venerdì 11 novembre 2022

Venerdì 11 novembre 2022: San Martino: un friccico di sole a rinnovare la leggenda...

Oggi mi conforta una quasi certezza: c'è un raggio di sole a rinnovare la leggenda di San Martino. basta solo questo per renderci felici? Se la ricerca della felicità passa attraverso l’amore soprattutto degli altri e per gli altri, quale sentimento individuale e universale ci rende più forti o più umili di cuore se non l’amore? Ricordo che circa un anno fa, il giorno di San Martino, 11 novembre scrissi proprio qualcosa al riguardo e, per alcune riflessioni, partii, ancora una volta, da Alla ricerca della felicità di Simone Cristicchi e dalle sue due prime parole, su cui soffermarci per cercare e scoprire il bandolo della ingarbugliata matassa della nostra vita: “attenzione” e “lentezza”. E, quel giorno, mi sembrò proprio il caso di ricordarle in quanto si festeggiava appunto San Martino, il santo del mantello diviso per donarlo a chi ne era sprovvisto.

La leggenda narra che un giorno d’autunno - molto probabilmente l’11 novembre - mentre usciva a cavallo da una delle porte della città di Amiens, in Francia, Martino s’imbatté in un uomo molto povero, nudo e infreddolito. In quel giorno, in cui era proprio il maltempo a farla da padrone, San Martino s’impietosì e decise di aiutare il povero. Senza pensarci due volte tagliò il suo mantello di lana per donargliene metà. Di fronte a quel nobile gesto, la pioggia dopo pochi istanti smise di cadere, il cielo si aprì e spuntò il sole, facendo diventare la temperatura subito più mite. Martino quella notte sognò Gesù che gli rivelò di essere lui il mendicante al quale aveva donato il mantello. Quindi leggenda vuole che, ogni anno, ci sia un’interruzione della morsa del freddo per commemorare quanto aveva fatto quell’11 novembre”.

Sta di fatto che Martino da Tours, di nobile famiglia, nato nel IV secolo dopo Cristo, da militare divenne vescovo di Tours e poi santo. Ma non è solo una storia/leggenda cristiana; essa appartiene a tutte le religioni che festeggiano i santi. C’è anche una spiegazione scientifica, che sarebbe troppo lungo qui approfondire. A noi basta fare riferimento all’“attenzione” che sicuramente il santo ebbe nei riguardi del mendicante, e alla “lentezza” con cui andava a cavallo, altrimenti neppure si sarebbe accorto della presenza dell’uomo, “nudo e infreddolito”. Sono tutte queste le “ben più ampie prospettive” che si dischiudono ad ogni scoperta di nuovi orizzonti e nuovi mondi? Ritengo proprio di sì, ma usando sapienza e umiltà, senza mai l’arroganza di essere detentori di assolute verità. Soprattutto "umiltà" è la meravigliosa parola che il nostro cantautore-attore-poeta “rapina” a Pier Paolo Pasolini e al suo film-documentario “Comizi d’amore” del 1963. Alla parola umiltà Cristicchi premette, tra l’altro, come esergo, una riflessione del geniale scienziato Albert Einstein:

Chiunque faccia scienza si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo, davanti a cui noi, con la nostra umana debolezza, non possiamo che essere umili.   

L’umiltà è, dunque, una dote necessaria all’uomo di fronte al mistero del Creato. Non se ne può fare a meno. Solo la nostra arroganza ci fa dimenticare questa necessità. A questo proposito, mi piace riproporre la poesia molto profonda di Giovanni Gastel: Questo giardino/ potrebbe essere solo/ un bosco di persone/ agitate e complicate dal vento./ Ma non cerco la differenza stasera/ voglio con me il dubbio di non essere diverso/ da questi fiori da queste piante./ Senza più sangue pulsante/ ma verde linfa che scivola dentro di me./ Torna immenso Pan/ a confermarmi che sono ancora parte del tutto/ come era un tempo/ prima della paura e dell’arroganza. E non servono parole. Solo un’ammirazione muta per tanta bellezza e verità. Ed ecco una prosa che ritengo di profonda umiltà. È del nostro amico, professore, scrittore e poeta David la MantìaÈ quando senti che il tempo comincia a mancare che più chiare ti appaiono le cose. È allora che avere la possibilità di scegliere un’ultima volta diventa un privilegio, una fortuna enorme. Ecco, io so bene cosa devo fare ancora per il tempo che mi resta: aiutare animali in difficoltà, ascoltare i miei allievi, ascoltare tutti quelli che posso, raccontare storie, dormire dopo aver salutato gli affetti. Vorrei sottolineare, a questo punto, l’importanza dell’umiltà dell’ascolto. Ascoltare significa fare spazio all’altro. “Chi impara ad ascoltare si apre al tu e al noi,” superando il proprio egocentrismo, solipsismo e narcisismo, impara a conoscere sé stesso, conoscendo e riconoscendo l’altro. Con umiltà e discernimento. “L’aprirsi all’ascolto, dunque, equivale ad ammettere la propria finitezza, presuppone un sapere di non sapere, un essere coscienti della perfettibilità delle proprie conoscenze, è mettersi comunque in discussione, un riconoscere nell’altro una persona che è portatrice di ragioni che non devono essere sottovalutate, ma appunto valutate (…) offrirsi al dialogo e all’ascolto comporta la decisione di correre dei rischi, comporta la messa in discussione delle proprie tesi e l’eventuale loro revisione o il totale abbandono” (R. Arnheim, Il potere del centro, Abscondita, Milano 2016). E umiltà, amore e ascolto scopro nei seguenti brani in prosa e poesia. Il primo è opera di Mario Sicolo, poeta, scrittore, giornalista e direttore di un Quotidiano on line, molto seguito nel mio paese di origine, il daBitonto. IL brano riguarda il ricordo del suo amatissimo padre: … è un papà. Ed è subito una tempesta di ricordi che vibra nel cuore. La voce soave che contava favole sul ciglio del letto e ti insegnava a sognare. Lo sguardo verdazzurro che illuminava il sentiero dei giorni e tu non avevi più paura di nulla. Il sorriso lieve che splendeva d’aurora, vincendo tutte le tenebre del mondo. L’amorevole cura nel sollevare silenziosamente un lembo del lenzuolo per ripararti la spalla dal freddo della vita. Le strambe crosticine che nascevano sulla pelle senza un perché, come cicatrici di antichi dolori. E poi ti chiedono: perché leggi? Per rannicchiarmi dentro la pelle dell’anima, quando si fa sera, e perdermi dentro un labirinto di parole senza più sperare di ritrovarmi… Quanta umiltà nei gesti quotidiani di amore e di tenerezza di un papà che non si risparmiava mai, nell’arco dell’intero giorno, dall’alba alla notte, nel dialogo sempre acceso con i suoi figli. Un dialogo spentosi troppo presto per non lasciare dolore e rimpianto. Di qui il rannicchiarsi di Mario “dentro la pelle dell’anima”, gesto tenerissimo di umiltà e di insostituibile amore, senza il quale persino nell’abito consueto alla lettura, per rifugiarsi nelle parole, Mario non riesce più “a ritrovarsi”. E di Mario scopro solo alcuni giorni fa su FB la seguente poesia, postata dalla generosità di Mariateresa Bari, dal titolo “A chi non c’è più”: So che ti manca/ quel libro che parlava di dolore/la mano che sapeva le rughe del cuore/ la spalla da coprire con amore// Ma so pure che ci sei/ nella voce roca del vento/ nel tremito lontano delle stelle/ nel ramo che piange la foglia// Nella culla dei ricordi/ dorme/ l’ultimo battito/ che non si è perduto

Il destinatario è sé stesso, quasi avesse timore Mario di dissacrare per un attimo la immensa figura di umile amore quotidiano di suo padre, ma “chi non c’è più” è proprio l’amatissimo papà di cui vengono rievocati i gesti di grande tenerezza e “l’ultimo battito/ che non si è perduto”. E che dire dell’umiltà di Roberta Lipparini, che è cara al cuore di tutti noi per l’assoluta sincerità dei suoi meravigliosi versi? Qui si tratta di incommensurabile amore materno nei riguardi della giovanissima figlia per risarcirla di tutto il dolore vissuto negli anni insieme: Ha vent’anni ed io, di nascosto, le preparo il calendario dell’avvento. 24 sacchettini marroni, quelli del pane, attaccati al muro del corridoio con il nastro di carta. Sul sacchetto un numero, disegnato grande con il pennarello. Dentro il sacchetto un piccolo pensiero. A vent’anni, sì     Perché un gesto di madre in 24 risvegli io lo pagherei oro     Perché chi ha avuto dalla vita tanti doni di dolore, merita minuscole ricompense, tutte quelle che io posso offrire     Perché chi al mattino deve cercare dentro di sé la forza di alzarsi, un dono bambino è una piccola spinta che fa leva sul cuore     Perché io invecchio e non sarò sempre al suo fianco, ma nei gesti d’amore compiuti non svanirò mai     Perché in questa casa fatiscente che avrebbe bisogno di una mano di vernice, un corridoio pieno di sacchetti di pane è un paesaggio dell’anima     Perché so che a volte l’amore degli altri non lo sentiamo se non abbiamo un velo di malinconia dentro e i piccoli gesti ce lo fanno più facilmente scorgere     Perché la bellezza del dare mi ripaga di ciò che non ho ricevuto

Quanti gesti di umiltà, dettati dall’amore, si intrecciano in queste tre pagine: una di un padre, docente, uomo che fa i conti con il tempo che gli rimane per donarsi agli altri; una di un figlio alla ricerca delle parole per ritrovare quelle del padre perduto alla fisicità ma immensamente vivo nel cuore; una di una madre che si dona con tanti piccoli grandi doni alla sua figliola, a cui offre oblativamente l’amore mai ricevuto. Ed ecco una poesia “umile” rapinata alla Pagina FB di un grande poeta, attore e traduttore, Rino Bizzarro, mio caro amico di penna di antichissima data: … Fra un sopruso e un inganno/ non sono più tanto bianche le mani…/ … e mi ostinavo a volerle pulite/ tanto tempo fa,/ quando eravamo giovani,/ quando eravamo poeti…/ “Un orco camminava per le strade/ portando sulle spalle due bisacce;/ rubava bimbi belli e bimbi brutti/ e poi se li mangiava tutti tutti…”/ era la ninna nanna di mia madre:/ Tu eri tanto bella/perché così apparivi agli occhi miei;/ io ero intelligente, il più sensibile,/ il migliore, soltanto perché tu/ mi volesti così nel grande abbaglio./ … Forse non eri tu poi tanto belle;/ forse che non ero che uno sciocco, io…/ “Dormi rino dormi; deh non guardar la mamma;/ chiudi gli occhietti belli; fai la ninna nanna…”

 La ninna nanna antica, la voce della mamma che ritorna e ritorna a regalare a Rino frammenti di ricordi e di emozioni, le paure e le illusioni di un tempo, “quando si era giovani e poeti”, e tutto ci sembrava bello e eterno. Poi, con gli anni abbiamo dovuto ridimensionare tutto: valori, etica, scelte, l’amore nelle vesti della fanciulla bella come il sole e nella personale convinzione/illusione di essere stato scelto da lei perché il migliore… E, invece, di un amico di nuovissima data, Luca Crastolla, ecco brevi ma essenziali versi. Minimalisti ma non troppo. Profondissimi: i carillon della melanconia/ le giostrine della nostalgia/ il canto del cigno senza armistizio/ li muove quel che fu e che avvenne.// Di più di quel che qualcosa/ o qualcuno intravide o promise

I ricordi legati alle meraviglie dell’infanzia hanno spesso, da adulti, un malinconico, nostalgico, inevitabile ridimensionamento. Un “canto del cigno senza armistizio”. Un qualcosa di atteso e di non accaduto. E non si sa mai chi o che cosa ne impedì l’accadimento.

Buon San Martino a tutti con umiltà, generosità, purezza di cuore. Per continuare a credere nei miracoli… Angela

1 commento:

  1. Cara Angela, sei tu quella che ci fa credere nei miracoli, nei miracoli che nascono da un cuore vero che soffre e si offre comunque agli altri. Grazie per l'esempio del tuo amore...condiviso, come il mantello di San Martino.

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