d’inverno
in attesa di albe d’infinito.
(a.d.l.)
Stiamo vivendo giorni bui e notti insonni per la terribile guerra fratricida, improvvisa e devastante, in atto tra Russia e Ucraina; guerra, che sta seminando dolore e lutti con la morte di molti bambini innocenti, di donne disperate e sole, di anziani inermi, di uomini decisi a combattere…. Sempre più stiamo correndo il rischio di distruggere il nostro Pianeta e la nostra Umanità. E non è più tempo di analizzare torti e ragioni…. È tempo di urlare: “NO ALLE ARMI”, “NO ALLA GUERRA”, “NO AGLI INTERESSI ECONOMICI E AL LORO INDISCRIMANATO E AVVILENTE POTERE”. SONO TUTTI DELITTI CONTRO LA NOSTRA UMANITÀ ALLA DERIVA.
Come sta gridava due anni fa Papa Francesco, con fermezza e coraggio: “In nome di Dio, vi chiedo: fermate questo massacro”, bisogna “cessare l’inaccettabile aggressione armata”, che sta riducendo “le città a cimiteri” (13 marzo 2022).
Ecco i cimiteri. Quando ero bambina io venivano chiamati in due modi: cimitero e camposanto. E quest'ultimo era più ricco di Arte e dipinti religiosi per dare maggiore senso di sacralità al luogo. E, ogni 2 novembre, dagli anni Cinquanta in poi, accompagnavamo io e mia sorella Lizia al cimitero/camposanto i nonni materni con cui vivevamo. I nostri genitori, a causa del lavoro di babbo, maresciallo dei carabinieri, andavano ad abitare nelle varie caserme dove babbo aveva il suo alloggio ed erano costretti a lasciarci per fare loro compagnia, essendo mamma figlia unica e alle prese con altri quattro figli, nati dopo il ritorno di babbo dalla guerra. Ebbene, allora a me piaceva andare tra le tombe e mi divertivo anche a leggere le frasi scolpite sulle lapidi, sotto la foto in b/n del defunto: “padre esemplare, marito integerrimo, uomo di acclarate virtù, probo cittadino”… Mai un ladro, un malfattore, un miscredente. E quei vocaboli, poi, fermi nel tempo che mi sembrava fossero nati con Adamo ed Eva. Ma mi piaceva seguire i nonni nelle varie cappelle dove erano sepolti i loro cari defunti e persino dove c’erano i loro loculi vuoti, su cui il nonno infiocchettava battute per stemperare la paura della morte di nonna Angelina. Un giorno, però, ero quasi adolescente, accadde un fatto increscioso. Il nonno volle portarmi con sé a fare visita alla sorella di babbo a cui era morto improvvisamente il marito. Mi trovai immersa in un’atmosfera sconcertante di cupo dolore per la disperazione di mia zia e dei miei cugini. Era estate, il caldo, i fiori, il pianto mi procurarono un malessere tale che mi parve di morire. A stento mio nonno riuscì a portarmi fuori mentre stavo per svenire. Da allora chiusi definitivamente con defunti e cimiteri. Ci tornai proprio per la morte di mio nonno, quando avevo venticinque anni ed ero prossima alle nozze, ma dovettero portarmi fuori dal cimitero perché stetti malissimo alla vista della sua tumulazione. Mi riconciliai con quel luogo santo solo con la morte di mia madre. Ma neppure tanto. Non ci sono tornata fino alla morte di Primo, mio marito (4 giugno 2008). E anche dopo non ci sono più tornata. Anche a lui non piacevano i cimiteri. Personalmente non trovo consolazione davanti a una tomba. Solo il desiderio irrefrenabile di fuggire. I morti me li porto nel cuore. Parlo sempre con loro e di loro. E l’andare al cimitero, soprattutto il 2 novembre, mi sembra solo una pura formalità, un dovere oppure un rito. A tale proposito ecco una poesia da me scritta tanti anni fa: Cipressi cupi contro cieli spenti/ ascoltano mormorii di preghiere/ sotto veli neri di consuetudine./ Il giallo e il bianco/ dei crisantemi immensi/ (ricordi la fiaba della bimba?)/ ingoiano parole su lapidi mute./ Due novembre anche quest’anno/ fiammelle ardono su dolori sopiti/ i morti dormono come ogni altro giorno./ Da casa ho visto tutto/ la lunga strada triste/ i grani del rosario cancelli/ aperti su lacrime rinnovate/ frasi stente marmi ripuliti./ Da casa ho visto tutto/ la via del ritorno occhi inariditi/ le quattro insulse chiacchiere dei vivi/ la vita aumenta problemi d’ogni giorno./ Sono rimasta inchiodata al mio rifiuto./ I miei morti me li porto nel cuore/ più vivi della mia anima/ quando l’anima è viva e soffre/ e si ribella. Assurda./ Questa sera i miei morti/ (passi di tenerezza parole di nostalgia)/ sono venuti nella mia casa./ Hanno chiacchierato a lungo/ con i miei figli. Io/ ho ricordato piano…
Ma ecco che, improvvisamente, mi capita tra le mani un libro particolare, diverso da tutti gli altri libri letti fino ad oggi. Con bellissime fotografie/immagini che danno un senso di pace, di serenità proprio ai cimiteri. Tanti! Sparsi in tutto il mondo. Luoghi diversissimi in cui il silenzio sembra regnare sovrano. Tantissimi i richiami di un Tempo/Spazio che si veste di Eternità e di Umanità in un proprio spazio/tempo/ definito, nel presente, tra passato e futuro, fra mille e mille sciagure umane, volute dall’uomo, determinate dalla natura, temute come punizione divina.
Si tratta di UNA SCELTA NECESSARIA di Dominique Jean Paul Stanisci (della SECOP edizioni, Corato-Bari, 2023) con la pregevole Prefazione di Chiara Cannito, che ne ha curato anche l’editing.
Mi avventuro, pertanto, nei tanti luoghi “della memoria” fotografati da Stanisci (dai cimiteri ai campi di concentramento, al carcere di Alcatraz, dal Ground Zero di New York a Hiroshima in Giappone, a Chernobyl in Ucraina) non solo per testimoniare il silenzio e la pace della terra dove “riposano” i morti di tutti i continenti del nostro Pianeta Terra (silenzio interrotto solo dal dolore e dal pianto dei vivi), ma soprattutto per documentare la aberrante mancanza di umanità degli esseri che dovrebbero essere umani, ma che si rivelano “belluini” in tutti i contesti ferocemente disumani, di cui è fatta la nostra Storia.
Il suo intento è, in pratica, quello di “scuotere le coscienze” perché si facciano “scelte necessarie” e non solo dettate per tutti noi dal fatto di dover/voler superare la paura del tempo che passa e della morte che si avvicina a grandi passi con la sua “falce a pareggiare l’erba del prato” (Manzoni, I Promessi Sposi), stringendoci gli uni agli altri per farci compagnia mentre inevitabilmente ci sorprende l’idea dell’Oltre. Di cosa ci attende dopo. Pensiero costante di tutti i comuni mortali. E sono del parere che vengano risparmiati forse animali e piante che, oltre all’istinto naturale, hanno però una sensibilità particolare nel “sentire” il loro avvicinarsi alla morte nel crudele mattatoio. Da quando ho visto un documentario in tal senso non riesco più a mangiare carne...
La SCELTA, intanto, è sempre un atto di volontà e di coraggio che subentra ad una condizione di vita o ad una imprevista situazione del momento. Ed è una scelta innanzitutto interiore, intenzionata a scavare nel cuore e nell’anima per un viaggio intimo con la Speranza di ritrovare emozioni e sentimenti riposti gelosamente nello “scrigno del cuore” e spesso dimenticati. Custoditi intimamente nelle pieghe/piaghe più profonde dell’anima per riscoprirci nelle nostre fragilità e imperfezioni e per riproporci nei “valori di sempre” che danno “nel per sempre” dignità alla nostra esperienza terrena. Importantissimi, a mio parere, sono i riferimenti che Stanisci, per sentirsi in ottima compagnia, fa, negli eserghi di ogni capitolo, ai tanti autori famosi a livello regionale e istituzionale (giornalisti, scrittori, poeti, registi, conduttori televisivi e documentaristi) che arricchiscono il volume: da Sandro Calvani a Debora Mirabelli, dal mio prezioso amico Gustavo Delgado a Marika Ramunno, da Maria Cristina De Carlo a Valentino Sgaramella, da Gabriele Carmelo Rosato, alla stessa Chiara Cannito, a Carmelo Gallo, “già Dirigente Scolastico in diversi Istituti secondari di I e II grado”. Ma, cosa molto più emozionante, nel libro, è la coralità che fiorisce da queste voci da cui Dominique Jean Paul estrapola altre massime che ci consolano di fronte a tanta disumanità così tenacemente e coraggiosamente da lui documentata.
E così ci capita di incontrare Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, con il suo monito a continuare il lavoro intrapreso; lo scrittore Edward Percival Forster, che descrive un cimitero come “Luogo meraviglioso. Messaggero di pietra. Musica celestiale…”; il ragazzo che per denaro lo accompagna a seguire i vari riti della “cremazione” a Varanasi presso il fiume Gange in India; Oskar Schindler nel film di Steven Spielberg a Cracovia in Polonia; la nonnina/guida di Auschwitz e il suo monito di salvaguardare sempre la dignità umana in ogni tempo e in ogni luogo; Henry Young, il piccolo eroe di Alcatraz e persino Cesare Beccaria (nonno di Alessandro Manzoni e famoso giurista, autore del trattato Dei delitti e delle pene) e il suo senso di giustizia e libertà… E si potrebbe continuare, ma è giusto giungere alle “Considerazioni conclusive” dello stesso Stanisci, che si auspica soprattutto di intraprendere, tutti quanti insieme, un viaggio "spirituale" di “educazione” per le nuove generazioni (ragazzi e insegnanti, compresi i genitori che sono i primi educatori dei figli), per riscoprire valori e sentimenti in un nuovo cammino verso la Pace e “illuminare l’Oscurità con la Luce della Speranza” in un Futuro migliore.
Di qui anche le mie conclusioni che prendo in prestito da Louise Glük, la famosa poetessa americana, Premio Nobel per la Letteratura 2020: “Tutto ciò che torna dall’oblio ritorna per trovare una voce”. Quella di Dominique Jean Paul Stanisci? Di sicuro è meritevole che il suo libro metta le ali per volare lontano... E anche oggi mi fermo qui, accomunando in questo mio scritto, suggeritomi soprattutto dal libro Una scelta necessaria, tutte le vittime della Shoah e quelle delle Foibe del Giorno del Ricordo (10 febbraio) troppo a lungo dimenticate per motivi politici e altro su cui non voglio neppure indagare perché per me vale soltanto la nostra Umanità e non la disumanità che la Storia da sempre registra.
Angela
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