È giorno di festa per tutti. Gli auguri ci permettono di ripercorrere il miracolo che lega la terra al Cielo. Certo, bisogna crederci e oggi è sempre più difficile. Ma scambiarci gli auguri come segno di fratellanza non nuoce, non porta iatture. Ci racconta una storia che è fatta di gioiosa benevolenza anche per attutire il dolore mai spento dei nostri cari che ci vivono nel cuore e che domani busseranno alla porta della nostra casa per sedersi alla nostra tavola e per raccontarsi ancora…
E,
del resto, è passato anche il mese
di ottobre, mese di vendemmia e di foglie che raccolgono l’ultimo sole autunnale
per poi accartocciarsi sulla nuda terra, ed io, nonostante questo anomalo prolungarsi
del caldo estivo che ci porta, almeno con il pensiero, all’azzurrità del mare, non
posso fare a meno di riandare con la mente al verso ungarettiano della poesia “Soldati”
(inserita nella silloge Allegria di naufragi): si sta come d’autunno sugli alberi le foglie. Breve e intenso,
senza una virgola, una cesura. Quasi una scudisciata sulle rughe che devastano
il viso, le mani, il corpo di quanti diventano, col passare degli anni, sempre
più vigili sentinelle del proprio tempo, prima di sparire del tutto. “Ma si
sparisce davvero del tutto?”, ci chiedono i nostri cari seduti alla nostra
mensa per raccontarsi ancora. Io credo proprio di no. Se sono qui con noi e non
soltanto il 2 novembre. È questo il miracolo dei sentimenti che attualizzano il
passato. Ma da dove nascono i sentimenti? Come ci abitano dentro più forti del
tempo che passa e “involve tutte cose l’obblio
della sua notte…”? (Foscolo, I Sepolcri). E, infatti, “Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna”. Dunque,
gli affetti durano oltre il tempo. E tutti noi ne sappiamo qualcosa. Potremmo parlare
di miracolo anche in questo caso, se non fossimo così presi dal colpo d’occhio
al cimitero: la tomba più curata, i fiori freschi, i ceri accesi. Certo hanno
un loro indiscutibile valore: dimostrano l’affettuosa cura per la tomba del
proprio defunto. Ma il miracolo, a mio parere, va oltre il cimitero. Ha un suo perché
nell’antica bellissima denominazione dei nostri vecchi: “camposanto”. Dove era
conservata la sacralità della vita e della morte. La differenza tra il cimitero e il camposanto
è proprio nella religiosità di quest’ultimo (non escludendo neppure la
bellissima accezione di “legare”, “cingere”, far approdare” nella derivazione
dal latino religo-religare: c’è in questi termini un legame forte di salvezza
con gli altri defunti; un serto di spine da cingere, come corona che ricorda il
nostro Salvatore; e, infine, un approdo nelle braccia di Dio, che tutti
accoglie nella Sua infinita misericordia. E misericordia è bello farlo risalire
a “miserere”= aver pietà, e a cor-cordis = con il cuore, usare il cuore. La pietà
con il cuore ci riporta al “perdono”, di cui solo Dio può farci dono
(per-dono). A noi è dato chiedere scusa, rammaricarci, provare tristezza, ma
non è dato perdonare perché il perdono ci mette in una posizione di superiorità
che non è giusto avere, dato che siamo tutti sullo stesso piano di fratellanza.
Ecco perché solo Dio può. È un mio modo
di pensare. Ma per pensarla così sono approdata alla fede cristiana che avevo
perso nel tempo e che ho ritrovato, in questi ultimi anni grazie ai tanti
prodigi vissuti in prima persona, e non più in una età in cui è facile avere le
idee confuse tra i tanti problemi da vivere per affermarsi nei vari ruoli e
passaggi della vita, ma in una età in cui non si ha più nulla da perdere, nulla
da chiedere e prendere e possedere, se non la inevitabile, consolatoria,
confortevole richiesta di tanta cura e tanto amore, che, nel migliore dei casi,
ci viene dato a piene mani. È il mio caso. Il corpo rivela i suoi “inciampi”,
ma la mente vigila ancora per non cadere negli abissi delle pietre e dei dirupi.
Anche questo amore è miracolo, questa cura gratuita perché non ho più niente da
dare in termini di aiuto, guida, compagnia, per tutte le disabilità che sono
sopravvenute con gli anni sempre più gravi da portare da sola. Sempre più ci
accorgiamo di avere bisogno degli altri. dei nostri cari più giovani di noi,
che conoscono le nostre difficoltà che non possiamo più sostenere da soli, superare.
Occorre molto coraggio e determinazione per non lasciarsi abbattere e per
continuare ad andare avanti con la consapevolezza di una linea all’orizzonte
che va sempre più assottigliandosi. Allora occorre Resistere per VIVERE e non
per sopravvivere a noi stessi. Insieme si può. “Nessuno si salva da solo”, come ci ha insegnato la scrittrice Margaret
Mazzantini in un suo libro del 2015. Parole riprese anche da Papa Francesco
durante la Quaresima di quest’anno, ribadendo che “Nessuno si salva da solo, perché siamo tutti nella stessa barca tra le
tempeste della storia…”, per cui occorre “fare rete”, avere anche la forza
di chiedere aiuto, di raccontare e raccontarsi perché gli altri possano sapere,
capire, confrontarsi e prodigarsi in una reciprocità che è il cuore della
fratellanza e della riscoperta della nostra stessa umanità…
Tutto
questo mi suggeriscono oggi la festa di tutti i Santi e soprattutto il Camposanto,
che visitavamo con i nonni con nel cuore la fede certa che ci trasmettevano
senza parole e senza più lacrime, solo con la segreta preghiera della Speranza…
E
vorrei chiudere con una domanda sotto forma di poesia (scritta appena un anno
fa) che forse esige una risposta. O forse no, tanto è impressa nella nostra
anima. Basta saperla, volerla leggere:
Chi di rosa e d’azzurro/ a mia insaputa/
ha dipinto il cielo/ di questo tramonto di fine novembre,/ quando per i bimbi
comincia/ l’attesa del Natale e delle fascinose/ luci che scaldano il cuore/ a
grandi e piccini?// Un raggio d’azione/ più ampio ha il sole/ al perielio/
raffreddando i suoi raggi/ e il calore della Terra./ Rabbrividiscono/ i rami
degli abeti/ e lunghe code d’uccelli/ vibrano al vento di tramontana.// Chi
lascia che il verde conforti/ tra farfalle di neve/ l’attesa e la speranza?//
Chi depone al mattino/ di quasi primavera/ sulla fogliolina di prato/ una
goccia che trema/ di rugiada?/ Chi colora il sole arancione/ sul mare di miele/
in un tramonto d’estate/ e l’alba turchina/ coi suoi lunghi capelli/ a sfidare
onde e maree/ e fiori di bosco e collina?/ Chi rivernicia il nero notturno/ del
mare/ di verde e d’azzurro/ con riflessi d’argento e di luna/ per incantare gli
occhi/ di mille amanti?// Chi bruciò sarmenti di porpora/ per il sorriso acceso
dei sogni/ di due ragazzi innamorati/ su distesi orizzonti/ persi d’infinito?/
Chi ha ricamato d’autunno/ i veli trasparenti di nuvole leggere/ sull’altare di
trepidanti spose/ di settembre?// Chi sollecitò ombre/ di rimpianto/ sul finire
del tempo/ aggrappato ai ricordi/ testarda quercia/ culla di nidi/ in
esplosione di nuova vita/ e urna di volti/ spariti nelle nebbie/ di un passato
acceso nell’anima?// Chi mi regalò/ un manto di stelle lucenti/ più di mille
diamanti/ a ridarmi gli anni perduti e mai dimenticati/ di mille prodigi/ tra
lacrime e risate/ e un firmamento acceso/ contro il buio di ogni tormento/
CHI? (a.d.l.)
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