Ho trascorso una domenica di insolito sole di fine ottobre in casa con mio nipote, Nicola, mio angelo protettore. Gli altri di casa, con parenti e amici al seguito, giovani e meno giovani, ma non anziani, né tantomeno vecchi e disabili come me, sono andati al “Bosco rosso” a raccogliere le castagne. Impresa che in passato condividevo con gioia, pur restando al riparo della roulotte e relativa tenda, essendo il terreno perlopiù scosceso e impraticabile per chi non ha buone gambe. Ho lavorato tanto al computer: scritto, corretto, fatto sinossi, inviato. Il buio è sopraggiunto d’improvviso a causa dell’ora solare che stamattina ha sostituito l’ora legale. E allora ho pensato nel buio di questi giorni bui, con l’ansia che ci strangola e ci annichilisce, di riportare una storia che ci restituisca cinque minuti (il tempo di una rapida lettura) di “strana felicità”.
UNA
STRANA FELICITA’
Li
ho incontrati un giorno di primavera nel parco del mio paese. Mi colpirono
immediatamente per il loro abbigliamento a dir poco molto strano.
Lei
indossava una gonna a campana, con grossi cuori rossi disegnati, una camicetta
rosso fuoco con maniche a palloncino e fiocchetti colorati, e scarpe
particolari, simili a quelle che un tempo noi ragazze definivamo
“all’olandesina”, con un briciolo d’ironia nella voce: erano sicuramente
confezionate a mano, forse all’uncinetto, e riproducevano, in colori assortiti,
rose e margheritine, davvero deliziose a guardarsi, ma improponibili da
indossare. Tra i capelli aveva una margheritina gialla, che si manteneva dritta
e alta, direi fiera, perché fatta evidentemente dello stesso materiale e confezionata
alla stessa maniera delle scarpe.
Completava il tutto un intrepido ombrellino rosso, con cuoricini
disseminati qua e là: rideva al sole e tremolava molto voluttuosamente al lieve
refolo primaverile in un gioco delizioso, che coinvolgeva anche i lembi della
gonna sollevati, maliziosamente, con molta innocenza.
Lui
indossava pantaloni bianchi, larghi e piuttosto corti, rispetto alle lunghe
gambe, con l’arricciatura in vita, proprio come quelli di Charlot. Sopra ai
pantaloni sfolgorava una camicia a quadri bianca e rosa, coperta per buona
parte da un gilet pure rosa. Portava lo stesso fiore di lei, infilato nel
taschino del gilet, e un fazzoletto rosso legato al collo. In testa un bizzarro
cappello a cloche, che lo rendeva ridicolo e interessante (affascinante?), allo
stesso tempo. In mano uno zufolo che ogni tanto metteva tra le labbra per
trarne suoni tristi e nostalgici o pazzamente allegri, indirizzati a lei, che
teneva per mano o raccoglieva tra le braccia, circondandole il vitino di vespa
tanto anni ‘50.
Anacronistici
e stravaganti, si parlavano fittamente, ridendo e accarezzandosi, non curandosi
minimamente del mondo circostante. Sembrava che camminassero su una nuvoletta
rosa o, a tratti, su un arcobaleno, tanto colorati erano i loro vestiti, tanti
erano i saltelli, le piroette e i voli che facevano tra una risata e l’altra,
tra una carezza e il fiume di parole che li attraversava. Fiori cappello e
ombrellino oscillavano scintillanti al sole e sognavano con loro.
Incuriosita,
mi avvicinai per ascoltare le loro parole, che sicuramente dovevano provenire
da qualche galassia sconosciuta. Ed era proprio così.
Lei
parlava della inesistente pioggia che le stava facendo un dispetto perché le
stava cancellando tutti i cuoricini, che ora, tutti bagnati, si erano messi a
piangere e si erano nascosti nelle aiuole.
Lui
la stava consolando dicendole: - Ma non vedi, fiorellino mio, che si sono nascosti
tra i rami degli alberi? Comunque, non ti preoccupare, adesso mi metto a
suonare “il richiamo degli uccelli” e vedrai che subito tanti uccellini, che
sono tutti amici miei, voleranno sui rami e ti riporteranno i cuoricini. Così
potrai di nuovo cucirli sul tuo ombrellino…
-
Ma come faccio se il vento mi ha pure rubato il filo, e l’ago è rimasto
nascosto nel pagliaio?
-
Non ti addolorare, piccina mia disperata, adesso diciamo ai miei uccellini di
andare nel pagliaio a cercarti l’ago. Loro lo troveranno in quattro e
quattr’otto…
-
Sì, ma il filo, dove lo prendo il filo?
-
Piccola tenerezza mia, segui il filo delle nostre parole e, quando ti accorgi
che ti avanza, allora lo potrai spezzare e potrai usarlo per cucire gli
uccellini sul tuo ombrellino…
-
Ma che dici, Zipezap? Sono cuoricini non uccellini. Perché mi dici le bugie?
-
Mandorlina mia, non ti dico mai le bugie, perché dovrei dirtele se tu, poi,
parli di notte con le stelle e quelle ti dicono sempre la verità? Quante volte
non mi hai creduto e le stelle ti hanno detto che avevo detto la verità?
-
Sì, ma pure quelle sono bugiarde qualche volta perché vogliono farmi
arrabbiare. E non sanno che io non mi arrabbio perché ho te che le spegni
quando mi dicono le bugie…
-
Hai visto, birichina mia, che troviamo sempre il modo di essere felici noi due
perché sappiamo come va il mondo e sappiamo pure farlo girare a rovescio… Non
vedi come sono infelici gli altri che vogliono per forza farlo girare in una
direzione sola?
-Sì,
Zipezap, tu hai ragione, ma io non so degli altri come fanno a vivere senza
felicità, so solo che se mi mancano i cuoricini pure io sono infelice. Ed io
non so vivere senza felicità. Dai, suona, così vengono i tuoi uccellini e mi
portano i miei cuoricini. Non vedi che non piove più e il mio ombrellino sta
strappando alla gonna i cuori che gli mancano perché così, dice, non può andare
in giro?
-
Senti, Mandorlina, non sopporto di vederti così triste. Facciamo una cosa:
invece di aspettare gli uccellini e tutto il resto, andiamo noi a cercare
questi benedetti cuoricini, che, se fossero stati più attenti a tenersi belli
stretti fra loro, non si sarebbero fatti sparpagliare da un venticello
qualsiasi. Anzi, sai che ti dico? Approfittiamo proprio di questo ladruncolo,
che ti sta facendo dispetti da un bel pezzo, giocando pure con la tua gonna e
credendo di farla franca perché pensa che io non me ne accorga dei suoi
maldestri e meschini tentativi di sedurti, e voliamo a cercare tra gli alberi,
in cielo, se proprio sono andati a nascondersi dietro il sole o tra le nuvole.
Dai, dammi la mano. Vedi come è facile volare? E al vento diamo pure una bella
lezione. Sai la fatica che deve fare per spingerci così in alto?
Mandorlina
sorrise felice al suo Zipezap e gli diede la mano.
Giuro
che li ho visti volare.
E
anche per oggi chiudo qui, ma rinfranchiamoci a seguire il loro tenerissimo,
folle, salvifico volo…
Cara Angela, sei una persona speciale, che riesce sempre a sorprendermi. Questo racconto tra sogno e realtà, tra nostalgie del passato e incursioni nel triste momento in cui viviamo (e in cui vivranno i nostri amatissimi nipoti) mi lega a te con gioia vera, anche se siamo lontane.
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