In un silenzio di lune
su
lastricati di luce
la notte va zigzagando
(accende
persiane chiuse
l’intimo
respiro
estraneo
al mondo)
Occhio d’acciaio
imperlato di
lacrime
Quotidiana lucida
follia
ai
nostri giorni
privi
di senso
(a.d.l.)
Desidero in questi giorni soffermarmi a parlare del tempo,
la memoria, i ricordi. Mi sembra opportuno e necessario, anche se lo farò a
puntate. Stiamo transitando da ottobre a novembre ancora con tanto sole, almeno
qui al Sud, e stiamo transitando da una guerra feroce ad un’altra che ci
terrorizza e ci riempie di sgomento e domani la chiesa festeggia tutti i Santi e
dopodomani tutti ricordiamo i nostri cari che non ci sono più e ci portiamo nel
cuore. Che senso hanno la vita e la morte in tempo di barbarie come questo? Il
tempo…
Parte I: Il Tempo
Stiamo vivendo, dunque, un anno estremamente difficile, di
cui si conserverà a lungo memoria.
Proprio vero. Non ricordo più chi abbia detto che “la
memoria non riguarda solo quello che si vuole ricordare, ma soprattutto ciò che
non si può dimenticare”.
E, infatti, difficilmente si potrà dimenticare, nei secoli a
venire, questo nostro tempo: tempo di timori, paure, terrori. Tempo di contagi,
di morte e dolore. Ma anche tempo di lotta, coraggio, forza, solidarietà,
speranza, salvezza. Tempo di vecchi che muoiono e di bambini che nascono,
perpetuando il senso dell’inevitabile Oltre e rinnovando il miracolo della
Vita.
Il tempo: una parola senza tempo. E, per questo,
difficile da spiegare per comprenderne il mistero. Ci provo a modo
mio.
Il
tempo ci comprende o siamo noi a sentirci compresi nel tempo?
Il
tempo passa o siamo noi a passare nel tempo?
Tempo
lineare - tempo circolare?
Tempus fugit. Tempo virgiliano tempo oraziano. Il mio il tuo
tempo, che dell’eternità ci regala l’attimo, infinito presente in cui siamo ciò
che mai siamo stati e mai più saremo.
In ogni attimo l’Io nella sua pienezza di ESSERE in
quell’istante.
Pure, il tempo ha passi di viandante a percorrere strade e
vie e sentieri tra case addormentate e un risveglio d’alba che sa l’aurora e
preannuncia il giorno.
Lascia orme sui percorsi innevati dei monti, e passi incauti
tra campi di ulivi alla collina. E tralci di viti ubriachi di sole. E vino nei
calici dei giorni della festa e dei sorrisi.
Ha un incedere attento tra l’erba dei prati e lucertole e
sassi di ogni possibile inciampo. Ride di buonumore al rosso portafortuna
delle coccinelle dai sette punti neri che fanno eleganza e tanta allegria.
S’annida nella casa, tra serti di braccia di chi si ama, e
spine dolenti di chi si odia e nasconde coltelli in sotterranei anfratti del
cuore. E si sgomenta di tristezza.
Il tempo, accogliente o diffidente, incontra gente amica o
sconosciuta, si gira indietro al richiamo nostalgico del pianto dell’amato
perduto o del sogno irrealizzato.
Segue un destino di mete e di realtà sognate e spesso
vanificate dall’inganno di un miraggio nel deserto dell’anima in disuso e
prigioniera di rancori mai spenti, che ravvisano un nemico nello straniero
della porta accanto. E lo straniero guarda cupo il traguardo azzerato, la casa
abbandonata, la terra, la culla… e il miraggio della “terra promessa”, luogo
d’incanto per bellezza forza lavoro e libertà.
Vola il tempo sulla disperazione e il rimpianto, sul pianto
che fora l’azzurro per raggiungere il Cielo a ritrovare una voce che non ha più
voce…
Vola tra aerei e aquiloni e stelle e pianeti. Gira intorno
al sole e s’incanta di luna. Sfiora universi e galassie e dubita di misteri
gravitazionali e quantici, che poi accoglie per farsene una ragione.
Precipita in buchi neri dell’umana esistenza: Pandemie e
virus mortali. Guerre e distruzioni. Perdite e lutti. Pianti irrefrenabili o
silenziosi. Muto vero Dolore e falso dolore urlato, esibito. Solitudini
obbligate oppure scelte in libertà. Tempo strangolato.
S’impiglia tra le antenne sui tetti delle case e s’aggrappa
alle code degli uccelli in migrazione.
Pigola tra passeri e pulcini e chiude gli occhi al canto del
gallo e al terzo tradimento. Svetta sul volo dispiegato di falchi e poiane, e
canta tra le ali della paradisea e dell’airone. S’incanta all’assolo
dell’usignolo e al garrire in coro delle rondini in festanti voli.
Plana lento sul grido strozzato dei gabbiani, e si tuffa
negli oceani da cui ebbero origine i mari.
Naviga tra lo scintillio di acque calme a specchiare zaffiri
e smeraldi e diamanti di cielo e s’infuria tra i marosi in tempesta e gli
scogli appuntiti di ogni rimpianto. Di ogni vana gelosia all’invidia malcelata
per chi arriva prima e alza il trofeo della vittoria al Cielo per ringraziarLo
dei doni ricevuti e meritati. Freme di sdegno per chi non si arrende
all’evidenza e per la sua arroganza e falsa sapienza. Per la sua follia di
essere al di sopra delle parti. Per la sua inevitabile solitudine.
E conosce il segreto delle maree e dei lupi mannari che
ululano agli occhi stupiti della signora del firmamento, oscurandone l’incanto.
Ascolta con le barche addormentate la nenia della risacca
contro vento.
S’inerpica sui pensieri che dondolano d’altalene tra gli
alberi spogli e quelli in fiore. Rischia gli abissi tra fondali insondati di
coralli e velieri e tesori nascosti in galeoni affondati, depredati e distrutti
dalla mano rapace dell’uomo che non teme coscienza e sapienza dell’eterno
andare per scoprire e conoscere.
Prega tra le mani del Cristo degli abissi e s’inabissa tra
tormenti e trasalimenti, tra schianti dell’anima alla deriva di ogni perché.
Risorge sulla schiena inarcata dei delfini e medita tra
guglie di cattedrali gotiche e s’insuperbisce di castelli federiciani (e non),
e archi di trionfo d’antico splendore.
Versa lacrime lungo i muri del pianto e rinasce negli occhi
immensi dei bambini alla prima fiaba, al primo gioco con le manine, al primo sguardo
della mamma, al primo germoglio in fiore che annuncia il risveglio nel pudore
rosato di mandorli e ciliegi, baciati dalla primavera (Neruda). E s’innamora di
un canto d’amore. Di una serenata ormai dimenticata e lontana nel tempo che non
perdona.
Si colma di sole nei secchielli di sabbia tra mani bambine e
sogni di barche addormentate nei porti, che sentono la tristezza della
solitudine del faro e lo schianto dei gommoni alla deriva di una estate che
ignora storie di fughe e di fame di guerre e di abbandoni sulla pelle
abbronzata dei turisti multimiliardari e le loro arroganti imbarcazioni. Segue
la meraviglia dei velieri e le regate di vinti e vincitori.
Piange con le piogge di settembre e s’infilza sulle cime
acuminate dei cipressi che vegliano urne di morti abbandonate o protette da
crisantemi e cespugli di rose.
Sorride alla stella cometa che sfida il gelo e indica agli
“uomini di buona volontà” la meta e la divina culla. La Rinascita e la
Speranza. La ciclicità della vita e le stagioni. La lunghissima retta di lunghi
anni contati in secoli e millenni. La rivincita dell’uomo che si eterna.
Dove c’è un bambino c’è una fogliolina verde che fremita di
futuro…
Il futuro, un eterno ritorno! Per ritrovare il senso della
nascita e le radici. Il senso della morte e della sacralità di ogni sguardo
verticale. Di ogni “muro d’ombra” attraversato.
Passano gli anni e le stagioni. E dei mortali gli amori e le
generazioni.
Passano o restano nella memoria del mondo e dell’acqua che
la conserva nel suo eterno scorrere e divenire?
Immortale resta il tempo che si eterna nella Volontà di una
Energia d’Amore che lega i sottilissimi fili dell’ordito e della trama di
ciascuna Creatura in forte attrazione, e connette ogni particella del Creato al
suo Creatore. Che sa l’aurora e il tramonto, lo spuntare del filo d’erba e il
maturare del frutto, lo scorrere dei fiumi e il disgelo delle nevi. Il tempo
giusto di ogni accadimento. La perfezione di ogni creatura nella sua stessa
imperfezione e contraddizione. In ogni disgiunzione. Nell’incanto di ogni
possibile nuova congiunzione.
E vigila sul buio della notte accendendo sogni come stelle
sul misterioso canto della Vita…
E, nel buio di ogni notte, ecco accendersi nella nostra
mente la memoria, che fa a gara col tempo e lo vince. E, questo
nostro tempo, è tempo di memoria più che mai. Ma è tempo di
canto, incanto, disincanto. Anche le poesie raccontano il tempo e l’anima.
L’anima ancora stanca
Questo ottobre così difficile
da vivere mi stanca.
Stanca della doppia faccia
della luna.
Stanca della doppia ansa
del fiume.
Stanca di me con l’anima
agli occhi.
A doppia mandata le tante realtà
da dover vivere
senza mai una chiave di verità.
E ottobre sta per consegnarsi
a novembre in un silenzio
d’attesa.
(fuori fragore di gente
violenta rabbiosa divisa
che sa fare solo rumore
senza
stancarsi mai…)
nel cielo d’ottobre
è un languido rincorrersi di stelle
questo cielo frantumato di sole
che ha onde sfinite
nel languore di un ottobre
che piange di ruggine foglie gialle
e ali di colombini
che da solitudini terrestri
cercano un volo breve
tra i rami del giardino.
Sogno un autunno visionario
che mi danzi nell’anima:
la fanciulla dal bianco cappello
ha fiori rossi intrecciati sulla tesa
e lunghi sogni imbrigliati
tra i capelli d’oro e di seta.
Buffo il cagnolino biondo
morbido tra le braccia ansiose
della padroncina nell’azzurrità
che fremita di passate primavere
e sogna quelle che verranno
se le saranno concesse.
E intanto incalza l’autunno
(io smemoro pensieri
che non vogliono pensare)
I corvi neri di fine ottobre
Dai corvi neri dei
pensieri
mi libero con dita d’acciaio
che scavano versi nel sangue
dei ricordi e li scaraventano via.
Non ti fermare al mio sorriso
arcobaleno che si rifrange
nel mare dei sogni inascoltati
è un vizio che non m’abbandona
da quando bambina
assordavo le stelle con la risata
del mio dolore.
E cantavo oh quanto cantavo
con labbra di papaveri e ciliegi
e zucchero filato per addolcire
il fiele di ogni distacco.
L’assenza.
E spianare la ruga
della malinconia mia identità
mai perduta
neppure ora che è tempo di castagne
rovi e frutti di bosco blu come le more.
Oggi che i vuoti sono squarci
nel lacerato vestito della festa.
(Lasciami il sorriso di un rattoppo
a fingermi un ricamo d’erba…)
2 novembre
... schegge taglienti
di ricordi a ferire il cuore
che più non ha riparo,
stanco di lottare col quotidiano
dolore del mondo alla deriva.
Ma nel giardino sorridono rose
prima che il buio vinca la sera.
E voi mi venite incontro
come allora quando le parole
sostituivano carezze e silenzi
e si facevano richiamo d’amore.
Voci di fiabe, preghiere e lumini accesi
oggi dimenticati…
Voci a ricordarmi parole antiche
e nuove e mai poche mai tante:
Siete con me. In me. Ci siete.
(accorrete come sempre lievi,
con passi e braccia e mani
a
soccorrermi,
di anno in anno più numerosi e vicini.
Più
vicini ai miei anni
prima che mi sorprenda, muta di carezze
e fiaccole accese,
la
notte
chiusa nel palmo della mano
ad
un passo dal Cielo)
A domani. E chiedo scusa a chi si è annoiato per i miei
svolazzi lirici sul tempo. Forse solo perdita di tempo…
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