venerdì 6 ottobre 2023

venerdì 6 ottobre 2023: Dragan Mraovic e la poesia dei ROM (seconda parte)

 LA POESIA DEI ROM
L’arte scritta dei Rom è di data recente, afferma Rajko Djuric, un Rom serbo e noto professore universitario, scrittore, giornalista e poeta. È vero che sono noti i balli, le canzoni e la musica dei Rom, cioè tutto quello che questo po­polo ha portato dall’India e, attraversando i territori e le varie culture, ha conservato fino ad oggi. Però, è pure vero che le loro condizioni di vita rendevano pressoché impossibile la creazione di qualche cosa di stabile e nuovo. Perseguitati da secoli da quel crudele pregiudizio che spesso, lungo la loro strada faticosa, prendeva la forma della morte, i Rom, un popolo “senza casa e senza tomba”, non avevano che una domanda da porsi: come re­sistere e sopravvivere?
Rajko Djuric espone in breve la nascita dell’arte dei Rom e di conseguenza della loro poesia: “I Rom sono sopravvissuti a tante persecuzioni ed ai campi di concentramento. Rimasti in pace hanno cominciato a riflettere sulla vita con una visione proiettata di più nel futuro, e di conse­guenza nascevano i primi artisti Rom — poeti, grafici, scultori, registi teatrali ed attori. Ancora nel secolo scorso era noto Adam Tikno il quale si può considerare il padre della poesia dei Rom e dopo di lui è nato tutto un gruppo dei poeti Rom della Russia: Ales­sandro Germano, partecipe della Rivoluzione d’Ottobre, Nina Alek­sandrovna Dudarova, Mihail Bezlidski, Nikolaj Aleksandrovic Pan­kov, redattore del giornale “Nevo Rom”, sua moglie Olga, poi Ni­kolaj Satkevic, e dopo di loro Ujko Mazuro e soprattutto Aleksander Belugin, il quale pubblica la sua poesia con il nome Rom Leksa Manus. All’inizio degli anni Cinquanta del ventesimo secolo, emerse la figura di Branislava Vajs- Papusa. Era il primo poeta i cui versi furono pubblicati in Polo­nia nella lingua dei Rom. La silloge fu stampata nel 1956 con il titolo Popusakre giìa (Piesni Papuszy - Le poesie di Papusa) corre­data dalla prefazione del poeta e storico della cultura dei Rom, Jirzi Picovski. Sono noti anche Katarina Tajkon che viveva e scriveva in Svezia, a Stoccolma, e Mateo Maksimov, romanziere che viveva a Parigi. Il suo romanzo Ursitori è stato tra­dotto in varie lingue. Tra i poeti Rom in Francia la più nota era la poetessa Sandra Jajat. Un grande successo è stato ottenuto dal Romanzo Kerko thuv (Fumo amaro) di Menjahert Lakatos di Budapest, la città dove vivevano molti poeti Rom e tra i più noti sono Jozef Darosi-Coli e Ervin Kersai. In Cecoslovacchia sono apparsi molti poeti Rom. Citiamo in questa occasione Ondrej Pesta, Bartolomej Danijel, Tera Fabia - nova, Frantisek Demetri, Elena Lackova, Vojteh Fabijan e Dezider Bang. Le prime sillogi di poesie dei Rom sono spuntate nell’ex Jugoslavia verso la fine degli anni sessanta. Gina Rajcic che scriveva sulla scia della tradizione popolare (e vicino a lei era pure Redzo Osmanovic di Prijedor) era una delle promotrici della poesia dei Rom in Jugoslavia. Ma solo il prof. Slobodan Berberski, uno degli iniziatori del­l’affermazione dei Rom in Jugoslavia, può essere considerato poeta e scrittore nel senso vero della parola. Io, Rajko Djuric, ho pubblicato tre sillogi di poe­sia finora, ma anche libri molto importanti come: Indovinelli, miti, leggende e lingua dei Rom e Zingari, popolo del fuoco e del vento pubblicato dall’Accademia delle Scienze della Serbia e tradotto pure in tedesco. Ho pubblicato pure vari libri sulla cultura e sulla storia dei Rom co­me: Le migrazioni dei Rom e Gli Zingari del mondo. Insieme al noto scrittore jugoslavo Sveta Lukic, ho scritto il dramma La storia della malattia e sono uno degli scenografi del film La casa per l’impiccagione di Emir Kusturica, noto regista jugo­slavo vincitore a Cannes e a Venezia. Jovan Nikolic è un poeta maturo e molto interessante. La sua silloge L’ospite da nessuna parte è uno dei più bei libri di poesia dei Rom. È un poeta che ha da­vanti a sé un futuro promettente e ne è testimone la sua ultima silloge Djurdjevdan. Bisogna pure nominare Kadrija Sainovic-Lika, Demiran Iljazovic, Miroslav Mihailovic, Ali Krasnici, Desanka Ristic e molti altri partecipi alle varie manifestazioni culturali dei Rom in Ser­bia.”
Ma il professore Djuric si riferisce in questa citazione alla letteratura scritta dei Rom, che è di nascita relativamente recente. Esistono, però, anche la cultura e la poesia popolari dei Rom, molto più antiche e trasmesse oralmente, di meravigliosa natura, che regalano metafore che solo il popolo del vento poteva creare.  
 LA POESIA POPOLARE DEGLI ZINGARI
 PREGHIERA
(Molba)
 Nessuno è come te, Signore Dio.
Fai un favore allo Zingaro disgraziato:
Che muoia tutto il mondo,
E tu, Dio, sopravviva.
E poi, sii più saggio
Quando creerai un mondo nuovo.
 LO SPECCHIARSI DI NARCISO
(Ogledanje Narcisa)
 Dio, scendi sulla terra
e guarda questa bellezza.
Io giovane sto tra i mucchi di fieno:
l’oro nero della mia pelle brilla al sole.
Giallo e nero. Bianco e nero.
Guarda, Dio, e inchinati davanti a me.
Alzato di buon’ora mi affretto dalla mia fidanzata.
Sposerò la più bella la più nera.
Guarda, Dio, e inchinati davanti a me.
 PROMESSA
(Obećanje)
 Distendi, madre, il tuo grembiale largo
e tirami fuori dal carcere di Lepoglava.
Tuo figlio è legato da minute catene.
Non dorme per tutta la notte.
Ahimè, Dio, fai una grazia,
aprici questa porta pesante.
Se esco vivo,
costruirò nel bosco:
una tenda fatta di sacchi,
con fili d’oro,
con il tappeto in argento,
con il comignolo di rame rosso,
con i paletti di stagno
e con le cordicine di filo di seta.
 DIO E PRIGIONIA
(Bog i robija)
 Libera, Dio, la tua grande potenza,
angeli alati e santi baffuti,
armali con il tuono e con la spada di fuoco
e dai alla loro guida le chiavi di tutti i lucchetti.
Sono in prigione ormai da dieci anni.
Manda il sole a fondere le mie catene.
Voglio tornare dai miei figli.
E a te, Dio, voglio accendere una candela.
Manda l’armata celeste.
Suvvia, per te è un’inezia.
Ti accenderò due candele nella chiesa.
Manda l’armata celeste e i generali.
E salvami da questa prigionia!
Suvvia, per te è un’inezia.
Accenderò tre candele nella chiesa,
davanti all’altare.
Manda gli aiuti, salvami dalla prigionia!
 LA BELLA
(Lepotica)
 Buon giorno, bella!
Un biglietto da mille è poco per il tuo occhio.
Per il tuo seno camminerò a piedi per dieci anni.
Per le tue labbra dimenticherò di parlare.
Per i tuoi fianchi ti regalo la prigionia.
Buon giorno, bella!
Monta a cavallo verde e corri al galoppo.
Io ti aspetto nel bosco.
Con tanti bambini non ancora nati.
Con gli usignoli e il giacinto,
con un letto fatto del mio corpo,
con un cuscino fatto dalla mia spalla.
Buon giorno, bella!
Se non vieni, toglierò il coltello dal pane,
pulirò le briciole,
e ti pugnalerò dritto nel cuore.
Sono Poesie ricche di forti temi e forti contrasti, espressi con immagini di una religiosità assoluta e di una tenerezza che ci toglie il fiato. E Dragan ne ha fatto un capolavoro con la sua traduzione perfetta e il suo grande amore per gli zingari e per l’Italia.
Dragan, un carissimo comune amico, Gino Locaputo, impossibilitato per motivi di salute a scriverti, come avrebbe voluto, per un ultimo abbraccio, mi ha pregato di riportare da p.21 del suo libro “nei tuoi occhi… le parole diventano pietra” (SECOP edizioni, 2006, in italiano e in arabo) una poesia tenerissima a te dedicata
“Verso Belgrado” (ottobre 2001). È purtroppo molto lunga, per cui sono costretta a prendere degli stralci tra i più significativi. Spero di non tradire i meravigliosi versi di Gino, il suo affettuoso intento:
 “Come sono grandi i gabbiani
sul Danubio…
Belgrado è come una ferita
che guarisce nei sogni
con l’oro nei capelli delle donne
(…)
il fiume scorre taciturno
e culla i miei pensieri
mentre i Beatles cantano
e la fisarmonica di Dejan
disegna il volto di un bambino serbo…
(…)
alzo lo sguardo al cielo
Sania mi chiede dove si poggeranno
gli uccelli stanchi e offesi?
La torre non c’è più…
(…)
Giocano i bimbi nelle
strade del cielo
qui a Belgrado…
Ed entro nel respiro interiore
di te, Belgrado
nel respiro del tuo ventre
nei lampi di fuoco di Tomislav
nella foto della memoria
dei tuoi occhi Dragan
come un calice dell’universo
dove il mio sapere beve poesie
e mi commuovono i canti
(…)
La luna cala e l’aria si rattrista
Mira dice che la felicità
si può spremere
con chicchi d’uva
(…)
Ti lascio Belgrado
 Vado verso il mare per
il mio lento ritorno a casa.
Sul silenzio di rocce desolate
il vuoto torna si dilegua la luna
e ti ricordo ancora Belgrado
mentre l’alba spunta”.
È l’arrivederci tristissimo di Gino a Dragan, “mentre l’alba spunta”. C’è sempre un’alba dopo il buio delle ore più buie.  Gino lo sa. Lo sappiamo. E con l’alba manda il suo abbraccio commosso verso il cielo di tutte le stelle, punti luminosi di mai spenta Poesia. Lina
 
 

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