martedì 31 gennaio 2023

Martedì 31 gennaio 2023: MARIELLA BETTARINI!

Oggi è il compleanno di MARIELLA BETTARINI. Siamo coetanee. Lei mi precede di mezz’anno, ma entrambe non avvertiamo l’ingiuria dell’età nel nostro impegno letterario e socio-culturale. Il corpo può anche tradirci. La mente forse, a volte. Ma il cuore no. Conserva tutte le emozioni di quando eravamo ragazzine. Noi due ci siamo conosciute negli anni Ottanta del secolo scorso nei numerosi Convegni di “Donne e poesia”, promossi e realizzati, con cadenza annuale, a Bari, da Anna Santoliquido, altra mia grande amica e grande scrittrice e poetessa. Con Mariella Bettarini e con Gabriella Maleti fu amore a prima vista. Abbiamo sodalizzato subito con sincera empatia e consonanza di intenti. Con Mariella, dopo la morte di Gabriella, nostra coetanea, abbiamo intensificato i nostri rapporti letterari, culturali, amicali, nel rimpianto mai spento delle sue fotografie meravigliose e della sua profondissima scrittura in prosa e in versi.

Devo, però, alla straordinaria generosità di Mariella se abbiamo potuto coltivare insieme e così a lungo la nostra amicizia. Lei, famosa e apprezzata saggista e poetessa già dagli anni Sessanta, mi ha fatto dono del suo cuore e della sua attenzione (io allora ancora sconosciuta ai più); dei suoi libri di poesie e dei suoi saggi di critica letteraria; della sua splendida Antologia A parole - in immagini (antologia poetica 1963-2007), Gazebo Libri, Firenze 2008; della sua Rivista <L’area di Broca>, in cui ha dato spazio, negli anni, anche ad alcuni miei interventi tematici.

Le sue opere sono state recensite da Mario Luzi, Dario Bellezza, Giuliano Manacorda, Roberto Roversi, Sergio Pautasso e tanti altri scrittori, critici e studiosi. Giuliano Manacorda ha scritto di lei già nel 1977 in <Rapporti> (n.12-13, marzo-giugno 1977): Mariella Bettarini nel raccogliere le sue poesie del periodo 1972-’74 si conferma come una delle voci più coraggiose e più originali nel campo delle iniziative culturali e della produzione poetica dell’ultimo decennio. (…) La Bettarini adotta un suo verso lungo che può facilmente anche sconfinare nella prosa dichiarata e che le serve per una poesia franta nelle movenze interiori ma infine distesa in una sorta di brani di racconto in cui c’è dentro tutto il dramma del vivere quotidiano.

La sua attività poetico-culturale ed etico-sociale non si è interrotta mai. E in questa necessità di scrittura abbiamo trovato spesso le nostre consonanze interiori. Una delle più forti nostre ragioni di vita. 

Nel 2006, di sé stessa, e del suo amore per la parola ha scritto, per esempio, delle annotazioni in cui mi ritrovo perfettamente. Avrei voluto averle scritte io tanto mi si attagliano: Oggi (inizi del 2006) continuo a lavorare molto, ad amare la parola: scritta, letta, orale, creativa, saggistica, epistolare. La parola/segno. La parola/bi-sogno. La parola/intenzione di dialogo, affinità, amore. Così come amo da sempre l’archeologia, l’arte, la botanica, l’astronomia, la fotografia, il cinema e la matrice poliedrica di tutto questo: la misteriosa/“naturale” natura: dall’infinitamente grande e lontano, interstellare, invisibile, all’infinitamente piccolo e prossimo (anch’esso talora invisibile). Parola che si fa carne. Carne (minerale, vegetale, animale) che si fa parola. Misteriosamente. A specchio.

Nel marzo 2019 ha pubblicato con la SECOP edizioni un poemetto intitolato POESIE PER MAMMA ELDA, un canto dolente e intenso per la sua mamma, dopo aver cercato di decantare invano il dolore per la sua perdita. In quinta pagina troviamo una specie di Preludio: A MO’ DI (MINIMA) INTRODUZIONE Queste poche, scarne, spero non indegne poesie (poesie? Piuttosto lacerti di esistenza, di memoria, di doloroso amore, di indicibilità, quasi) per tentare di colmare - con la parola - un vuoto, il vuoto che la morte di mia madre Elda ha lasciato in me. Da quel ormai lontano novembre 2003 scrivo poco, pochi versi (voglio dire) anche se l’iniziale, coartante (persino violento nella sua forza) progetto/bisogno prevedeva, avrebbe previsto, prevedrebbe tanta scrittura, moltissimi versi per lei - e non solo versi, forse. Ma forse proprio per l’intensità di tutto questo, per il dolore (e tuttavia la paziente inevitabilità) dello strappo; proprio per tanta vita trascorsa insieme, per tanto vuoto e silenzio sopraggiunti, il quasi-silenzio dei versi è, almeno per ora, mi pare, inevitabile. Bastino, intanto, queste poche pagine, a testimonianza del mio amore filiale, del suo amore materno: anzi del suo Amore senza altri aggettivi. A testimonianza (così povera, imperfetta) della sua serena, umile, dolorosa Persona. Tanto più grande quanto meno appariscente. Presenza senza alcun vanto di sé. Sempre di sé generosa. Doti, doni oggi, ora, tanto più rari. Viva, dunque, mamma Elda e la sua tenerezza. (5 aprile 2010, lunedì dell’Angelo)

Lo stile è decisamente bettariniano, nonostante il dolore irrisolto, il lungo silenzio, la ridda delle parole che sale dal cuore da dedicare a lei, la sua adorata mamma. Infatti, nella mia postfazione, io parto proprio da Queste poche, scarne, spero non indegne poesie (poesie? Piuttosto lacerti di esistenza, di memoria, di doloroso amore, di indicibilità, quasi) per tentare di colmare - con la parola - un vuoto, il vuoto che la morte di mia madre Elda ha lasciato in me per scrivere: Credo sia opportuno partire da questa difficoltà iniziale di Mariella Bettarini di parlare a sua madre dopo il “vuoto” che lei, con la sua morte, sia pure attesa con rassegnata abnegazione e vigile tenerezza, le ha lasciato. Un vuoto che, a stento ora, tenta di colmare con alcune dolenti, sussurrate, frantumate, ma profondamente belle poesie. Talmente belle da commuovermi e da lasciarmi senza respiro. Riportandomi alla stessa esperienza da me vissuta (nel 2001) con altrettanto dolore, come sempre accade quando la Perdita della nostra madre diventa la nostra Perdita. E non sappiamo più chi siamo, avvertendo per la prima volta la condizione di “orfana”, la cui radice deriva dal latino “orbus”, ossia “privo”, ed io completerei: “privo di sé”. E chi è privo di sé dimentica il proprio nome, l’identità, il tempo e il luogo in cui si trova. Dolorosa sensazione quanto la Perdita stessa della persona a noi più cara, perché è la parte essenziale di noi. Sentiamo ancora il suo sangue scorrere nelle nostre arterie e vene, il suo cibo amoroso che ancora ci alimenta, la sua stessa vita che ci attraversa.

Nella silloge, dunque, incontriamo le poesie più tenere e dolci e disperate che ogni figlio/a vorrebbe sussurrare/urlare alla propria madre, magari per rinascere insieme (come Luigi Santucci immagina, con fascinosa dose di visionarietà, nel suo Romanzo Orfeo in paradiso del 1967, con cui l’autore vinse il Premio Campiello, e da me più volte letto prefigurandomi con angoscia e dolore indicibile la perdita di mia madre, allora ancora giovane, bella, sempre sorridente e innamorata della vita!).

Anche le voci maschili, dunque, danno vita a ricordi straziati e strazianti della perdita della propria madre. Ed ecco una voce maschile che mi sta a cuore, quella di Alberto Bevilacqua, il grande scrittore e poeta che noi tutti conosciamo, nei brevissimi versi dedicati alla sua amatissima madre (TU CHE MI ASCOLTI - Poesie alla madre), che ha avuto un po’ il destino della madre di Mariella Bettarini: Ci siamo sbagliati a disperare di noi,/ siamo perfetti/ nel duetto per voce sola,/ mia itaca di tutte le vite/ deviate dall’equivoco.

Alberto Bevilacqua, conosciuto in crociera tanti anni fa e diventati amici per oltre un decennio, in cui mi ha sempre affascinato con i suoi racconti un po’ folli, che rievocavano gli “strioni”, tipici personaggi assurdi dell’area parmense, raccontati con la sua tipica “arlìa” (l’inventarsi la vita e il suo gioco tra ironia e mistero). Intenso, immenso, doloroso e complice il rapporto con sua madre, sua “itaca di tutte le vite”. Ma poi, ecco un’altra voce maschile importante, quella di Rainer Maria Rilke in “Le mani della Madre”: Tu non sei più vicina a Dio/ di noi; siamo lontani tutti: ma tu hai stupende/ benedette le mani./ Nascono chiare in te dal manto,/ luminoso contorno:/ io sono rugiada, il giorno,/ ma tu, tu sei la pianta

E qui i versi sono realistici e fortemente poetici, nella visione della presenza della madre non vissuta come una santa, ma cantata per le sue “mani benedette”, un particolare molto significativo del suo corpo quasi divinizzato (“Nascono chiare in te dal manto”) nella visione della protezione, stabile radice della sua instabile mutevolezza (“io sono la rugiada” che si scioglie sul far dell’alba fino a comprendere l’intero giorno che è, comunque,  transeunte rispetto alla pianta, alle sue radici, alle sue foglie che parlano di nuovi domani.

E Mariella è sempre pronta a cogliere nuovi domani con i suoi versi, la sua prosa, il suo pensiero, la sua parola, che colgo e raccolgo ancora dalla sua Antologia per farvene dono. E comincio con due acrostici, tra i tanti, dedicati da Mariella ai suoi alunni di tanti anni fa: ROBERTO e FRANCESCA. Roberto sbarazzino che non puoi mai sbarazzarti di te/ Ottimisticamente ragazzo un po’ bambino/ Benignamente soddisfatto di sé/ Esiti solo se è chiuso il cammino/ Ridi per tutto il resto e/ Triturando libertarie parole/ Ottieni tutto il meglio dal mondo (e poi da te)Forse fine - forte Francesca/ Reggerai bene all’urto della vita e della sorte/ Alla fatica - al fumo - al duro seme/ Nato nel grembo dell’umana coorte/ Coi tuoi colori belli - i tuoi splendori/ E le ilari spalancate tue porte/ Sul Paradiso azzurro dell’infanzia/ Che vince e vince/ Alfine dura morte

Le sue poesie: VI mia casa /lo sapevi?) – casa/ la parola/     mia unica/ ragione - mia casa/ viva e sola/         magione - nido - ostello/ ricovero - ristoro/ riparo - covo - ombrello/ consolazione - polo; VII come sono le case? come/ le palpebre per l’occhio/     il mallo/ per la noce/     per il sangue le vene/     Cenerentola/ in cocchio/     come per verdi foglie/ gli alberi/     per tutti i pesci/ il mare/     per le spade i loro guaini/ pei pescator pescare

E in prosa “Un silenzio tra sguardo e voce”: Se non si riesce a tacere, tanto vale parlare. Se non si riesce a non farlo, tanto vale scrivere. Ma tacere, parlare, scrivere non sono azioni, atti neutri. Mai. E dunque tutti e tre tremendamente pesano e dolgono(gaudiosi) proprio nella e per la loro valenza immensa, per il loro valore di tormenti intollerabili: nella consapevolezza (spesso atroce) del loro   essere contrario ognuno a se stesso, e ognuno d’essi all’altro. (Tacere non è parlare eppure anche il silenzio parla. Scrivere non è parlare. Eppure la scrittura è tessuta di parole, è un silenzio tra sguardo e voce. E parlare non è tacere né scrivere, anche se è loro affine, loro parente). Talora, però, non si può parlare (eppure non si può non farlo). È forse proprio allora che nasce (zampillo incoercibile) la scrittura: quella del male e del bene, quella più vera/nera, quella abbagliante/ quella del profondo-profondo. La scrittura del profondo amore. Del profondo dolore. Questo mi dicevo (e mi dico) sapendo insieme silenzio e scrittura, cultura e natura, istinto e ragione, silente pulsione di dialogo muto. Omaggio ad un’altra scrittura. E viva metamorfosi di silenzio in parola. Di parola in silenzio. Di parola in parola, quando - sciolto, svolto il coraggio delle passioni -  solo il coraggio delle parole resta (delle parole in atto: anche la parola è atto), io passiva/paziente in un comune/non comune Comandamento  

C’è solo da condividere ogni parola, profondamente significativa, altamente poetica. Inno al silenzio e alla parola: orale, scritta, letta. Pensata, taciuta, detta, urlata, sussurrata, silenziata. Perciò anche Inno al dolore da cui si origina la Parola. E più volte Mariella Bettarini ha confessato che si diventa poeti perché da qualche parte, nel tempo, abbiamo ricevuto una “ferita”, irrimarginabile. Quest’ultima si placa e si addolcisce solo con la carezza della scrittura poetica che la leviga, la protegge, la cicatrizza. Guai se non fosse così. Sanguinerebbe fino a procurarci la morte, mentre la poesia è colore, è calore, è Vita. Si protende sempre ad abbracciare il sogno di un nuovo domani.  

E nuovi domani io ti auguro, mia carissima Mariella con un mio breve canto a te dedicato con tanto tanto cuore: Non ci appartenne mai il lungo silenzio/ che ci fissa oggi tra secchi rami/ innevati dei nostri tanti anni a negarci il sorriso/ che sempre accordò le nostre anime/ felici d’incontrarsi tra mai perduta Poesia./ Di qualche mese la danza della tua alba/ anticipa la mia e di Gabriella/ che a maggio con me sorrise alla vita/ e ora tra le stelle/ della sera attende il ritorno:/ la carezza lieve delle tue dita/ la tenerezza antica di antichi nidi/ dei balestrucci nei vasi invasi/ di cinguettii al calore della gioia/ che di stupore pervase il cuore./ Io da lontananze solo geografiche/ il nascere attesi delle loro ali/ mentre la neve scioglieva/ il nostro canto ad una voce./   Calliope    incanta ancora i nostri giorni della festa/ senza più candeline solo il soffio/ di un sogno a registrare il nostro sorriso/   (come sempre, come allora,/     come ora…).

Auguri infiniti da me e da tutti noi alla grandissima, meravigliosa Mariella!

1 commento:

  1. Angela carissima, come fare a ringraziarti per quanto hai scritto su di me e sulla mia poesia! Davvero non so... La tua magnifica nota critica è un grandissimo DONO per il mio compleanno. Grazie infinite e tutta la mia più viva stima, con tutto il mio affetto. Mariella B.

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