Settembre-ottobre: tempo di ritorno dalle vacanze estive e
di ripresa del lavoro per tutti. Soprattutto tempo di scuola. Non a caso, la
nostra Rivista cartacea CORRELAZIONI UNIVERSALI recita così: SCUOLA:
INSEGNANTI NON PER CASO. LASCIANDO TRACCE DI SENSO.
E io il senso lo trovo, ancora una volta, nonostante siano
passati cinquantasette anni dalla sua morte, in Don Lorenzo Milani. E nella sua
Scuola di Barbiana, dove il “prete scomodo” venne confinato per punizione.
Don Milani, non si dette per vinto. Anzi! Fece scrivere su
un cartello all’ingresso della scuola il motto “I CARE”, ripreso poi come
mantra da molte organizzazioni politiche e religiose, fino a uno degli ultimi
Presidenti degli USA: Obama.
“Tutto mi sta a cuore”, una frase che riassumeva bene le
finalità di cura educativa di una scuola orientata a promuovere una forma di
sollecitudine per le persone, la natura, le cose.
Il prendersi “cura”, infatti, è la forma più alta dell’amore
da donare agli altri, sia che si tratti dei nostri cari, sia che si tratti dei
ragazzi che ci vengono affidati per un intero corso di studi: dalla Scuola
dell’Infanzia alle scuole superiori.
Il “prendersi cura” sottintende una sorta di necessaria
continuità tra una scuola e l’altra. Tra un ciclo e l’altro. Tra un anno e
l’altro. Non basta alla scuola dei nostri giorni “accogliere”, occorre
prolungarne l’azione perché l’educatore abbia tempi e modi per avviare un
processo di conoscenza dei suoi allievi, che li porterà ad acquisire quel senso
di fiducia e di autostima che li accompagnerà per tutta la vita, sempre grati a
quel “maestro” che si era rivelato tre volte tale (magis-ter) con loro,
nell’arco di tempo dell’insegnamento-apprendimento svolto insieme.
La didattica, arte/scienza dell’“insegnare” non deve essere
mai disgiunta dalla “matetica”, arte/scienza dell’apprendere.
“I care” trasporta come messaggio la disponibilità a non
essere centrati su sé stessi e riconcentra l’attenzione e l’interesse al mondo
degli altri, sollecitando un comportamento di rispetto della dignità della
persona. Di ciascuna persona. Di ciascun alunno, con i suoi “punti di forza” da
valorizzare e le sue “fragilità” da superare.
“Tutto mi sta a cuore” era, comunque, una frase in netta
contrapposizione al “Me ne frego”, di pretta marca fascista.
Don Lorenzo aveva, nonostante le sue radici alto-borghesi
(nipote del grande Comparetti, filologo, grecista e latinista, che gli inculcò
l’amore per la PAROLA), era soprattutto un uomo di sinistra. Era per i poveri,
i derelitti, per tutti coloro che non avevano mai avuto “voce”, sia nella loro
storia personale che in quella più ampia della Storia dell’umanità.
Non a caso nella sua scuola, Don Milani improntò tutta la
sua pedagogia sull’utilizzo dei giornali che i ragazzi, di varia età ma di
estrazione sociale povera, dovevano imparare ad usare in modo corretto per
impadronirsi del senso e significato di ciascuna parola, soprattutto in modo
critico-costruttivo, per potersi confrontare con tutti i possibili
interlocutori e andare anche all’estero, dopo aver studiato nella scuola di
Barbiana parecchie lingue straniere, a completare gli studi o a lavorare, con
cognizione di causa, per la conquista della libertà di parola e di pensiero.
Ma, a Barbiana, oltre al motto “I care”, i ragazzi
costruirono un mosaico, che appesero alle pareti, con raffigurato un ragazzo
con l’aureola, intento a leggere un libro. Si trattava di un messaggio
simpaticamente autoironico, riguardante il “santo scolaro”.
La prova della loro bravura nell’usare appropriatamente la
parola scritta fu, però, Lettera ad una professoressa (pubblicata
da LEF una piccola casa editrice fiorentina), frutto interamente del loro
impegno nel denunciare tutte le pecche della scuola pubblica di quegli anni,
una scuola che “curava i sani ignorando i malati” e che era solita “fare
giustizia fra disuguali”, non tenendo conto delle diverse condizioni sociali,
culturali e umane di ogni allievo. La gente di quel tempo, però, non era preparata
al cambiamento nella scuola come nella vita e per questo la Lettera,
che aveva avuto varie fasi di stesura per renderne agevole la comprensione dei
contenuti a tutti, persino agli analfabeti (quasi tutti a quell’epoca) venne in
un primo momento accolta freddamente dall’opinione pubblica.
Solo dopo la morte di Don Lorenzo ha avuto la risonanza
pedagogica e sociale che meritava.
E qui mi sembra doveroso riportare almeno una pagina
della Lettera per comprendere l’importanza pedagogica
fondamentale di un “maestro” tre volte tale per la cura che ebbe con tutti i
“Gianni” che la scuola pubblica di quegli anni (e non solo) confinava
all’ultimo banco in attesa di sbarazzarsene quanto prima.
"Io vi pagherei a cottimo..."
… Se ognuno di voi (insegnanti) sapesse che ha da
portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe
l'ingegno per farli funzionare.
Io vi pagherei a cottimo.
Un tanto per ragazzo che impara tutte le materie. O
meglio multa per ogni ragazzo che non ne impara una.
Allora l'occhio vi correrebbe sempre su Gianni (l'allievo
più svantaggiato).
Cerchereste nel suo sguardo distratto l'intelligenza che
Dio ci ha messa certo uguale agli altri.
Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando
il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie.
Vi svegliereste la notte con il pensiero fisso su lui a
cercar un modo nuovo di fare scuola, tagliato su misura sua.
Andreste a cercarlo a casa sua se non torna.
Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni
non è degna d'essere chiamata scuola…
Don Lorenzo Milani (da Lettera ad una
professoressa, pag. 82)
A soli 44 anni don Milani, affetto da una grave malattia, si
spense (26 giugno 1967), lasciando una eredità spirituale, oltre che
pedagogica, di valore inestimabile.
Le sue ultime parole scritte furono rivolte ai suoi ragazzi:
Ho
voluto più bene a voi che a Dio,
ma ho la speranza che Lui
non stia attento
a queste sottigliezze e abbia scritto
tutto al Suo conto.
Eccezionale testimonianza educativa, umana, religiosa,
spirituale che rimarrà sempre nel nostro cuore, nella nostra mente, nelle
nostre parole.
Ma mi sembra giusto fare oggi altri esempi di “maestri” che
hanno lasciato una traccia indelebile nella vita degli allievi che hanno avuto
il privilegio di incontrarli, a tutte le età, e di innamorarsene per tutta la
vita:
“Imparare a leggere e scrivere per conoscere tutto il resto
dell'umanità”.
Quale augurio migliore di queste parole di Alberto Manzi
per il primo giorno di scuola?
Alberto Manzi non è solo il maestro che ha insegnato a
leggere e scrivere agli italiani, quando in un’Italia piena di belle speranze
ma ancora poco alfabetizzata, condusse il programma “Non è mai troppo tardi”.
Andato in onda dal 1960 al 1968, è sicuramente un capolavoro di pedagogia,
premiato e imitato in altri settantadue paesi, espressione massima della Rai
come servizio pubblico.
Alberto Manzi è molto di più.
È un maestro che ha la vocazione dell’insegnamento e non
ha paura di iniziare dalle aule più difficili: dopo la guerra, nel 1946,
accetta l’incarico, che altri prima di lui avevano rifiutato, di insegnare nel
carcere minorile “Aristide Gabelli” di Roma. Non è semplice: in un enorme
stanzone senza banchi, senza sedie, senza nemmeno libri, sono riuniti bambini e
ragazzi tra i 9 e i 17 anni con storie terribili alle spalle. Ma Alberto Manzi
non si perde d’animo e alla fine riesce a guadagnare la loro fiducia inventando
e sperimentando metodi didattici innovativi. Racconta storie e le fa raccontare
e recitare ai ragazzi. Insieme pubblicano “La tradotta”, il giornale del
carcere, un modo per tirar fuori le emozioni di questi ragazzi che troppo
presto hanno conosciuto la durezza della vita.
È un maestro che dal 1955 fino al 1977 trascorre le sue
estati in Sud America. All’inizio nella foresta amazzonica con un incarico
dell’università di Ginevra per studiare le formiche (Alberto Manzi era anche
laureato in biologia oltre che in pedagogia e filosofia). Poi si sposta in Perù
e in Bolivia, dove capisce che per gli indios è fondamentale l’istruzione per
reagire alle ingiustizie e ai soprusi. Ma non si limita ad insegnare a leggere
e scrivere. Li aiuta a costituirsi in piccole cooperative agricole, a
organizzarsi per non essere sfruttati. Quindi si attira le antipatie delle
autorità che lo dichiarano persona non gradita. Ma lui continuerà ad andarci lo
stesso.
È un maestro che capisce le potenzialità dei mezzi di
comunicazione e oltre al celebre “Non è mai troppo tardi” e altri programmi nel
corso degli anni, usa anche la radio per raccontare storie, insegnare a grandi
e piccoli, o meglio come disse lui: “Non insegnavo a leggere e scrivere:
invogliavo la gente a leggere e a scrivere”.
È un maestro scrittore e poeta, e per le sue opere avrà
molti premi e riconoscimenti.
È un maestro che insegna all’università, ma poi la lascia
per dedicarsi alla scuola elementare “Fratelli Bandiera” di Roma, dove resterà
fino alla pensione.
È un maestro che scrive alle istituzioni, per protestare
contro una scuola considerata inadeguata, fredda, sorda alle esigenze dei
bambini. Tanto insofferente alle categorie asettiche della scuola, che nel 1981
Manzi si rifiuta di compilare le schede di valutazione: “Non posso bollare un
ragazzo con un giudizio, perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il
prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest'anno, l'abbiamo bollato
per i prossimi anni”. Davanti alle pressioni del Ministero della Pubblica
Istruzione, l’anno successivo apporrà un timbro su ogni scheda: “fa quel che
può, quel che non può non fa”.
È un maestro ormai anziano e in pensione, ma che sa
sempre che l’istruzione è l’unico antidoto alla violenza e all’ingiustizia, e
quindi nel 1992 realizza un programma per la RAI: “Impariamo insieme” per
insegnare l’italiano agli extracomunitari.
È un maestro che non smette mai di credere nel potere
dell’istruzione e nella forza dei bambini, ai quali diceva “Siete capaci di
camminare da soli a testa alta, perché nessuno di voi è incapace di farlo”.
Non è mai troppo tardi per ricordare Alberto Manzi,
maestro speciale.
Ed è di buon augurio ricordarlo oggi, ancora, all’inizio
di un nuovo anno scolastico…
Buona scuola a tutti.
Devo precisare che il testo non è mio, come è facile notare,
ma preso dalle pagine FB proprio ieri, ma la tentazione di proporla anche nel
nostro blog è stata più forte di ogni altra considerazione.
E la mia esplorazione continua. Che dire di Umberto
Galimberti e delle sue condivisibili considerazioni sulla scuola, sugli
insegnanti, sui genitori, su quanti si prendono (o si dovrebbero prendere) cura
delle nuove generazioni perché saranno gli “uomini giusti e solidali” del
prossimo futuro:
“Parole secche quelle del filosofo Umberto Galimberti, che
suscitano discussioni e fanno riflettere”:
L’insegnante deve insegnare. Per farlo serve una
capacità empatica e comunicativa, la fascinazione. Se non apri il cuore, non
apri nemmeno la testa delle persone. Gli insegnanti dovrebbero essere
sottoposti a un test di personalità che valuti queste cose. Se uno non sa
affascinare è meglio che cambi lavoro [...]
Educare vuol dire condurre qualcuno all’evoluzione,
dall’impulso all’emozione, dall’emozione al sentimento. Un ragazzo che ha
sentimento non brucia un migrante che dorme su una panchina, non picchia un
disabile. Se queste cose accadono è perché la scuola non ha educato. Per
educare bisogna avere a che fare con la soggettività degli studenti, che oggi
è messa fuori gioco. Se è vero che al posto dei temi si fa la comprensione
del testo scritto, si è spostata la valutazione dalla soggettività alla
prestazione. A questo punto è chiaro che anche la scuola è serva del modello
tecnico. I ragazzi non contano più come soggetti ma solo nelle loro
prestazioni [...]
È più facile correggere una comprensione del testo
scritto che un tema. La realtà è che siamo passati da una scuola umanistica a
un’educazione anglosassone, perdendo un’infinità di valori della prima. La
scuola anglosassone è empirismo, pragmatismo, valutazione oggettiva
[...]
Se uno non sa affascinare, comunicare, non può fare il
maestro, il professore. Lo dice Platone: si impara per imitazione. Io
aggiungerei anche per plagio. Preferisco un docente che plagia i ragazzi che
uno che li demotiva. Direi loro che il ruolo va abolito.
Se uno non funziona lo sanno tutti ma non si può
far nulla, perché è di ruolo. Che cos’è questa parola? Nessuno è di ruolo
nella vita. Se un docente non è all’altezza va messo fuori gioco. Perché se
si licenziano operai là dove si producono oggetti non lo si fa dove si formano
le persone?
(U. Galimberti, da una intervista del 2019)
Sono considerazioni che io abbraccio in pieno, ma non tutti
sono disposti a cavalcare con lo stesso entusiasmo. Sarebbe necessario
leggere L’ospite inquietante (U. Galimberti, L’ospite
inquietante, Serie bianca Feltrinelli, Milano 2007) sul nichilismo
nietzschiano e i giovani, tanto paventato dall’Autore. E potrei fare molti
altri esempi, ma avremo tempo di pensare, riflettere, fare altri nomi nel corso
dell’anno scolastico. Desidero, invece, concludere con una letterina, fresca di
giornata, di una tenerissima nonna, Anna Mininno, scrittrice, poetessa,
insegnante di inglese in pensione (ma quando si è insegnanti, si rimane tali
per tutta la vita. È una letterina indirizzata a sua nipote Susanna, capelli
rossi come sua nonna e occhi grandi che respirano il cielo:
Susanna, amore mio, hai lasciato cum laude il grembiulino
delle elementari e oggi, primo giorno di Scuola Media, ti accingi a scoprire un
mondo nuovo, ma pur sempre in continuità di formazione.
Comprendo l'emozione che vive nel tuo cuore; emozione che
significa sensibilità e rispetto verso la Scuola, i compagni e le compagne, gli
insegnanti e tutti coloro che vi operano con serietà e gioia perché sia una
buona Scuola.
Io, nonna tua, ti auguro anche una Scuola felice, fatta
di tutto quel che aiuta a crescere nella conoscenza, nella sensibilità umana e
nello spirito critico.
Per questo, amore, ti sia sempre favorevole la curiosità,
il voler capire fino in fondo, la serena generosità e la capacità di intenti
che nutrono il bello e il buono.
Sii sempre te stessa, Susanna, perché così sei bella
brava amorevole e grintosa con educazione.
Sii te stessa, perché il futuro ha bisogno di te, come di
tutti i giovani e le giovani di buon cuore in un mondo che ha bisogno di essere
migliore.
Buon Anno Scolastico a te e a tutti, con fiducia e amore
Ed è quanto auguro anch’io alla Scuola tutta e a quanti vi
operano con passione, amore, impegno, competenza e coraggio. A presto. Angela
Ho creato questo blog perché mi piace incontrare gli altri sul filo della poesia e della scrittura in genere. Ascolto, reciprocità, confronto, comprensione, condivisione...
mercoledì 13 settembre 2023
13 settembre 2023: PRIMO GIORNO DI SCUOLA: "TUTTO MI STA A CUORE" di DON LORENZO MILANI (E ALTRI)...
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Grazie Angela per tutto quello che riesci così splendidamente a farmi conoscere... io so di non sapere e ogni tua lettura è un mondo che si svela...grazie davvero❤️
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