I giorni passano velocemente, ma non passano i “venti di guerra” sul nostro pianeta arrossato di sangue e funestato di morti e di lutti e le bare bianche sembrano nuvole leggere a mitigare l’orrore di tutte le guerre, a piantare nuove croci nel cuore delle madri senza più lacrime nel fiume di pianto che divalla a torrenti verso il mare che arrossisce di vergogna e di antico rimpianto, quando le sue azzurre acque lavavano colpe e si coloravano di cielo, dove era ancora possibile volare. Niente droni kamikaze e case sventrate come i ventri materni disperati, immobili nelle pozze d’acqua, di fango, di sangue e neppure un grido.
Dove è sepolta l’umana pietà? L’abbiamo crocifissa e sepolta chissà dove con la nostra indifferenza, il nostro disinteresse, il nostro egoismo. La paura si dissolve di fronte al pensiero meschino: “non tocca a noi”. A chi tocca, dunque? A chi detiene il potere e continua il massacro per rafforzare il proprio potere? O a chi quotidianamente e coraggiosamente vive il suo credo di non-violenza, di rispetto della natura e in sua difesa pianta un alberello ad ogni morte che sanguina nell’anonimato della storia degli uomini, ma non nel proprio cuore? A chi si prende cura del vicino di casa, chiedendogli “posso fare qualcosa per te prima che si faccia sera, che venga l’inverno e ci blocchi la neve?”. Ma come salvare gli altri se non riusciamo a salvare noi stessi? Ma è proprio vero che la Pace comincia da ciascuno di noi, nonostante l’aberrante stasi dei nostri governanti per un loro tornaconto personale o per l’eterno intreccio, perlopiù occulto ai poveri mortali, di interessi di faziose fazioni, interessi oggi planetari, che vede i potenti della Terra gli uni contro gli altri armati da Caino fino ai nostri giorni? A cosa è servita l”etica pacifista” di Leone Tolstoi, l’autore russo del famoso romanzo Guerra e Pace? Eppure questa sua teoria si rifaceva a quella enunciata da Gesù nel Discorso della Montagna e che predicava l’amore e il perdono sopra ogni altra cosa. Si rifaceva anche alla “disobbedienza civile” di Henry David Thoreau. Oltre un secolo e mezzo fa persino il giovane Gandhi venne “illuminato” da queste straordinarie teorie sulla necessità della non-violenza. E oggi siamo ancora al punto di partenza, che a molti commentatori sembra quasi il “punto di non ritorno” con la minaccia sempre più incombente della guerra nucleare. A cosa servono, dunque, i proclami, le dichiarazioni, la Giornata Mondiale della Pace, istituita per la prima volta da Paolo VI il 1° gennaio del 1968, se poi si continua a insanguinare ogni angolo della Terra con infinite guerre? Invano cerchiamo un argine, una voce che ci redima e ci salvi da questo “inferno”. Ultimamente, sempre più Papa Francesco invoca la PACE contro la follia della guerra, intimando a viva voce di deporre le armi. Ma pare che persino il suo “grido di dolore” rimanga inascoltato.
A questo punto mi tornano alla mente le parole di Don Tonino Bello, “urlate” circa quarant’anni fa e riscoperte di recente in uno dei suoi tanti discorsi, di cui ha lasciato testimonianza scritta. Discorsi, che parlano dei “volti” della violenza e della Pace. I volti? Cosa c’entrano i volti? Bisogna risalire, prima che a Don Tonino Bello, al filosofo di origini ebraico-lituane Emmanuel Lévinas, naturalizzato francese, il quale scrisse un bel po' di anni fa: Oggi, anche nella cultura contemporanea e laica, si va scoprendo l’etica del volto”. Lévinas che “il primo millennio dell’era cristiana è stato caratterizzato dalla ricerca dell’essere; il secondo millennio dalla ricerca dell’Io; il terzo millennio sarà caratterizzato dalla ricerca dell’altro. L’altro come volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare. Don Tonino ne rimase affascinato e scrisse: vivere il “faccia a faccia”, non con gli occhi iniettati di sangue, ma con l’atteggiamento del “disinteresse” (…) quello che io debbo fare è depotenziare (dis) la pretesa del mio essere (esse) a porsi come sovrano. Pace, perciò, è deporre l’io della sua sovranità per far posto all’altro e al suo indistruttibile volto, instaurare relazioni di parola, comunicazione, insegnamento (…). Prima ancora che fatto politico la deposizione è un fatto di giustizia, anzi di alta moralità. Ma anche Papa Francesco, nell’anniversario della nascita di Don Tonino, il 20 aprile 2018, ricordando le sue parole e quelle del grande filosofo francese, gli dedicò questa riflessione: I conflitti e tutte le guerre trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti. E non ancora si era verificata l’invasione russa in Ucraina, una guerra spietata ancora in atto. Dunque, i volti. Ed io sono d’accordo. Se in ogni litigio, in ogni acceso confronto, in ogni dissidio, futile o profondo, imparassimo a scoprire e a leggere il linguaggio del volto, negli occhi, sulle labbra, nelle mascelle contratte, nel tremore di ogni silenzio, non avremmo dubbi a tendere la mano, a porgete l’altra guancia. Purché nell’altro si scorga una “coscienza vigile” nel rispettare la “propria verità” e “quella dell’altro”. Abbandonando ogni arroganza, ogni presunzione di essere “nel giusto”. Serve, dunque, anche il “senso della giustizia”, che ancora una volta deve tener conto dell’altro, come il proprio prossimo, colui nel quale ci rispecchiamo con tutti i possibili pregi e difetti insiti nella natura umana. È proprio questa equidistanza, a mio parere, che perlopiù ci manca, e la sua assenza è fonte di dubbi, di equivoci, persino di malafede, di cui non si ha neppure consapevolezza. Ma c’è spesso anche e soprattutto la mancanza della conoscenza profonda dell’altro: la sua infanzia, i luoghi abitati, la cultura familiare e sociale, le certezze e le paure, le esperienze pregresse vissute come vittorie o come sconfitte, i condizionamenti endogeni ed esogeni (l’ereditarietà e l’ambiente), gli incontri positivi o negativi, gli esempi, i modelli di vita scelti o subìti, il carattere, le inclinazioni e le idiosincrasie, i punti di forza e quelli deboli a definire la personalità di ciascuno di noi. Probabilmente conosciamo il volto che ci appare ad ogni buongiorno o buonasera, ma ignoriamo quello intimo, nascosto, velato, ignorato, sepolto. Già. Perché spesso il primo rapporto conflittuale è proprio quello che abbiamo con noi stessi. È tutto questo alla base di ogni incomprensione con l’altro diverso da me? Potrebbe! E sarebbe la fonte di ogni male? Forse! Anche le guerre nascono così? È probabile. Alda Merini, una poetessa che noi tutti amiamo credo, diceva e scriveva che le piaceva il verbo “sentire”: mi piace il verbo sentire…/ Sentire il rumore del mare,/ sentirne l’odore./ Sentire il suono della pioggia che ti bagna le labbra,/ sentire una penna che traccia/ sentimenti su un foglio bianco./ Sentire l’odore di chi ami,/ sentirne la voce/ e sentirlo col cuore./ Sentire è il verbo delle emozioni;/ ci si sdraia sulla schiena del mondo e si sente…
Occorre imparare a “sentire” il cuore
di ogni nostro simile, della natura, degli animali, delle piante e scoprire che
è solo questione d’AMORE. La PACE sarebbe solo la logica conseguenza! Banale? Io
penso che niente sia davvero banale, trascurabile, scontato, senza importanza
se proviene dal pensiero dell’uomo, dal suo cuore. Nell’anima, poi io “sento”
la sorgente inesauribile della nostra umanità. Della più alta forma di
spiritualità. E non bisogna essere necessariamente credenti per scoprirla!
Che la Pace possa sconfiggere la parte
buia della natura umana per realizzarsi attraverso la luce che promana dai
volti degli uomini di “buona volontà”. E che ci porti la “lieta novella” con un
ramoscello d’ulivo tra le mani. E che si faccia sorgente di Vita e di Speranza per l’umanità
intera! Angela. Alla prossima…
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