Ci siamo incontrati/ oltre l’immensità dei Fuochi/ nella
semplicità della Luce crescente/ Come un raggio di sole/ Splendente
/ Entra solo per i tuoi Occhi/ (…) Una miscela d’Amore/ sulla
pelle il tuo Candore/ E la Gioia che sprigiona/ I passi di una Danza/ La
bellezza della Rosa/ limpida sorgente d’Acqua pura/ La freschezza vitale della
Seta/ Profumata brillante Misticanza (stralci di una poesia senza
titolo di Antonio Bigliardi)
Questi versi così solari mi rimandano immediatamente al
libro che ho tra le mani FIGLI DELLA LUCE di Enzo
Quarto, Uccio Papa, Mirko Signorile (SECOP edizioni, Corato-Bari, 2022). Libro
che è una perfetta “misticanza” (mescolanza) di parole, immagini, musica. Un
capolavoro di armoniosa fusione tra questi elementi fortemente catturanti
nell’incontro di rara creatività tra un giornalista RAI (amante di poesia, di
musica e del divino che è in noi), un giornalista tele-cineoperatore in Rai di
lunga militanza e un pianista, compositore, “improvvisatore” (come ama
definirsi con un pizzico di gigioneria ed empatica autoironia). Tre anime, in
cui tutto si fa pelle, luce, suono, danza, respiro, mistero…
“Mescolanza” non è soltanto antico miscuglio d’erbe
commestibili, ma misteriosa, misterica, mistica armonia del Creato. La
copertina, infatti, è un cielo rosa che fa vibrare sogni e segni che volano
lontano, mentre un mare calmo li trattiene con qualcosa di oscuro alla deriva,
dentro e fuori di noi. E ci regala un’immagine che si prolunga nel bianco/nero
che ci appartiene e si fa ansia del buio e lievità spumeggiante della luce che
vince ogni timore. E forse si fa anche inganno nella “multimedialità” che ormai
ci appartiene. Altro tipo di “misticanza”, in cui la parola da sola si
“vetrifica” e perde senso e significanza se non si mescola all’immagine e alla
musica per riscoprirsi vera nella sua “nudità” ed “essenzialità” (Enzo Quarto),
passando attraverso i sensi che percepiscono, colgono, selezionano e
restituiscono con la vista, l’udito, il tatto, l’odorato, il gusto. Il primo
senso, dunque, è la vista. Lo sguardo è fondamentale perché è la capacità
di “vedere” (che è molto più del semplice guardare) e di “rispondere”,
come opportunamente sostiene anche Uccio Papa, quando afferma che fondamentale
è il rapporto fra fotografia e percezione visiva. La luce svela una
presenza, il suo accarezzare le cose ne determina la profondità che la macchina
fotografica cattura ma che solo il nostro occhio può elaborare... creativamente.
“Vedere”, allora, significa penetrare nel significato e nel
senso di una cosa, al di là del prendere coscienza della sua esistenza: è
“vederla oltre”. È questo il senso della creatività umana: essere in una
miriade di sensi e di significati altri. Guardare una cosa, una persona, un
paesaggio, o la stessa parola, come se fosse la prima volta. Con stupore. Di
qui l’importanza di “essere perplessi” perché niente appaia ai nostri occhi
vecchio, scontato, immutabile (come ci suggerisce Erich Fromm).
“Vedere”, dunque, significa comprendere la “realtà completa”
di una cosa, di una persona, di una situazione. E ciò significa paradossalmente
andare ben oltre quello che si vede con gli occhi. Significa “sentire”,
“intuire” “capire”, talmente profondamente da penetrare nell’inconscio per
riportare il significato nascosto della realtà alla coscienza ed esprimerla e
comunicarla “ri-creata”.
È quanto accade in questa opera a più mani e un solo cuore,
dove occorre “prestare attenzione”, per “concentrarsi” (entrare nel centro
delle cose con) insieme agli altri, insieme al Tutto che ci circonda e che
comporta una più ampia e profonda consapevolezza di sé, una maggiore
consapevolezza dell’altro da sé, di tutti gli altri. Perché io sono te
senza perdere me stesso, anzi rafforzandomi nel mio io attraverso l’intensa
certezza di me, pur nella incertezza di me come essere immutabile. Abbandonare
questa certezza significa avere il coraggio del dubbio (sempre Fromm).
La certezza è la morte della nostra mente. Coraggio e fede sono alla base del
pensiero creativo e, quindi, alla base della vita stessa. Ma la creatività è
una sfida, non una conquista. E in questo libro si celebra tutto questo. Ne
fanno fede le poesie di Enzo Quarto, le immagini di Uccio Papa, le musiche
evocative e dolcissime di Mirko Signorile: un amalgama di opere profondamente
creative come sfida di tre Artisti per ampliare la propria esperienza umana e
quella degli altri, a partire dai lettori e dagli ascoltatori, da quanti ne
attraverseranno ogni pagina tra gli abissi e le stelle. E s’immergeranno nella
LUCE dei suoni, dei colori, delle parole. E da questi emergeranno e
s’innalzeranno quasi fossero preghiera e nostalgia di tempi lontani forse
migliori. William Golding, infatti, ci ricorda che La prima cosa a
cui ci abituarono gli antichi fu il ritmo del lento passaggio dall’alba al
rapido crepuscolo. Accettavano i piaceri del mattino, il bel sole, il palpito
del mare, l’aria dolce, come il tempo adatto per giocare, un tempo in cui la
vita era così piena che si poteva fare a meno della speranza.
Stupendo ricordo delle civiltà primitive che ha, a mio
parere, la duplice valenza di connotare la lunga alba della vita di ciascun
essere umano, che vive da bambino una tale pienezza di giorni, di scoperte, di
giochi, di conquiste da fare proprio il mondo tanto da incarnare la stessa
speranza, in contrasto con la realtà amara e dolente dei nostri giorni, in cui
questa sembra essere svanita del tutto. In realtà né la luce né il buio sono la
condizione perenne della nostra esistenza, ma il “chiaroscuro”: Se non
ci fossero/ ombre / non ci
sarebbe/ luce. / Solo nel buio/ c’è assenza./
Il chiaroscuro/ è l’esistenza. È questo il commento pensoso di Enzo ad una
immagine cielo/mare tra bagliori luminescenti in un chiaroscuro che è metafora
della vita, tra scogli cupi affioranti dall’acqua. Quest’ultima, poi,
improvvisamente si fa spuma di mare che attraversa il nero di ogni possibile
buio del cuore e dal contrasto ecco la luce. Una sorta di “compensazione”
(Adler) che fa pensare a qualche limite o complesso che non si riesce a
superare. Si potrebbe pensare a Giacomo Leopardi o a Ludwig von Beethoven e a
tanti altri artisti e non. A una umanità fragile e forte “nel suo divenire”.
Daniel Goleman parla di “intelligenza emotiva” che ci può
rendere “felici”, ma anche “disperati” se non riusciamo a superare il nostro
complesso più forte dall’Umanesimo-Rinascimento fino ai nostri giorni: sentirci
padroni del nostro pianeta e dell’universo intero. E oggi più che mai
assistiamo allo scempio indiscriminato dell’inquinamento
dell’acqua, dell’aria, della luce, del suono. Si è perso persino il fulgore
delle stelle, spento dal bagliore artificiale delle metropoli illuminate a
giorno. Il disumano si è sostituito all’umano (come già in Nietzsche). L’artificiale
al naturale. La robotica all’uomo. Eppure la natura tutta, sotto l’immenso
cielo che la comprende e la governa, è, nelle sue feroci contraddizioni di bene
e di male, un inno alla vita, come nei FIGLI DELLA LUCE scopriamo percorrendo
ogni pagina, ogni immagine, ogni verso, ogni canto che diventa un unico poema
di contrasti e riproposizioni: È luce/ la
bellezza del creato./ Senzaluce/ Non avremmo
tempo,/ l’evolversi delle cose,/ la cadenza degli
accadimenti./ Senza luce/ non avremmo spazio,/ la
conoscenza dei nostri movimenti,/ l’animazione/ di altre
anime/ danzanti./ Senza
luce/ non avremmo sentore/ della vita eterna.
E, a ben guardare, a ben sentire, tutto tende a elevarsi
verso l’alto (vedi gli alberi e le piante, le montagne e le nuvole, la fiamma e
la piuma, persino l’esile filo d’erba e il fiore, ma tutto tende anche a
inabissarsi nelle viscere della terra, nella profondità dei mari e degli
oceani, dove, nonostante il buio degli abissi più profondi, si trovano altri
tesori nascosti che attendono solo il coraggio dell’uomo per venire alla luce,
il suo rispetto per essere salvaguardati e custoditi. Così come la nostra
mente, il nostro cuore, la nostra stessa anima: vette e abissi in un
altalenarsi di giorni per rinascere e morire. Tutto l’umano possibile contro
ogni disumano possibile. Il monito conclusivo? Che l’umano prevalga sempre
per restituire l’uomo all’uomo in tutte le sue contraddizioni certo, ma anche
in tutta la grandezza della sua creatività, che lo rigenera “infinite volte”
come Creatura nell’immenso mistero del Creato e del suo Creatore. Ma per
rigenerarci occorre riscoprire il nostro cuore bambino: Non riusciremo
a cambiarci/ senza tornare/ a far fiorire i bambini/
con le mani innocenti/ e fragili/ come i morenti.
E tutto si ricompone tra la vita e la morte, in una sorta di
“immersione” ed “emersione” come con straordinaria “sapientia cordis” afferma
nella Postfazione la docente universitaria Antonia Chiara Scardicchio, che
scrive ancora: È un libro che si esperisce, non soltanto si legge: chi
lo attraversa viene convocato dentro una preghiera.
Un libro, dunque, un’opera d’Arte, che serve a
scoprire le nostre luci ed ombre su cui confrontarci per
essere liberi di fare scelte valoriali in un momento così difficile e
contraddittorio per tutto il genere umano, in funzione soprattutto di
quelli che attraverseranno le nostre strade facendosi protagonisti del
cambiamento positivo e propositivo per le interplanetarie generazioni future.
E, del resto, La poesia e l’arte, nella figura del dono, non invocano
soltanto la loro origine, ma anche la loro destinazione (Jean
Starobinski). E, oggi più che mai, in un mondo fatto di diffidenza,
rifiuto, violenza, odio, questo libro è un dono prezioso perché si fa contagio di
emozioni nel poema che lo compone, insieme ad ogni altra forma di Arte e di
realtà aumentata, frutto della creatività umana, nella suo inarrestabile
trasformarsi e nella sua inevitabile e, per molti versi necessaria,
multimedialità dei nostri giorni. Opera d’Arte, dunque, che è canto alla
vita, tra realtà umana e sacralità divina. Il divino che si fa umano e
“s’incarna nella parola” (Paul Valery). Enzo Quarto ne dà alta testimonianza.
Come pure respiriamo lo stesso respiro divino che avvertiamo in tutto il
Creato, nelle immagini così suggestive e illuminanti di Uccio Papa e nelle
musiche struggenti, antiche e nuove, di Mirko Signorile. E in tutta l’opera
scopriamo una sola voce. Una voce che racchiude in sé Bellezza, Armonia,
Compiutezza, Appagamento perché è Sogno, Passione, Memoria, Amore. E una
nuova umanità bambina si affaccia tra le pagine e ha occhi di innocenza, in un
ritrovarsi, che cancella ogni solitudine e dilata orizzonti senza più confini.
Neppure nel nostro cuore. Attimo di emozione che diventa promessa di
eternità.
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