giovedì 29 dicembre 2022

Giovedì 29 dicembre 2022: il DOLORE nei versi di GIOVANNI GASTEL e GJEKE MARINAJ...

Siamo ad un passo dal NUOVO ANNO, che come sempre ci invita a lasciarci alle spalle quanto ci abbia fatto soffrire per i più svariati motivi nell’anno che ci dice addio per aprirci alla Speranza. Ma, in questi due giorni che ci traghettano dal vecchio al nuovo, secondo me occorre ancora attraversarlo il dolore, per poterlo superare o quantomeno tenerlo al guinzaglio, come quel cane che mai ci abbandona ma che rischia di farci cadere rovinosamente se non teniamo la mano ferma a trattenere il suo passo molto più veloce del nostro. Del mio sicuramente. E allora proviamo ad esorcizzarlo insieme questo benedetto dolore che non ci abbandona condividendolo con chi lo ha provato e lo prova sulla sua pelle quanto noi o anche di più.

E ripropongo alcuni versi sul Dolore, sull’Anima e la Speranza di Giovanni Gastel e Gjeke Marinaj, altro grande poeta e carissimo amico.

Gastel e Marinaj hanno connotazioni poetiche molto diverse pur nella loro innegabile bellezza e profondità: Giovanni Gastel non mette mai i titoli alle sue poesie; Gieke Marinaj sempre e a caratteri cubitali; Gastel conclude sempre con il luogo e la data di quando la Musa è andato a visitarlo, Marinaj parla dei luoghi e dei tempi all’interno dei suoi componimenti poetici: luogo e data spesso fanno parte della narrazione. Per Gastel si tratta di un continuum di emozioni che culminano ad un certo punto nella necessità di tradursi in parole; per Marinaj sono momenti della vita che occorre raccontare per condividere con gli altri le gioie e i dolori vissuti. Entrambi amano la narrazione, lo stile discorsivo.

In Giovanni le poesie sono quasi sempre brevi, essenziali, malinconiche, dolenti per la nostalgia della purezza dell’infanzia e per l’assenza fisica di tante persone amate: spesso si passa dal monologo al dialogo, dal dubbio alla riflessione, con versi quasi sempre brevi o brevissimi.

In Gjeke i versi sono perlopiù lunghissimi, a volte amari e cupi, altre volte luminosi e tenerissimi.

In entrambi, il dolore nostalgico per un impossibile ritorno al passato. Metafore ardite in entrambi. Molto più ricorrenti ed effusive in Gjeke.

Entrambi fuori dagli schemi. Insoliti. Ironici e visionari. Entrambi geniali. Giovanni alla ricerca continua di Dio. Gjeke alla ricerca continua dell’umanità nell’uomo. E in queste poesie ogni lettore può trovarne conferma: “Se come neve potesse/ la pace del cuore/ scendere su di noi./ Se il vuoto accogliesse/ il nostro dolore/ le nostre assenze/ e restituisse presenze/ e gioia…”/ Così mi hai detto/

appoggiata alla notte./ E io non ho saputo rispondere/ ma ho pregato lo spirito del dolore/ di alleggerire il nostro cammino:/ Come angeli caduti/ vaghiamo nel mondo/ aspettando il Dio che ritornerà/ a placare questa terribile solitudine/ dell’anima/ Basterà una sua carezza a dare/

senso ad ogni cosa. Giovanni Gastel (Milano 2020)

Bello sarebbe riportare qui il commento che a suo tempo feci sulla Pagina FB di Giovanni, ma tempo e spazio me lo vietano categoricamente. Vedremo più in là di riprendere questo stupendo patrimonio poetico che Gastel ci ha lasciato.

Di Gjeke Marinaj, invece, ecco “SENZATETTO AMERICANO”: Come anima dispersa cammini,/ oltre i vitrei sguardi/ dei manichini ben vestiti/ nelle vetrine dei negozi,/ dietro i vetri con le membra al caldo/ in questa decantata America./ Cammini con le piante vescicose/ lungo le assi marce del mito/ le tue lacrime come schegge in cui inciampi./ La tua sentenza non porta firma,/ ma sento l’eco della tua tristezza/ anche qui, nel vuoto scavato/ del mio cuore pieno di nostalgia.

E, infatti, ecco sempre di Gjeke “A MIA MADRE”, una poesia colma di tanta tanta tenerezza e nostalgia: La nostalgia di te/ Dalla nostalgia di te sono devastato./ Rimpianto vasto come il mare/ Sono gabbiano con le ali spezzate/ Se non odi che tuo figlio è morto/ cercami sulla soglia della prima alba/ Ma se a un flauto io dovessi somigliare/ allora per amor mio, madre - anima mia,/ abbandona meravigliose visioni e lacrime febbrili/ Perché ultimamente sono angosciato anche nei miei sogni/ Alla ricerca di te, perdo la strada in qualche baratro sconosciuto/ Nel mio straziante volo grido il tuo nome/ E l’incubo mi lascia attraversando una finestra rotta.

Poesia intensa, straziante, evocativa, dedicata alla madre lontana, anima stessa del poeta (“anima mia”). Ed è subito “nostalgia di te”, ricordo dolcissimo e dolore acuto, sia pure velato di malinconia: νόστος e άλγος = dolore del viaggio o viaggio del dolore o, meglio, il ritorno del dolore o dolore che ritorna. Il ricordo del passato che non può tornare si fa cocente nostalgia, tristezza, rimpianto. Ma il “rimpianto” è meno crudele e non è neppure un dolore: è dispiacere che perdura nel tempo per quanto non sia stato possibile realizzare in passato. Infatti, per Gjeke la nostalgia è “devastante”, il rimpianto, invece, è “vasto come il mare”, si slarga e si stempera nella vastità del mare, ma non ferisce e non fa sanguinare come la nostalgia. (Almeno secondo me. Mi piacerebbe incontrare il vostro pensiero). Il poeta, pertanto, si paragona al “gabbiano”, uccello di mare per eccellenza che ci affascina col suo volo, ma qui ha “ali spezzate”. Anche per questi dolorosi versi di denuncia e nostalgia c’è un mio più ampio commento, che non posso qui riportare, ma invito tutti gli ipotetici lettori a farlo perché ne vale davvero la pena. Il confronto, del resto, come ben sappiamo, è sempre decisamente arricchente e salutare. Le parole ci dannano e ci salvano soprattutto quando focalizzano il dolore o quando lo decantano per renderlo più leggero, come avviene nel magico libro per ragazzi Un chilo di piume e un chilo di piombo di Donatella Ziliotto (Lapis editore, prima pubblicazione il 1992, riedizione 2016), ambientato durante la seconda guerra mondiale, in cui le bombe sono il piombo che cade dal cielo, mentre le piume sono i pensieri leggeri, sorridenti, fiduciosi di due ragazzine che anche in momenti tragici e dolorosi sanno volare con i loro sogni e le loro fantasie. Anche per Gjeke e per Giovanni, come si può notare, le parole uccidono e salvano.

Giovanni Gastel, a questo proposito, in una poesia carica di dolore recita: Io sono un disperso (…) che (…) affida se stesso/ alle parole che scrive.

Ed è un affidarsi totale, quasi un “naufragare” di leopardiana memoria.

C’è una sorta di eternità delle parole nelle voci che ci appartengono, che riconosciamo e teniamo per noi. Ci sembra quasi di averle dimenticate. Poi, basta un richiamo, una frase, una eco ed ecco ritornare prepotentemente a farci gioire o soffrire e la nostalgia ci prende, come per ogni ritorno (nòstos), che è gioia, ma anche dolore (àlgos).

E, del resto, Giovanni continua: … All’origine tutto era parola.

E qui il richiamo biblico è forte. E il richiamo al Verbo che era presso Dio ed era Dio. Il Verbo ha una parola sola. Una sola Verità. Basta riconoscerla. Ma con presunzione gli uomini la cercano nella scienza, che non possiede verità, ma parziali porzioni di conoscenza, suscettibili di essere confutare e capovolte, nel tempo e nello spazio. La cercano nella propria mente, ma non è la razionalità a dare risposte chiare e definitive. Nel cuore che è un “guazzabuglio” di sentimenti e di risentimenti. Forse solo “oltre il muro d’ombra” sarà possibile sfiorare la verità. Ma forse sarà troppo tardi per credere e per sperare. Per gioirne. La fede, unica ancora di salvezza? Forse. Se avessimo il coraggio di credere. È più facile negare che ammettere. Dice lo stesso Gastel, in versi, in prosa, con gli scatti delle sue foto che vibrano di bellezza ma non di verità. Perché ciò accada, Giovanni Gastel cerca nelle sue modelle l’anima. E l’anima cerca nelle parole. La cerca in sé stesso. Non si lascia influenzare dalle regole e dalle mode. Scrive come in quel momento gli detta il sentimento. E lo stesso accade per Gjeke Marinaj. Peccato che devo fermarmi qui, ma queste riflessioni ci potrebbero portare lontano se solo potessimo documentarle con altre splendide poesie di questi due straordinari poeti. Ma mentre Gjeke continua il suo viaggio esistenziale mietendo meritatissimi successi in tutto il mondo, Giovanni Gastel è purtroppo un angelo con le “ali spezzate”, di cui la straordinaria poetessa Angela Strippoli ha fatto, a suo tempo, questo toccante, commosso e commovente necrologio in versi:

È morto Gastel?!// Il maestro/ Il poeta/ Il sognatore/ La Fotografia// La notizia è scioccante/ Paralizza/ Disarma/ Ha il rumore struggente del vuoto/ Nella città immensa// Ci ritroviamo orfani increduli/ Angeli persi nella notte che ci silenzia// Sono le cinque del pomeriggio/ Ed è buio pesto// Gastel è in volo// Il poeta di animo nobile/ Attraversa la luce// Il sognatore/ Deposto il macabro lenzuolo/ Ascende/ Con i suoi Angeli Caduti/ In Cieli nuovi e Terre nuove// Il volo è gentile/ Impercettibile/ Quasi ne fosse esperto// Forse sorride/ Forse canta/ Forse è malinconico/ Per quel perfetto imperfetto/ Che è l’umano// Icaro è con lui abbracciato/ Così mi piace pensare// Gastel è armonia/ Nel suo obbiettivo si fa strada il cielo/ Che a noi si estende// “Un eterno istante” la sua vita

Già un istante eterno tra noi, con noi, per noi. Dolore, Commozione, Nostalgia. Angela

 

Nessun commento:

Posta un commento