quasi un inizio
Non dormo, ho
gli occhi aperti per te.
Guardo fuori
e guardo intorno.
Com’è gonfia
la strada
di polvere e
vento nel viale del ritorno…
Quando
arrivi, quando verrai per me
guarda
l’angolo del cielo
dov’è scritto
il tuo nome,
è scritto nel
ferro
nel cerchio
di un anello…
(Vinicio
Capossela, Ovunque proteggi)
Non dormo. Soffro d’insonnia da sempre. Ricordo che
da bambina contavo i battiti del cuore nel buio che mi faceva paura e non
sapevo andare oltre le dita delle mie manine e allora ricominciavo perché i
battiti erano tanti e le mie mani erano solo due e non riuscivo ad andare oltre
il dieci. Tu mi avevi insegnato a contare sulla punta delle dita, dapprima per
indicare i miei anni: uno due tre… poi, per sapere il numero dei giocattoli:
uno, la bambola; due, il cavalluccio; tre, il ferro da stiro; quattro, la
cucina; cinque, il pianoforte…
Prendevi le mie manine e aprivi ad ogni numero un
ditino perché fosse più semplice contare, perché fosse più chiaro il numero
raggiunto. Non mi potevo sbagliare. Il pugnetto chiuso era il numero zero. Poi,
ecco tirare fuori il pollice e poi l’indice e poi il medio, l’anulare e il
mignolo
(cùssə ad arà cùssə a spruà cùssə ad accattà rə
ppànə cùssə ad accattà rə mmìrə e cùssə? Friulì friulà friulì friulà…)
(questo ad arare questo a potare questo a comprare
il pane questo a comprare il vino e questo? Friulì friulà friulì friulà…)
e mi sfregavi il mignolino tra le tue dita e io
imparavo e ti sorridevo appagata e mai stanca di ripetere il gioco per
apprendere di più e meglio…
Non dormivo e gli occhi in quel buio centuplicavano
i fantasmi che si assiepavano sul mio letto e occupavano ogni angolo della mia
cameretta, togliendomi il respiro. Per addormentarmi contavo, ma gli occhi non
si chiudevano. Avevo bisogno della tua voce perché sapevo che sapeva fare la
magia di accendere tutte le luci della mia anima e un canto di gioia mi saliva
alle labbra prima di sognarti o di prendere forza e coraggio da te.
Sempre presente nelle ore
delle ansie e dei tumulti
Non così quando pioveva. Allora era il suono
cadenzato della pioggia a cullare i miei occhi. E la tua voce era un’eco che
danzava tra le gocce del cielo, che veniva giù, e i miei pensieri colmi di te.
Sempre così la pioggia. Anche oggi che non sono più bambina.
Non dormo ma la pioggia mi calma. Mi porta da lassù
fili d’acqua cui aggrapparmi per non naufragare e per tentare ogni volta la
risalita. Mi porta la tua voce. Che mi offre un ombrello sempre più rabberciato,
ma sicuro di rifugio e protezione.
La
pioggia m’intenerisce e mi rallegra
La
pioggia ha un vago segreto di tenerezza
una
sonnolenza rassegnata e amabile,
una
musica umile si sveglia con lei
e
fa vibrare l'anima addormentata del paesaggio.
È
un bacio azzurro che riceve la Terra,
il
mito primitivo che si rinnova.
(…)
È
l'aurora del frutto. Quella che ci porta i fiori
e
ci unge con lo spirito santo dei mari.
Quella
che sparge la vita sui seminati
e
nell'anima tristezza di ciò che non sappiamo.
La
nostalgia terribile di una vita perduta,
il
fatale sentimento di esser nati tardi,
o
l'illusione inquieta di un domani impossibile
(…)
E
son le gocce: occhi d'infinito che guardano
il
bianco infinito che le generò…
(Federico
G. Lorca, stralci della poesia “Pioggia”)
Piove. Il
cielo viene giù e, come da bambina, sporgo le mani oltre i vetri, che mi
portano l’autunno in casa, per afferrarlo nelle gocce trasparenti e leggere che
raccontano forse storie di lacrime o solo pioggia che cade, sussurro di parole
lontane. Ripropongono un tentativo di rossoazzurro perpendicolare che è più un
desiderio che un colore. Cadono gocce di cielonuvole sulle mie labbra assetate
e sul viso proteso al fresco incanto. Cadono sul giallo bruciato del giardino
che è un colore vero d'alberi di foglie di siepi. Fanno salire dal basso
profumo di terra... ricordo lontano... il cortile... un inno di gelsi rossi e
di rose che mi esalta e mi rincuora.
La pioggia, a
volte, può essere Musica d’arpe con mani d’angeli, Ritmo di marce di bimbi nel
gioco del loro andare alla conquista del mondo, Voce antica in un richiamo
d’altro tempo oltre il tempo
(cielo a pecorelle pioggia a catinelle… rosso
di sera bel tempo si spera rosso di mattina la pioggia s’avvicina… ed erano
modi di dire…
rosso di sara beltempo si spara… e diventava
un dramma…
quando piove e tira vento fra’ martin resta in convento… ed era
racconto…
marzo pazzerello se c’è il sole prendi l’ombrello… già proverbio
con avvertimento… non saltare sotto la
pioggia ché ti bagni tutta… ansia e preoccupazione e ammonimento…
pio-ve pio-ve acqua di limo-ne… quasi un gioco quasi cantilena
quasi voci di strada che entravano in casa e allagavano stanze e contagiavano
allegria…
e piove piove sul nostro amor… fu canzone e palpito del cuore e
fu addio…)
Mi piace la
pioggia. Mi fa sentire meno sola. Accompagna la mia nostalgia. S’intrufola
nella malinconia degli occhi e nei terrapieni del cuore a fatica costruiti. Poi
tace e le stillanti foglie brillano di diamanti e rubini che il cielo sparge a
piene mani. Splendore di luce rossodorata, ora che l’autunno si frantuma nel
canto di questo tramonto… e il passato ritorna a legarmi ai giorni andati che
mai più saranno e che pure sono...
Sempre così
la pioggia... sempre così i tramonti pennellati d’autunno in una follia di
venti e di foglie ad avvolgere l’anima...
Nella pioggia io ero... sono... rinasco...
Tanti anni fa
Una sera, seduta sul mio balcone, al quarto piano, respiravo l’autunno che si sbriciolava tra le mani di un bimbo colme di chicchi d’uva. Aveva labbra rosse e zuccherine, il bimbo, quasi un piccolo clown a sua insaputa. Si confondeva con i colori di settembre: l’oro antico dei capelli, il bruno intenso degli occhi, il rosa bruciato del visetto che tratteneva l’ultimo sole e le orlate nuvole leggere che assiepavano il cielo contro il tramonto. Una camiciola verde spento, quasi una foglia sospesa, a scoprire le gambette nude e scure. Il richiamo di sua madre precedette le ombre della sera, la corsa delle macchine lungo la strada, i passi di uno sconosciuto all’angolo di casa.
Poi, venne la
pioggia. Sottile. Fitta. Saltellante e leggera. Intrisa ancora di sole.
La foglia
autunnale di carne riccioli incoscienza fece un piccolo volo e scomparve dietro
la voce amata. Rimasi sola. A guardare la strada. La faccia anonima di quelle
case a più piani a limitarmi il cielo di sangue, trafitto di pioggia e da mille
antenne. L’ultimo volo di sparute rondini verso la libertà d’altri orizzonti. E
non seppi più se fosse un tramonto cosmico o personale sotto “le lacrime degli
angeli” sui miei capelli, sul vestito, tra le mie mani stupite ancora di
stupori.
Ebbi cent’anni e nostalgia di ritornare bambina, quasi ad esorcizzare il buio che sentivo incombere sui frastagliati terrazzi e tra i miei pensieri, e che da anni aveva ingoiato la tua presenza. Sentii crescermi dentro un’ansia d’altri tempi. Era nostalgia di te. Mi mancavi più della mia infanzia. Avevo bisogno di riproporti ai miei giorni, presente come l’alba dei miei bimbi, foglie tenere, trattenute nella serra luminosa e pavida della mia casa e, perciò, con meno voli della foglia sparita nel buio portone della sua casa. I miei figli non avrebbero mai ballato come me e te sotto la pioggia. Non sarebbero mai scesi per strada a saltare sulle righe tra le mattonelle. Non avrebbero mai sentito la tua carezza sui loro volti di zucchero e porcellana.
Un
abisso li separava da te
Sentii l’urgenza di scriverti per riportarti a me. Per chiederti di tornare e cominciai con la penna dei ricordi sul foglio stropicciato del presente: Nei percorsi del cuore ogni volta ricomincio da te, alfa e omega della mia vita. Solo in te è forse possibile ritrovarmi ancora. Riscoprirmi pagina bianca da scrivere. Da raccontare… E, nel raccontare te, racconterò la mia storia e quella di molti altri che ho incontrato guardato conosciuto amato ignorato subìto allontanato dimenticato ricordato. Racconterò… e tu ci sarai in un eterno presente dopo ogni tuo ritorno.
Non raccontai. No. Quando rientrai in casa era già un'altra storia. Altro tempo. Persa in quel foglio stropicciato della mia vita di...
Donnamogliemadre.insegnanteformatrice.scrittricepoetessasaggista
a tempo
perso, nei ritagli d’insonnia che facevo miei e mi pressavano con altre urgenze
di progetti da realizzare, programmi da rispettare, illusioni ancora da vivere.
Granello di polvere in
sospensione nell’aria senza posarsi mai
Trascorsero
così anni e anni ancora, nel vortice di nuovi impegni, nuove storie, nuovi
incontri, nuove chimere, nuovi progetti.
Nuove piogge
a frantumare i miei cieli di ciliegi e mandorli e ulivi e canti di sirene che
mi giungevano dal mare in un abbraccio di acque e di parole.
Parole. Le
parole da dire, da inventare, da scrivere, da correggere. Quasi la vita fosse
un continuo errore da evidenziare da evitare.
Da
riproporre… Da dimenticare...
Anni
al massacro quotidiano di ossa mente cuore...
Anni e ancora
anni con baci e abbracci, più pensati che dati, ai miei figli: spalle bambine
misurate dalle mie mani col metro del loro farsi sempre più tracimanti e
imprendibili in giorni bambini di giochi e fiabe, in giorni adolescenti di
scuola, scoperti tra macchie di rossi mestrui e prime ombre di nero sul mento,
nelle camere separate del sonno e dei sogni, delle voci a raccontarmi, in brevi
ore, le paure, l'attesa e i primi amori.
E ninne nanne
per la piccolina a scacciare lupi neri a creare dolci intese
(fai la ninna/ fai la nanna/ ninnananna
bambina/ fai la ninna/ fai la nanna/ fai la nanna mio tesoor/ sì fai la nanna o
mio tesooor…
patatà patatì patatina come te…/ bambina piccolina/ patatina/ col
naso piccolino/ patatino/ tu come nelle favole/ sei nata sotto un cavolo/ in un
mattino limpido/ sei nata tu…/ patatà/ patatì/ patatina come te…
chi asciugava i pianti miei / mamma buona era lei,/ chi in cucina
cucinava/ mamma cuoca canticchiava,/ io la sera nel lettino,/ mamma nanna a me
vicino,/ mamma compagna poi,/non mancava mai…
non si va in cielo non si va in cielo/ in pininfarina/ in
pininfarina/ perché in cielo perche in cielo/ non c’è la benzina non c’è la
benzina…
era una casa tanto carina/ senza soffitto e senza cucina,/ non si
poteva andare a letto/ in quella casa non c’era in tetto,/ non si poteva far la
pipì/ perché non c’era vasino lì…)
In silenzio,
la sera, prima del chiudersi di occhi ansiosi sul buio della veranda, e un vago
senso di paura allo sfinirsi delle nostre voci rapide e fugaci per il mio
giorno stanco e senza incontro...
(cosa ci raccontiamo stasera? del tuo cuore
che batte per il ragazzino occhi di sole?...
dei tuoi sogni di colori e segni sul foglio e parole da inventare?
ne hai disegnati ancora con matita e fantasia?...
c’era una volta e c’era… c’era una bambolina di cera che faceva
compagnia ad una bimba che dorme con le sorelle sempre nuove e sempre quelle…
oh quante belle figlie madama dorè o quante belle figlie… e io ne
voglio una madama dorè e io ne voglio una… che cosa ne vuoi fare madama dorè
che cosa ne vuoi fare? la voglio maritare madama dorè la voglio maritare…
e ora cercate di addormentarvi cercate di pensare alle cose belle
che vi piacciono al mare alle stelle ai fiori alle coccinelle e le farfalle
alle persone che vi vogliono bene alle cose che vi fanno ridere e a quelle che
vi fanno sognare agli angioletti…)
Solo la pioggia a farmi compagnia. Di
tanto in tanto. La pioggia
(tac tac tac… tactactac… tctctctctctctctctc…
tactactactac… tac tac tac…tac tac…tac…tctttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttctctctctctctctctctctatc…t…)
Tu,
sempre
Ma, prima
della pioggia a irrorarmi pensieri e cuore, più che il suo scrosciare
sull’asfalto, ho ancora un bimbo da salutare con occhi di sonno nella sua
foresta tropicale di alberi e liane e un improbabile fiume e un sottobosco di
leoni e tigri e giraffe a fargli compagnia
(e il mio bimbo solo soletto nel
rossoarancione del suo letto attende la sua mamma fai la ninna fai la nanna e
ha occhi grandi di coraggio per inseguire scoiattoli e pantere in un fantastico
viaggio tutte le impaurite sere e tarzan che viene e che va su liane o sugli
autobus di città in un bosco di gnomi e maghetti che dormono tutti nei loro
letti e tanti indiani fatti prigionieri che corrono corrono su veloci destrieri
ad afferrare il dolce sonno dopo ogni mio ritorno dormi bimbo mio bello fai la
nanna dormi che è tanto stanca la tua mamma…
questo è l’occhio bello questo è suo fratello questa è la chiesina
questo è il campanello… drin drin drin drin drin… drin drin drin drin drin…
Qualcuno male informato/ o più bugiardo del diavolo/ dice che tu
sei nato/ sotto la foglia di un cavolo…// Queste notizie sono prive di
fondamento/ ti ha fatto la tua mamma e devi essere contento!...
la macchina del capo ha un buco nella gomma,/ la macchina del capo
ha un buco nella gomma/ la macchina del capo ha un buco nella gomma/ripariamo
ripariamo con la ciùingomma…)
E
intanto la pioggia…
(tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt)
e sentirmi
protetta da quel cielo che precipitava giù a creare una cortina di fili
trasparenti e di suoni slargati e di voci attutite e di umori di asfalto
bagnato senza profumo di terra sui miei giorni veloci, stanchi, vuoti di me,
dei miei figli, del mio uomo, di mia madre, di te.
le piogge primaverili che cadono
sono lacrime, forse?
volteggiando i fiori di ciliegio
scompaiono
e non c’è uomo
che non li rimpiangerà…
(da Man’yoshu, antica raccolta
di poesie
giapponesi)
Pioggia di
parole a coprire la pioggia d’acqua. E il cielo in cascata liquida a coprire il
ricordo delle ciliege. Le ciliege neppure più un ricordo. Quasi.
E, oggi, ricomincio. Riprendo a raccontare.
E, come
sempre, mi trovi qui tra le mie carte e le mie nuvole. In una nuova casa che ha
finestre d’aria e sandali che affondano nel verde di un giardino d’alberi e di
rose, lantane e gelsomini e grappoli d’azzurro-pervinca in caduta libera sotto
un arco di glicini in fiore.
Mi trovi qui,
rannicchiata tra braccia invisibili che vorrei forti sui miei vuoti da
colmare... vuoti da colmare... anche con un tempo che non può tornare, ma non
può essere dimenticato... Raccontare per non dimenticare… Perché i miei nipoti
e pronipoti sappiano che la loro storia non è cominciata con i giorni
conosciuti, ma con tutti quelli ignorati e da altri vissuti prima che loro si
affacciassero al mondo.
Perché i
giovani conoscano la Storia non dai libri, ma da chi ha lasciato orme di sogni
e di dolore lungo le strade che oggi percorrono.
Orme che
hanno segnato lunghe scie traslucide, come bava di lumaca, sui muri della
dimenticanza e dell'indifferenza. Lunghe scie negli occhi di chi ha ancora uno
sguardo diviso tra ieri e domani. E il passato attraversa il presente per farsi
futuro. E nel presente affondano/affiorano i ricordi.
No, non si
può dimenticare. Non si deve dimenticare. Sarebbe come edificare nuovi progetti
di vita sul vuoto di un abisso che solo Mary Poppins può sorvolare agganciata
al manico di un ombrello in volo. Ma è una fiaba.
Il vuoto e un
ombrello volante non ci sono mai stati nella storia vera degli uomini...
E parto, come
so, dalle piogge di parole, d'acque e di stelle cadenti. Che quel vuoto hanno
colmato in terrapieni da percorrere per poter crescere e diventare forte e
resiliente
(non
mollare mai guardati allo specchio e scopri nei tuoi occhi i sogni che devi
ancora realizzare negli orecchi l'eco dei passi che ti hanno preceduto e li
hanno preparati tra le mani aghi e fili di pioggia per lavare ferite ricucire
progetti ricamare nuovi arcobaleni senza la pioggia non c'è arcobaleno non
lasciarla cadere come sabbia dalle tue mani non disperdere tutti i colori della
vita per rifugiarti nel grigio dell’indifferenza non mollare mai non m…)
Parto dalle
parole che mi hanno cullato e insegnato a camminare e a scoprire il piccolo
mondo della nostra casa per andare oltre.
Dalle foglie
bambine di fremente tenerezza che mi hanno incantato.
Parto da te
(aveva un vecchio cappello, la giacca logora. L'acqua gli passava
attraverso le scarpe. E le stelle attraverso l'anima...)1)
Tu,
inseguitore di sogni...
Sogni che mi
hanno nutrito e mi vivono dentro ancora... Sì, comincio da te. Che continui ad
essere sogno e realtà.
Ad
esserci e a proteggermi.
Comincio da
te, ma con te è tutto un mondo ormai sparito che rivive nella memoria e si fa
presente, palpitante e vero ai nostri giorni.
Tu incarni e
universalizzi il senso dell’“Uomo”. Nella sua accezione più bella.
Uomo-spiga di
sole e luna di pane, girandola d’arcobaleni, svolazzo di cieli, sorriso di
onde, riserva di granai, misura di bilance, chiarezza di pianure, altezza di
monti, abbraccio di ponti, crocevia di genti.
L’Uomo che
vorremmo/dovremmo riscoprire oggi perché questo nostro tempo abbia altro tempo
e altre storie, antiche e sempre nuove, per ricominciare… Sì, ricominciare.
E per farlo
parto dal nostro incontro nel primo giorno del mondo.
Io conobbi
te. Tu me…
(ritornano di pioggia e di vento
le tue magiche parole che sotto
il piombo di giorni di sgomento
raccolgo in un canto d’amore
e del sogno che non può
morire).
(stralcio di
“Scroscia a maggio la pioggia”,
da L’ora dell’ombra e della riva, Secop, 2015)
--------
- Victor Hugo, “Ho incontrato per la via”,
da Frasi e
Aforismi (Amore).
(NB: da A. De Leo, Le piogge e i ciliegi, Secop edizioni 2017, Corato-Bari, I vol., I capitolo)
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