Stiamo vivendo ancora giorni bui a livello mondiale e mi
piace oggi ricordare Santa Lucia perché è “portatrice di luce”. Potrebbe
mettere in fuga le nostre tenebre, che riguardano il mondo intero, ma
riguardano anche e soprattutto il nostro mondo interiore, i nostri pensieri,
desideri, sogni, i nostri ricordi e i nostri progetti di vita, spesso tradotti
in parole, altrimenti non avremmo la comunicazione verbale, orale e scritta, a
cui si affianca quella del corpo, la mimica facciale e la gestualità delle braccia,
delle mani, delle gambe, dei piedi. Tutto quello che serve a metterci in
contatto con gli altri, senza i quali noi non potremmo esistere, nella nostra
individualità e socialità. Saremmo delle “monadi senza porte e senza finestre
di leibniziana memoria. E, invece, sin dai primissimi anni di vita, anzi
addirittura già nel grembo materno, noi impariamo a comunicare con gli altri:
la mamma, il papà, il mondo esterno. E impariamo ad adattarci reattivamente
all’ambiente che ci accoglie dopo la nascita. Proprio per questo ho scelto la
significativa poesia del bravissimo autore americano e “ministro universalista
unitario” Robert Fulghum, contenuta nell’omonimo libro Tutto quello che
mi serve sapere l’ho imparato all’asilo con tanta saggezza in più,
di Sperling & Kupfer Editori, Segrate-Milano, gruppo Mondadori (prima
pubblicazione 1986). Ed eccola qui:
TUTTO QUELLO CHE MI SERVE SAPERE L‘HO IMPARATO ALL‘ASILO
La massima parte di ciò che veramente mi serve sapere
su come vivere,
cosa fare e in che modo comportarmi l‘ho imparata all‘asilo.
La saggezza non si trova al vertice della montagna degli
studi superiori,
bensì nei castelli di sabbia del giardino dell‘infanzia.
Queste sono le cose che ho appreso:
Dividere tutto con gli altri.
Giocare correttamente.
Non fare male alla gente.
Rimettere le cose al posto.
Sistemare il disordine.
Non prendere ciò che non è mio.
Dire che mi dispiace quando faccio del male a qualcuno.
Lavarmi le mani prima di mangiare.
I biscotti caldi e il latte freddo fanno bene.
Condurre una vita equilibrata: imparare qualcosa,
pensare un po‘ e disegnare, dipingere, cantare,
ballare, suonare e lavorare un tanto al giorno.
Fare un riposino ogni pomeriggio.
Nel mondo, badare al traffico, tenere per mano
e stare vicino agli altri.
Essere consapevole del meraviglioso.
Ricordare il seme nel vaso: le radici scendono,
la pianta sale e nessuno sa veramente come e perché,
ma tutti noi siamo così.
I pesci rossi, i criceti, i topolini bianchi e
persino il seme nel suo recipiente:
tutti muoiono e noi pure.
Non dimenticare, infine, la prima parola che ho imparato,
la più importante di tutte: GUARDARE.
Tutto quello che mi serve sapere sta lì, da qualche parte:
le regole Auree, l‘amore, l‘igiene alimentare,
l‘ecologia, la politica e il vivere assennatamente.
Basta scegliere uno qualsiasi tra questi precetti,
elaborarlo in termini adulti e sofisticati
e applicarlo alla famiglia, al lavoro, al governo, o al
mondo in generale,
e si dimostrerà vero, chiaro e incrollabile.
Pensate a come il mondo sarebbe migliore se noi tutti,
l‘intera umanità prendessimo latte e biscotti ogni
pomeriggio
alle tre e ci mettessimo poi sotto le coperte per un
pisolino,
o se tutti i governi si attenessero al principio basilare di
rimettere
ogni cosa dove l’hanno trovata e di ripulire il proprio
disordine.
Rimane sempre vero, a qualsiasi età, che quando si esce nel
mondo
è meglio tenersi per mano e rimanere uniti.
di Robert Fulghum
Ecco davvero le regole fondamentali per vivere e morire da
persone oneste, solidali, attente alla natura e al ben-essere psicofisico di
tutti e di ciascuno, “tenendosi per mano” nella consapevolezza di essere
abitanti di un unico pianeta, che abbiamo l’obbligo di salvaguardare per la
salvezza di tutti.
Ma quello che questa poesia mi ha insegnato tanto tempo fa è
stato il verbo GUARDARE. Un verbo transitivo e intransitivo.
Che ha molti significati evidenti e reconditi. Il primo e il più
evidente è quello di “volgere lo sguardo su qualcosa o su qualcuno”, come
qualsiasi vocabolario ci insegna. Ma anche osservare con attenzione perché si
va oltre il verbo “vedere” che sembra un sinonimo, ma non lo è. Si vede
qualcosa anche distrattamente; si guarda quando si focalizza qualcosa, si
osserva con attenzione e ci si sofferma, si procede con cautela. E qui
subentrano i significati più nascosti: la cautela ci indica un timore, un
ricordare qualcosa o qualcuno che ci ha procurato una esperienza precedente
negativa, magari di dolorosa sorpresa. Occorre stare in guardia contro
eventuali pericoli già esperiti in passato; occorre proteggersi dai tradimenti
alle spalle, difendersi da probabili pugnalate, magari mai messe in conto, data
la fiducia mal riposta in qualcuno, ma occorre “guardarsi” (riflessivo)
anche da chi ci guarda di traverso, da chi lo fa di sottecchi, da chi ci
osserva altezzosamente in termini di sfida, o con aria di sufficienza e
arroganza, o persino addirittura di disprezzo. È uno sguardo che non si
nasconde, non trama alle spalle, non ha paura di mostrare la sua aria di
superiorità perché ritiene l’altro ben poca cosa rispetto alla propria
intelligenza, al proprio “savoir faire”, come direbbero i francesi, alla propria
“integerrima” moralità, come si diceva un tempo, soprattutto nei necrologi.
E c’è chi, invece, adotta falsi sorrisi per tornaconto
personale, con largo uso e abuso di ipocrisia, che è qualcosa di
molto diverso della diplomazia, che fa scelte “oculate” per non
offendere, non ferire, non allarmare. Anche in questo caso si opera con
cautela, ma lo si fa a fin di bene.
Tutte queste forme di “vedere” e di “guardare”
hanno fatto parte da sempre della personalità umana, del suo adattamento più o
meno reattivo al mondo e agli altri. Nel bene e nel male. Niente di nuovo sotto
il sole, dunque. Eppure, il genere umano ha la memoria corta, dimentica
facilmente, altrimenti non ripeterebbe all’infinito gli stessi errori.
Vedi le guerre: da Caino e Abele non abbiamo imparato
nulla!
Eppure, Santa Lucia anche oggi ci restituisce la luce per
imparare a GUARDARE. Per ritrovare la via del ritorno a noi
stessi e riscoprire la nostra umanità perduta negli occhi degli altri che ci
restituiscono la nostra umanità all’infinito perché anche gli altri si
riflettono nei nostri occhi.
O almeno così dovrebbe essere.
L’altro non è altro che me stesso allo specchio (Andrea
Camilleri).
Alla prossima. Angela
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