Oggi si venera una Santa molto cara al mio cuore: Santa Rita da Cascia. La “Santa dei casi impossibili”. La madre di mio nonno si chiamava Rita e questo me l’ha resa più familiare da quando ero bambina e andavo al Camposanto con i nonni e ci recavamo sistematicamente nella Cappella della Madonna di Loreto per rivolgerle una preghiera e un saluto. Santa Rita l’ho sempre abbinata alle spine e alle rose: due miracoli straordinari che mi hanno sempre affascinata: il primo riguarda la spina, che volò dalla corona di Cristo per conficcarsi nella sua fronte, come da sua richiesta per condividere in qualche modo le sofferenze del Figlio di Dio, morto sulla Croce per redimere l’intera umanità. Il secondo avvenne sul suo letto di morte, dove quelli che si stavano prendendo cura di Lei poggiarono una rosa appena colta sull’unico ramo fiorito del giardino del monastero, dietro sua richiesta e indicazione, quando era ancora in vita e sentì avvicinarsi l’ora della morte. Io sono stata a Cascia in viaggio di nozze, accompagnata con Primo, da zio Padre Leonardo, di cui ho già parlato. Si era a settembre del 1967 e da Perugia a Cascia fu un viaggio davvero allucinante, tra mille pericolosissimi tornanti che ci sembrarono davvero “impossibili” per la nostra incolumità. Zio Padre Leonardo sorrideva beato e ci incoraggiava, ma noi, al ritorno, giurammo che non saremmo mai più tornati a sfidare la buona sorte. E così fu. Ma io ho avuto sempre un debole per le rose di maggio, comprese le spine, che il nonno aveva la delicatezza, quando ce le porgeva, di togliere dai rami prima che ferissero le nostre mani. Gesto che ho visto fare molto più tardi ad un amico che coltivava le rose nel suo campo. Rose e spine, dunque. E Santa Rita diventa solo un pretesto, ma non troppo. È soprattutto ricordo e nostalgia.
Poi, quante rose e quante spine nella mia vita. Nella vita di tutti. “Se son rose, fioriranno”: un vecchio detto/monito per alleggerire l’esistenza, per non darci pensiero. Forse solo una speranza. “Son tornate a fiorire le rose”: un’attesa appagata. Un sogno di piena primavera che diventa realtà. Avevo una casetta al mare con un minuscolo giardino con i bordi fioriti di roselline tenere, di bisquit, che attendevano la carezza del mio sguardo innamorato. Profumo d’altri tempi. Ma anche oggi ho un giardino che ha un viale di rose: da quelle rosse, profumatissime e splendenti, a quelle blu, insolite e sorprendenti, che rivaleggiano con una collana raso-gola di tante preziose roselline blu che indosso raramente per il timore di sciuparle. La bellezza non va sciupata. E ci sono anche rose più piccole, rampicanti. Ieri sera tra le foglie la prima lucciola ha acceso di sé il giardino e il mio cuore. Sta tornando l’estate. La stagione che mi fa sentire viva. Con il desiderio di rivedere il mare. E gli impossibili percorsi per raggiungerlo che si fanno possibili grazie a mani amorevoli a spingere la mia carrozzella. E oggi la Santa dei casi impossibili me lo ricorda. Niente è impossibile all’amore. Anche l’amore è fatto di rose e di spine. Bisogna avere l’accortezza di esaltarne i boccioli prima che sfioriscano e di eliminare le spine prima che feriscano. Non è facile, ma può accadere. Basta non arrendersi mai e attendere il momento giusto. Né prima né dopo. L’attimo ha il respiro dell’eternità e non ce ne accorgiamo. Anche se tutto scorre “panta rei” in un flusso senza fine.
Un giorno a Parigi lessi su un muro in riva alla
Senna: Pour etre heureux dans la vie/ il faut
simplement laisser venir/ ce qui vient e laisser partir/ ce qui s’en va… (Auteur inconnu): Per essere felice nella
vita/ occorre semplicemente lasciar venire/ ciò che viene e lasciar partire (o
andare)/ quello che se ne va. Mia pessima traduzione. Ma quella frase in riva
al fiume mi fece germogliare, come rosa azzurra cantata da mille archi e
violini, la seguente poesia: Concerto d’archi e bistrot:
Concerto d’archi e bistrot
a Parigi
e un sogno d’acque e di alberi
di foglie e malinconie
lungo il lungofiume e i boulevard
sonnolenti
Al languido lucore di lampade accese
il ferro de La tour Eiffel esplode
cristallo di luce Ed è poesia
quando la notte è un inno ai lampioni
e capovolge il cielo nella Senna
Il fiume scorre e ignora di ponti le
stagioni
che si sfogliano d’ombre e tornano
mai uguali a sé stesse
Mai uguali
- Le temps fait comme
l’eau des torrentes
Il ne revient jamais -
Leggemmo su un muro a Lion
(Parigi già ricordo d’acque e di trine
aveva echi d’improbabile ritorno)
Così gli
asfodeli
sulla fronte degli anni
Ma
ho cantato tanto anche le rose. Non ne potevo fare a meno. Anche queste, non
solo accarezzandole con lo sguardo nel giardino di casa, ma anche in terra straniera
come Belgrado, per decenni mia seconda patria.
Dovidjenja, Beograd
Incendio di rose questo tramonto
con intermittenze d’oro e di blu
sul Danubio sonnolento
che respira con me la sera
e sa la tristezza dei gabbiani,
l’indomita pietra di ponti e palazzi
a fargli da manto e corona.
Altere sentinelle mute
ascoltano parole come voli
e un mescolarsi di voci
tra volti fraterni e stranieri
all’inesausto canto di antichi
amori e rinnovate nostalgie.
Ride Belgrado coi bicchieri
colmi di vino e di canzoni.
Fiera e ferita, ride Belgrado
sotto una luna di panna e mistero
che rischiara un intreccio di mani
al fuoco di vene in danze slave,
sensuali tenere rituali selvagge,
con occhi grandi di nuova pace
e pesanti catene mai dimenticate.
Sapore d’altre rive d’altro rimpianto
dilata l’ansia del dovuto ritorno.
E Belgrado, incendio di rose di spine,
avvolge di braccia calde il nostro
addio
o solo un canto d’arrivederci…
Dovidjenja, Beograd.
Dovidjenja, amici, aquiloni di
giorni
leggeri che già volano via.
(E il filo stretto ancorato
alle dita…
Dovidjenja…)
Le mie rose. Le mie spine.
(aprile 2012)
Un luogo
non è mai solo‘quel’ luogo
quel
luogo siamo un po’ anche noi.
In qualche modo, senza saperlo
ce lo
portavamo dentro e un giorno,
per caso, ci siamo arrivati.
(Antonio Tabucchi)
Barcellona è una festa di libri
e di rose lungo la Rambla
che dal porto sventola bandiere
al cuore della città
San Jordi e la leggenda del drago
dal cui sangue fiorirono rosse rose
per la fanciulla che il cavaliere
salvò
La gente impazza
di musica e d’allegria a Barcellona
Incendi d’amori e di rosse labbra
i balli e le risate ch’esplodono
quasi fuochi d’artificio per le strade
di Gaudì e di Mirò - la loro follia -
Rose rosse di esili steli le ragazze
di spine e profumo
hanno bocche di ciliegie e denti
di neve e rugiada
polpa di pesca i seni da mangiare
e tacchi a spillo su cui navigare
Libri che raccontano storie
d’amore e di morte sono i ragazzi
rose tra le mani e un pizzico
di fortuna negli occhi sfrontati
Cantastorie d’avventure a fumetti
bruciano strade arroventate
di desiderio e zaini sulle spalle
in cerca di sogni
Barcellona sfavillio di pazzi giorni
fanfara di colori giostra di parole
turbinio di strade onde di pietra
la Sagrada Familia stracci di guglie
sospesi agli uncini del cielo
e fiabe nei giardini dove il verde
ha mani d’incontri da vivere in due
(e la nave dei libri chiacchiera
della nostra ansia di tornare ancora)
E
chiudo qui. Per non annoiare chi ha la pazienza di leggere i miei pensieri in
libertà legati a un fil rouge che mi
balena nella mente per un motivo qualsiasi o per un bisogno del cuore ben
preciso. Oggi è stata Santa Rita ad ispirarmi e a ben ragione. Ho una preghiera
da rivolgerle e Lei lo sa. A presto! Angela/lina
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