Oggi mi conforta una quasi certezza: c'è un raggio di sole a
rinnovare la leggenda di San Martino. basta solo questo per renderci felici? Se
la ricerca della felicità passa attraverso l’amore soprattutto degli altri e
per gli altri, quale sentimento individuale e universale ci rende più forti o
più umili di cuore se non l’amore? Ricordo che circa un anno fa, il giorno
di San Martino, 11 novembre scrissi proprio qualcosa al riguardo e, per alcune
riflessioni, partii, ancora una volta, da Alla ricerca della felicità di
Simone Cristicchi e dalle sue due prime parole, su cui soffermarci per cercare
e scoprire il bandolo della ingarbugliata matassa della nostra vita: “attenzione”
e “lentezza”. E, quel giorno, mi sembrò proprio il caso di
ricordarle in quanto si festeggiava appunto San Martino, il santo del mantello
diviso per donarlo a chi ne era sprovvisto.
“La leggenda narra che un giorno d’autunno - molto
probabilmente l’11 novembre - mentre usciva a cavallo da una delle porte della
città di Amiens, in Francia, Martino s’imbatté in un uomo molto povero, nudo e
infreddolito. In quel giorno, in cui era proprio il maltempo a farla da
padrone, San Martino s’impietosì e decise di aiutare il povero. Senza pensarci
due volte tagliò il suo mantello di lana per donargliene metà. Di fronte a quel
nobile gesto, la pioggia dopo pochi istanti smise di cadere, il cielo si aprì e
spuntò il sole, facendo diventare la temperatura subito più mite. Martino
quella notte sognò Gesù che gli rivelò di essere lui il mendicante al quale aveva
donato il mantello. Quindi leggenda vuole che, ogni anno, ci sia
un’interruzione della morsa del freddo per commemorare quanto aveva fatto
quell’11 novembre”.
Sta di fatto che Martino da Tours, di nobile famiglia, nato
nel IV secolo dopo Cristo, da militare divenne vescovo di Tours e poi santo. Ma
non è solo una storia/leggenda cristiana; essa appartiene a tutte le religioni
che festeggiano i santi. C’è anche una spiegazione scientifica, che sarebbe
troppo lungo qui approfondire. A noi basta fare riferimento
all’“attenzione” che sicuramente il santo ebbe nei riguardi del mendicante, e
alla “lentezza” con cui andava a cavallo, altrimenti neppure si sarebbe accorto
della presenza dell’uomo, “nudo e infreddolito”. Sono tutte queste le “ben
più ampie prospettive” che si dischiudono ad ogni scoperta di nuovi orizzonti e
nuovi mondi? Ritengo proprio di sì, ma usando sapienza e umiltà, senza mai
l’arroganza di essere detentori di assolute verità. Soprattutto
"umiltà" è la meravigliosa parola che il nostro
cantautore-attore-poeta “rapina” a Pier Paolo Pasolini e al
suo film-documentario “Comizi d’amore” del 1963. Alla parola umiltà
Cristicchi premette, tra l’altro, come esergo, una riflessione del geniale
scienziato Albert Einstein:
Chiunque faccia scienza si convince che le leggi della
natura manifestano l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello
dell’uomo, davanti a cui noi, con la nostra umana debolezza, non possiamo che
essere umili.
L’umiltà è, dunque, una dote necessaria all’uomo di fronte
al mistero del Creato. Non se ne può fare a meno. Solo la nostra arroganza ci
fa dimenticare questa necessità. A questo proposito, mi piace riproporre
la poesia molto profonda di Giovanni Gastel: Questo giardino/ potrebbe
essere solo/ un bosco di persone/ agitate e complicate dal vento./ Ma non cerco
la differenza stasera/ voglio con me il dubbio di non essere diverso/ da questi
fiori da queste piante./ Senza più sangue pulsante/ ma verde linfa che scivola
dentro di me./ Torna immenso Pan/ a confermarmi che sono ancora parte del
tutto/ come era un tempo/ prima della paura e dell’arroganza. E non servono
parole. Solo un’ammirazione muta per tanta bellezza e verità. Ed ecco una
prosa che ritengo di profonda umiltà. È del nostro amico, professore, scrittore
e poeta David la Mantìa: È quando senti che il tempo
comincia a mancare che più chiare ti appaiono le cose. È allora che avere la
possibilità di scegliere un’ultima volta diventa un privilegio, una fortuna
enorme. Ecco, io so bene cosa devo fare ancora per il tempo che mi resta:
aiutare animali in difficoltà, ascoltare i miei allievi, ascoltare tutti quelli
che posso, raccontare storie, dormire dopo aver salutato gli affetti. Vorrei
sottolineare, a questo punto, l’importanza dell’umiltà dell’ascolto. Ascoltare
significa fare spazio all’altro. “Chi impara ad ascoltare si apre al tu e
al noi,” superando il proprio egocentrismo, solipsismo e
narcisismo, impara a conoscere sé stesso, conoscendo e riconoscendo l’altro.
Con umiltà e discernimento. “L’aprirsi all’ascolto, dunque, equivale ad
ammettere la propria finitezza, presuppone un sapere di non sapere, un essere
coscienti della perfettibilità delle proprie conoscenze, è mettersi comunque in
discussione, un riconoscere nell’altro una persona che è portatrice di ragioni
che non devono essere sottovalutate, ma appunto valutate (…) offrirsi
al dialogo e all’ascolto comporta la decisione di correre dei rischi, comporta
la messa in discussione delle proprie tesi e l’eventuale loro revisione o il
totale abbandono” (R. Arnheim, Il potere del centro,
Abscondita, Milano 2016). E umiltà, amore e ascolto scopro nei seguenti
brani in prosa e poesia. Il primo è opera di Mario Sicolo, poeta, scrittore,
giornalista e direttore di un Quotidiano on line, molto seguito nel mio paese
di origine, il daBitonto. IL brano riguarda il ricordo del suo amatissimo
padre: … è un papà. Ed è subito una tempesta di ricordi che vibra nel
cuore. La voce soave che contava favole sul ciglio del letto e ti insegnava a
sognare. Lo sguardo verdazzurro che illuminava il sentiero dei giorni e tu non
avevi più paura di nulla. Il sorriso lieve che splendeva d’aurora, vincendo
tutte le tenebre del mondo. L’amorevole cura nel sollevare silenziosamente un
lembo del lenzuolo per ripararti la spalla dal freddo della vita. Le strambe
crosticine che nascevano sulla pelle senza un perché, come cicatrici di antichi
dolori. E poi ti chiedono: perché leggi? Per rannicchiarmi dentro la pelle
dell’anima, quando si fa sera, e perdermi dentro un labirinto di parole senza
più sperare di ritrovarmi… Quanta umiltà nei gesti quotidiani di amore
e di tenerezza di un papà che non si risparmiava mai, nell’arco dell’intero
giorno, dall’alba alla notte, nel dialogo sempre acceso con i suoi figli. Un
dialogo spentosi troppo presto per non lasciare dolore e rimpianto. Di qui il
rannicchiarsi di Mario “dentro la pelle dell’anima”, gesto tenerissimo di
umiltà e di insostituibile amore, senza il quale persino nell’abito consueto
alla lettura, per rifugiarsi nelle parole, Mario non riesce più “a
ritrovarsi”. E di Mario scopro solo alcuni giorni fa su FB la seguente
poesia, postata dalla generosità di Mariateresa Bari, dal titolo “A chi non c’è
più”: So che ti manca/ quel libro che parlava di dolore/la mano che
sapeva le rughe del cuore/ la spalla da coprire con amore// Ma so pure che ci
sei/ nella voce roca del vento/ nel tremito lontano delle stelle/ nel ramo che
piange la foglia// Nella culla dei ricordi/ dorme/ l’ultimo battito/ che non si
è perduto
Il destinatario è sé stesso, quasi avesse timore Mario di
dissacrare per un attimo la immensa figura di umile amore quotidiano di suo
padre, ma “chi non c’è più” è proprio l’amatissimo papà di cui vengono
rievocati i gesti di grande tenerezza e “l’ultimo battito/ che non si è
perduto”. E che dire dell’umiltà di Roberta Lipparini, che è cara al cuore
di tutti noi per l’assoluta sincerità dei suoi meravigliosi versi? Qui si
tratta di incommensurabile amore materno nei riguardi della giovanissima figlia
per risarcirla di tutto il dolore vissuto negli anni insieme: Ha
vent’anni ed io, di nascosto, le preparo il calendario dell’avvento. 24
sacchettini marroni, quelli del pane, attaccati al muro del corridoio con il
nastro di carta. Sul sacchetto un numero, disegnato grande con il pennarello.
Dentro il sacchetto un piccolo pensiero. A vent’anni,
sì Perché un gesto di madre in 24 risvegli io lo
pagherei oro Perché chi ha avuto dalla vita tanti
doni di dolore, merita minuscole ricompense, tutte quelle che io posso
offrire Perché chi al mattino deve cercare dentro
di sé la forza di alzarsi, un dono bambino è una piccola spinta che fa leva sul
cuore Perché io invecchio e non sarò sempre al suo
fianco, ma nei gesti d’amore compiuti non svanirò
mai Perché in questa casa fatiscente che avrebbe
bisogno di una mano di vernice, un corridoio pieno di sacchetti di pane è un
paesaggio dell’anima Perché so che a volte l’amore
degli altri non lo sentiamo se non abbiamo un velo di malinconia dentro e i
piccoli gesti ce lo fanno più facilmente
scorgere Perché la bellezza del dare mi ripaga di
ciò che non ho ricevuto
Quanti gesti di umiltà, dettati dall’amore, si intrecciano
in queste tre pagine: una di un padre, docente, uomo che fa i conti con il
tempo che gli rimane per donarsi agli altri; una di un figlio alla ricerca
delle parole per ritrovare quelle del padre perduto alla fisicità ma
immensamente vivo nel cuore; una di una madre che si dona con tanti piccoli
grandi doni alla sua figliola, a cui offre oblativamente l’amore mai
ricevuto. Ed ecco una poesia “umile” rapinata alla Pagina FB di un grande
poeta, attore e traduttore, Rino Bizzarro, mio caro amico di penna
di antichissima data: … Fra un sopruso e un inganno/ non sono più
tanto bianche le mani…/ … e mi ostinavo a volerle pulite/ tanto tempo fa,/
quando eravamo giovani,/ quando eravamo poeti…/ “Un orco camminava per le
strade/ portando sulle spalle due bisacce;/ rubava bimbi belli e bimbi brutti/
e poi se li mangiava tutti tutti…”/ era la ninna nanna di mia madre:/ Tu eri
tanto bella/perché così apparivi agli occhi miei;/ io ero intelligente, il più
sensibile,/ il migliore, soltanto perché tu/ mi volesti così nel grande
abbaglio./ … Forse non eri tu poi tanto belle;/ forse che non ero che uno
sciocco, io…/ “Dormi rino dormi; deh non guardar la mamma;/ chiudi gli
occhietti belli; fai la ninna nanna…”
La ninna nanna antica, la voce della mamma che
ritorna e ritorna a regalare a Rino frammenti di ricordi e di emozioni, le
paure e le illusioni di un tempo, “quando si era giovani e poeti”, e tutto ci
sembrava bello e eterno. Poi, con gli anni abbiamo dovuto ridimensionare tutto:
valori, etica, scelte, l’amore nelle vesti della fanciulla bella come il sole e
nella personale convinzione/illusione di essere stato scelto da lei perché il
migliore… E, invece, di un amico di nuovissima data, Luca
Crastolla, ecco brevi ma essenziali versi. Minimalisti ma non troppo.
Profondissimi: i carillon della melanconia/ le giostrine della
nostalgia/ il canto del cigno senza armistizio/ li muove quel che fu e che
avvenne.// Di più di quel che qualcosa/ o qualcuno intravide o promise
I ricordi legati alle meraviglie dell’infanzia hanno spesso,
da adulti, un malinconico, nostalgico, inevitabile ridimensionamento. Un “canto
del cigno senza armistizio”. Un qualcosa di atteso e di non accaduto. E non si
sa mai chi o che cosa ne impedì l’accadimento.
Buon San Martino a tutti con umiltà, generosità, purezza di
cuore. Per continuare a credere nei miracoli… Angela
Cara Angela, sei tu quella che ci fa credere nei miracoli, nei miracoli che nascono da un cuore vero che soffre e si offre comunque agli altri. Grazie per l'esempio del tuo amore...condiviso, come il mantello di San Martino.
RispondiElimina