E comincia una nuova settimana in questo tempo che vola
veloce e mi lascia senza respiro, ma leggo un racconto di Selvaggia C Serini,
preziosissima traduttrice dall’inglese durante la giornata romana dedicata al
suggestivo rito del Premio Gjenima da parte del grande poeta, scrittore e
saggista Gjeke Marinaj, e mia tenerissima e coraggiosissima amica, la mia
“Gazza” del cuore. Questo il suo breve ma intenso racconto:
<Sì, possiamo dire che sono una canara. Quando ho deciso
di prendere un cane mio, ho letto libri, studiato alimentazione, poi portato il
cane a educare.
Il risultato, con Fry, è altalenante. Ha molto carattere e
non si stanca se vuole qualcosa.
L'unica cosa però di cui mi pento davvero è stata di averlo
"lasciato piangere" come tutti gli esperti mi avevano consigliato, la
prima notte. Avrebbe dovuto addormentarsi in un'oretta, ha tirato fino alle 6,
e io con lui, dall'altro lato della porta.
Alle 6 ha smesso di piangere. Ho aperto la porta. Mi si è messo in braccio come un cucciolo d'uomo. Non è un cane che si adatta alla solitudine. Ama tutti.
Quando ho scelto Pixie, aveva dei grandi occhi neri da
bambina impaurita.
Non era proprio socializzata come dicevano, non voleva
nemmeno camminare, poi eravamo in quarantena e non si poteva avvicinare altra
gente coi cani. Lei si è innamorata di mio marito Francesco, la cosa è stata
quasi immediatamente reciproca, e via così.
Pixie è paurosa. Deve cercarti lei. Decidere se essere
toccata.
All'inizio, dormiva nel kennel.
Una notte, una tempesta tremenda. Per la prima volta si
lagna e non ulula.
Quando inizia ad ansimare come se avesse un attacco d'ansia
o un infarto, prego Franci di liberarla.
È stata la prima volta che ha dormito con noi, sgomitando Fry e prendendosi tutto lo spazio in verticale tra me e Franci, e guadagnandosi così la definizione di Cagna Lungagna.
È strano, amare un cane.
Perché non c'è ambivalenza, quella che invece c'è sempre nei
rapporti con gli altri esseri umani.
Non portiamo rancore ai cani come loro dimenticano all'istante che gli hai pestato la coda, mentre tu sei lì a scusarti.
È strano essere amati da un cane.
Non credo che lo meritiamo, tutto quell'amore. Chissà loro come lo chiamano. Chissà cosa gli passa per la testa, o nella coda, quando ci amano.
Stamattina, dormivo dopo il quarto ricovero in pronto
soccorso in un mese.
Dopo un'estate di bellezza, pago un autunno di dolore.
Sono stata via due notti.
Stamattina, mentre dormivo, mio marito ha notato che la mia
Cagna Lungagna, quella paurosa, quella diffidente, mi ha abbracciata come una
madre.
Si è avvicinata, e mi ha stretta con la zampa. Io ho dormito bene e senza dolore per la prima volta in tre giorni.
Chissà che cosa le è passato per la coda>.
Breve, tenero, ironico, poetico, coraggioso questo racconto
di Selvaggia. In poche righe ha avuto l’abilità, per me sconcertante, di
parlare delle caratteristiche comportamentali di due cani, del suo coraggio
nell’affrontare i ripetuti ricoveri in strutture sanitarie diverse,
oncologiche, di Francesco, suo attentissimo e innamoratissimo marito.
- Bio-Bibliografia: Selvaggia C Serini
Selvaggia C Serini, che ha la peculiarità di non rendere
noto o mettere un punto al proprio secondo nome, è sempre stata un'amante della
vita.
Nata appena fuori Roma, al fresco dei Castelli, è venuta
alla luce con due mesi di anticipo, tanto era impaziente di vedere cosa ci
fosse fuori!
Dalle primisssime poesie, scritte da bambina, ai racconti e
ricordi familiari trascritti che preferisce tenere in una piccola cerchia di
amici, non ha mai smesso di giocare con le parole.
È un'insegnante, ora in pensione per motivi di salute, che
comunque non le impediscono di osservare il mondo e catturarne tutta la
bellezza, con piccoli aforismi, poesie o fotografie.
Ha vinto diversi premi da adolescente, premi scolastici per
brevi racconti e poesie, e allo stesso tempo recitava nella compagnia teatrale
dell'istituto.
È traduttrice freelance da quando ha scoperto che sì, era un
vero lavoro (ancora più parole!), e riesce a bilanciare questa sua passione con
lavori più “seri”.
Ama ogni forma di arte, e ogni forma di bellezza. -
Diventa inevitabile, per me, parlare di Dylan, il mio ultimo
cane, tanto amato ancora oggi che da tanto ha attraversato il ponte-arcobaleno
dove i nostri amici animali continuano ad amarci di perenne gratuito oblativo
amore.
<… Questa nuova casa mi ha permesso di riprendermi il mio
cane-nuvolabianca che ero stata costretta a mettere in una pensione perché
nella casa dei lunghi balconi e lunghi corridoi non c’era spazio per lui. Salti
di libertà prima, ma subito dopo assalto di cani alla sua docile appartenenza
al giardino di erbe e di fiori e vette d’alberi e ombrelli d’ombra. Si salvò
solo per poco dalla furia dei suoi simili in branco a difendere un territorio
già occupato.
Eppure questa casa di smeraldo e un respiro di pini e di
rose aveva posto fine allo strazio del mio pianto e dei suoi guaiti ad ogni
incontro (reso possibile dalla generosità e dall’amore per gli animali della
giovane compagna di scuola di Ombretta e figlia della nostra carissima amica
Dina, che spesso studiava con Lizia nella nostra antica casa del gelso e delle
rose) e ad ogni nostro arrivederci. Per oltre due anni.
Il branco aveva lasciato traccia di sangue e di dolore e una
lacrima a scivolargli al nostro nuovo ritrovarci dopo un mese di solitudine
perché ero stata lontana. In vacanza in Salento. Come ogni estate.
Nell’imperdibile mare di puro cristallo che lo Ionio mi regala. Lui, affidato
alle cure d’altre mani.
Un cane che lacrima? Sì, raccolsi io quella lacrima di
commosso benvenuto alla sua mamma-padrona. Dopo la ripresa, ha scodinzolato
libero nel nostro giardino per altri cinque anni. In perenne attesa delle mie
rare carezze e dei miei quotidiani occhi di tenerezza dal terrazzo a farlo
sentire comunque amato. Poi anche Dylan mi ha lasciato con uno sguardo lungo di
straziato fedele incondizionato amore mentre lo portavano, malato e stanco, a
morire. Altro triste addio. Altro rimpianto. E nell’anima i tanti animali amati
e perduti. Piccina, Lola, Ciccio, Fiorello, Nerina… Neve, Luna
e…
Quella sera del suo perdersi per sempre alla mia carezza
eravamo andati tutti noi al matrimonio di Raffaella, la figlia dei miei cognati
Tonio e Maria Nilde, con Saverio, il suo ragazzo con qualche anno in più e
tanto amore.
La mia carissima Maria Nilde, persa nelle brume incerte
dell’Altrove che spero moltiplicato di stelle e di luce. Un matrimonio fiabesco
tra onde di mare e un cielo d’alberi di foglie commozione sorrisi. C’eravamo
tutti, tranne la madre che pure c’era tra quelle onde, quelle foglie, quei
sorrisi.
Io e i miei figli stemmo tutta la sera e parte della
notte in attesa di ricevere notizie di nuvolabianca dal veterinario che se lo
era portato con sé nel tentativo estremo di salvarlo. Fu una notte lunga di
festa sognante, ma altrettanto lunga di attesa e di pianto soffocato e da tutti
ignorato. La mattina fu triste notizia della sua fuga solitaria tra le
solitarie stelle, che si accendono anche del loro incolmato amore>.
E la notte si fa silenzio
(per
Dylan)
Mai più mi accadrà
di sentire il tuo respiro
in attesa del mio ritorno
dietro il cancello di casa.
Tua libertà senza confini
il cancello che si apriva
al tuo correre leggero
lungo la tortuosa strada
che a me ti riportava.
E temevo ansia di pericoli
per te che ignaro ignoravi
ogni mio richiamo.
E le tue residue energie
misuravo da quel correre
festoso e impertinente
incurante degli anni
e di improvvisi agguati.
Alla tua gioia di vivere
mi allunavo ogni volta
in un’allegria di capriole
a dirmi il tuo stare bene
e il tuo volermi bene.
Nuvola bianca occhi teneri
morbido Dylan Dylan
sbilenco e bizzarro
tutto sbagliato tutto
come dovevi essere.
Affamato d’amore
eri tu a darmi amore
Eri tutte le bestiole
da me amate e perdute
e piante e mai più ritrovate
Eri la mia infanzia tenera
il mio cortile di rose
e Lola e Nerina e Fiorello
e Piccina e gatto Ciccio
Neve Luna
Il mio mondo la mia nostalgia
il mio candore di canti e lacrime
per ogni disperso richiamo.
Eri il cucciolo appena nato
occhi chiusi cuore tremante
alla vista d’un guinzaglio.
Zampine storte sguardo strabico
mi fecero di te innamorare
e giurare tenerezza e dolce cura
quasi fossi il bimbo ultimo nato
al
mio amore.
Delicato faccino bianco
pennellato di sabbia sulla
rosa conchiglia delle orecchie
attenta l’una ripiegata l’altra.
Eri cartolina illustrata e fumetto
Eri il tuo corrermi incontro
con salti di gioia per saluto.
Eri la tua tristezza
per una solitudine da giardino
che non avrei voluto regalarti
e ti accompagnò fino alla fine.
Ti giunga ora la carezza
che allora non ti ho dato
mentre ti portavano via.
Mi guardasti con pena d’addio
Forse sapesti del mio pianto
e di un dolore tuo quanto il mio…
Sei passato così come il tempo
l’infanzia la nostalgia il dolore
la giovinezza il sogno la speranza.
Senza accorgertene spero
attento a non ferirmi con le tue ferite.
(resta una voglia di pianto
e un altro vuoto
da non potersi più colmare
perché il giorno muore
e
la notte si fa silenzio)
da A. De Leo, L’ora dell’ombra e della riva,)
E per oggi è tutto. Desidero, però, riportare qui la poesia
del carissimo amico Luigi Lafranceschina dedicata al suo cane KLIMT il 27
ottobre, “Giorno dei Morti degli animali domestici che, secondo la tradizione,
tornano dall’Oltre per visitare i loro proprietari e i luoghi in cui hanno
vissuto…” (Luigi Lafranceschina):
KLIMT
Era un meticcio Klimt
Senza pedigree
Nato dietro la ferrovia
Scovato da mio figlio sotto i resti
Di un divano abbandonato
E fu nostro con qualche protesta
Un netto aut aut
E un chiaro compromesso.
Mantello color latte
Di razza maremmana
Mi fu amico confidente
E compagno di scarpinate
Antiglicemiche antistress
Quattro volte al giorno
Per più di tredici anni
Piovesse o nevicasse il cielo
Avvampasse o ghiacciasse l’aria!
Ma un giorno di marzo
Ruppe l’intesa a tradimento
Sciolse la bella compagnia
Infilò il ponte dell’Arcobaleno
Alle soglie del Paradiso
Dove mi aspetta ancora
Tra l’erba fresca e profumata.
Ma ogni tanto la sua anima
E solo quando ne ha voglia
Torna a farmi compagnia
E come sempre e come al solito
Mi annusa e mi lecca le mani!>
E ora chiudo davvero. Io prolissa come sempre non do tregua a voi che pazientemente mi leggete. Alla prossima…
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