiastro che si sperdevano ben presto tra le nostre mani giunte e non
di rado il bambino più grandicello bruciava i lunghi capelli della bimbetta
davanti a lui con grida e soccorsi immediati e scompiglio nella lunga fila e
l’acre odore di fumo e di capelli bruciacchiati si spandeva per la casa… e si
accendeva delle note divine di “Tu scendi dalle stelle” (l’immancabile canto
tradizionale che includeva voci adulte e bambine e mille inevitabili stonature
e approssimate parole…). Dopo la nascita di Gesù, noi bambini recitavamo le
poesie. Le donne di casa si affrettavano a preparare la tavola con ogni ben di
Dio: “pèttuə” (pettole), piciuatìddə (dadini di massa
sbollentati), baccalà in umido con olive e uva passa, capitone fritto e
arrostito (che piaceva molto agli adulti, mentre a noi bambini e ragazzi faceva
ribrezzo perché ci sembrava un serpente e basta, e provavamo disgusto nel
vederlo mangiare con tanto gusto…), e, poi, frittelle, cartellate, calzoncelli
(o cuscinetti di Gesù Bambino), mostaccioli, taralli di ogni genere,
fichisecchi, mandorle tostate, arance e mandarini, noci e nocelline. Vini e
rosolÎ.
Era
capitato anche a Lizia di portare Gesù Bambino e poi anche a me, e anche a te,
Anna Maria, ed era capitato a tutti noi bambini di recitare per la prima volta
la poesia che zia Maria voleva insegnarci a tutti i costi perché la riteneva
bella e facile per i più piccoli che non andavano ancora all'asilo.
Tutti vanno alla capanna
per vedere una gran cosa
anche
io son curiosa
di veder che cosa c'è?
Guarda, guarda quel Bambino
come dorme, poverino!
Sembra far la ninnananna
tra
le braccia della mamma.
Se io avessi un biscottino,
lo darei a quel Bambino.
Biscottino non ne ho
e il mio cuore gli darò!
Credo
che la poesiola abbia attraversato secoli su bocche sdentate di nonne e
nipotini e su quelle più morbide delle mamme, prima di giungere sulle labbra di
farfalla colorata della nostra amatissima prozia e tra le sue mani in volo per
mimarla a dovere. L'ho, poi, insegnata ai miei figli e ai miei nipoti non
perché fosse particolarmente bella e facile, come sosteneva zia Maria, ma
perché mi riportava a quei Natali, a quell'atmosfera magica e incantata, a quei
profumi, a quegli odori, a quelle preghiere, a quei canti, a quelle braccia d'amore.
A quei tafferugli. A quelle risate. Ricordi, Anna Maria, quanto abbiamo riso
insieme? Lizia era sempre un po’ in disparte e non aveva il gusto della risata
come noi due.
Capitava
sempre qualche imprevisto, che coglieva di sorpresa la compagnia, creando
parapiglia e disagio, risolti immediatamente da qualche battuta ironica o
autoironica di zia e tutto finiva in una grande corale fragorosa bolla
iridescente di sapone, che aveva forma di labbra dischiuse al buonumore.
Labbra
d’infanzia di latte e di panna.
Labbra di
bianche perle di giovinezza.
Labbra concave di spietata
vecchiaia.
Sì,
quella tenera poesiola mi riporta a te, Anna Maria amatissima, e ai nostri
ricordi in comune, ai nonni, a mamma, agli zii e a tutti i parenti e amici di
allora. A quei tempi di rumorosa semplicità e di caotica armonia. Ad un mondo,
almeno per noi bimbi, sereno. Un mondo, che oggi esiste solo nella memoria del
cuore. E, in realtà, quei volti, quelle voci, quei profumi e quelle atmosfere
di sorridente bonomia oggi li rivivo solo nell’anima ed è lì che ora tu sei e
con te riscopro pensieri, storie, emozioni di allora.
E
quel rito del Natale si protrasse negli anni quasi intatto.
Nel
tempo, è sparito il Presepe e sono comparsi gli alberi di natale (di finto
abete), stracolmi di pacchi e pacchettini da aprire dopo la mezzanotte. I
panettoni e i pandoro hanno sostituito quasi tutti i dolci fatti in casa. Sono
comparse le chitarre ad accompagnare il canto di Natale nella Notte Santa, che
via via si è andata arricchendo delle musiche d’oltreoceano, ascoltate
attraverso la radio, il giradischi, il registratore, il televisore. Ed io, ora,
non posso fare a meno di sovrapporre su tutte le voci la tua voce, e su tutte
le chitarre la tua chitarra.
Alle
voci antiche sono subentrate nuove voci e tutto ancora nelle nostre famiglie si
ripete con alterne vicende e in case diverse dalle antiche case… e tu ci sei
sempre stata e ci sei. Anzi, sei l’unica di noi sorelle ad aver riproposto il
Santo Natale, per alcuni anni, nella tua casa di via Morandi, dove erano anche
le nostre case, come ai vecchi tempi. Riproponendo atmosfere, prelibatezze e
canti del passato. Tu l’unica di noi ad aver imparato da nostra madre l’arte
della cucina delle nonne. Solo tu! Ma, qualche volta, io ho scritto anche della
tristezza che mi pioveva addosso per un natale diverso e privo di fede dei
nostri figli e amici dei figli, mentre noi conservavamo sempre la Fede quale alimento
quotidiano dell’antica famiglia.
Roma saluto
triste di notturno silenzio
spazio di
stazione solitaria fioche luci
battito del
cuore ansia divisa (…)
Domani sarà Natale
Altre voci
altri occhi altre illusioni
Presenze
Mute Chiassose
Insieme attraversiamo il giorno
(il giorno atteso dell’Attesa)
Ci traghetta
un desiderio d’amore
al ritorno
scontato e mai uguale
di un Natale
d’alberi di plastica
vestiti di
luci spogli di speranze
a concludere
l’anno dai mille richiami
e un solo
riscatto ipotesi di pace
sotto
l’antica cometa che ci vuole
buoni e
pacificati col mondo
per una Notte sola.
(Solo per una notte?)
Calda
atmosfera di rosse candele accese
nella casa
lontana ci accoglie mio figlio
cappuccio
rosso e bianco di finta neve (…)
Mezzanotte
Scendono a
farci compagnia ombre
di mai
sopito amore eterno rimpianto.
In amari
calici lo champagne saluta
anche questo
Natale e scivola in gola
a spegnere
l’arsura di un’angoscia
che sfiora
di baci il nostro ritrovarci
SOLI
senza
preghiere e senza canti
senza
miracoli e senza prodigi
senza stelle né incanti
Non più come
un tempo magica
questa Notte
Ma una
tenerezza che scalda il cuore
infila
l’uscio sotto la pioggia e il vento
vola verso
Sud e allaccia nodi a nodi
in un ritrovato alone di mistero
(che non si
spezzi questa gòmena d’amore
chiedo al miracolo del Natale)
(“Natale romano”, stralci da: l.d.l. L’ora dell’ombra e della riva)
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