Oggi è il compleanno di MARIELLA BETTARINI. Siamo coetanee.
Lei mi precede di mezz’anno, ma entrambe non avvertiamo l’ingiuria dell’età nel
nostro impegno letterario e socio-culturale. Il corpo può anche tradirci. La
mente forse, a volte. Ma il cuore no. Conserva tutte le emozioni di quando
eravamo ragazzine. Noi due ci siamo conosciute negli anni Ottanta del secolo
scorso nei numerosi Convegni di “Donne e poesia”, promossi e realizzati, con
cadenza annuale, a Bari, da Anna Santoliquido, altra mia grande amica e grande
scrittrice e poetessa. Con Mariella Bettarini e con Gabriella Maleti fu amore a
prima vista. Abbiamo sodalizzato subito con sincera empatia e consonanza di intenti.
Con Mariella, dopo la morte di Gabriella, nostra coetanea, abbiamo
intensificato i nostri rapporti letterari, culturali, amicali, nel rimpianto
mai spento delle sue fotografie meravigliose e della sua profondissima
scrittura in prosa e in versi.
Devo, però, alla straordinaria generosità di Mariella se
abbiamo potuto coltivare insieme e così a lungo la nostra amicizia. Lei, famosa
e apprezzata saggista e poetessa già dagli anni Sessanta, mi ha fatto dono del
suo cuore e della sua attenzione (io allora ancora sconosciuta ai più); dei
suoi libri di poesie e dei suoi saggi di critica letteraria; della sua
splendida Antologia A parole - in immagini (antologia poetica
1963-2007), Gazebo Libri, Firenze 2008; della sua Rivista <L’area
di Broca>, in cui ha dato spazio, negli anni, anche ad alcuni miei
interventi tematici.
Le sue opere sono state recensite da Mario Luzi, Dario
Bellezza, Giuliano Manacorda, Roberto Roversi, Sergio Pautasso e tanti altri
scrittori, critici e studiosi. Giuliano Manacorda ha scritto di lei già nel
1977 in <Rapporti> (n.12-13, marzo-giugno 1977): Mariella
Bettarini nel raccogliere le sue poesie del periodo 1972-’74 si conferma come
una delle voci più coraggiose e più originali nel campo delle iniziative
culturali e della produzione poetica dell’ultimo decennio. (…) La Bettarini
adotta un suo verso lungo che può facilmente anche sconfinare nella prosa
dichiarata e che le serve per una poesia franta nelle movenze interiori ma
infine distesa in una sorta di brani di racconto in cui c’è dentro tutto il
dramma del vivere quotidiano.
La sua attività poetico-culturale ed etico-sociale non si è
interrotta mai. E in questa necessità di scrittura abbiamo trovato spesso le
nostre consonanze interiori. Una delle più forti nostre ragioni di vita.
Nel 2006, di sé stessa, e del suo amore per la parola ha
scritto, per esempio, delle annotazioni in cui mi ritrovo perfettamente. Avrei
voluto averle scritte io tanto mi si attagliano: Oggi (inizi del 2006)
continuo a lavorare molto, ad amare la parola: scritta, letta, orale, creativa,
saggistica, epistolare. La parola/segno. La parola/bi-sogno. La
parola/intenzione di dialogo, affinità, amore. Così come amo da sempre
l’archeologia, l’arte, la botanica, l’astronomia, la fotografia, il cinema e la
matrice poliedrica di tutto questo: la misteriosa/“naturale” natura:
dall’infinitamente grande e lontano, interstellare, invisibile,
all’infinitamente piccolo e prossimo (anch’esso talora invisibile). Parola che
si fa carne. Carne (minerale, vegetale, animale) che si fa parola.
Misteriosamente. A specchio.
Nel marzo 2019 ha pubblicato con la SECOP edizioni un
poemetto intitolato POESIE PER MAMMA ELDA, un canto dolente e
intenso per la sua mamma, dopo aver cercato di decantare invano il dolore per
la sua perdita. In quinta pagina troviamo una specie di Preludio: A MO’ DI
(MINIMA) INTRODUZIONE Queste poche, scarne, spero non indegne poesie
(poesie? Piuttosto lacerti di esistenza, di memoria, di doloroso amore, di
indicibilità, quasi) per tentare di colmare - con la parola - un vuoto, il
vuoto che la morte di mia madre Elda ha lasciato in me. Da quel ormai lontano
novembre 2003 scrivo poco, pochi versi (voglio dire) anche se l’iniziale,
coartante (persino violento nella sua forza) progetto/bisogno prevedeva,
avrebbe previsto, prevedrebbe tanta scrittura, moltissimi versi per lei - e non
solo versi, forse. Ma forse proprio per l’intensità di tutto questo, per il
dolore (e tuttavia la paziente inevitabilità) dello strappo; proprio per tanta
vita trascorsa insieme, per tanto vuoto e silenzio sopraggiunti, il
quasi-silenzio dei versi è, almeno per ora, mi pare, inevitabile. Bastino,
intanto, queste poche pagine, a testimonianza del mio amore filiale, del suo
amore materno: anzi del suo Amore senza altri aggettivi. A testimonianza (così
povera, imperfetta) della sua serena, umile, dolorosa Persona. Tanto più grande
quanto meno appariscente. Presenza senza alcun vanto di sé. Sempre di sé
generosa. Doti, doni oggi, ora, tanto più rari. Viva, dunque, mamma Elda e la
sua tenerezza. (5 aprile 2010, lunedì dell’Angelo)
Lo stile è decisamente bettariniano, nonostante il dolore
irrisolto, il lungo silenzio, la ridda delle parole che sale dal cuore da
dedicare a lei, la sua adorata mamma. Infatti, nella mia postfazione, io parto
proprio da Queste poche, scarne, spero non indegne poesie (poesie?
Piuttosto lacerti di esistenza, di memoria, di doloroso amore, di indicibilità,
quasi) per tentare di colmare - con la parola - un vuoto, il vuoto che la morte
di mia madre Elda ha lasciato in me per scrivere: Credo sia opportuno
partire da questa difficoltà iniziale di Mariella Bettarini di parlare a sua
madre dopo il “vuoto” che lei, con la sua morte, sia pure attesa con rassegnata
abnegazione e vigile tenerezza, le ha lasciato. Un vuoto che, a stento ora,
tenta di colmare con alcune dolenti, sussurrate, frantumate, ma profondamente
belle poesie. Talmente belle da commuovermi e da lasciarmi senza respiro.
Riportandomi alla stessa esperienza da me vissuta (nel 2001) con altrettanto
dolore, come sempre accade quando la Perdita della nostra madre diventa la
nostra Perdita. E non sappiamo più chi siamo, avvertendo per la prima volta la
condizione di “orfana”, la cui radice deriva dal latino “orbus”, ossia “privo”,
ed io completerei: “privo di sé”. E chi è privo di sé dimentica il proprio
nome, l’identità, il tempo e il luogo in cui si trova. Dolorosa sensazione
quanto la Perdita stessa della persona a noi più cara, perché è la parte
essenziale di noi. Sentiamo ancora il suo sangue scorrere nelle nostre arterie
e vene, il suo cibo amoroso che ancora ci alimenta, la sua stessa vita che ci
attraversa.
Nella silloge, dunque, incontriamo le poesie più tenere e
dolci e disperate che ogni figlio/a vorrebbe sussurrare/urlare alla propria
madre, magari per rinascere insieme (come Luigi Santucci immagina, con
fascinosa dose di visionarietà, nel suo Romanzo Orfeo in paradiso del
1967, con cui l’autore vinse il Premio Campiello, e da me più volte letto
prefigurandomi con angoscia e dolore indicibile la perdita di mia madre, allora
ancora giovane, bella, sempre sorridente e innamorata della vita!).
Anche le voci maschili, dunque, danno vita a ricordi
straziati e strazianti della perdita della propria madre. Ed ecco una voce
maschile che mi sta a cuore, quella di Alberto Bevilacqua, il grande scrittore
e poeta che noi tutti conosciamo, nei brevissimi versi dedicati alla sua
amatissima madre (TU CHE MI ASCOLTI - Poesie alla madre), che ha
avuto un po’ il destino della madre di Mariella Bettarini: Ci siamo
sbagliati a disperare di noi,/ siamo perfetti/ nel duetto per voce sola,/ mia
itaca di tutte le vite/ deviate dall’equivoco.
Alberto Bevilacqua, conosciuto in crociera tanti anni fa e
diventati amici per oltre un decennio, in cui mi ha sempre affascinato con i
suoi racconti un po’ folli, che rievocavano gli “strioni”, tipici personaggi
assurdi dell’area parmense, raccontati con la sua tipica “arlìa” (l’inventarsi
la vita e il suo gioco tra ironia e mistero). Intenso, immenso, doloroso e
complice il rapporto con sua madre, sua “itaca di tutte le vite”. Ma poi,
ecco un’altra voce maschile importante, quella di Rainer Maria Rilke
in “Le mani della Madre”: Tu non sei più vicina a Dio/ di noi;
siamo lontani tutti: ma tu hai stupende/ benedette le mani./ Nascono chiare in
te dal manto,/ luminoso contorno:/ io sono rugiada, il giorno,/ ma tu, tu sei
la pianta…
E qui i versi sono realistici e fortemente poetici, nella
visione della presenza della madre non vissuta come una santa, ma cantata per
le sue “mani benedette”, un particolare molto significativo del suo corpo quasi
divinizzato (“Nascono chiare in te dal manto”) nella visione della protezione,
stabile radice della sua instabile mutevolezza (“io sono la rugiada” che si
scioglie sul far dell’alba fino a comprendere l’intero giorno che è,
comunque, transeunte rispetto alla pianta, alle sue radici, alle sue
foglie che parlano di nuovi domani.
E Mariella è sempre pronta a cogliere nuovi domani con i
suoi versi, la sua prosa, il suo pensiero, la sua parola, che colgo e raccolgo
ancora dalla sua Antologia per farvene dono. E comincio con due acrostici, tra
i tanti, dedicati da Mariella ai suoi alunni di tanti anni fa: ROBERTO e
FRANCESCA. Roberto sbarazzino che non puoi mai
sbarazzarti di te/ Ottimisticamente ragazzo un po’ bambino/ Benignamente
soddisfatto di sé/ Esiti solo se è chiuso il cammino/ Ridi
per tutto il resto e/ Triturando libertarie parole/ Ottieni
tutto il meglio dal mondo (e poi da te); Forse fine -
forte Francesca/ Reggerai bene all’urto della vita e della
sorte/ Alla fatica - al fumo - al duro seme/ Nato nel
grembo dell’umana coorte/ Coi tuoi colori belli - i tuoi
splendori/ E le ilari spalancate tue porte/ Sul
Paradiso azzurro dell’infanzia/ Che vince e vince/ Alfine
dura morte
Le sue poesie: VI mia casa /lo sapevi?) – casa/ la
parola/ mia unica/ ragione - mia casa/ viva e
sola/ magione - nido -
ostello/ ricovero - ristoro/ riparo - covo - ombrello/ consolazione - polo; VII
come sono le case? come/ le palpebre per l’occhio/ il
mallo/ per la noce/ per il sangue le
vene/ Cenerentola/ in
cocchio/ come per verdi foglie/ gli
alberi/ per tutti i pesci/ il
mare/ per le spade i loro guaini/ pei pescator
pescare
E in prosa “Un silenzio tra sguardo e voce”: Se non
si riesce a tacere, tanto vale parlare. Se non si riesce a non farlo, tanto
vale scrivere. Ma tacere, parlare, scrivere non sono azioni, atti neutri. Mai.
E dunque tutti e tre tremendamente pesano e dolgono(gaudiosi) proprio nella e per
la loro valenza immensa, per il loro valore di tormenti intollerabili:
nella consapevolezza (spesso atroce) del loro essere contrario
ognuno a se stesso, e ognuno d’essi all’altro. (Tacere non è parlare
eppure anche il silenzio parla. Scrivere non è parlare. Eppure
la scrittura è tessuta di parole, è un silenzio tra sguardo e voce. E
parlare non è tacere né scrivere, anche se è loro affine, loro
parente). Talora, però, non si può parlare (eppure non si può
non farlo). È forse proprio allora che nasce (zampillo incoercibile) la
scrittura: quella del male e del bene, quella più vera/nera, quella
abbagliante/ quella del profondo-profondo. La scrittura del profondo amore. Del
profondo dolore. Questo mi dicevo (e mi dico) sapendo insieme silenzio e
scrittura, cultura e natura, istinto e ragione, silente pulsione di dialogo
muto. Omaggio ad un’altra scrittura. E viva metamorfosi di silenzio in parola.
Di parola in silenzio. Di parola in parola, quando - sciolto, svolto il
coraggio delle passioni - solo il coraggio delle parole resta (delle
parole in atto: anche la parola è atto), io passiva/paziente in un
comune/non comune Comandamento
C’è solo da condividere ogni parola, profondamente
significativa, altamente poetica. Inno al silenzio e alla parola: orale,
scritta, letta. Pensata, taciuta, detta, urlata, sussurrata, silenziata. Perciò
anche Inno al dolore da cui si origina la Parola. E più volte Mariella
Bettarini ha confessato che si diventa poeti perché da qualche parte, nel
tempo, abbiamo ricevuto una “ferita”, irrimarginabile. Quest’ultima si placa e
si addolcisce solo con la carezza della scrittura poetica che la leviga, la
protegge, la cicatrizza. Guai se non fosse così. Sanguinerebbe fino a
procurarci la morte, mentre la poesia è colore, è calore, è Vita. Si protende
sempre ad abbracciare il sogno di un nuovo domani.
E nuovi domani io ti auguro, mia carissima Mariella con un
mio breve canto a te dedicato con tanto tanto cuore: Non ci appartenne
mai il lungo silenzio/ che ci fissa oggi tra secchi rami/ innevati dei nostri
tanti anni a negarci il sorriso/ che sempre accordò le nostre anime/ felici
d’incontrarsi tra mai perduta Poesia./ Di qualche mese la danza della tua alba/
anticipa la mia e di Gabriella/ che a maggio con me sorrise alla vita/ e ora
tra le stelle/ della sera attende il ritorno:/ la carezza lieve delle tue dita/
la tenerezza antica di antichi nidi/ dei balestrucci nei vasi invasi/ di
cinguettii al calore della gioia/ che di stupore pervase il cuore./ Io da
lontananze solo geografiche/ il nascere attesi delle loro ali/ mentre la neve
scioglieva/ il nostro canto ad una
voce./ Calliope incanta ancora i nostri
giorni della festa/ senza più candeline solo il soffio/ di un sogno a
registrare il nostro sorriso/ (come sempre, come
allora,/ come ora…).
Auguri infiniti da me e da tutti noi alla grandissima, meravigliosa Mariella!
Angela carissima, come fare a ringraziarti per quanto hai scritto su di me e sulla mia poesia! Davvero non so... La tua magnifica nota critica è un grandissimo DONO per il mio compleanno. Grazie infinite e tutta la mia più viva stima, con tutto il mio affetto. Mariella B.
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