L’aria è ancora fredda ma al tepore di un raggio di sole, stanco d’inverno, si dischiudono gemme in questo inizio di primavera che ride a metà aprile. E oggi è il compleanno di mio cognato Gianni, amato compagno di Anna Maria. Di entrambi ho parlato a lungo nelle pagine di questo blog. E oggi è proprio a Gianni, uomo di grande umanità e poeta e scrittore di tutto rispetto, che dedico una mia poesia: C’è un soffio di luna/ sfogliato dal vento dell’alba/ a raccontarti dei voli/ che non sai afferrare tra rami/ gemmati di mandorli,/ tetti rosa in campi di spine/ alla tua casa./ Ti salutano tra nuvole testarde/ le ore del nuovo giorno/ che ride d’aprile a segnare/ ottanta primavere,/ tempo condiviso di molte stagioni/ tra dita intrecciate,/ a rinsaldare Amore/ che fu e che sarà all’ombra/ di un canto lontano,/ che vibra di corde d’argento./ Foglie stupite di tenera luce/ che vinse il pianto in petali/ di parole che non osi dire/ per non ferire il rimpianto/ (nostalgia sanguina carezza/d’anima sul volto di bambina/ tenace più del raggio di sole/ a rendere chiaro il cielo)
Ma decisamente più bella, stratosfericamente più intensa è
questa poesia di José Emile Pacheco, intitolata “Preghiera dell’alba”, da L’età
delle tenebre:
Fa miracoli questo albeggiare.
Scrive la sua pagina di luce
sul quaderno scuro della notte.
Annulla la nostra disperazione,
assolve la nostra follia,
accerta che il mondo
non si è dissolto nelle tenebre
come abbiamo temuto
a partire da quella sera in cui,
da una caverna della preistoria,
osservammo per la prima volta il crepuscolo.
Ieri non resuscita.
Quello che è dietro non conta.
Quel che vivemmo già non è più
L’alba ci consegna la prima ora
la prima ora di un’altra vita.
La sola nostra verità
è il giorno che comincia.
Già, il giorno che comincia ci permette, forse, di
ristabilire tutti gli equilibri perduti. Vivere il tempo che rimane con
serenità. Il cuore placato. Le passioni addomesticate. L’amore per la vita e
per gli altri centellinato e centuplicato. Si scopre con gli altri il buonsenso
contro le esaltazioni degli impossibili voli? Forse. E… cosa fondamentale: la
piena consapevolezza di sé, del qui e ora. Non prima, non dopo. Mi ricorda la
poesia, intitolata “Notturno” del nostro amico Luigi Lafranceschina, scritta
mentre ascoltava uno dei tanti meravigliosi “Notturni” di Chopin. Forse per
questo la notte occupa tutto lo spazio, tra silenzio e bui pensieri, e gli
sembra “eterna infinita”. Ma, per fortuna, sempre dopo l’ora più buia arriva la
luce della nuova alba, del nuovo giorno. Eccola: Eterna infinita/ Non
ha luce la notte!/ E quando cala/ Di gelo trema l’aria/ S’incupisce l’anima/
Tacciono le voci/ Dei clochard/ Sotto il ponte./ Stanno la notte/ Gli alberi in
silenzio/ Muto il frangente/ Di ovatta le strade/ ombre dappertutto/ Morta la
città./ Eterna infinita/ Non ha luce la notte!/ Attiva fino all’alba/ Chiude il
calice ai papaveri/ Mette in pausa i pensieri/ Sveglia i sogni agli amanti/
Apre gli occhi alla luna./ Ma al canto del gallo/ Stanca e assonnata/ Si
nasconde al primo sole.
Rinasce la percezione di sé. Ritornano alla luce le
barricate che, durante la notte, ci costruiamo per non cedere alla paura, a
mettere in fuga i pensieri sulla velocità del tempo che, nel suo moto
apparente, non perdona e si fa reale in una immagine di noi che finalmente ci
appartiene e che pure non è più quella di prima. E il nuovo giorno è ora
l’unico pensiero vero e incontrovertibile. L’unica breve certezza che abbiamo.
E mentre la notte sa di buio, silenzio, preghiera, il giorno si fa fiume di ricordi
che vanno verso il futuro in un groviglio di alternative per evitare gli abissi
dei dubbi, delle incertezze, dei forse, dei se, dei ma… anche nell’incontro con
gli altri. Con il mondo. siamo diventati diffidenti, ma ci nutre la speranza
che il nuovo giorno sia Quasi carezza. Quasi consolazione. Quasi
protezione. Ala che vola e si posa dove è necessario un sorriso. Alla
prossima. Angela
Quanto è bella Angela questa accorata fiducia e speranza che tu hai ( che anche io ho) nei confronti del nuovo giorno! Ci illudiamo, sapendo di illuderci e questo però ci salva. Laddove si confermasse la speranza o la sua mancanza noi restiamo fiduciose lo stesso, con la forza necessaria ad andare avanti :"tiremm innanz" come il patriota Amatore Sciesa, con dignità.
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