Mi arrivano versi
dal remoto
senza tempo.
Lontano.
(Prologo)
Rossella
Piccarreta CARNE SACRA (SECOP
edizioni Corato-Bari, giugno 2025, £ 12 i.i.)
Avverto la necessità di riprendere quanto
ho scritto esattamente un mese fa sulle poesie di Rossella per rinverdire, in
sintesi, emozioni e richiami alla Prefazione del grande musicista Pierluigi Balducci, per la tenerezza
che si avverte nel suo sentire profondamente la musica interiore, promanata dai
versi della nostra Autrice, e per la sacralità scoperta nelle sue parole che si
velano continuamente di mistero e sembrano danzare “tra gli Opposti” quasi a
spiccare il volo verso l’Infinito che le palpita dentro e si spiritualizza nel
“divino” che le appartiene e appartiene a tutti noi, come esseri umani, mai
dimentichi delle nostre origini “divine”. Come mi piace pure riproporre brevissimamente
quanto Mariella Medea Sivo abbia
scritto nella Postfazione, con un incipit insolito, colto, stravagante,
eccezionale, da cui emergono tutto l’affetto e la sincera ammirazione che nutre
per la straordinaria poetessa, sua amica. Non posso che condividere e cercare i
punti di congiunzione, scoperti da entrambi, per entrare con loro in sintonia
nei vari testi poetici. Fondamentale è la sintonia, che ci permette di scoprirci
nello stesso suono, di vibrare con la stessa musica. Di assecondare lo stesso
movimento che ci rende unici nella nostra identica identità ed eternamente
cangianti. Fatti, dunque, di coralità e di individualità insieme. E prendo
subito ispirazione dal “Prologo” che dà un senso a tutta la raccolta
perché indica a chiare lettere l’urgenza che avverte la poetessa di “scrivere
poesia”: dono che giunge da lontano e che si fa “voce”, che lei segue “muta e
rapita” come ferita d’amore incisa sulla pelle, come “graffio o carezza”, che
può condividere, sicura di essere compresa e accolta, solo da “chi sa vedere”.
Fondamentale è essere “consonanti”. Anche
negli “Smarrimenti”, come suggerisce il primo spazio di liriche o la
prima sezione. Rossella Piccarreta è, infatti, una donna che, come tutti gli
esseri umani, vive la contraddizione e di contraddizioni, ineludibili in
ciascuno di noi, e ancora di più nelle persone particolarmente sensibili, non
come sconfitta della propria logica, ma come vittoria sulle fragilità che
accompagnano la nostra esperienza esistenziale, in quanto è il cuore che
risorge da ogni debolezza e da ogni smarrimento, perché è sempre colmo di
“tenerezza”, palpita sempre d’amore dato e ricevuto, anche se, a ben guardare,
gli uomini sono purtroppo impastati anche di violenza, invidie, rancori
micidiali, che decretano carneficine, guerre, lutti, dolore, senza più un’etica
a salvaguardare la nostra uguale umanità. Eppure lontano/ un suono: il
mare./ Uguale per te e per me./ Eppure in alto l’azzurro./ Uguale per me e per
te (“Snake of war”. Ma anche “snake of war in the soul”, pp. 13-14). E i versi si inazzurrano come la
nostra anima. Solo per poco, perché “stormi neri” incombono e a nulla valgono
“urla contro il cielo”. Presagio di morte e distruzione, come già in Giosuè
Carducci (in San Martino) o in Paul Celan, in una
commovente poesia, in cui descrive la disumanità della Shoah, in lingua tedesca
a eterna vergogna della sua terra d’origine. Forse occorrono preghiere per sventare ogni timore, reso realisticamente
vero e spaventoso dalle “ali giganti/ nere e pesanti”. Non a caso, ancora la
contraddizione ad allarmare la voglia di vivere e di amare. In eterno
contrasto. Vita e Morte. Eros e Thanatos. Origine e Fine. Odio e
Amore. Tutto e Nulla. Simone Weil ha studiato a
fondo l’inevitabilità della contraddizione persino nell’apparente pacifica
quotidianità. Ne ha fatto una teoria filosofica, psicologica ed etica, pur
essendo partita dalla matematica, da una scienza esatta che non ammette il
contrario. Rossella cerca di vincere
le innumerevoli contraddizioni che la abitano e la agitano, tra “lo strazio del
niente./ Il soffio del tutto”, alla ricerca di un equilibrio che dia leggerezza
ai pensieri e ai giorni come in Italo Calvino. Una leggerezza
pensosa, certo, alla ricerca di un maggiore equilibrio, di una serenità mai
vissuta prima e che sempre più le sembra una necessità dell’anima,
perfettamente consonante con le inevitabili dissonanze della vita, dovute
innanzitutto alla nostra natura umana, e alla nostra arroganza nell’affermare
senza mezzi termini l’individualismo con il vivere continuamente, tra sincerità
e ipocrisia, realtà e finzione, libertà e catene, di cui spesso non si riesce a
fare a meno.
La
seconda sezione “Eros, Anteros, Himeros” è meraviglia di occhi
innamorati, ritorni concentrici di desideri, accesi spenti ritrovati spenti,
nel giardino più o meno segreto, in cui Rossella coltiva rose e cerca di
occultare le spine in una danza, che è recupero di amore carnale e divino
perché sacro è l’amore in tutte le sue espressioni e manifestazioni. È “traccia
chiara/ di una segreta divinità”. E di “innocenza”. Ma continuano anche qui
smarrimenti e paure, dubbi e contraddizioni, assenze e vuoti di presenze
desiderate: attese, rimpiante. Ma rinasce sempre l’amore in ogni luna
attraversata. Ed è pacificazione di cose e di anime, unite per sempre.
“Malgrado tutto”. E le contraddizioni, man mano che sono passati gli anni, sono
aumentate, spenti i bollenti spiriti della passione, in un crescendo di perdita
di sé e dei sogni. Ora tutto sembra inventato, persino l’amore che pure un
tempo era stato vero. Fugge il tempo, purtroppo, portandosi con sé amori,
illusioni, “ardore e tenerezza”. Gli stessi “eterni ritorni” nei “valzer degli
addii”. Rossella conserva, però, nelle sue mani tutte le meraviglie di Alice
e testardamente crede nei sogni e nell’amore e a tutto ciò che è stato o non è
stato, ma potrebbe ancora essere. Osa continuamente scendere negli abissi
della disperazione e risalire con nuova fioritura di poesie e di preghiere, che
fanno bene al cuore esacerbato e stanco, ma sempre pronto a rinascere anche
“nel buio di un frammento” per continuare a cantare “all’infinito”. E il poeta
è salvo. E con lui anche Rossella perché c’è in lei il respiro della Poesia. Un
ritrovarsi sempre e comunque.
Ecco perché la terza sezione tratta di “Ritrovamenti”. E tra questi è
sempre il cuore in primo piano. Poi il cielo con il suo azzurro e le sue
nuvole, e la carezza forte/dolce delle parole poetiche, che abitano il “Tempio
Sacro della Poesia”, mai del tutto perso e in cui è bello e salvifico
rifugiarsi. Non importa se, alla fine, rinascere sia un tornare a ridere ancora
di un “tutto/ fatto di niente”. E ripercorrere le stagioni: metafora della vita
stessa. Sempre ossimorica.
La quarta
sezione è fatta di “Notturni” ed è un inno al pensiero femminile che
germoglia nella notte perché carica di mistero che solo il buio genera, sa e
conosce. Il pensiero maschile, invece, è fatto della chiarezza del giorno, è
fatto di cose pratiche e di problemi da risolvere nella comunità di
appartenenza, nella società, nel mondo politico. Niente è oscuro, velato,
misterioso. Non a caso, Rossella scrive: Epifania del sonno/ è un
segreto/ nascosto tra le stelle,/ un rantolo nel buio,/ un’inquietudine lieve/
celata dal lungo frenetico/ frinire del giorno,/ un’apnea sospesa/ nel silenzio
nero della notte… (p. 77). Ma anche dalla notte si emerge alle
prime luci dell’alba e al bagliore del sole che tutto risana e ci restituisce
alla realtà del giorno. E alle sue verità.
La quinta
sezione si intitola “Memento mori”, in cui tutto si fa ansia di
vivere, sia pure nelle mille contraddizioni che la vita ha insegnato alla
poetessa giorno dopo giorno. Disperante è per lei, e probabilmente per tutti,
“la vanità”, l’inconsistenza delle cose a cui ci aggrappiamo come incoercibile
anelito alla vita. Ma Rossella Piccarreta ha versi d’amore per tutti, segno di
grande umiltà e di immensa forza d’animo: per le donne e per ciascuno di noi,
facendo appello, con tutte le sue forze, all’ac-cor-darci, cioè a
mettere il nostro cuore insieme, per vincere il male che si annida in questo
mondo così difficile da vivere ai nostri giorni e sempre, e per fare trionfare
il bene e la speranza in un mondo migliore, in una prospettiva salvifica per
tutti: siamo fratelli sotto lo stesso cielo che ci vede nascere e morire… Ho
i denti che battono/ e identiche ferite/ e identico sole sul capo./ Riempiamo
d’oro le crepe/ facciamo un sogno nuovo./ Restiamo umani
Ma, oggi, prima di parlare del libro, desidero dare un’occhiata alla copertina, che lo straordinario Graphic Designer Nicola Piacente della nostra Casa editrice ha composto, rifacendosi a un’opera pittorica molto suggestiva e significativa della stessa Autrice. Ed ecco tre donne con la loro nudità, il loro essere insieme, quasi a proteggersi, a darsi manforte, a sostenersi. Non a caso, il braccio protettivo di una di esse in primo piano. I toni marmorizzati tra il nero e il grigio con pennellate di azzurro e di blu e i volti con gli occhi chiusi su lunghe ciglia rammemoranti momenti di smarrimento e momenti di riscoperta di sé. Confermati dalle labbra rosse, chiuse o appena dischiuse, come segni di impavida offerta di sé e, nello stesso tempo, di chiusura in un mistero di sé stesse, della comune femminilità: intima e preziosa, ma anche, nuda, spavalda, coraggiosa, intera, intensa, come il cambiamento della rinascita richiede. Di qui anche la bellezza del titolo nella sua ossimorica sacralità. CARNE SACRA, infatti, fa parte, secondo me, delle scritture intime, dove si riflette profondamente l’anima della nostra Autrice allo specchio, quasi fosse un Diario intimo ma non segreto. Diario, perché ci sono tutte le stagioni dall’inverno all’autunno alla primavera, e tutte le ore del giorno, in cui accadono avvenimenti solari e notturni, ricchi di desideri e rimpianti, sogni e nostalgie e in cui si fanno spazio i ricordi in un viaggio lungo quanto un’intera vita, intessuta di musica, sua antica e sempre nuova passione, come sostiene anche, con le sue vibrazioni sonore, nella Prefazione alla Silloge, il grande musicista e compositore Pierluigi Balducci. Sono pensieri, aspirazioni, progetti, attese, speranze, pulsioni ormonali che creano stupore, ansia, dispersione di sé e un bisogno di ritrovarsi nel sé che la abita dentro. Una sorta di alter ego, il suo io allo specchio, in una immagine io-non io, riflessa, rovesciata che esime l'io vero dal provare sensi di colpa o di vergogna: una specie di straniamento che rende oggettiva la realtà soggettiva e permette la riflessione e la confessione di sé a sé, nella illusione/realtà di raccontarsi la verità e di decantare ogni problema, ogni sofferenza, ogni paura. È il proprio “giardino segreto”, quello della Poesia, che mette al riparo da occhi indiscreti e dal mondo per concedersi solo agli occhi “di chi sa vedere”. (p. 7) Una stanza tutta per sé, scriverà Virginia Woolf, la madre di tutte le donne con l'amore per la scrittura e l'ambizione di scrivere per lasciare traccia di sé. Purché si superi il ribaltamento di sé nello specchio, che rende difficile la lettura. Bisogna procedere all’incontrario per rivelarci a noi stessi e agli altri, in una forma, però, sempre incompiuta di noi. Il diario, allora, è una forma di scrittura che è più vicina al “disvelamento della coscienza”, ma è anche la conferma del sé imprendibile dal mondo circostante e afferrabile in tutto ciò che è e non è, fino alla scoperta dell’Io-Sé nella propria anima. È come se Rossella fingesse di essere Eva, la prima donna apparsa sulla terra, e di aprire gli occhi di fronte ad un mondo del tutto sconosciuto, in cui sente il bisogno di scoprire sé stessa nella confusione della visione delle cose che avviene
per la prima volta, lasciandoci pagine di versi di grande suggestione, intensità e bellezza. Diventa, così, la sua Silloge, un viaggio multisensoriale nel tempo e nello spazio, suggerendo una “danza” che contiene in sé, nei tanti ritorni mescidati di note che si ripropongono in altre pagine, una vera orchestra che parte dalla natura per giungere al senso del ritmo interno che Rossella porta con sé, in sé, quale nutrimento della sua anima che vibra in un volo cosmico in cui tutti i sensi sono accesi, fino al sesto senso e oltre, superando il mondo, quello attuale, che non sa più vivere di emozioni, sia in senso orizzontale, sia in senso verticale. Si tratta, infatti, di una società individualista e indifferente all’altro. Una società, che conosce meglio il linguaggio della violenza e ignora quello della fratellanza. Soprattutto noi donne avvertiamo ancora, nonostante i tempi decisamente mutati, le difficoltà di vincere un residuo maschilismo, soprattutto nei paesi del Sud, per porci e imporci come donne libere, volitive, coraggiose nelle scelte, nella consapevolezza dei propri “punti di forza” e delle inevitabili “fragilità” di ogni essere umano, per evitare l’arroganza della perfezione, che blocca e impedisce qualsiasi salutare evoluzione della propria personalità (leggere “Lasciateci vivere” a p. 99).
E per oggi mi fermo qui. Non voglio
approfittare del vostro tempo e della vostra pazienza. È estate, tempo di
vacanza, di relax, di sole, di mare, colline, monti, laghi, mare. Dobbiamo lasciare
riposare la mente… Ma… la poesia non può aspettare. Lunedì ci sarà la seconda e
ultima puntata. Poi… facciamo una pausa estiva. Grazie, sempre. Un abbraccio a
tutte e tutti. Angela/lina
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