<1976. E l’anno dopo ecco ancora una nascita nella mia casa: Daniela, la mia ultima nata. Salmone contro corrente a risalire fiumi di stanca nostalgia perché la vita fosse ancora nascita e rinascita dopo la perdita del quarto “bambino mai nato” e tanto difeso e tanto amato. Daniela, occhi di stelle fiorite con il “paggeggino” a portarla a lungo per il lungo corridoio e per le stanze. Nacque di notte, mentre correggevo temi da consegnare e mamma a sorprendersi e a rimproverarmi: “Ma come fai a scrivere con le doglie!?! Non ho mai visto una cosa del genere. Mettiti a letto. Riserva le energie per i dolori e per le spinte. Pensa al bambino che sta per nascere”. Completai l’ultimo tema che consegnai a Primo (per l’esame scritto del Concorso, che si sarebbe tenuto alcuni giorni dopo, per il reclutamento di nuovi insegnanti nella scuola) e mi predisposi al parto. Era mezzanotte. Primo andò via. Mamma mi seguì, con l’ostetrica che aveva fatto nascere anche i miei primi tre bambini. Durante le spinte, mamma spingeva più di me sui miei omeri nel tentativo di aiutarmi, quasi volesse sostituirsi al mio travaglio. E così anche per la respirazione “a cane”. Ma il risultato era disastroso. Non riuscivo a concentrarmi e ci perdevamo in inevitabili risate per tanto inutile sforzo. Le stesse risate che ci videro complici di felicità quando mi nacque Raffaella tra scoppi di risa e l’inevitabile dubbio materno: “Ma sei sicura che stai per partorire? Non sono questi i dolori del parto, devono venire quelli più forti… non è che ce ne dobbiamo tornare a casa?”...
“Signora,
il bambino sta già per nascere è solo questione di pochi minuti”… In realtà, Daniela provvide da sola a venire
al mondo subito dopo la mezzanotte e… appena mi vide, non finì di seguirmi con
lo sguardo, qualsiasi movimento facessi. Forse era curiosa di conoscermi dopo
aver ascoltato per nove mesi la mia voce che parlava parlava parlava, anche e soprattutto
di bambini da scoprire conoscere ascoltare amare (‘ma chi sarà questa pazza forsennata
che si riempie e mi riempie di parole? parla parla parla sempre di bambini da
amare di scuola di insegnanti e si dimentica completamente di me che le abito
sotto il cuore’). Fatto sta che prese subito a
guardarmi. Ed io mi sentivo seguita, osservata, studiata. Divenne ben presto
anche lei la leggenda della clinica. Avevo partorito una bambina bellissima che
seguiva con gli occhi sua madre fin dal suo primo alito di vita. Anche i medici
rimasero stupiti. Solo due giorni dopo tornai a casa,
dove i nonni paterni si stavano prendendo cura di tutti gli altri. Per
aiutarmi, rimasero con noi per circa un mese. Con premure e cure materne e
paterne, che non ho mai dimenticato. Daniela venne a consolarmi di un altro
lungo periodo di lavoro, stanchezza, lacrime, incomprensioni (…). Sì,
fu la mia rinascita e la mia consolazione, come ben sai, mio adorato papà.
Anche lei bambina di precoci parole: a nove mesi, mentre il medico del Comune,
le praticava una vaccinazione con una iniezione, lei si girò di scatto al
dolore della puntura e infuriata chiese: “chi è?”, e scoppiò in lacrime. Io e
il medico rimanemmo senza parole. Chiedendoci con gli occhi che
materializzavano un’aliena “discesa in terra a miracolo mostrare”: “ma siamo
sicuri di aver sentito bene?”. Poi, come se non bastasse, anche se tutto sembrò
rientrare nella norma, alcuni disguidi linguistici continuarono, a nostro uso e
consumo, a sorprenderci, a regalarci un buonumore da lungo tempo latitante e
silenzioso nella nostra casa. Io: “di’ con me: casa” = “tasa”… “cane” = “tane”…
“cubo” = “tubo”... “cosa” = “tosa”. E suo padre: “di’ con me culo” e lei subito
in una esaltazione liberatoria: “culo!”.
Daniela mobilitò tutta la famiglia col
suo caratterino forte/fragile e impositivo. Ore ed ore di passeggiate nel
“paggeggino” lungo il lungo corridoio nella nostra casa per soddisfare il suo
capriccio di andare a “paggeggio” anche in casa senza muovere un passo. Alla
guida si alternavano, non senza riluttanza e proteste, le sorelle maggiori.
Solo Giuliano si rifiutava categoricamente di fare da bambinaio a quella
piccola peste sbucata chissà da dove per creare scompiglio in una casa già affollata
di troppi bambini, e trovava repentino rifugio nella sua cameretta, che
pullulava di figurine dei calciatori (“Panini”) e innumerevoli “chianelle” (i
tappi a corona di bottiglia), infilate dappertutto. I suoi tanto amati
videogiochi erano di là da venire.
E, a proposito di Giuliano, ecco
tornarmi alla mente un episodio simpatico ma non troppo, accaduto sempre in una
delle periodiche obbligatorie visite nell’ambulatorio del Comune per le
vaccinazioni.
Ci
incontrammo io e un’altra mamma con i nostri rispettivi bambini nelle
rispettive carrozzine. Ebbene, Giuliano si portava a spasso la sua testa
leonina, che mi aveva procurato, per ben tre mesi, una brutta “artrosi da
parto”, mentre l’altro bambino esibiva, suo malgrado, una testolina striminzita
che, a mala pena, emergeva tra i lenzuolini della carrozzina. Entrambe noi
mamme fummo prese, di primo acchito, da atroce dubbio: ‘quale dei due presenta
una testa normale?’. Erano entrambi una esagerazione nell’uno e nell’altro
senso. Stemmo tutto il tempo a guardare le teste dei nostri figli in silenzio,
senza avere il coraggio di esternare il nostro pensiero con la scontata,
evidente, conclusione. Che mi permise, a casa, di fare le mie considerazioni,
mimandole, per ridere di cuore tutti quanti insieme. (E tu a ridere con noi).
Daniela smise di pretendere che “la
paggeggiassero” che aveva oltre cinque anni. Aveva quattro anni e, in vacanza sui monti della Maiella, dove incontrò
nel cameriere Biagio il primo amore della sua vita, ebbe la forza testarda e
impavida di rimanere ferma nel suo passeggino, dopo il nostro rifiuto di
portarla a spasso come una bimba di pochi mesi e il nostro apparente
allontanarci per sostare in realtà dietro l’angolo della via allo scopo di
sollecitarla a seguirci. Dopo un bel po’ di clessidre girate e rivoltate, fummo
costretti noi a cedere, sconfitti, e a tornare sui nostri passi per
recuperarla: statua di granitica volontà a non lasciarsi scalfire dalla
sindrome di Pollicino che non era neppure per sbaglio nei suoi pensieri. Fu
la chiara rivelazione di una personalità forte e determinata, di innumerevoli
fragilità nascoste e via via superate con la sola forza della sua volontà a
superarsi sempre e comunque. E a poco più di sette anni mi regalò la sua prima
poesia a farci scoppiare di tenerezza e di risate. Piccolo pensierino per mamma
da Daniela: a colazione non mangio/ perché
penso a te/ a pranzo non mangio/ perché penso a te/ a cena non mangio/ perché
penso a te/ la notte non dormo/ perché… penso a mangiare… Danielina tua
<3 <3 <3…
Più tardi, verso i suoi dodici-tredici
anni, impastati di pigrizia, io le lanciavo il mio appello disperato sotto
forma di filastrocca, imparata a scuola forse tra i monti della Daunia o,
prima, dalle suore, e che da lei veniva bellamente ignorata: “La pigrizia andò al mercato/ ed un cavolo
comprò/ mezzogiorno era suonato/ quando a casa ella tornò./ Prese l’acqua e
accese il fuoco/ ed intanto riposò,/ mentre il sole a poco a poco/ dietro i
monti tramontò”…
Solo
quando andò via, a diciannove anni, lo fece prontamente e con determinazione,
superando ogni indugio ed io, guardandola col tremore che solo le mamme hanno
quando vedono andare lontano quel puntino luminoso, che si è sganciato dalle
loro braccia sicure, pensai tra le lacrime, per darmi una speranza e un tono: ‘io e te gireremo il mondo insieme e tu mi
farai da guida e da sostegno e io ti farò compagnia per non farti andare via
mai da sola… mi troverai sempre dietro l’angolo con una valigia piena d’amore per
non lasciarti con il cuore vuoto di me…’. Proposito diventato, poi, il mio
pensiero quotidiano, rivolto a lei e agli altri miei due figli (dei quattro e
mezzo) andati via, in una sorta di sogno o di utopia, quando ho registrato che
non sarebbero più tornati… (Ancora oggi vado io a trovarli, almeno un paio di
volte all’anno, con i miei acciacchi in crescendo e con la stessa valigia,
ormai invecchiata con me, ma, come me, ancora pronta a sfidare distanze col suo
segreto, ma non troppo, contenuto. Altrimenti non partirei!). E tu a farmi
compagnia. A consolarmi, con la tua presenza, della loro assenza. Ancora oggi
Daniela ama dedicarmi canzoni, mandarmi lettere e poesie. E la mia silenziosa
promessa di andare insieme in giro per il mondo solo qualche volta si è fatta
realtà. Va spesso da sola per il mondo, inseguita silenziosamente dal mio
amore.
Vorrei puntualizzare che Daniela non ama solo viaggiare, ama anche, come tutti noi di casa, scrivere. Già da ragazzina ha scritto intensi e originali racconti, che feci pubblicare come dono per i suoi diciotto anni. Poi, aveva cominciato a scrivere con suo padre un romanzo a quattro mani, molto particolare, ormai interrotto. E io continuo a sollecitarla perché riprenda a dipanarlo con l’assenza/presenza di chi non può più fisicamente condividerne la scrittura. Sdoppiandosi e ricomponendosi in una unità che possa racchiudere il respiro di suo padre e il rimpianto di lei, sua figlia, che un po’ di anni fa ha scritto per lui “darei nove anni della mia vita per vivere anche un minuto del tuo ultimo giorno”. Non sempre, del resto, la morte delle persone amate ci distrugge, come era capitato a me dopo la tua perdita, spesso ricompone i fili scompaginati della nostra esistenza. (…). Oggi Daniela sta attraversando un periodo difficile tra mille impegni di lavoro: laureata in Grafologia con specializzazione in Criminologia è di fatto impossibilitata a svolgere una professione, per cui ha acquisito tante competenze, a causa di ostacoli indipendenti dalla sua volontà. Lavora in una grossa Ditta aziendale con gravosi impegni che non le consentono tempo libero e serenità, a cui si aggiungono anni di solitudine subìta e cercata, per via di un amore che le ha lasciato amarezza, diffidenza, disincanto. Ha, però, una deliziosa casetta tutta sua. Si districa, come già detto, in varie attività professionali che l’affaticano, ma le procurano anche notevoli soddisfazioni. Vorrebbe una situazione più stabile e sicura in tanta precarietà. E io sono fiduciosa. “La vita è una ruota”, dicevate tu e la nonna per rincuorarvi e rincuorarci nei momenti bui della vostra e nostra non sempre facile esistenza (non sempre si può stare in alto non sempre in basso la ruota gira). Sì, girerà anche per lei. Ne sono certa. La vita distribuisce gioie e dolori. Occorre resistere. Non mollare mai. Andare avanti. Anche lei, come tutti noi che amiamo visceralmente gli animali domestici, ha un gatto tenerissimo e tremebondo, sempre in ansia per qualche catastrofe che non sa dire e non saprebbe scongiurare. È Zaghiro (o Zaghi) ora a farle compagnia e a movimentare le sue notti. Gli animali domestici, del resto, trovano tra molti giovani, oggi, braccia d’amore ad accoglierli per ovviare anche ai bambini che non vogliono o non possono cullare per via di un mondo sempre più precario e complesso, violento e disumano che fa paura. E, anche se questo non lascia molti margini alla speranza, può darsi che offra qualche appiglio alla evoluzione positiva della società. Tra tante brutture e cattiverie spiragli di luce. E proprio Daniela, proprio lei, che ora ha bisogno di carezze materne, mi ha fatto ancora una volta un dono dolcissimo: mi ha dedicato “La cura”, una canzone meravigliosa di Franco Battiato.
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E anche per oggi queste pagine si concludono qui. Nella speranza di aver regalato a tutti noi un po’ di sorriso e tanta voglia di andare avanti senza mai “perdere la capacità di sognare”. Di donare un po’ di noi agli altri… A presto. Lina
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