mercoledì 1 febbraio 2023

Mercoledì 1° febbraio 2023: Cadenze per la fine del tempo di Vittorino Curci...

Mi è appena giunto Cadenze per la fine del tempo, la nuova silloge poetica di Vittorino Curci appena pubblicata, suscitando in me grande emozione. Immediatamente mi ha intrigato il titolo sulla pagina tutta bianca che connota le pubblicazioni di Vittorino. Tantissime ormai, e molte hanno ottenuto e stanno ottenendo prestigiosi premi.

Il titolo, dunque. “Cadenze” mi ha affascinato da subito. Al plurale poi! Le cadenze contengono in sé il ritmo della musica e quello della poesia. L’autore ha una vocazione innata per l’una e per l’altra. Un talento straordinario che visceralmente lo abita e che anima un comune ritmo musicale, una uguale partitura, la stessa armonia. Profondamente. Il musicista e il poeta sono inscindibili e imprescindibili nelle vibrazioni sonore di un verso o del sassofono, compagno di viaggio, da cui il musicista-poeta trae magicamente “musica improvvisata”… Poi il titolo continua: “per la fine del tempo” che, invece, pur nell’amara accezione iniziale, non mi meraviglia più ti tanto perché Vittorino ha dato sempre, nelle sue opere e alle sue opere, una scansione temporale. Il Tempo sarebbe il protagonista indiscusso della sua costante riflessione sulla vita e sulla morte. Sulla esistenza. Sulla parola. Tempo, che si fa spazio e si slarga a comprendere ogni altra esperienza umana in un continuo visionario perdersi e ritrovarsi oltre il tempo e lo spazio in un surrealismo artistico, pittorico, letterario, filmico, tipico dei primi decenni del Novecento; surrealismo, che in Vittorino supera ogni limite imposto dalla stessa natura delle cose, e s’incunea nella parola come necessità di essere/non essere nello spazio e nel tempo oltre lo spazio e il tempo. 

Già nella silloge Poesie (2020-1997, La Vita Felice 2021) l’autore sembra andare indietro nel tempo per ritrovare l’umanità vagheggiata per la frazione di un secondo e perduta nello stesso lasso spazio-temporale. In “quella terra sconsolata/ sfuggita alle carte geografiche/ dell’eterno”, infatti, lo spazio/tempo del poeta non è mai il suo luogo e il suo momento.

In Cadenze per la fine del tempo assistiamo, in più, alla frammentazione di attimi di tempo per dilazionare la presa di coscienza di una opportunità di tempo perduta per sempre ai primordi dell’umanità. E, mentre in Poesie si scopre nel poeta “il bisogno di riprendersi l’infanzia per ritrovare una sorta di gioiosa innocenza”, “con ‘i pensieri di un bambino’ che traghettano il suo ‘io’ adulto tra due secoli così contrastanti tra loro da non lasciare speranza nel futuro”, in quest’ultima silloge Vittorino sembra scendere a patti con i suoi anni maturi (mai contati, mai realmente vissuti) per ritrovare forse una vaga possibilità di salvezza dell’umanità, anche se pessimisticamente si fa cantore della “fine del tempo”, “cadenzando” alla moviola appigli che sono e non sono, in uno sguardo “obliquo” (come in Sylvia Plath), per superare la linea orizzontale e sfuggire a quella verticale per attestare e scotomizzare la propria identità di musicista e poeta e riscoprirla in alcune parole chiave  per un futuro migliore che è straniamento più che realistica utopia. E l’utopia, come mi piace ricordare (ma non ricordo più chi l’abbia detto), non è ciò che non può mai accadere, ma quanto non si è ancora avverato.

E, in questo ultimo libro, ci troviamo di fronte a una umanità che ancora una volta sembra esistere senza esistere, persa nelle brume di un vago ricordo; una umanità che perde continuamente sé stessa tra silenzio e rumore: il “silenzio” su quanto possa essere realmente accaduto o non accaduto (le nostre sono soltanto ipotesi, che si attengono a vari studi di paleoantropologia, geologia - morfologia terrestre e atmosfera intorno al nostro pianeta - e la loro evoluzione che, nel tempo, le attuali navicelle spaziali portano alla luce).

Con la “parola”, invece, si compì per l’uomo il prodigio di varcare dalla preistoria le soglie magiche della storia, memoria della nostra stessa umanità.

Ma i pensieri, i sentimenti, le emozioni, la fatica di vivere, di adattarsi reattivamente ad un ambiente ostile da abbandonare o da trasformare dove sono?

Il “rumore” di ogni idea che si fece azione, invenzione, persino arte, come i graffiti nelle caverne dove ricercarlo con la stessa intensità di quel tempo, lo stesso significato? Lo stesso attonito stupore, la stessa trepidante paura dei nostri antenati?

Il nomadismo e poi gli stanziamenti con le prime case a imitazione dei nidi degli uccelli, primi architetti e costruttori del creato?

La ruota, il fuoco. L’amore. I figli. Le tribù, le lotte per la sopravvivenza, la sconfitta e le lacrime, la vittoria e la gioia, il riso e il pianto.  Vero? Falso? Invenzione e fantasia. Racconto. Solo narrazione?

La creatività del poeta nell’inventarsi una umanità da raccontare o la creatività degli antenati nell’inventare ogni nuovo giorno dall’alba al tramonto in un tempo di “non conoscenza” e di passi tra i sassi e l’erba, le acque e i mari, le montagne e le nuvole per scoprire e sapere?

Il dio fulmine e la dea pioggia, la terra-Madre e gli dèi antropomorfi, a cui seguirono gli eroi, i miti e le leggende, la parola incisa e poi quella scritta. I numeri, contando le pietre sulla terra e le stelle nel cielo. Appigli di una umanità senza nome e senza volto, a cui una pozzanghera restituì all’uomo il primo volto, la parola il nome. L’identità inventata. Irripetibilità di ciò che è stato o non è stato e di ciò che sarà o potrebbe essere...

E, come in Poesie, anche qui i pensieri di Vittorino Curci sembrano sbriciolarsi in “frammenti di ricordi che conservano l’incanto della prima volta, ma anche il tormento della irripetibilità dell’attimo di quella emozione, quel sentimento, quella situazione/condizione di vita, che il poeta avverte mai propriamente sua perché immersa nella storia degli altri, che rinascono ogni volta in storie diverse, simili e mai uguali” e mai vere e mai false:

il tanto è separato dal quanto nel dettato che ha nutrito fin qui la tua immaginazione: andare incontro agli altri non per la via trafficata ma per quella solitaria

i renitenti, al tramonto, non guardano mai dalla parte sbagliata. accendono un fuoco di sarmenti e fuori da qualsiasi racconto si rendono visibili come rovine (“I SETTE GIORNI DEL FULMINE”).

E tutto e il contrario di tutto è la cifra poetica e stilistica di Vittorino Curci, “dissentendo con garbo” e raffinatezza per giungere a una qualche verità mai vera. E sono le parole a fare la spola tra un mondo e l’altro.

Il visionario e l’eccentrico in un realismo magico che sa di passato ma riguarda l’avvenire dei giovani poeti che scriveranno la storia del mondo di domani.

Forse “un sentiero di rinascita” come afferma, con grande audacia e maestria analitica, il critico letterario Luciano Pagano…  “per comprendere l’umanità e il suo contrario”. E non gli si può dare torto.

Persino il dolore che è, o dovrebbe essere, la misura più vera della nostra umanità, viene messo in discussione in versi come questi: sembrava fosse venuta da un’altra ruota del tempo/ (la natura trova sempre il modo/ per prendersi gioco di noi) prima di volare via/ nel suo notturno sconosciuto/ dove nessuno fu mai al sicuro./ insieme agli altri cercava segni e sentieri nuovi/ nel bosco dove la ragione aveva fallito// come sono lucenti a quest’ora/ le foglie del vecchio ulivo che sovrasta/ il muro del giardino…/ di albe come questa ne ha conosciute/ molte più di noi che siamo larve già pronte/ per essere schiacciate sotto un piede/ non appena oseremo credere in noi// la distruzione non ha potere sull’eco della stanza/ e sulle esse delle clavicole e dei sorrisi./ qui niente si mostra agli dèi del sonno/ e della salute, i mortali trafiggono se stessi/ con l’accidia e l’ambizione, e svilisce se stesso/ il dolore che spinge al canto le sofferenze più vere/ che restano senza un nome  

Ma, riproponendo quanto ho scritto per Poesie, desidero evidenziare ancora una volta il mio pensiero nei riguardi della poetica curciana: “mi piace pensare (non so fino a che punto sia esatto o sbagliato il mio pensiero!) che una ‘situazione’ sia momentanea e modificabile anche in breve tempo perché riguarda quel momento e poi passa; la ‘condizione’ è qualcosa di permanente, riguarda un modo di essere, magari anche di apparire, ma permane. E, tra l’altro, Vittorino è egli stesso un ‘verso scazonte’ sempre in consonanza col ritmo interiore della sua musica e sempre ribelle a schemi di perfezione e armonia, pur nella versatilità del ‘trimetro giambico’ della sua anima. Mai sola. Mai in compagnia. Sempre spaiata. L’unico paio uncinato nel cuore riguarda quel ragazzino, che “giocava a morra con le ore della notte” per sentirsi vincente”.

Senza riuscire mai a sentirsi veramente tale, ma sempre eternamente discepolo dei Maestri, anche ora che è il mentore più efficace e convincente dei giovani poeti che impugnano sbarre metalliche/ muovendosi tra limoni, libri e ciottoli/ disseminati sul parquet (VANITAS VANITATUM).

Di certo, i suoi versi, anche oggi che il passato si sovrappone a un altro passato/ e nulla è mai accaduto “si trasformano in musica che si fa nuova generazione e ‘rigenerazione’ di un millennio che è agli esordi, ma ci indica già un inizio e una fine tra paure, contraddizioni, nascite, rinascite e morti, come ancora in Poesie:

Siamo in pochi, sempre meno, nel nostro misero/ accampamento. La sfrontatezza dei lavori arbitrari/ è appena un ricordo./ Come un finale a tempo/ e una voce fuoricampo che invita a sgombrare/ il passato.

Ma, anche se tutto torna e poi scompare nel nulla di una realtà che non è neppure tale, a me piace pensare, quasi una conclusione ottimistica, che “la fine del tempo”, anche se non lascia molto spazio a equivoci e dubbi e speranze, sia almeno nelle intenzioni più intime di Vittorino, preludio all’inizio di un tempo migliore per l’umanità del prossimo futuro, senza “contrario” di sorta.

Abbiamo anche i figli e i figli dei nostri figli da salvaguardare e salvare. La poesia è, o dovrebbe essere (il condizionale con Vittorino è d’obbligo!) salvifica sempre…

                                                   Angela 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento