sabato 27 gennaio 2024

Sabato 27 gennaio 2024: oltre la GIORNATA DELLA MEMORIA, il ricordo sempre vivo di NICO MORI...

Ho scritto ieri il mio NO. Il mio NO a tutte le guerre, a tutti i massacri, a tutti gli Olocausti a livello mondiale per “non dimenticare” e perché oggi avevo e ho altri RICORDI da ricordare: le NOZZE di mio padre e mia madre 84 anni fa e la perdita di Nico Mori, mio carissimo amico fraterno fino a tre anni fa e nell’Oltre, fra la terra e le stelle. Per circa tre anni, mi sono ostinata a ricordare come data della sua morte il 20 gennaio, ma poi, improvvisamente, dopo tre anni davvero difficili per me sul versante salute, ecco che ho ricordato la motivazione per cui avevo dimenticato. Ma non è importante per voi che mi leggete e che mi volete bene, è importante per me che, qualche volta, non mi voglio bene e per questo faccio fatica a ricordare. Ma Nico mi è troppo caro per non parlarne ancora. Magari, questa volta, attingendo dal suo ultimo libro, a cui ho fatto la prefazione, perché si abbia di Nico una idea più completa. E dalla prefazione vi riporto alcuni stralci più significativi:

<Bellissimo titolo quello che Nico Mori ha dato a questo suo nuovo libro, I pescatori di meraviglie

e altre storie (SECOP edizioni, Corato - Bari): un titolo, che contiene in sé l’immensità del mare,

la sua profondità, i suoi tesori nascosti e a pelo d’acqua; il suo mistero e la sua magia; l’amore

che l’Autore nutre per il mare, di cui si nutre: con gli occhi, le mani, il cuore. Inseguendo una vela

bianca, origine e compimento di tutti i suoi sogni, documentata da un romanzo con struttura “ad

anello”, che parte da un Prologo per giungere ad un Epilogo, sempre in un attraversamento delle

azzurre acque, con l’intento di forare il cielo per andare oltre: oltre il tempo, lo spazio, sé stesso e il proprio corpo, i propri pensieri, e persino il proprio cuore…

In mezzo, il viaggio. Il viaggio esistenziale di un uomo di terra e di mare: un uomo nato nell’aspra

terra della Murgia altamurana ma innamorato del mare e che sul mare, anche metaforico, ha vissuto la sua avventura della vita, tra marosi e tempeste, tra scogli appuntiti e rade di temporanei approdi.

Infatti, tra Prologo ed Epilogo si snodano dieci capitoli che, partendo da una crisi cardiaca

che porta Nico Mori dal gustare, nella propria la casa, un brano di musica di Chopin che ama

perdutamente e la lettura di un libro filosofico sul dubbio cartesiano (…) ad una corsia di ospedale dove si ritrova bruscamente a lottare tra la vita e la morte, senza capire il perché, proprio mentre viene sommerso dai ricordi del suo mare e della sua vela in tanta azzurra tenerezza.

La musica di Chopin lo aveva appena avvolto in un abbraccio morbido e lo cullava dolcemente

quando... il fiume di lava era esploso. All’improvviso, con fragore, gli aveva squarciato

il petto come un fendente di spada, gli aveva incendiato la gola, tolto il respiro scaraventandolo

giù dalla poltrona, sul tappeto, accartocciato come una foglia secca a vomitare rantoli soffocati.

Poi, l’urlo lacerante dell’ambulanza, la dottoressa che gli stringeva una mano e parlava

concitatamente al telefono con l’ospedale per segnalare un codice rosso per imminente arresto

cardiaco, l’ago della flebo nel braccio che gocciolava stille di vita e il dolore che si faceva meno aggressivo, o così gli sembrava.

E i giorni si trasformano in un rosario di ricordi che si aggrumano intorno alla società e le sue regole da sovvertire per tentare di cambiarla e migliorarla. E il mare, l’immenso mare che ha il suo linguaggio da rispettare per poter guadagnare la riva e poi ripartire alla scoperta di nuovi orizzonti e di immensi tesori nascosti nei suoi fondali. Sì, i “pescatori di meraviglie” non smettono mai di sognare, neppure quando, stanchi e sfiniti, inseguono più ricordi che sogni, senza smettere mai di afferrare stelle, che sono desideri (e, nel gioco di parole che tanto amo, de-sidera sta a significare: intorno alle stelle; ma anche, con un “de” deprivativo: colmare un vuoto di stelle)… magari in un altro cielo che raccolga nel suo azzurro un mare altro…>

Del resto, Nico è stato un uomo di rara sensibilità, sempre preso dai suoi incanti: marito tenero, affettuoso, prodigo di doni, tanti quelli floreali in giorni non necessariamente deputati a farli, alla sua Tea; padre profondamente, poeticamente innamorato dei suoi figli: Manuela e Alberto. Con toni diversi e modalità legate alla loro personalità, alle loro esigenze; amico attento, sincero, generoso, sia con gli uomini che con le donne, pur avendo una predilezione particolare per il genere femminile; poeta sopra ogni cosa. e, a questo proposito, è necessario riprendere a raccontare dalla prefazione per via di un dettaglio, decisamente importante. Parlo di un <accadimento che hanno lasciato nell’animo di Nico una scia, un segno profondo, una scalfittura, una ferita non rimarginabile. Una scoperta strabiliante a segnarlo per tutta la vita. Il signum: presagio.

Ora vedeva distintamente suo padre, che faceva levare in volo un aquilone azzurro e gli legava il

filo al polso. Lo strano uccello di carta danzava nel vento in compagnia di due gabbiani che gli erano venuti incontro mentre lui correva a perdifiato sulla sabbia, scalzo, inseguendo il cuore che faceva capriole e, pazzo di gioia, urlava, urlava, urlava, ma non parole. A sei anni non possedeva ancora parole adeguate che potessero esprimere quegli attimi di felice delirio. Suoni, emetteva suoni indistinti fatti di vocali e consonanti che si legavano tra loro e si componevano nella meravigliosa armonia di una lingua sconosciuta che, comunque, raccontava emozioni. Più tardi, solo molto più tardi, da adulto, avrebbe capito che quel giorno di fine maggio, su una spiaggia deserta di Torre Canne, la Poesia gli era venuta incontro svelandogli che sarebbe stato possibile - ogni volta che l’avesse voluto - trasformarsi in un aquilone, un gabbiano, nel mare, nelle nuvole e osservare sé stesso e il mondo con altri occhi che non fossero i suoi: occhi di mare, occhi di vento...

Ecco il primo indimenticabile ricordo. Il segno indelebile del suo destino di poeta, tanto che ogni   suo “racconto” si traduce inevitabilmente in pennellate di poesia>.

E mi tornano alla mente i versi di Pablo Neruda quando si accorse di essere un poeta: Accadde in quell’età… La poesia/ venne a cercarmi, non so da dove/ sia uscita, da inverno o fiume./ Non so come né quando,/ no, non erano voci, non erano/ parole né silenzio,/ ma da una strada mi chiamava,/ dai rami della notte,/ bruscamente fra gli altri,/ fra violente fiamme/ o ritornando solo,/ era lì senza volto/ e mi toccava.//  Non sapevo che dire, la mia bocca/ non sapeva nominare,/ i miei orecchi erano ciechi,/ e qualcosa batteva nel mio cuore,/ febbre o ali perdute,/ e mi feci da solo,/ decifrando/ quella bruciatura,/ e scrissi la prima riga incerta,/ vaga, senza corpo, pura/ sciocchezza,/ pura saggezza/ di chi non sa nulla,/ e vidi all’improvviso/ il cielo/ sgranato/ e aperto,/ pianeti,/piantagioni palpitanti,/ombra ferita,/ crivellata/ da frecce, fuoco e fiori,/ la notte travolgente, l’universo.// Ed io, minimo essere,/ ebbro del grande vuoto/ costellato,/ a somiglianza, a immagine/ del mistero,/ mi sentii parte pura/ dell’abisso,/ ruotai con le stelle,/ il mio cuore si sparpagliò nel vento.

E del <grande poeta americano, di origini albanesi, Gjeke Marinaj:

Anche da piccolo correvi per afferrare

l’arcobaleno/ tra le tue mani;/ ma ogni volta

l’arcobaleno veleggiava via/ con i canuti riccioli del

cielo.// Tu tornavi piangendo.// Ora non piangi

né gli corri dietro./ Perché hai il tuo arcobaleno - di

parole./ Non è questo della bellezza raro dono?

(G. Marinaj, “La madre parla al figlio poeta”, in

Schizzi d’immaginazione, SECOP edizioni 2019).

Straordinaria somiglianza tra gli aquiloni di Nico e gli arcobaleni di Gjeke. Sembra che la poesia abbia un’anima universale e che il destino di un poeta sia segnato da accadimenti come questi

che procurano pianto o ebbrezza, ma sono sempre forieri di ricami di parole in veste di poesia.

Nico (questo l’inevitabile nome del protagonista di tutte le storie), però, ha due anime: quella

dell’uomo romantico, innamorato dell’amore, della bellezza, delle donne, della natura e della vita; e quella di un signore disincantato, scontento, ironico, solitario, deluso, scontroso, che parla e si confronta con tutte le “prigioni” della mente e del cuore, da cui il suo spirito libero cerca disperatamente di scappare, rischiando la solitudine e lo sberleffo della sorte, non sempre generosa e benigna nei suoi riguardi, ma spesso arrendevole e compiaciuta per i suoi atti di coraggio e di determinazione a resistere. Nello sport come nella vita.

L’arbitro... aveva contato fino a dieci, il pubblico era ammutolito. Non un applauso, neanche da parte degli atleti della sua squadra. In piedi nel suo angolo, Nico era stremato, aveva voglia di piangere e ridere. Piangere e ridere, mentre Nestore in lacrime urlava: “Campione, campione,

campione, sei il campione dei ferrovieri!!!!!.”.

Il terzo Nico è colui che racchiude in sé i primi due e che racconta, ora commuovendoci, ora

facendoci sorridere divertiti, ora incantandoci con la sua affabulazione, ora facendoci riflettere su un mondo, quello dei nostri giorni (ma Vico ci ha parlato dei “corsi e ricorsi storici”, non dimentichiamolo!), che lo trova estraneo alla sua volgarità, violenza, indifferenza, disumanità.

Metà di me non mi appartiene/ naviga/

dove il chiaro dell’aurora boreale/ si stempera nel

blu infinito della notte./ Metà di me si dissolve in

milioni di grani/ e si sparge e combina/ in simpatia

con miliardi di atomi/ sulla linea d’ombra/

al limite di ogni verità/ dove certezze sconfinano

nel dubbio/

e l’umano sapere è attonita coscienza

dell’immenso.

Nico è sempre dimidiato tra realtà e fantasia, tra ragione e cuore, tra tormenti dell’anima e drastico rifiuto di mondi sconosciuti ai suoi sentimenti e che sente angusti fino a strangolarlo. (…)

Quanti importanti incontri nel percorso esistenziale di Nico: con gli uomini di chiesa e con i

giovani militanti di sinistra, con i parenti, anziani e giovani, alcuni incoraggianti “maestri di vita”,

indimenticabili e indimenticati. Con i coetanei, con le ragazze e poi le donne e con gli amici di

elezione. Uno fra tutti: Germàn Rojas, con cui condivide una fede politica ormai quasi in disuso

anche nella loro mente, ma tenuta viva nel proprio cuore per sentire ancora il palpito di un credo. Una speranza. L’amico giusto, con cui parlare di sogni e illusioni, di ideali di libertà e clamorose sconfitte del pensiero libero in un mondo di “pensiero unico”. Germàn, ventitreenne eroe “per caso” durante i giorni della rivolta contro il democratico Allende per instaurare la dittatura di Pinochet nel suo Cile, e imprigionato, torturato, esiliato, segnato ferocemente nel corpo e nell’anima. L’amico fraterno più volte perduto e ritrovato sotto altri cieli, altre identità, un solo progetto identitario per entrambi, nonostante gli anni e le distanze geografiche: diventare “pescatori di meraviglie”.

Caro Nico, (…) Non lasciarci senza la tua parola, senza i tuoi sogni, senza la tua folle geografia italica, senza il tuo mare, senza la tua tenerezza. Vai oltre i “confini di te”, con tutta la forza che

hai, non fermarti, non spegnerti. (…) I nostri confini sono come l’utopia alla quale non

rinunceremo mai. Perché tu ed io siamo l’orizzonte e, insieme, noi siamo l’utopia. Pescatori di meraviglie, ricordi? A costo di annegare nei mari della luna. Ti abbraccio con l’immenso affetto di un fratello. Germán

Ma, per essere pescatori, bisogna aver prima incontrato il MARE. E Nico l’ha incontrato nei suoi pensieri da sempre e se ne è innamorato perdutamente quando da bambino lo ha visto e toccato per la prima volta. Poi… aveva imparato a conoscerlo. Ad attraversare la sua superficie. A scandagliare i suoi fondali, fisici e metafisici, scoprendo meraviglie sempre più profonde e verità su cui riflettere… (…).

E si potrebbe concludere qui il nostro viaggio nelle meravigliose pagine di questo libro, ma c’è un Epilogo che ci riporta all’inizio di tutto, a quel segno rivelatore: Nico sarebbe stato un poeta come lo è stato per tutta la vita (…). Perché, in realtà, poeti si nasce, non si diventa. Ma sarebbe stato anche (…) un solitario ribelle, amante della giustizia e della verità; un uomo che avrebbe dato la propria vita perché non accadesse lo stupro del corpo a Vincenza e quello dell’anima a Francesca; un uomo che, con tutto il suo essere in rivolta contro una società omertosa, volgare e indifferente, ha trovato il modo di parlarne con toni delicati di rara poesia(…), cantando i misfatti di ogni tempo con lievità infinita. E tutta la sua scrittura è un canto in cui si staglia e si anima la vita: tra incontri e scontri, dolore e allegria, libri e uomini, canzoni e poesie, sue e di altri; terra e mare e sempre tanto azzurro oltre le nuvole, tante stelle oltre il buio, tanta voglia di vivere e continuare a meravigliarsi perché tutto è sogno, come altri grandi Poeti (Shakespeare? Calderòn de la Barca? Miguel de Cervantes?) gli hanno insegnato. (…)

Nico ha due amuleti: il MARE e la VELA per continuare a vivere e sognare ancora… o continuare

a sognare per vivere ancora…>

E rimangono a raccontare di lui solo le parole del cuore. Angela

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