C’è un tempo per capire,
un tempo per scegliere,
un altro per decidere.
C’è un tempo che
abbiamo vissuto,
l’altro che abbiamo perso
e un tempo che ci attende.
(Lucio Anneo
Seneca)
Anche oggi
ho tentennato molto prima di scrivere, ma poi credo che sia necessario mettere
a nudo i propri sentimenti, le proprie emozioni, le proprie delusioni se si
vuole essere autentici. Nel dolore come nella gioia. Se si vuole essere
autenticamente “umani”.
Il 21 ottobre del 1986 fu un anno che
riprese a sanguinare con la morte di babbo.
Babbo
E la sua tristissima fine dopo una settimana di
semplici controlli di routine al policlinico, conclusisi con la sua resa
incondizionata. Il Moloch di tutti i miei terrori passati ridotto ad un essere
inerme coperto di lividi su tutto il corpo e addome gonfio e occhi chiusi. La
sacca delle urine quasi vuota. Il liquido rossastro rappreso. La morte ad
alitargli sul viso. Stente parole di abissale dolore. Il nostro parlarci senza
incontrarci. Altro deluso mormorio. Altro acuto rimpianto. Anche lui andò via
lasciando mamma spaurita e spaventata come era accaduto a nonna Angelina dopo l’ultimo
saluto di mio nonno. Il protagonista di quasi tutti i miei romanzi. L’eroe
senza tempo sempre presente nella mia vita.
Tornava il dolore. Tornavano atmosfere solo
apparentemente dimenticate.
(“non piangere mi raccomando non piangere”… qualcuno
con dolcezza per telefono: tutta la dolcezza che mio padre non aveva saputo
usarmi… “non piango no non piango”…)
… c’è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo…
(Fabrizio De André, “Il bombarolo”)
E vorrei aggiungere anche qui un
racconto datato che, però, addolcisce il cuore nel ricordo. Con dedica speciale
a mia figlia Ombretta…
STORIA DI UNA FARFALLA
C’era una volta, in un prato lontano lontano,
tanto lontano da non potersi vedere l’inizio né la fine, una farfalla
bellissima che si innamorò perdutamente di un calabrone: scuro, taciturno,
brontolone.
Mamma
e papà portarono la loro figliola in un nuovo prato, tutto verde e pieno di
fiori, perché Andel, così si chiamava la farfalla, potesse scegliere un nuovo
amore.
Ma invano! Andel aveva occhi e cuore solo per il suo calabrone: lo vedeva
luminoso come il sole e canterino come un grillo. Persino il suo continuo
brontolio era per lei musica di violino.
Appena
tornò nella sua casa, fatta di ali di cristallo e di corolle di margheritine,
Andel andò a cercare il suo calabrone e fuggì con lui in una notte priva di
stelle. Rise una sola notte e pianse per molti giorni, ma non si scoraggiò. Si
accorse di aspettare un figlio e lo amò con tutti i suoi pensieri, con tutti i
suoi sogni. Ancora tanti e belli e colorati. Nacque una farfallina un po’
strana, diversa da ogni altra creatura del prato. Per metà aveva ali di
farfalla e per metà aveva corpo e testa e occhi di calabrone. Il padre non
volle vederla perché non somigliava affatto alla figlia che avrebbe voluto
avere. La mamma, invece, le donò il suo cuore e compì il miracolo d’amore che
ogni mamma compie quando accarezza e bacia il suo piccolino: ogni carezza diventava
un dono per Alial, così aveva chiamato la sua piccola e ignara farfalla. Carezza
dopo carezza, bacio dopo bacio, in breve tempo Alial ebbe da sua madre bellezza,
intelligenza, bontà. E due meravigliose grandi ali per volare. Ma papà
Calabrone, ogni volta che incontrava sua figlia, sentenziava che era brutta, e,
senza darle neppure un bacio, la salutava rimproverandola perché era una buona
a nulla e una fannullona. Alial, ad ogni rimprovero, vedeva le sue ali sbiadire
e cadere in pezzi e, piangendo, ritornava dalla mamma e le chiedeva perché era
nata brutta e non sapeva fare niente. Andel provava una fitta al cuore e, con
ago di ametista e filo di seta, ricuciva, pezzo per pezzo, quelle sbrindellate
ali; poi, con rinnovato amore, baciava la sua piccolina perché scoprisse da
sola quante cose belle possedeva. Un giorno la portò vicino ad un lago e,
facendola specchiare, le disse: - Vedi come sei bella? Tuo padre avrebbe voluto
un calabrone, ecco perché non vede la tua bellezza. C’è un segreto che ti voglio
confidare, figlia mia: “ognuno vede ciò che vuol vedere”. Alial vide nel lago
una farfalla di straordinaria bellezza e si rincuorò, ma poi fu presa da un
dubbio che non confessò neppure a sua madre: “e se il lago fosse stato stregato
e le avesse fatto vedere ciò che lei voleva vedere?”. Si rifiutò, allora, di
credere di essere veramente bella, ma continuò a volare, sicura almeno del suo
cervello. Ma suo padre, un giorno, la incontrò mentre parlava con un fiore e la
rimproverò, dicendole che era una creatura molto stupida perché una farfalla non
poteva parlare con i fiori. - I fiori parlano una lingua diversa dalla tua,
quindi è fatica sprecata tentare di dialogare con loro - disse sprezzante. E
aggiunse: - Il fiore non solo non capisce, ma neppure ti sta ad ascoltare tanto
è sconclusionato quello che hai appena finito di dire. Alial scappò via col
cuore trafitto da mille pugnali e le sue ali caddero di nuovo in frantumi. Si
chiese se suo padre fosse veramente suo padre perché lei si aspettava che un
papà fosse sempre tenero, affettuoso, amorevole e premuroso con i suoi figlioli.
Sua madre la rassicurò: - Tuo padre è veramente tuo padre, ma lui non può
capire le farfalle perché ha un cervello di calabrone. Non ha mai voluto parlare
con gli estranei. Fa lunghi discorsi solo con quelli come lui e insegna ai loro
figli come comportarsi con gli altri. Ha imparato a parlare con me perché si
era innamorato e si sforzava di capirmi, ma non ci è mai riuscito. Ricordati,
figlia mia: “ognuno sente quello che vuol sentire e capisce ciò che vuol capire”.
Alial tornò a parlare con i fiori e si accorse che li capiva e che la capivano.
Si rese conto, allora, che era intelligente perché riusciva a comprendere il
linguaggio di tutti. Ma un dubbio la tormentava: “e se le parole fossero state
magiche e si fossero fatte capire solo da lei perché non si sentisse poi così stupida
come diceva suo padre?”.
Mentre pensava con tristezza alla sua condizione di farfalla un po’ illusa, non
si accorse che suo padre la stava rimproverando aspramente: - Figlia
maleducata, egoista e screanzata, non saluti neppure tuo padre. Ma dove vivi
tu? Con chi parli? Chi ti insegna a comportarti così? Non ti curi di niente e
di nessuno, neppure di tuo padre, che ti ha dato la vita! Alial protestò
rattristata. Non si era accorta di lui, anche se era nei suoi pensieri. Anzi,
non si era accorta di lui proprio perché stava pensando a lui, a come non
riuscivano a capirsi e ad amarsi. - Papà - supplicò, - papà, perché mi
rimproveri così? Scusami, ma non ti ho proprio visto. Non accadrà mai che io
non ti saluti deliberatamente. Si accorse, allora, che le sue splendide ali
erano sparite del tutto per la vergogna e per la disperazione. Ora sapeva che
non avrebbe più potuto volare, neppure con le carezze e i baci della mamma. -
Come farò?- chiese a sua madre non appena si sentì al sicuro vicino a lei. -
Come mai tu non hai perduto le tue ali dopo tanto pianto e io sì? - Non ti
preoccupare, piccolina mia - la rassicurò sua madre, - vedrai che proprio dalle
mie lacrime rinascerà il tuo sorriso. E il sorriso sostituirà le tue ali. Avrai
una risata lunga ed argentina quanto il mio lungo pianto e ti innamorerai di
chi ti farà ridere ridere ridere ...
Le
parole di sua madre furono veritiere.
Alial
andò dal suo fiore e cominciò a scherzare con lui perché aveva i petali
irregolari ed un gambo sottile sottile. Ciclamino rise alle battute di Alial: -
Ho il gambo sottile perché volevo raggiungerti mentre volavi ed ho i petali
irregolari perché volevo sfogliarli, trasformandoli in tante ali. Vedi,
sembrano spiccare il volo e sono tanti per afferrarti meglio... - e, così
dicendo, Ciclamino tese le sue corolle rosso fuoco. Anche Alial rise di cuore e
si sentì finalmente felice. La sua risata si fece lunga e contagiosa tanto che
tutti i fiori del prato risero con lei. Suo padre sentì tutto quel chiasso e si
allarmò. Corse a vedere cosa stava succedendo e chi osava disturbare la sua
quiete. Quando si accorse che sua figlia rideva insieme con tutti i fiori del
prato, ebbe uno scatto d’ira; corse da Andel a gridare che avevano una figlia
stupida, ma così stupida da ridere continuamente e da far ridere di lei persino
i fiori: esseri terra-terra che non si alzavano neppure di qualche centimetro
dall’erba. Andel sorrise mesta: - Non ridono di lei; ridono con lei, è diverso!
- precisò. - E ogni risata di Alial è una cascata argentina di perle e pietre
preziose, che inonda il prato e rende ricchi e felici tutti gli esseri che
l’ascoltano. La nostra figliola è veramente un dono per gli altri. Alfo, il
calabrone, brontolò che erano tutte chiacchiere di una farfalla ormai vecchia e
fuori di testa. E corse da sua figlia per castigarla. Cercò Alial nel prato, ma
non la trovò. Furibondo, si mise a urlare e a setacciare ogni filo d’erba ed
ogni fiore, ma Alial sembrava svanita nel nulla... Allora si disperò. La risata
di sua figlia era la cosa più bella che avesse mai sentito da quando era nato
ed ora, per il suo caratteraccio, l’aveva perduta. Doveva ritrovarla per dare
alla sua piccolina finalmente tutto il suo amore, per dirle che aveva sbagliato
a volerla a tutti i costi un calabrone e non una farfalla. Ma Alial non poteva
sapere che ora anche il cuore di suo padre batteva per lei. Sapeva solo che
erano state le lacrime di sua madre a regalarle il sorriso più luminoso del
mondo. E un amore.
Era
con Ciclamino, confusa tra i suoi petali superbi e infuocati, che sembravano
pronti a spiccare il volo. - Peccato che è solo un’illusione - disse - perché
Ciclamino non potrà mai volare.
- Alial, Alial - sentì una vocina che sembrava provenire dall’erba, ma anche
dal suo cuore.
- Chi sei? - chiese spaventata ed incuriosita la piccola farfalla. - Alial,
Alial, non disperare. Ci sono qua io ad aiutarti. Né tua madre, né tuo padre
potranno farlo. Né Ciclamino, il tuo innamorato. Sono Arcobaleno e vivo nella
tua anima. Solo io posso aiutarti. - Ma come? Cosa puoi fare per me? Non vedi
che ho perso le mie ali e con i petali di Ciclamino non posso volare? - chiese,
tra lo stupore e la rassegnazione, Alial. - Tu sei nata per essere farfalla e
non sarai mai un calabrone. Nella tua anima ci sono mille ali e mille colori,
che hanno bisogno solo di essere liberati per farti scoprire chi sei e come sei,
e per farti essere felice. - Ma io non ce
la faccio. Ho bisogno delle carezze e dei baci di mia madre perché solo lei era
in grado di ricucirmi le ali ogni volta che mio padre le distruggeva con i suoi
rimproveri e il suo disamore - raccontò Alial sfiduciata. - Non c’è più neppure
un pezzettino da ricucire ed io non potrò più volare. - Tu non hai più bisogno
dei baci di tua madre, né delle sue lacrime. Non devi più temere i rimproveri
di tuo padre. Ho sentito il suo cuore che ti cercava … - disse Arcobaleno, un
po’ spazientito e un po’ intenerito. - Hai bisogno solo di te stessa. Scegli
tra i colori che hai quelli che vuoi e, con la seta dei tuoi lunghi capelli e
con l’oro, l’argento e le perle delle tue lunghe risate, tessi da sola ali più
grandi, più luminose, più variopinte di quelle di prima e... Vola, Vola,
Vola... fino a stupire tutte le creature del mondo … Vedrai come sarà bello il
mondo visto attraverso i tuoi colori! Non è difficile essere felici. Basta
prendere tra le mani la propria anima e saperla, poi, donare agli altri. Arcobaleno
tacque.
Alial
si guardò per la prima volta dentro e scoprì i suoi mille colori e,
improvvisamente, vide ricrescere, più variopinte che mai, due meravigliose ali,
e sorrise. Ora volava e nel volo il mondo diventava blu violetto rosa giallo
verde arancione rosso...
Ora
volava incontro a sé stessa … incontro alla felicità … incontro al suo amore …
Nessun commento:
Posta un commento