Ho scritto ieri il mio NO. Il mio NO a tutte le guerre, a tutti i massacri, a tutti gli Olocausti a livello mondiale per “non dimenticare” e perché oggi avevo e ho altri RICORDI da ricordare: le NOZZE di mio padre e mia madre 84 anni fa e la perdita di Nico Mori, mio carissimo amico fraterno fino a tre anni fa e nell’Oltre, fra la terra e le stelle. Per circa tre anni, mi sono ostinata a ricordare come data della sua morte il 20 gennaio, ma poi, improvvisamente, dopo tre anni davvero difficili per me sul versante salute, ecco che ho ricordato la motivazione per cui avevo dimenticato. Ma non è importante per voi che mi leggete e che mi volete bene, è importante per me che, qualche volta, non mi voglio bene e per questo faccio fatica a ricordare. Ma Nico mi è troppo caro per non parlarne ancora. Magari, questa volta, attingendo dal suo ultimo libro, a cui ho fatto la prefazione, perché si abbia di Nico una idea più completa. E dalla prefazione vi riporto alcuni stralci più significativi:
<Bellissimo titolo quello che Nico Mori
ha dato a questo suo nuovo libro, I pescatori di meraviglie
e
altre storie (SECOP edizioni, Corato - Bari): un titolo,
che contiene in sé l’immensità del mare,
la
sua profondità, i suoi tesori nascosti e a pelo d’acqua; il suo mistero e la
sua magia; l’amore
che
l’Autore nutre per il mare, di cui si nutre: con gli occhi, le mani, il cuore.
Inseguendo una vela
bianca,
origine e compimento di tutti i suoi sogni, documentata da un romanzo con
struttura “ad
anello”,
che parte da un Prologo per giungere ad un Epilogo, sempre in un
attraversamento delle
azzurre
acque, con l’intento di forare il cielo per andare oltre: oltre il tempo, lo
spazio, sé stesso e il proprio corpo, i propri pensieri, e persino il proprio cuore…
In
mezzo, il viaggio. Il viaggio esistenziale di un uomo di terra e di mare: un
uomo nato nell’aspra
terra
della Murgia altamurana ma innamorato del mare e che sul mare, anche
metaforico, ha vissuto la sua avventura della vita, tra marosi e tempeste, tra
scogli appuntiti e rade di temporanei approdi.
Infatti,
tra Prologo ed Epilogo si snodano dieci capitoli che, partendo da una crisi
cardiaca
che
porta Nico Mori dal gustare, nella propria la casa, un brano di musica di
Chopin che ama
perdutamente
e la lettura di un libro filosofico sul dubbio cartesiano (…) ad una corsia di
ospedale dove si ritrova bruscamente a lottare tra la vita e la morte, senza capire
il perché, proprio mentre viene sommerso dai ricordi del suo mare e della sua
vela in tanta azzurra tenerezza.
La
musica di Chopin lo aveva appena avvolto in un abbraccio morbido e lo cullava
dolcemente
quando...
il fiume di lava era esploso. All’improvviso, con fragore, gli aveva squarciato
il
petto come un fendente di spada, gli aveva incendiato la gola, tolto il respiro
scaraventandolo
giù
dalla poltrona, sul tappeto, accartocciato come una foglia secca a vomitare
rantoli soffocati.
Poi,
l’urlo lacerante dell’ambulanza, la dottoressa che gli stringeva una mano e
parlava
concitatamente
al telefono con l’ospedale per segnalare un codice rosso per imminente arresto
cardiaco,
l’ago della flebo nel braccio che gocciolava stille di vita e il dolore che si
faceva meno aggressivo, o così gli sembrava.
E
i giorni si trasformano in un rosario di ricordi che si aggrumano intorno alla società
e le sue regole da sovvertire per tentare di cambiarla e migliorarla. E il
mare, l’immenso mare che ha il suo linguaggio da rispettare per poter guadagnare
la riva e poi ripartire alla scoperta di nuovi orizzonti e di immensi tesori
nascosti nei suoi fondali. Sì, i “pescatori di meraviglie” non smettono mai di
sognare, neppure quando, stanchi e sfiniti, inseguono più ricordi che sogni,
senza smettere mai di afferrare stelle, che sono desideri (e, nel gioco di
parole che tanto amo, de-sidera sta a significare: intorno alle stelle; ma
anche, con un “de” deprivativo: colmare un vuoto di stelle)… magari in un altro
cielo che raccolga nel suo azzurro un mare altro…>
Del
resto, Nico è stato un uomo di rara sensibilità, sempre preso dai suoi incanti:
marito tenero, affettuoso, prodigo di doni, tanti quelli floreali in giorni non
necessariamente deputati a farli, alla sua Tea; padre profondamente,
poeticamente innamorato dei suoi figli: Manuela e Alberto. Con toni diversi e
modalità legate alla loro personalità, alle loro esigenze; amico attento, sincero,
generoso, sia con gli uomini che con le donne, pur avendo una predilezione
particolare per il genere femminile; poeta sopra ogni cosa. e, a questo
proposito, è necessario riprendere a raccontare dalla prefazione per via di un
dettaglio, decisamente importante. Parlo di un <accadimento che hanno lasciato
nell’animo di Nico una scia, un segno profondo, una scalfittura, una ferita non
rimarginabile. Una scoperta strabiliante a segnarlo per tutta la vita. Il signum:
presagio.
Ora
vedeva distintamente suo padre, che faceva levare in volo un aquilone azzurro e
gli legava il
filo
al polso. Lo strano uccello di carta danzava nel vento in compagnia di due
gabbiani che gli erano venuti incontro mentre lui correva a perdifiato sulla sabbia,
scalzo, inseguendo il cuore che faceva capriole e, pazzo di gioia, urlava,
urlava, urlava, ma non parole. A sei anni non possedeva ancora parole adeguate
che potessero esprimere quegli attimi di felice delirio. Suoni, emetteva suoni
indistinti fatti di vocali e consonanti che si legavano tra loro e si componevano
nella meravigliosa armonia di una lingua sconosciuta che, comunque, raccontava
emozioni. Più tardi, solo molto più tardi, da adulto, avrebbe capito che quel
giorno di fine maggio, su una spiaggia deserta di Torre Canne, la Poesia gli
era venuta incontro svelandogli che sarebbe stato possibile - ogni volta che
l’avesse voluto - trasformarsi in un aquilone, un gabbiano, nel mare, nelle
nuvole e osservare sé stesso e il mondo con altri occhi che non fossero i suoi:
occhi di mare, occhi di vento...
Ecco
il primo indimenticabile ricordo. Il segno indelebile del suo destino di poeta,
tanto che ogni suo “racconto” si traduce inevitabilmente in pennellate
di poesia>.
E
mi tornano alla mente i versi di Pablo Neruda quando si accorse di essere un
poeta: Accadde in quell’età… La poesia/
venne a cercarmi, non so da dove/ sia uscita, da inverno o fiume./ Non so come né
quando,/ no, non erano voci, non erano/ parole né silenzio,/ ma da una strada
mi chiamava,/ dai rami della notte,/ bruscamente fra gli altri,/ fra violente
fiamme/ o ritornando solo,/ era lì senza volto/ e mi toccava.// Non sapevo che dire, la mia bocca/ non sapeva
nominare,/ i miei orecchi erano ciechi,/ e qualcosa batteva nel mio cuore,/
febbre o ali perdute,/ e mi feci da solo,/ decifrando/ quella bruciatura,/ e
scrissi la prima riga incerta,/ vaga, senza corpo, pura/ sciocchezza,/ pura
saggezza/ di chi non sa nulla,/ e vidi all’improvviso/ il cielo/ sgranato/ e
aperto,/ pianeti,/piantagioni palpitanti,/ombra ferita,/ crivellata/ da frecce,
fuoco e fiori,/ la notte travolgente, l’universo.// Ed io, minimo essere,/
ebbro del grande vuoto/ costellato,/ a somiglianza, a immagine/ del mistero,/
mi sentii parte pura/ dell’abisso,/ ruotai con le stelle,/ il mio cuore si
sparpagliò nel vento.
E
del <grande poeta americano, di origini albanesi, Gjeke Marinaj:
Anche
da piccolo correvi per afferrare
l’arcobaleno/
tra le tue mani;/ ma ogni volta
l’arcobaleno
veleggiava via/ con i canuti riccioli del
cielo.//
Tu tornavi piangendo.// Ora non piangi
né
gli corri dietro./ Perché hai il tuo arcobaleno - di
parole./
Non è questo della bellezza raro dono?
(G.
Marinaj, “La madre parla al figlio poeta”, in
Schizzi
d’immaginazione, SECOP edizioni 2019).
Straordinaria
somiglianza tra gli aquiloni di Nico e gli arcobaleni di Gjeke. Sembra che la poesia
abbia un’anima universale e che il destino di un poeta sia segnato da
accadimenti come questi
che
procurano pianto o ebbrezza, ma sono sempre forieri di ricami di parole in
veste di poesia.
Nico
(questo l’inevitabile nome del protagonista di tutte le storie), però, ha due
anime: quella
dell’uomo
romantico, innamorato dell’amore, della bellezza, delle donne, della natura e della
vita; e quella di un signore disincantato, scontento, ironico, solitario, deluso,
scontroso, che parla e si confronta con tutte le “prigioni” della mente e del
cuore, da cui il suo spirito libero cerca disperatamente di scappare, rischiando
la solitudine e lo sberleffo della sorte, non sempre generosa e benigna nei suoi
riguardi, ma spesso arrendevole e compiaciuta per i suoi atti di coraggio e di
determinazione a resistere. Nello sport come nella vita.
L’arbitro...
aveva contato fino a dieci, il pubblico era ammutolito. Non un applauso,
neanche da parte degli atleti della sua squadra. In piedi nel suo angolo, Nico
era stremato, aveva voglia di piangere e ridere. Piangere e ridere, mentre Nestore
in lacrime urlava: “Campione, campione,
campione,
sei il campione dei ferrovieri!!!!!.”.
Il
terzo Nico è colui che racchiude in sé i primi due e che racconta, ora
commuovendoci, ora
facendoci
sorridere divertiti, ora incantandoci con la sua affabulazione, ora facendoci
riflettere su un mondo, quello dei nostri giorni (ma Vico ci ha parlato dei “corsi
e ricorsi storici”, non dimentichiamolo!), che lo trova estraneo alla sua
volgarità, violenza, indifferenza, disumanità.
…
Metà di me non mi appartiene/ naviga/
dove
il chiaro dell’aurora boreale/ si stempera nel
blu
infinito della notte./ Metà di me si dissolve in
milioni
di grani/ e si sparge e combina/ in simpatia
con
miliardi di atomi/ sulla linea d’ombra/
al
limite di ogni verità/ dove certezze sconfinano
nel
dubbio/
e
l’umano sapere è attonita coscienza
dell’immenso.
Nico
è sempre dimidiato tra realtà e fantasia, tra ragione e cuore, tra tormenti
dell’anima e drastico rifiuto di mondi sconosciuti ai suoi sentimenti e che
sente angusti fino a strangolarlo. (…)
Quanti
importanti incontri nel percorso esistenziale di Nico: con gli uomini di chiesa
e con i
giovani
militanti di sinistra, con i parenti, anziani e giovani, alcuni incoraggianti
“maestri di vita”,
indimenticabili
e indimenticati. Con i coetanei, con le ragazze e poi le donne e con gli amici
di
elezione.
Uno fra tutti: Germàn Rojas, con cui condivide una fede politica ormai quasi in
disuso
anche
nella loro mente, ma tenuta viva nel proprio cuore per sentire ancora il
palpito di un credo. Una speranza. L’amico giusto, con cui parlare di sogni e
illusioni, di ideali di libertà e clamorose sconfitte del pensiero libero in un
mondo di “pensiero unico”. Germàn, ventitreenne eroe “per caso” durante i giorni
della rivolta contro il democratico Allende per instaurare la dittatura di
Pinochet nel suo Cile, e imprigionato, torturato, esiliato, segnato ferocemente
nel corpo e nell’anima. L’amico fraterno più volte perduto e ritrovato sotto
altri cieli, altre identità, un solo progetto identitario per entrambi, nonostante
gli anni e le distanze geografiche: diventare “pescatori di meraviglie”.
Caro
Nico, (…) Non lasciarci senza la tua parola, senza i tuoi sogni, senza la tua
folle geografia italica, senza il tuo mare, senza la tua tenerezza. Vai oltre i
“confini di te”, con tutta la forza che
hai,
non fermarti, non spegnerti. (…) I nostri confini sono come l’utopia alla quale
non
rinunceremo
mai. Perché tu ed io siamo l’orizzonte e, insieme, noi siamo l’utopia. Pescatori
di meraviglie, ricordi? A costo di annegare nei mari della luna. Ti abbraccio
con l’immenso affetto di un fratello. Germán
Ma,
per essere pescatori, bisogna aver prima incontrato il MARE. E Nico l’ha incontrato
nei suoi pensieri da sempre e se ne è innamorato perdutamente quando da bambino
lo ha visto e toccato per la prima volta. Poi… aveva imparato a conoscerlo. Ad attraversare
la sua superficie. A scandagliare i suoi fondali, fisici e metafisici,
scoprendo meraviglie sempre più profonde e verità su cui riflettere… (…).
E
si potrebbe concludere qui il nostro viaggio nelle meravigliose pagine di
questo libro, ma c’è un Epilogo che ci riporta all’inizio di tutto, a quel segno
rivelatore: Nico sarebbe stato un poeta come lo è stato per tutta la vita (…). Perché,
in realtà, poeti si nasce, non si diventa. Ma sarebbe stato anche (…) un
solitario ribelle, amante della giustizia e della verità; un uomo che avrebbe
dato la propria vita perché non accadesse lo stupro del corpo a Vincenza e
quello dell’anima a Francesca; un uomo che, con tutto il suo essere in rivolta
contro una società omertosa, volgare e indifferente, ha trovato il modo di parlarne
con toni delicati di rara poesia(…), cantando i misfatti di ogni tempo con
lievità infinita. E tutta la sua scrittura è un canto in cui si staglia e si
anima la vita: tra incontri e scontri, dolore e allegria, libri e uomini,
canzoni e poesie, sue e di altri; terra e mare e sempre tanto azzurro oltre le
nuvole, tante stelle oltre il buio, tanta voglia di vivere e continuare a
meravigliarsi perché tutto è sogno, come altri grandi Poeti (Shakespeare? Calderòn
de la Barca? Miguel de Cervantes?) gli hanno insegnato. (…)
Nico
ha due amuleti: il MARE e la VELA per continuare a vivere e sognare ancora… o
continuare
a
sognare per vivere ancora…>
E rimangono a raccontare di lui solo le parole del
cuore. Angela
Nessun commento:
Posta un commento