Ancora un compleanno, mia carissima Anna Maria, sorella di straordinarie intese con il cuore e nell’anima. Oggi non voglio scriverti una poesia, come sono solita fare, ma un testo in prosa, che ci riporti alla memoria i ricordi che noi due non cancelleremo fino al giorno “dell’ultimo saluto”. Voglio prima di tutto donarle un ricordo, impacchettao, che probabilmente gradirà: la sua INFANZIA, e non solo. Anna Maria nacque dopo il ritorno di babbo dalla guerra e dalla prigionia. Era bellissima e molto vezzosa. Aveva occhioni di stella in cui gli occhi di babbo, chino sul suo lettino, si perdevano. Quegli occhi lo stregavano. La chiamava affettuosamente “Paparozza” e la sommergeva sempre di baci, cioccolatini, regali. I nonni, invece, la chiamavano “fìcca-naso” perché era molto curiosa e andava per casa ad aprire cassetti e armadi per tirare fuori ogni cosa che le capitasse a portata di mano. Anna Maria era anche molto capricciosa e cominciò subito a vincere tutte le sue battaglie appena fu in grado di affermare: “Tanto devo piangere che mi dovete accontentare”. E, in effetti, quando chiedeva la luna e nessuno era in grado di procurargliela, lei cominciava a piangere con un pianto lungo e inconsolabile tanto che, come d’incanto, la luna si materializzava nelle sue mani e in casa tornava la quiete. Aveva un’altra caratteristica che la rendeva unica: amava cappellini e borsette e guai se mamma non la “addobbava” a dovere. Senza cappellino e senza borsetta lei non usciva mai di casa. Io la canzonavo chiamandola “Anna Maria del cappellino”. Lei andava su tutte le furie, ma, appena riusciva a farsi sistemare con vestitini bellissimi e cappellini sfiziosi e borsette meravigliose, correva ad abbracciarmi felice. E pace fatta fino al nuovo capriccio. Mamma e babbo l’assecondavano sempre. Troppo bella per farla piangere. Troppo deliziosa per non rapire il cuore di tutti. Era l’immagine della felicità. Inno alla vita. (Oh, quanto purtroppo avrebbe pagato quell’infanzia felice… la vita non le ha risparmiato niente: la rinuncia a cantare, perdite atroci, sofferenze terribili e prolungate nel tempo, ma lei non ha mai perso la voglia di vivere, la forza di andare avanti, il coraggio di affrontare ogni avversità con il suo grintoso sorriso…). Anna Maria! Che tu possa sempre sorridere alla vita con il tuo canto nel cuore e i tuoi occhi grandi di bambina. Con mani generose verso tutti. E circondata da tanto l’amore. Ma non finisce qui.
Poi, siamo cresciute e dopo alcuni anni
di lontananza (io e Lizia con i nonni nel nostro paese natio e tu con il resto
della nidiata in un paese dove cantava il mare una nenia di culla ai piedi dei
monti a fargli corona), io vi raggiunsi per andare in una scuola statale con
ingresso tra bianchi scogli e azzurre acque. E lì nacque una complicità che
ancora ci appartiene: quando stavamo insieme nella città dei monti e del mare,
infatti, eravamo complici anche di altre simpaticissime esperienze, vissute in
virtù del fatto che qualche volta rimanevamo da sole in casa per alcuni brevi
giorni perché mamma e babbo andavano dai nonni e da Lizia e, in loro assenza,
io e lei poltrivamo senza muovere un dito, salvo poi a far trovare tutto in
ordine al loro ritorno con la spesa bella e pronta, che Anna Maria era solita
fare presso un negozio a due passi dalla caserma, “dalla Gatta”, dove comprava
ogni bendidio, facendo mettere tutto sul conto e facendo in modo che babbo non
si accorgesse dello spreco in budini, cioccolata e merendine. E la casa la
tirava a lucido lei da sola in men che non si dica. Era un maschiaccio col viso
di angioletto, poco celestiale e molto terreno: grandi occhi curiosi e larghi
sorrisi di malizia e di allegria. La sua gioia di vivere! Io non le ero granché
di aiuto: sempre sognante, innamorata della luna e delle canzoni romantiche del
tempo che fu e tutti i miei lavori in casa erano al rallentatore. Ma lei non si
disperava. Anzi, era sempre prona a riportarmi alla realtà, ma sempre con
spirito combattivo e tenero nei miei limiti di imprendibile visionarietà.
Quando, invece, andavamo tutti in
vacanza nella “casa del gelso e delle rose”, io e lei, con la segreta adesione
di Lizia, amavamo fare i regali a tutta la famiglia e soprattutto a mamma, per
il 16 luglio, e, per il 2 e 4 agosto, ai nonni che erano soliti festeggiare l’onomastico
con un lungo strascico di visite, di auguri, di dolci e rosoli della durata di
tre giorni. Come dimenticare quel “triduo” di festosa accoglienza di amici e
parenti e conoscenti nella nostra casa? In quelle circostanze, Anna Maria
rivelava tutta la sua intraprendenza: mentre io accumulavo le uova fresche che
ogni mattina la nonna ci dava da bere e le conservavo accuratamente per nasconderle
ad occhi indiscreti degli adulti, lei di
nascosto andava a venderle da Pino, il nostro salumiere di fiducia, e sapeva
contrattare anche sul costo di ogni uovo tanto da portare a casa e da me, che
l’aspettavo al palo, una insperata sommetta, che ci permetteva di comprare dei
regali anche abbastanza costosi e belli. Io non sarei andata a fare quelle “missioni impossibili” neppure
sotto tortura. Lei ci provava gusto. E saltellante e spensierata come una
gallinella si avviava con il paniere delle uova, nascosto nella sua borsetta
sempre più capiente, e se ne tornava più leggera a passo di danza e con
un’impagabile espressione di luminosa furbizia sul volto. Io l’attendevo sempre
con apprensione sul marciapiede, per ulteriori complotti organizzativi. Lei, un
vulcano con gli occhi, con la mente, con le mani. Un vulcano nel cuore. Per
questo babbo si lasciava sempre vincere dalla sua esplosiva carica di vitalità.
Oggi
siamo invecchiate, ma siamo sempre pronte a lamentarci insieme e a ridere
insieme. Spesso a crepapelle e per ogni nonnulla. Una battuta di spirito o una
parola senza senso che per noi è una scintilla di ilarità. E così, anche ora,
spesso nelle mie notti insonni, con gli occhi spalancati penso alle sue notti
insonni e con gli occhi spalancati a cercare un perché. Non so a chi delle due vada
meglio.
Io, però, nelle mie notti
insonni, scrivo sul “note” del mio cell: poesie, annotazioni, riflessioni,
inizi di racconti, integrazioni a nuovi saggi e romanzi che forse mai vedranno
la luce. E rinverdisco ricordi. Questa notte ho pensato a lei, Anna Maria, con
maggiore intensità. Ho riportato alla memoria il suo temperamento forte, il suo
coraggio.
Quando il nostro adorato nonno
si ammalò, per esempio, e mamma dovette tornare nella casa del gelso e delle
rose per curarlo, ed era fino alla sera un lumicino spento di stanchezza, anche
Anna Maria fece la sua parte. A febbraio, non festeggiò i suoi diciotto anni. Subito
dopo la Befana, con i nostri fratelli, dovette raggiungere babbo ed ebbe
l’ingrato compito di sostituire mamma nella conduzione della casa. Fu un
periodo difficilissimo pure per lei, che diventò adulta d’un colpo solo, tanto
è vero che riuscì a districarsi veramente bene, per non fare preoccupare mamma
e per non dare a babbo la possibilità di lamentarsi o di infuriarsi. Inoltre,
doveva anche studiare. Quell’anno aveva gli esami di Stato, essendo anche lei
come Lizia anticipataria. E ci riuscì brillantemente senza che nessuno si
prendesse cura della sua impegnata solitudine. Poi, tornò da noi e incontrò
Nicola, che sposò dopo cinque anni di grande amore e grande abnegazione, per
aiutarlo a studiare, a vincere un concorso, a sistemarsi. E dopo appena due anni
di immensa felicità e con una bambina di nove mesi e un’altra a palpitarle
appena sotto il cuore, perse il suo uomo in un devastante incidente stradale,
che la lasciò tramortita e disperata.
Furono solo i suoi trentatré anni,
cristo dai capelli inanellati di rosse spine, a frantumarsi sulla curva della
strada bagnata, e il pazzo bolide sulla inerme cinquecento, stupita nel
sorprendere rigagnoli di sangue e di latte lungo i vetri per quella bimba da
riabbracciare a casa. Furono i suoi occhi spenti a urlare tutta l’incredulità
da assordare l’immenso cielo. Fu croce conficcata, con chiodi e martello, su
fragili spalle di donna innamorata, con tra le braccia di spietata agonia la
piccola di neve e di pianto, e nel grembo un nuovo cuore che stava difendendo
la prepotente dolcezza del diritto alla vita (a.d.l.).
Anna Maria
pugno di cielo sferrato al cuore in un pianto di pioggia
Annichilimento
dopo un matrimonio d’amore e di felicità, durato troppo poco per essere vero.
Schiacciato
completamente Pinuccio, fratello maggiore di Nicola e marito di Lizia, nostra
sorella maggiore. Pinuccio, ormai affermato ingegnere, ma sempre incapace di
occupare spazi non suoi; schiacciato da quel coperchio sollevato su quel corpo
straziato che dovette riconoscere perché nessun altro avrebbe potuto farlo. E
fu sempre lui a seguire le indagini, che confermarono il terribile impatto con
un bolide che zigzagava senza controllo lungo quella strada che lo stava
semplicemente riportando a casa, dopo una intensa giornata di lavoro.
Anna Maria fu gomitolo di lacrime e di disperazione
Mamma
e babbo e Mimmo e gli altri di casa, per farle compagnia e aiutarla a
sopravvivere, si spostarono nella casa della figlia/sorella occhi allucinati,
pozzi dei suoi cent’anni, braccia senza culla, e culla da preparare per quel
palpito sotto il cuore.
E il dolore regnò sovrano
Con
gli abiti neri a lasciare tracce di lutto nelle nostre case. Isabella e la sua
spenta allegria in occhi di tristezza, specchio devastato del silenzio di cupo
dolore di sua madre. E nacque Nicoletta e fu tempesta di riccioli. E fu
rinnovata alba di forzati sorrisi. Fu salvezza di giorni da vivere al maschile
e al femminile in una casa di molte mamme e molti papà nelle carezze alle
piccole per evitare il vuoto di una sola assenza. Immensa nei cuori uniti e straziati. Anna Maria senza Nicola e con
due bimbe, fiorite nella gioia e nel dolore.
Anna
Maria dopo parecchi anni di lacrime e di sorrisi incontrò Gianni che si rivelò marito
innamorato e tenero padre per Isabella e Nicoletta. Lentamente tornarono torte
di compleanni e feste di neve e di coriandoli. Lentamente tornò il sorriso. Lentamente si tornò a vivere. Con
tutti i bambini che, nel frattempo, erano esplosi alla vita nelle case dei miei
fratelli e delle mie sorelle. In quegli anni di ritorno alla normalità, Anna
Maria e Gianni rilevarono le quote del cortile che lei, io e Lizia, le tre
figlie maggiori, avevamo ereditato, progettando una casa diversa dove abitare
con le due figliolette a restituirle Nicola nei volti e negli occhi. Poi, ci
risvegliò dal sogno di una vita serena e appagante l’anno 2000. L’ultima estate
serena. Ma, con le prime piogge d’autunno, il cielo si coprì di nembi e di bui
giorni alla deriva: Anna Maria e la necessità di un intervento a cuore aperto.
E mamma e Gianni e le figlie sempre con lei. A pregare per il suo ritorno a
casa. Io, in un’altra clinica a Roma, dove dovemmo ricoverare Ombretta per il
suo ricorrente problema da malattia autoimmune. Lo stress piegò la delicata
fibra di mamma e si era ormai a dicembre del nuovo millennio. Perdemmo la
nostra tenerissima mamma. Fu un devastante addio.
La perdemmo, in un lago di
disperata corsa al suo sorriso
Perdemmo
lei, mamma, persa in quattro mesi di angoscia su alte montagne innevate e
profondi abissi di nuove speranze e nuove disperazioni. Mamma. E il suo sguardo sempre più dolente e malinconico.
Pensieroso e stanco. E l’ultimo nostro Natale e l’ultimo Capodanno, vissuti
insieme in quella che era stata la nostra casa del gelso e delle rose e che ora
è una villa bellissima al centro del paese, abitata da Anna Maria e Gianni, e a
cui fanno capo Isabella e Nicoletta con la loro nidiata di bimbi nati in questi
ultimi anni. Nella casa dei nonni senza più il gelso e con poche rose ma con
tanti altri alberi e fiori… e voci e trilli di allegria e capricci e coccole e
tenerezze… e Nicole (figlia di Isabella e prima nipotina di Anna Maria) che è
ormai ragazzina di baci da afferrare con le dita e depositare nel cuore… e
Francesco, il suo bellissimo e silenzioso fratellino… e, poi, i figli di
Nicoletta: Sofia, vezzosa con i suoi occhi di cerbiatta e mille parole e mille
acquerelli… e il fratellino Andrea, che somiglia tanto a mio figlio Giuliano.
Stessi occhi grandi e sornione sorriso. Ma allora allora allora… Anna Maria fu salva per miracolo.
I miracoli avvengono e si fermano tra le
lacrime di chi ci crede
E io credo nei miracoli. Non avvengono mai per caso
o solo per chi ci crede. Occorre saperli riconoscere, questo sì, ma avvengono e
noi neppure ce ne accorgiamo. Riconoscerli è cosa difficilissima ormai tra
strade di buche e cieli vuoti… Anna Maria si riprese benissimo. Ma ancora altre
prove dolorose l’attendevano nella “casa del gelso e delle rose”, diventata
ormai la sua casa e la casa dei suoi adorati nipoti. Un ictus a portarla quasi
nell’altra dimensione se non ci fosse stata con lei, provvidenzialmente, la sua
prima nipotina, Nicole, cuore del suo cuore.
Oggi Anna Maria è in netta ripresa. Sta recuperando
benissimo, anche lei grazie alla scrittura da sempre praticata ma mai così
presente ai suoi giorni. Ispirata dalla
nidiata dei nipotini, che trovano in lei gioia e fonte inesauribile di
tenerezza, ha ripreso a
scrivere storie e filastrocche. E
Gianni, il suo amato compagno, le sta vicino con tanta cura. Tanta abnegazione.
Con dignità e purezza di cuore. Sì, anche lui è un puro di cuore, anche se non
ingenuo! Un puro razionale, in cui il palpito sotterraneo del cuore si fa
visibile e incontestabile nei fatti. Anche lui scrive ormai da alcuni anni, con
lusinghieri riscontri, romanzi intrisi di storia, di guerra e di violenza
(secondo lui, innata nell’uomo). Ma,
intanto, proprio lui, Gianni, si prende cura di tutti!
Che
bello prendersi cura di qualcuno…
Ma
è bello anche sentirsi tra le braccia protettive di qualcuno e lasciare che
siano gli altri a prendersi cura di ogni cellula del tuo corpo, pur sapendo che
sono quelle invisibili dell’anima a fare più male. Personalmente, forse ho
ripreso a scrivere anche per questo. Forse perché i nipoti sono cresciuti e si
prendono cura di me e sono loro ora i portatori di sogni, i cercatori di stelle
contro i muri della notte. Forse perché è giunto anche per me il tempo del non
avere più tempo: “sono io ora in prima linea”. E non conto neppure più i
calendari. Non ne sento più la necessità. Oggi confondo ormai i vivi con i
morti e viceversa. Non vale più la pena contare le assenze. Basta fare
attenzione, per quanto possibile, alle presenze. E oggi ad Anna Maria ho augurato
così il nuovo compleanno e desidero concludere dedicandole ancora non una mia
poesia, ma una poesia molto significativa e beneaugurale per noi che siamo ad
un “passo dal Cielo”: Tempo verrà/ in cui, con esultanza,/ saluterai te stesso arrivato/ alla tua porta, nel tuo proprio specchio,/
e ognuno sorriderà al benvenuto/ dell’altro,/ e dirà: “Siedi qui. Mangia.”/ Amerai
di nuovo lo straniero che era il tuo Io./ Offri vino. Offri pane./ Rendi
il cuore a sé stesso, allo straniero/ che
ti ha amato per tutta la tua vita,/ che
hai ignorato per un altro/ e che ti sa a memoria./ Dallo scaffale tira giù le
lettere d’amore,/ le fotografie, le
note disperate,/ sbuccia via dallo
specchio la tua/ immagine./ Siediti. È festa. La tua vita è in tavola.
(Derek Walkott, “Tempo verrà”). E per ora basta con i compleanni… Lina (o
Angela)
Conosco bene l.amore tra sorelle... eterno indissolubile coraggioso sempre più profondo pur nel silenzio. Quando qualcuno, non faccio nomi, ci consacro' "I QUATTRO CARABINIERI" scambio' un.offesa con un complimento... senza immaginarlo ci aveva visto giusto.
RispondiEliminaPagine bellissime le tue Angela, come sempre.
Grazie di esistere🌸
Carissima Angela, ho letto con sempre più intensa partecipazione gli auguri di buon compleanno alla tua amata sorella: bellissimi e toccanti. Quanto amore sai donare!
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