La serata è stata introdotta e coordinata, con grande
padronanza del Testo e con ventennale maestria da Raffaella Leone, P.
R. della Casa Editrice, insegnante e scrittrice per bambini e adulti col cuore
bambino. Io sono stata chiamata dall’editore per concludere la serata con le
mie “Tracce”.
Il primo intervento è stato quello magistrale di Nicola
Pice, che ha una cultura classica che gli permette sempre di spaziare con
disinvoltura dai grandi filosofi, poeti, scrittori greci e latini (Platone,
Aristotele, Apuleio ecc.) a quelli contemporanei senza soluzione di
continuità. Con padronanza assoluta delle parole e della storia non
soltanto letteraria e umana, Nicola ha parlato del Saggio e di Antonio
Giacometti con dovizia di particolari e con riferimenti precisi e coinvolgenti
sulle sconvolgenti pagine, tutte da leggere per avere la dimensione della sua
personalità e abilità come compositore e come scrittore. Peccato che Nicola
Pice sia andato a braccio, come tutti noi, perché avrei documentato meglio su
questo nostro blog la sua colta e profonda Presentazione. Lo stesso dicasi per
le parole di Raffaella Leone. L’unica privilegiata sono io che ho conservato la
motivazione delle mie “Tracce” in generale, e quelle tracciate per Antonio
Giacometti perché possiamo avere insieme la percezione della grandezza
incommensurabile del nostro Autore come uomo, docente, artista.
< TRACCE sul Saggio di Antonio Giacometti.
… Nell’unità si ricompone
tutto il visibile, tutto il dicibile.
Restano le differenze ma scompaiono,
e non ci sono distanze di corpi
o rilievi di costruzione,
ma irrisori spostamenti nella creazione.
Niente al di fuori di quello che è.
Niente può uscire dal tutto,
amore semplicemente è essere,
essere parte di questo insieme...
(Cesare Viviani, stralcio della poesia
“Silenzio dell’universo”, Silenzio
dell’universo, Einaudi, Torino 2005).
*Da qualche tempo non scrivo più prefazioni ai libri che
pubblichiamo ma postfazioni che amo definire “tracce”. Ossia non più un
prendere per mano, “a priori”, il lettore per accompagnarlo lungo una via
interpretativa da me percorsa durante la “mia” lettura, condizionandone magari
il pensiero critico, e la libera interpretazione di ogni altro da me. Ma un
riflettere “a posteriori” su quello che continua a vivere e a palpitare in me
di quanto letto, assaporato, ripensato, rivissuto. In senso empatico, sintonico
o anche distonico per un dialogo-confronto di due pareri combacianti o
divergenti, ma assolutamente liberi e personali. La lettura di un libro e
la sua interpretazione diventano più autentiche e vere. Lasciano tracce di
memoria più durature perché più sentite e realmente condivise. Avrei potuto
definirle orme, ma forse non avrei reso l’idea della loro persistenza nel
tempo. L’orma è leggera e prima o poi svanisce. La traccia incide più
profondamente e difficilmente si cancella. Del resto, Franz Kafka, ne Una
lettera a Oskar Pollak (novembre 1903), scrive: Un libro deve
essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi. Ma è bene
se la coscienza riceve larghe ferite perché in tal modo diventa più sensibile
al morso… Sarebbe interessante riportare un più ampio stralcio
della lettera ma, per quel che ci serve, è questo il punto focale della mia
riflessione: un libro deve lasciare tracce profonde, vere e proprie ferite da
cui rinascere migliori. Nel nostro caso, queste “tracce”, già da me
ultimamente sperimentate, offrono una maggiore serenità di giudizio nei
riguardi dell’autore e del lettore. E questo, a mio parere, fa la differenza.
Diventa forse una prima recensione che possa sollecitare a scoprire il libro, a
cercarlo in libreria, a leggerlo con quella curiosità che è sempre alla base
della motivazione a intraprendere la meravigliosa avventura della “lettura”,
come della stessa vita. E penso al verso conclusivo di una poesia di
Danilo Dolci del 1974: “ciascuno cresce solo se sognato”. Verso, che indica, a
mio parere, il potere motivante e trainante esercitato dalle aspettative che
qualcuno (un critico letterario, un influencer?) inculca nella mente di un
altro, senza però tener conto del retroterra culturale, della influenza
ambientale, della personalità (condizione psicologica, sociale, umana), delle
fragilità e dei punti di forza che ciascun lettore sente in sé. Verso
bellissimo, pertanto, ma alla fine controproducente perché, appunto, come
sostiene Antoine de Saint-Exupéry nel suo capolavoro Il piccolo
Principe: Se vuoi costruire una nave non devi per prima cosa
affaticarti a chiamare gente a raccogliere la legna e a preparare gli attrezzi;
non distribuire i compiti, non organizzare il lavoro. Ma invece prima risveglia
negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato. Appena si sarà
risvegliata in loro questa sete si metteranno subito al lavoro per costruire la
nave. Parole che, con varie metafore, invitano i lettori a riflettere
sulle modalità giuste per desiderare di realizzare una lettura che sia specchio
dei loro sogni e progetti di vita, desunti, in piena consapevolezza, dallo
stesso progetto motivante dell’autore e del postfatore. Necessario diventa,
allora, evidenziare in “Tracce” cosa rimanga del libro letto, quali le
direzioni esperienziali idonee a ricostruire l’identità di lettore e la sua
valutazione critica, libera e appassionata, dell’opera letta. A partire
dall’interpretazione del libro come offerta di occasioni, di opportunità, che
consentano il pieno maturare del lettore come Persona che, anche attraverso i
libri e la lettura, sappia scoprire la responsabilità della sua dimensione
molteplice: cognitiva, affettiva, spirituale, etica, estetica e
politica. Può accadere, infatti, che un libro ben letto e ben interpretato
e passato al vaglio del confronto (le recensioni e le presentazioni servono
anche a questo) assolva il compito del pieno fiorire del pensiero e della
conoscenza sempre più ampia nel lettore.*
TRACCE di ANTONIO GIACOMETTI, di cui ho avuto l’onore di
leggere per prima, dopo l’editore naturalmente, il prezioso dattiloscritto.
Prezioso perché? Ed ecco le “tracce” che mi ha lasciato dentro questo
Saggio particolarissimo che condensa ed esplicita una cultura enciclopedica di
rara caratura letteraria e poetico-musicale. Sono solchi profondissimi che
andrò ad attraversare per dare un senso più ampio ad uno scopo altamente
sociale e civile e a un fine nobile: la messa a fuoco della consapevolezza di
sé, da parte di ciascun lettore, sull’ecosistema e il probabile equilibrio
della natura, e ancor di più sulla natura umana, con dieci punti di
riflessione, positivi e negativi, tutti da scoprire e valutare”; migliorare
questo nostro “atomo opaco del male” (Pascoli, “X agosto”) in un “altro mondo
possibile”. Impresa non facile, data la vastità dei riferimenti culturali
a livello mondiale dell’opera che ha uno spazio-tempo che ci sembra illimitato,
nonostante la data di nascita, posta fra parentesi dopo il titolo che è semplicemente
una forte affermazione di sé: ANTONIO GIACOMETTI (1957). Ma c’è anche un punto
0 che dà l’avvio:
0. Antefatti.
Anche gli “Antefatti”, però, sono solo un insolito modo,
originale e sorprendente di presentarsi da parte dell’Autore con una litote
astuta e coinvolgente che afferma e conferma ciò che nega: Non sono
uno scrittore. E non sono neppure un filosofo, un antropologo, un ecologo.
Appartengo invece a quella categoria di artisti che i teorici medievali
accolsero tra le mura del quadrivio (le arti “liberali” contrapposte a quelle
“meccaniche”), ma ai quali, ancora oggi, si fa molta fatica a riconoscere lo
status d’intellettuali capaci di riflessioni trascendenti il campo d’elezione
della loro attività. Un’attività che comporta comunque un aspetto
pratico-artigianale. (…). Io sono un musicista, più
esattamente un compositore, dedito da oltre quarant’anni alla ricerca di piani
pedagogici, e relative traduzioni didattiche, capaci di realizzare percorsi
educativi attraverso la musica e, in generale, attraverso le arti e le loro
interazioni.
Come non parlare di “tracce” anche in questo caso?
Giacometti mi dà una lezione acutissima di come si possa ovviare a una biografia
dell’Autore da mettere magari sulretrocopertina, anticipandone il
contenuto. Idea geniale che rompe schemi e tradizione. Altro
elemento che ai più potrebbe sfuggire e che a me, che sono anche correttrice di
bozze dalla nostra Casa editrice, salta agli occhi, sorprendendomi
parecchio: le note a fine pagina rispettano le regole editoriali in
ogni loro parte. Non è scontato. Anzi! E poi il rifarsi a Baricco per
affermare la volontà che il suo Saggio (definito da Giacometti con un
magistrale “colpo di cosa”: “libretto”) si faccia “storia” e non semplice
narrazione, racconto. (Alla fine, questo libretto sarà la storia di
un’inquietudine esistenziale profonda, ma proiettata verso l’esterno più che
rivolta all’interno, perché innescata dalla consapevolezza di vivere in un
mondo sbilanciato e sperequato, governato da un modello di organizzazione
univoco, al quale ci si è adeguati nel tempo solo per comodità o necessità
contingente, ben sapendo che, sotto le coltri calde e accoglienti di un
benessere epidermicamente vissuto, si nascondeva (e continua a nascondersi) lo
sfruttamento e lo sterminio dei popoli, la distruzione degli ecosistemi,
l’alterazione sistematica del clima). È solo un esempio della
scrittura e del pensiero di Antonio Giacometti. Dietro un profluvio di parole
si condensano concetti che connotano la sua personalità estremamente composita
e ricca di “inquietudine esistenziale profonda”, rivolta all’esterno per
incontrare comunque sé stesso incontrando Ailton Krenak e il suo pensiero
divergente dell’Amazzonia brasiliana, totalmente adottata dal nostro
Autore. Quanto c’è da apprendere da questo “libretto”! Esso si dipana
lungo tutto il percorso dell’Amazzonia brasiliana, “luogo del cuore” divenuto
tale dopo l’incontro con il settantenne giornalista e scrittore Krenak e dopo
oltre quarant’anni di frequentazione, anche virtuale, con il grande antropologo
italiano Roberto Malighetti. (Krenak,
l’intellettuale indigeno impegnato e in prima linea, che cosa può innescare nel
musicista occidentale curioso di questo mondo complesso, ma anche poco incline
a rinunciare a quel benessere antropocentrico che crea danni a catena e a
spirale? Questa storia (…) vive un movimento interiore
continuo, ma, come dice anche Baricco, <non inteso come rettilineo passaggio
da un punto A a un punto B, bensì come organizzazione dinamica di un’intensità
proveniente da uno choc di partenza. È il campo magnetico che si forma intorno
a un’illuminazione. La storia non è mai una linea, ma sempre uno spazio).
A questo punto ho necessità di scolpire un altro solco nelle
“tracce” che di Giacometti vado evidenziando: la coralità. Ogni
sua pagina è “intrisa” di altre figure, altre personalità, altre
professionalità, che hanno lasciato, a loro volta, nelle strutture mentali del
nostro Autore “tracce” che producono nuove conoscenze, decisamente arricchenti
nel loro quadro d’insieme. Ma anche la stessa struttura del Libro evidenzia una
sua inconfondibile originalità e coralità: la “PRIMA PARTE” riguarda “10
concetti-chiave: 1. Sensi di colpa, 2. Allarmi, 3. Le vite degli “altri”, 4.
Indifferenza, 5. Profitti, 6. Migrazioni, 7. Bellezza, 8. Natura e cultura, 9.
Gli inganni della Fede, 10. Omologazione, equilibrio e sviluppo. La
“SECONDA PARTE” riguarda: le idee per rimandare la fine del mondo: 1. L’umanità
che siamo. 2. Diversità. 3. Madre Terra. 4. Punti di vista: a proposito della
fine del mondo. 5. Un altro mondo possibile. CONCLUSIONI: Che c’entra
la musica? Ringraziamenti.
Ogni voce è un “pozzo senza fondo” di citazioni, riferimenti
ad altri studiosi, riflessioni in proprio o desunte da altri “maestri”, tracce
di film, memorie, miti e leggende d’altri tempi, pescati nei campi più
disparati dell’umana esperienza, riportati alla luce, riattualizzati, resi vivi
e palpitanti di vita propria nel mosaico perfetto di altre vite, dissonanti,
combacianti, convergenti, divergenti in un puzzle paziente che rivendica la
connotazione più vera e più ardita dell’intera umanità. Con i suoi valori e
disvalori, con i suoi “punti di forza” e con le sue debolezze.
Infine, l’utopistica pretesa di costruire un mondo migliore.
Della “prima parte”, per esempio, sono rimasta profondamente
colpita, nel primo concetto-chiave: “Sensi di colpa” dall’esergo Tutti
pensano che sia ciò che dici a definirti, le tue opinioni, le tue risposte
intelligenti o la conoscenza ostentata. Ma quel che davvero ti definisce è ciò
che non dici, le lotte che eviti, le posizioni che non prendi, gli occhi che
chiudi. Ogni persona è ciò che tace.
Una illuminazione anche per me. L’esergo non è del nostro
Autore ma di Nicolò Govoni (N. Govoni, Se fosse tuo figlio, Rizzoli,
Milano 2021, p. 207)
Anche Paul Èluard, parlando di poesia, fa riferimento ai
silenzi più che alle parole, ai margini del foglio più che ai versi.
Praticamente al “non detto”. Al “taciuto”, che alimenta il mistero e nuovi
orizzonti da visitare per scoprire altro e altro ancora. Ma, a ben leggere,
ogni parola-chiave, comincia con un esergo molto suggestivo ed esplicativo con
riferimento ad un altro autore. Tutto ciò crea “flash emotivi” che illuminano
ulteriori riflessioni sul mondo contemporaneo, nelle sue luci e nelle sue ombre.
(Che sia questa una possibile chiave di lettura dell’umanità attuale,
attraverso la quale modificarne il corso e le tendenze autodistruttive?
Svincolare l’atto dalla finalizzazione, ritrovare la dimensione del piacere
nella relazione con gli altri e con la natura che ci contiene, esercitare
un’empatia universale che ci metta in contatto vero con la sofferenza del
mondo. magari credendo fermamente, come Govoni, che <se non puoi cambiare il
mondo, almeno cambialo per una persona>, almeno nel momento in cui ti si
presenta l’occasione, senza girare la testa dall’altra parte, senza che il
senso di colpa ti faccia vergognare, derubricando così un atto d’amore al
livello di isolata (e in fondo inutile) manifestazione di pietà).
Basterebbe questo stralcio dell’immane fatica di Giacometti
a renderci consapevoli del nostro vero compito su questa terra per alleviare le
sofferenze di Madre Natura e di noi Umani, privi quasi del tutto della nostra
umanità. Di qui il mio GRAZIE (e il grazie di ogni lettore) a quest’uomo, un
eletto sicuramente, che ha fatto della CORALITA’ una fascinosa avventura,
destinata a durare nel tempo e nello spazio. GRAZIE alla sua particolarissima
scrittura, in un crescendo continuo di sintesi e analisi, in un andare
controvento sempre, per toccare il mistero della vita con le corde del cuore
(musica, armonia, bellezza, solidarietà) a comprendere TUTTO e TUTTI. In questa
“rappresentazione” del mondo che a noi tutti appartiene. Senza il nostro
sguardo a guardare, indagare, scoprire, il mondo non esisterebbe. Verità aperte
a nuovi orizzonti o le “tracce” si disperderebbero. Ritengo, pertanto, giusto
chiudere queste mie riflessioni “a posteriori” con un ultimo stralcio
connotativo di tutta la complessa filosofia di VITA di Antonio Giacometti.
E per oggi mi fermo qui per completare domani il mosaico d’insieme di una PERSONA che merita di essere conosciuta, apprezzata, seguita a trecentosessantagradi. Grazieeeeeeee. A domani. Angela/Lina
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