Lì scorgerai i sogni che scivolarono via
e tinsero d’aquiloni il tempo costruito
per andare contro vento,
i palloncini colorati che mi facevano
bambina,
Le nuvole e le fanfare, il gioco delle
sagome
ballerine e cigni e volti innamorati
sui profili
di luna e fiabe che mi raccontai
Ieri è stata la Giornata Mondiale dei
Diritti dei Bambini. In un primo tempo si trattò di una Dichiarazione redatta
da Eglanty Jebb che, con la sorella Dorothy, nel 1919 aveva fondato “Save the
Children. Poi, con l’istituzione dell’ONU, il 20 novembre del 1959, l’Assemblea
Generale delle Nazioni Unite approvò una nuova Dichiarazione con dieci diritti
fondamentali: Diritto di giocare. Diritto al cibo. Diritto ad avere una casa.
Diritto alla salute. Diritto all’educazione. Diritto alla vita e ad avere una
famiglia. Diritto di avere una nazionalità. Diritto all’uguaglianza.
Ma già nel 1900 Ellen
Key, una scrittrice e pedagogista svedese, pubblicò Il secolo del bambino, che apparve in Italia nel 1906, oggi ripubblicato
dalle Edizioni Junior, Bergamo 2020. Si gridò al miracolo. Finalmente, dopo l’Emilio di Rousseau, qualcuno si prendeva
cura del bambino fino al Settecento del tutto ignorato dagli adulti come
Persona avente dei diritti. Persino il padre aveva potere di vita e di morte su
di lui.
In realtà, a distanza di oltre 100
anni, quasi tutti i diritti dei piccoli vengono ancora oggi disattesi in quasi
tutti i Paesi del mondo. E abbiamo vari esempi anche qui in Italia. Ne voglio
ricordare qualcuno di solo qualche anno fa. Mi trovavo a Roma e guardavo il
cielo, che ci offre pur sempre uno squarcio d’azzurro anche quando nuvole,
pesanti come macigni, s’addensano sul nostro capo. Ed è già un respiro di
speranza. Ma, improvvisamente, quelle nuvole diventarono scure come nella “Tempesta”
del Giorgione, quando, guardando la televisione, il cielo mi piovve addosso,
franando con le lacrime dei rifugiati del Centro di Accoglienza “Cara” (sempre
stato tranquillo senza aver dato mai problemi di alcun genere), che veniva fatto
sgomberare dalla Polizia di Stato. E la memoria subito mi riportò ad altri
periodi bui della nostra Storia. Noi, esseri umani alla deriva. Si ha un bel
dire: non è la stessa cosa. I tempi cambiano e non si può tornare indietro.
Vico ci ha insegnato un’altra teoria. Quella dei “corsi e ricorsi storici”, in
cui non sono i casi storici a ripetersi, ma l’uomo che è, purtroppo, sempre
uguale a sé stesso. “Sei quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”
(Quasimodo).
Dove, in questo caso, il cielo?
Ancora luci ed ombre nel cielo, certo,
proprio come quella mattina. E ancora sagome scure di nubi ad attraversarlo. E,
ad un tratto, mi sono accorta che era un cielo solo intuito perché era, ancora
una volta, coperto e lontano. Troppo lontano per poterlo afferrare ed offrire
agli occhi grandi e innocenti di un bambino.
Ogni bambino ha diritto al suo cielo
azzurro con voli d’aquiloni ad assecondarne la necessità di spazi e di giochi.
Anche i ragazzi hanno diritto ai loro spazi di libertà. E ancor più i giovani
perché hanno più sogni da inseguire, più progetti da realizzare.
Già un Campo di Accoglienza ha dei
recinti che ostacolano la libertà, impediscono ai sogni di percorrere un
cammino possibile perché possano realizzarsi. E i bambini, i ragazzi e i
giovani, di cui era fatta quella comunità di profughi, provenienti dalle parti
più diseredate del mondo, sognavano soprattutto quella libertà lì negata, che
pure appartiene di diritto a ciascun essere umano. Domani saranno uomini che
spezzeranno catene perché un uomo non può essere profugo a vita. Dovrà pur
integrarsi e riconoscersi nella sua dignità di uomo libero, che appartiene ad
una comunità e ad una terra, in cui sentirsi a casa. La casa: nostro bisogno
primario e nostro rifugio per la protezione che ci offre, la libertà che ci
concede. Ma, quando persino questa comunità viene smembrata e dispersa in nome
di una legge, scritta dagli uomini che non conoscono le leggi del cuore, ma
solo quelle dell’utile personale, contrabbandandolo per bene collettivo, e
fingono di adottare gli stessi provvedimenti per CasaPound, rigurgito di nuovi fascistelli senza memoria storica e
senza un minimo di consapevolezza del passato, ma silenziosamente evitano
drastiche chiusure delle loro case/strutture nazi-fasciste sempre più
dilaganti, allora anche quel minimo di libertà viene calpestata e i profughi
tornano ad essere senza volto, senza nome, senza identità.
Si distruggono sogni e illusioni. Si
frantuma il cielo.
Quanto dolore per quel cielo in frantumi
che non è più il mio cielo.
Due giorni fa, pensavo anche ai
fondali marini, dove si inabissa quotidianamente il cielo, sconfitto ormai dai
bambini che giacciono in fondo al mare, come la nostra vergogna di uomini che
fingono di non vedere, di non sapere, di non essere colpevoli mai, perché i colpevoli
sono sempre gli altri. I nemici sono sempre gli altri.
Ci sono mille modi per assolversi, ma
l’umanità è solo una ed è legata al nostro comune destino di esseri mortali,
che hanno bisogno esclusivamente di solidarietà e d’amore per attraversare il
mare/male della vita, e andare avanti, facendosi coraggio vicendevolmente e
dandosi la mano per non cadere. Un po’ come la poesia di Gianni Rodari insegna:
“se tutti i bambini si dessero la mano
farebbero un girotondo intorno al mondo”. Rodari, un poeta straordinario da
me conosciuto e subito amato per la sua geniale tenerezza regalata ai bambini
di tutte le età. E, invece, come possiamo notare dai terribili fatti che stiamo
registrando in questi giorni, a quanti bambini oggi è dato di stringersi la
mano per fare un girotondo intorno al mondo? Persino la voce di un poeta/educatore
è stata oscurata. E non esiste più neppure il cielo per i tanti bambini
incolpevoli dei misfatti degli adulti. Non sempre un bambino è “il luogo della
speranza”. Sempre più spesso è stato nei millenni della nostra storia, fino ai
nostri giorni, un “non luogo”: un luogo senza.
Sempre più spesso circolano sui social
fotografie della disperazione, vestita con la carne di un bambino; della
tristezza, con il volto triste di un bambino; dell’impotenza, con le braccia
impotenti di un bimbo che non può più giocare. Alcuni bambini vengono
fotografati contro un muro o su un gommone che fa acqua, dietro un recinto di
ferro quasi fossero animaletti o, peggio, belve feroci. Per creare una maggiore
distanza tra un bambino e un suo coetaneo.
Oppure tra le braccia di sua madre che
non sa più dove andare e a quale santo o diavolo votarsi per sfamare il suo
bambino.
Come si può voltare le spalle ad un
bambino e dire “non m’interessa”, “non è colpa mia”, “non ci posso fare
niente”, ed esibire leggi e decreti “salva poltrone e prebende” dietro falsi
proclami di onestà e di scelte coraggiose in favore “del popolo e della gente
bisognosa” e mandare allo sbaraglio centinaia di poveri cristi, che finiranno
davvero per delinquere pur di trovare di che sfamarsi e sfamare i loro bambini?
Io trovo ingiusto tutto questo e
nessuno può convincermi del contrario. Neppure chi mi parla di lotta agli
scafisti, che vanno condannati e assicurati alla giustizia. E, se davvero si
volesse, oggi i mezzi ci sarebbero. E non devo essere io, profondamente ignorante
in materia, ad indicarli. C’è chi potrebbe farlo e non lo fa.
E nessuno mi venga più a dire, con uno
slogan, diventato anche di moda alcuni anni fa: “nessuno tocchi Caino”. Perché,
allora, io urlo: “sì, è vero, nessuno tocchi Caino fino a quando nessuno più
osi toccare Abele. Quanti Caini e quanti Abeli ci sono in questo nostro mondo
desertificato di buoni sentimenti? Quanti sotto lo stesso cielo che ci vede
nascere e morire? E perché Caino deve essere difeso con la sua mano armata e
assassina, mentre nessuno difende Abele, inerme e fragile e indifeso?
Un bimbo è un bimbo e non un agnello
sacrificale. Un bimbo è un progetto di vita e non un rimorso. Un bambino è
attesa e non memoria.
Un bambino chiede solo amore. Come
dimenticarlo? E allora urlo con tutto l’amore che mi appartiene: “Restituite
ogni bambino all’amore che gli spetta, ed io restituisco ogni Caino alla pietà.
E facciamo in modo che nessun bambino si trasformi in Caino solo perché è stato
privato dell’amore necessario, e ha conosciuto fuga, pericolo, solitudine,
abbandono, povertà, soprusi, paura, dolore, lacrime, malattia, morte. Abele, in
questa atroce disumanità, può trasformarsi in Caino. E, in questo caso, io non
mi sento più innocente perché non so davvero chi vada salvato per primo”.
Sì, questo ho scritto, quando
imperversava la follia di chi avrebbe dovuto salvaguardare dei profughi che
finalmente, in qualche modo, si sentivano a casa e che finalmente avevano anche
trovato accoglienza e lavoro nel territorio. E io continuo a urlare perché
occorre prevenire. Non in termini voluti da Caino, che non conosce più
misericordia, ma in quelli attesi da Abele, che è ancora inerme e innocente.
“Pamoja Tunaweza!!!” (“Insieme
possiamo!!!”) era scritto in un campo profughi a Nairobi in Kenia, alcuni anni
fa. E, in tanta tristezza e solitudine, anche di bambini, era pur sempre e
ancora “un respiro di speranza”. Quello a cui aneliamo in questi nostri giorni
di umanità dimenticata per riscoprire il cielo, con i suoi squarci
d’azzurro.
Quanto amore ci
attendiamo e quanto disamore registriamo quotidianamente. Ieri come oggi, come
sempre. Questo è quanto purtroppo vado registrando quotidianamente.
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