martedì 1 luglio 2025

Martedì 1° luglio 2025: IL RICORDO DELL'INTERVISTA DI ALBERTO BEVILACQUA AD ANGELA DE LEO (prima parte)

E oggi si cambia pagina e registro. Luglio dà il via all’estate piena e alle vacanze. Quando ero bambina si diceva, nel giorno di San Pietro e San Paolo, il 29 giugno, “oggi si apre il mare”, cioè comincia la stagione di andare in vacanza (per chi se lo poteva permettere) e ci si attrezzava per raggiungere il mare a pochi chilometri da casa. Ebbene, io ero convinta che d’inverno gli adulti chiudessero il mare con enormi tavole per aprirlo a fine giugno. E mi lambiccavo il cervello per capire come facessero a chiudere e ad aprire quella enorme distesa di acque azzurre, sempre in movimento, che tanto mi affascinavano. Ebbene, in seguito, ho imparato a viverlo il mare in tutta la sua immensità: nuotando, andando sul pedalò, facendo parecchie crociere… ma questo è solo l’antefatto di quanto vi vado ora a raccontare. Ed è un ricordo meraviglioso che mi è piovuto tra le mani nel mettere ordine nei cassetti del passato remoto per liberarmene per sempre o per conservare. Ha prevalso questo secondo impulso. Per non dimenticare…

Nel 1996 la Redazione della Rivista femminile <Donna Moderna> organizzò una Crociera letteraria nel Mare Mediterraneo sulla MSC Crociere con tanti scrittori, giornalisti, psicologi, gente di spettacolo, con l’intento di trascorrere 15 giorni di Incontri letterari, Convegni, Tavole rotonde, Spettacoli. Io ero abbonata alla Rivista sin dalla sua nascita 1988 perché già scrivevo novelle, da oltre un decennio, su <Bella> (come vincitrice del Concorso “La penna d’oro”) e su <Marie Claire>, così ricevetti l’invito per due persone a parteciparvi a prezzo scontatissimo. Ospiti d’onore: il famosissimo scrittore Alberto Bevilacqua e la altrettanto famosa Maria Rita Parsi, psicologa e psicoterapeuta di chiara fama. Poi gente di spettacolo come Nino Frassica, il bravissimo cantante Ivan Graziani con la sua meravigliosa famiglia, il duo musicale Antonio e Marcello, il famoso visagista e scrittore a livello mondiale Diego Dalla Palma con la sua mamma Agnese, verso la quale aveva premure di figlio attento, tenero, devoto, l’Azienda di Giocattoli Clementoni con la famiglia al seguito…

Furono quindici giorni di immersione totale nella cultura, negli spettacoli, nella musica, nell’arte e nella bellezza. In un percorso favoloso che comprese le isole greche con Santorini, in primis, fino a raggiungere, Capo Sunio, il promontorio delle meraviglie,  con il tempio di Poseidone, lo Stretto di Corinto da vertigine, prima di giungere al Pireo, al porto di Atene; e ancora, le coste della Turchia, l’Africa settentrionale con l’Egitto, il Cairo, El Alamein col suo Sacrario Militare Italiano, il deserto fino ad Alessandria, sulla foce del Nilo, le Piramidi, per risalire il mare Adriatico e sbarcare, come ultima tappa a Venezia.

Nota divertente ma non troppo: In Egitto, un cammelliere mi rapì mettendomi di peso su un cammello mentre Primo lo inseguiva urlando. Voleva pagarmi con 10 cammelli. Fu un’avventura di paura che, per fortuna, si risolse in risata con la minaccia di far intervenire la Polizia di Stato.

Io e Primo facemmo amicizia soprattutto con Alberto Bevilacqua un affabulatore molto disponibile, ironico, attento agli altri con tanta empatia. Anche Maria Rita Parsi e Ivan Graziani si rivelarono attenti e simpatici conversatori. Conservo ancora molte fotografie bellissime di quei giorni memorabili…

Ma l’amicizia con Alberto fu magica, tanto che una sera, tra il serio e il faceto, volle intervistarci. Ma mentre Primo rispose con esilaranti battute ironiche alle domande dello scrittore, io mi munii di quaderno e penna per annotare a imperituro ricordo le domande e le risposte così da non perderne traccia. Ancora oggi amo scrivere tutto quello che mi sembra interessante e degno di essere ricordato su “NOTE” del mio cellulare, che è diventato uno scrigno prezioso da lasciare in eredità ai miei figli e nipoti. L’unica eredità che posso lasciare ai miei figli e nipoti, visto che da tempo ho distribuito equamente tutto quello che possedevo. Niente montagne di soldi, solo q.b. come le prese di sale per i vari cibi, ma tanto tanto amore dato e ricambiato con amore (più ricevuto che dato a onor del vero, per le mie innumerevoli attività culturali e letterarie che durano ancora oggi, nonostante gli anni e gli affanni!). Ebbene, ecco le domande e le risposte all’intervista svoltasi “tra il serio e il faceto”, presa però da me molto sul serio:

D n.1: Angela De Leo che parla di Angela De Leo come se la caverebbe?

R.: Penso non male, anche perché scrivo (romanzi, racconti, poesie, saggi) quasi sempre di me: di me come sono o credo di essere, di come “sento” di essere, di come mi piacerebbe essere. Il tutto naturalmente filtrato dalla mia personalità, dalla mia sensibilità, creatività, fantasia. Dalla mia capacità di “sondarmi”.

D n.2: E allora chi è e come è Angela De Leo?

R.: C’è una poesia, “Quasi una cronistoria”, che fa parte della mia prima raccolta Ancora un fiore (1982) in cui ci sono più o meno tutta. (Eccola per voi, miei cari lettori del blog, tanto per farvene un’idea: Io/ niente (infinitamente meno di un atomo/ nell’universo)/ io tutto (per me)/ Io vuoto di idee/ io idea nel vuoto/ Io madre e bimba e fanciulla/ e donna e sposa e amante/ amica nemica./ Io/ e sono stanca di lottare/ io e il mio lasciarmi andare/ e mi voglio truccare/ per sentirmi nuova/ e diversa e allegra e affascinante./ Io e la mia voglia di parlare,/ io e la necessità di tacere./ Io e i miei silenzi/ e i miei pensieri/ e il riso e il pianto/ e la gioia spenta/ con te (dentro)/ senza di te (mai)/ presente e assente/ con le ali e prigioniera./ Io con le albe sempre vicine/ io con rive sempre lontane:/ io bella io brutta io vecchia/ con i prati nel cuore./ Divertente (è raro)/ noiosa (quasi sempre)/ Innamorata/ Senza amore/ Io inutile/ io non io/ Io viva io vera/ io dubbio io certezza./ Io e le mie scuse/ io e le mie frane/ io e le mie rose./ Io e la mia pazza idea/ di far l’amore sull’erba/ in macchina a scuola al supermarket/ sul tetto (come i gatti)/ al cinema (sono una diva)/ nel letto al caldo al buio/ con tanta luce con te./ Io e i miei pudori/ i miei rossori le inibizioni/ nude e sradicate/ spesso sbagliate dimenticate./ Io e il mio candore/il desiderio del pulito/ del sempre uguale/ del banale del naturale/ dello scontato:/ Io in pieno sole/ con la mia faccia da farmi male/ sempre la stessa diversa/ con rughe nuove e occhi grandi/ senza più lacrime./ Io sotto la luna (sul mio balcone)/ con tutto il chiarore/ dei sogni lontani/ ancora miei ancora intatti/ e disperati e mai vissuti/ con pelle chiara e sorrisi teneri./ Io memoria e nostalgia/ con i miei morti nell’anima/ e l’infanzia e gli anni maturi./ La mia paura del domani:/ Io sempre io mai/ io e i guai/ miei degli altri e del mondo intero./ Io sola fra la gente, indifferente/ (non m’interessa)/ Disponibile (mi spiace tanto./ Io che peccato/ ti sono amica ti voglio bene/ voglio aiutarti./ Io e chi mi aiuta/ con questa pena sempre presente./ Io rassegnata io disperata./ Io e non posso dormire/ e voglio mangiare/ e i chili in più e i sogni in meno/ e i conti che non tornano mai/ le addizioni e le detrazioni/ e tutte le complicazioni/ della mia anima troppo viva/ e delle mie mani sempre tese/ ancora belle un po’ sciupate/ e delle dita sempre vuote/ anche se inanellate;/ e dei perché senza risposta/ e dei quando senza tempo/ e dei come mai uguali/ e dei se e dei ma/ e delle date da ricordare/ e di certi anniversari da dimenticare./ Io e la mia voglia di cantare/ (non ho più voce)/ e di ballare (non ho più fiato)/ e di ascoltare (c’è troppo chiazzo)/ la musica (quella romantica)/ al buio (mi piace tanto)/ sulla poltrona (e senza occhiali)/ e ciglia schiuse/ e il tuo maglione sulla mia pelle/ e il tuo cuore che batte forte/ e io lo sento e sono felice/ solo per poco e poi infelice/ e poi l’amore (nelle intenzioni)/ e i ricordi (sempre gli stessi)/ e ancora il pianto (tanto per cambiare)./ Io e la voglia di dimenticare./ E la forza di ricominciare./ E il bisogno di pregare/ per me per te per chi amo/ per chi mi ha offeso/ per chi ha frainteso/ per chi ha preteso/ senza averne diritto/ di disporre di me dei miei giorni/ sempre vuoti/ delle mie notti spesso bianche./ Io/ e il ricordo di ieri/ io e la realtà di oggi/ senza fughe né ritorni/ senza pretesti (non si sa mai)/ per litigare e fare la pace./ Io e le mie malinconie/ le nostalgie/ la mia capacità di fantasticare/ la mia fragilità il mio sognare/ Io intelligente (intuisco al volo)/ - presunzione? -/ mediocre (mi manca la battuta)/ pigra (il disordine mi opprime)/ eclatante (è solo una sensazione)/ timida (non chiedo mai per prima)/ tenera (e carezzo le tue ciglia)/ brillante (se sto tra la gente in sintonia)/ ambiziosa (diventerò qualcuno)/ ignorante (non so proprio niente)/  presuntuosa (eppure so tante cose)/ creativa (i miei pensieri)/ esibizionista (racconti e poesie)/ relativa (non ho mi finito)/ remissiva (hai sbagliato non t’arrabbiare/mi sono sbagliata hai ragione)/ io superlativa mai assoluta/ io dolce incoerente alternativa/ e la mia voglia di niente/ io costruttiva (m’invento sempre senza costruirmi mai)/ io e domandare e imprecare/ e le parolacce che non so dire./ Io e il desiderio di aggredire e la necessità di accettare/ Io sempre sì io pochi no/ io e non saper offendere/ io e non saper perdonare./ E il sorriso per gli altri/ e l’amore per i vecchi/ e la pietà per i vinti./ Io e i gioielli le pellicce i cristalli/ Io e niente ha valore/ e solo bisogno d’amore/ Io e le tue tele/ io e le mie poesie/ e la scuola che odio/ e i bambini che adoro./ Io e la televisione sempre accesa/ e che combinazione e scommettiamo/ che ossessione/ Io nevrotica (sono sempre in crisi)/ e i miei santi (solo in paradiso)/ io tranquilla (dicono gli altri)/ e i miei cieli sul mio cortile/ e le mie speranze nella mia casa./ Io e la voglia di essere libera/ e non so dove andare e come fare/ e l’assurda decisione di rimandare/ Io con me stessa a metà/ e le contradizioni/ i cedimenti le delusioni e gli abbandoni/ e le emozioni (le mie passioni)/ Io e tutto quello che mi dai/ Io e tutto quello che non ho avuto mai/ Io verticale io orizzontale/ io e tutta la mia storia/ scritta dentro/ io che non sarò mai storia./ Ma…/ sono solo/ tutto questo/ IO?

Ma ho anche pensieri colmi di sole: tuffi di gioia tra sabbia e mare, e cieli imbrigliati ad ali di gabbiano verso porti d’azzurro…)    

Credo, comunque, - continuai - di non discostarmi molto dalle donne della mia generazione in termini di sudditanza al padre e al marito, ma con il dono di un pizzico di “ribelle follia” a rendermi diversa anche come figlia e madre, eternamente dimidiata tra ribellione alle regole delle strette “secche della quotidianità” e la mia anima zingara sempre in cerca di nuovi orizzonti per volare…

D n.3: Penso che la domanda possa essere banale e scontata, ma inevitabile: quando hai cominciato a scrivere e perché?

R: Anche la risposta è banale e scontata, ma inevitabile: ho cominciato a scrivere non appena ho imparato a tenere la penna in mano. Sono stata e sono una grafomane. Ho scritto i primi versi sui banchi di scuola, sui muri dei bagni, su qualsiasi cosa avessi a portata di mano. Mi piaceva sorprendere, trasgredire, essere originale. Anche con ironia e autoironia. Ma sono anche partita dall’ascolto delle fiabe del mio nonno materno e dal desiderio di trascriverle su carta per non dimenticarle, per saperne di più circa la loro origine. Frutto solo della fantasia del nonno? Scoprii che anche le Fiabe di Italo Calvino ci avevano messo lo zampino, nonostante mio nonno sapesse a malapena leggere, ma lo faceva con caparbia, puntigliosa, ammirevole volontà di imparare.

D n.4: Ma quando hai deciso di pubblicare quello che scrivevi in prosa o in poesia?

R.: Devo risalire agli anni Ottanta, quando una Docente di Psicologia presso l’Università di Bari, Prof.ssa Bice Leddomade, dopo aver letto alcune mie poesie, mi consigliò di rivolgermi a qualche “addetto ai lavori” perché erano, secondo lei, degne di maggiore attenzione e di più ampia diffusione. Mi rivolsi al Prof. Dell’Aquila, Docente di Letteratura Italiana presso l’Università di Bari. Il luminare, dopo aver letto alcune pagine, mi disse che erano degne di nota e mi mandò dal Prof. Daniele Giancane, che aveva la Cattedra di Storia della Letteratura dell’Infanzia presso la stessa Università ed era soprattutto noto come poeta. Qualche tempo dopo, ci incontrammo per avere un suo giudizio e, perentoriamente, tenendo tra le mani il dattiloscritto di Ancora un fiore, disse: “Questo si pubblica!”. È stato l’inizio delle mie pubblicazioni senza il supporto delle Riviste femminili, a cui ho accennato prima.

D n.5: Hai preso in quel momento coscienza della tua “vocazione”?

R: La poesia è molto di più di una vocazione per me. È la mia stessa vita. Ci sono dentro tutta quanta. Non posso dire voglio o devo scrivere poesia. Io la sento dentro. È una musica ancestrale. Ritmo, suono, emozione. È un tutt’uno con me. Non ne posso fare a meno. A volte è una necessità. Una urgenza. Un mistero sempre.

(per il nostro blog, intanto, leggo quanto il poeta e attore Rino Bizzarro, nella Prefazione o Postazione ad Ancora un fiore, posta sul retro-copertina, citando Gustavo Adolfo Bècquer, scrisse: - Cos’è Poesia? -  E tu me lo domandi?/ Poesia… sei tu!, e continuò: Così si esprime Gustavo Adolfo Bècquer  dal profondo del suo ottocentesco romanticismo in una perla lirica di mirabile purezza. Se fosse possibile la contraddizione dei termini, mi piacerebbe usare appunto il termine romanticismo - moderno-contemporaneo - per la poesia di Angela De Leo, che si presenta oggi al giudizio del pubblico con questa raccolta “ANCORA UN FIORE”, così scoperta, ingenua, indifesa, dichiaratamente priva degli astuti   strumenti del consumato mestiere della penna e della parola, e perciò stesso più preziosa. Romanticismo - moderno-contemporaneo -  per il piglio sentimentale e per il particolare timbro poetico con cui Angela De Leo ci racconta la sua storia, la storia della sua famiglia, dei suoi affetti più cari, dei suoi dolori più nascosti e cocenti, riuscendo qualche volta persino a esorcizzarli nella catarsi della pagina scritta. Una nota di singolare personalità è data dal felice connubio tra poesia e prosa, dove la poesia spesso si fa prosa e viceversa per il raggiungimento di una più elevata capacità espressiva, ricercata con caparbietà e con fede; ottenuta in esiti poetici di assoluta sincerità ed anche di grande partecipazione emotiva. La poetessa insomma racconta sé stessa in un raccoglimento quasi confessionale, lasciando il lettore più attento, non superficiale e distratto, con un piccolo dono di bellezza tra le mani.

Avevo dimenticato l’attenta tenerezza e generosità delle parole di Rino Bizzarro nel parlare della mia prima silloge pubblicata. Proprio per questa ragione ho voluto postare questa pagina oggi, al di là della intervista di Alberto Bevilacqua così acuto e scanzonato nel pormi le domande. Dunque, in conclusione, Poesia è o potrebbe essere ciascuno di noi).

E per oggi mi fermo qui perché l’intervista è ancora abbastanza lunga. Riprenderò a scrivere a breve. Grazie e buona estate e buone vacanze a tutti, nella speranza che possiate leggere il nostro blog anche al mare, in montagna, al lago, o nella serena quiete della vostra casa. Un abbraccio affettuosissimo. Angela/lina

  

venerdì 27 giugno 2025

Venerdì 27 giugno 2025: ANCORA NOI TRA PERCORSI D'ANIMA NELL'ABBRACCIO CHE CI UNISCE...

Non riesco ancora a distaccarmi in qualche modo da quanto vissuto in quest’ultima settimana nel ricordo di Anna Maria. E come potrei se tutto mi vive prepotentemente e teneramente tra cuore e anima in un intreccio di emozioni senza fine?  C’è ancora tanto da dire, da scrivere, da ricordare. Niente è superfluo in questo canto al coraggio, alla forza, agli affetti più cari, all’amicizia che, se autentica, si rinnova continuamente, alla vita. Ci sono ancora poesie a lei dedicate da ricordare, come quella di Marino Pagano, recitata l’altra sera e intitolata “Ad Anna Maria”. Vale la pena di leggerla: Nel silenzio che tutto pesa/ resta la luce dei tuoi occhi,/ fari profondi e delicati/ che non smettevano mai/ di cercare l’anima delle cose./ Dicevano amore,/ senza rumore,/ ora parlano ancora/ tra il respiro del tempo. Marino.

E per domenica 22, quando dalle prime luci del giorno e per un paio d’ore, grazie all’autoemoteca messa a disposizione dall’AVIS di Corato, il cui Presidente è il nostro caro Amico e Autore Federico Lotito, davanti alla Libreria Secopstore di Peppino e Nicola Piacente, tanti nostri Autori e tanti volontari hanno donato il sangue “per regalare la vita”, come ideato, voluto e organizzato da Peppino nel ricordo di Zia Anna Maria (con altri doni di libri e di parole), io, non potendo donare o rendermi utile in qualche modo, ho scritto dei versi, unica cosa che so e posso fare. La poesia si intitola “Il tuo tempo perduto”: Il tuo tempo perduto/ cerco da 365 giorni/ nei meandri disadorni del dolore/ che non cessa di fare male e sale/ come marea del mattino nel mare/ dei sassi a sconfiggere il cuore./ Il tuo tempo sospeso a un filo sottile/ di speranza fino a ieri di un anno fa/ fu strappo dalle mani impotenti,/ incoerenti a trattenerti ancora./ E oggi è già un’alba svanita nel nulla/ a farsi culla per risarcire il cielo sfinito/ di preghiere recitate/ nell’istante vissuto a perdifiato/ a ritrovare la voce il tuo nome la risata/ perduta e ritrovata tra i battiti smarriti/ e mai rassegnati a perderti fino a ieri./ Solo fino a ieri./ Oggi ti parlo con il rosso di un dono/   in vene estranee e amiche   / a cancellare il pianto, né tuo né mio,/ con inciso il tuo nome/ per ricordare la tua generosità senza fine/ senza scadenze né lacrime/ perché non ti diremo mai addio./ (sei qui e si è fatto pieno giorno/  il tuo sorriso irradia luce intorno  / e senza essere più insieme/    siamo ancora insieme) a te, Anna Maria. Lina   

C’è poi una poesia di un carissimo amico poeta che mi riporta ancora e sempre a Lei. Si intitola “SI ECLISSAVA IL TUO TACERE”: Si eclissava il tuo tacere/ a caccia di derive da seguire,/ la malinconia spezzata/ dentro l’ombra di portoni/ socchiusi al mondo,/ raggelata la ragnatela/ che confondeva nel labirinto/ la dirittura nel recinto di visione,//  e tu, tra smarrimento e tenerezza,/ nelle retrovie del compimento,/ cercavi un antefatto/ per esistere, per desiderare,/ la misura che colmasse la mancanza,/ l’ardire che sfuggisse/ alla catena di memoria,// “non come giudice/ sul mio passato,/ non come vortice di deserto/ sulle ferite,/ ascolti le pause/ come fossero preghiera/ imprigionata nel silenzio”,/ è gioia irrivelata questo osare/ fuori dai confini,/ l’andamento d’unità/ nella sarabanda degli affetti,/ “scorre accanto/ la deviazione che interroga,/ l’istigazione a una meta,/ la vista oltre l’abitudine”,// giungi a me come fossi/ una parola data,/ una promessa sopravvissuta/ al dilagare dell’opaco,/ “sei qui, nel chiaroscuro/ che determina le ore,/ misura di sapienza/ destinata alla vanità,/ adempimento di rinascita/ oltre la clausura,/ lontananza grido e abbraccio/ tra dissolvenza e grazia. MAURO CONTINI Basta cercare tra le parole per scoprire tutto quello che mi parla di Lei, della sua e mia sofferenza,   e di essere sempre insieme nell’abbraccio quotidiano.

E come non riportare quanto mia sorella Lizia, la maggiore di tutti noi, scritto proprio la mattina del 23 giugno su FB?: Oggi, 23 giugno 2025, è il primo anniversario della perdita di mia sorella ANNA MARIA… Mi piace ricordarla attraverso un’intervista che la giornalista e Capo-redattore di Bitonto-live, Mariella Vitucci (che ringrazio ancora) volle propormi a pochi giorni dalla sua scomparsa. Ritratto di una donna solare e creativa, che ha scalato dolori insormontabili con la forza dell’ottimismo DOMENICA 7 luglio 2024. Passato lo stordimento della notizia, del funerale, la perdita piomba sul cuore come macigno. Ci sono passati tutti quelli che hanno perduto una persona cara: un vuoto profondo come un pozzo nero, un dolore incombente. Lizia De Leo, poetessa dall’animo di cristallo, ricorda la sorella Anna Maria scomparsa da pochi giorni e confessa il tormento per non averle potuto dare l’ultimo saluto. La sua voce, flebile e a tratti spezzata dalla commozione, ripercorre la storia della sua famiglia mettendo a fuoco momenti di gioia e tragedie, e la figura di Anna Maria: <Era la figlia della guerra. Mio padre, prigioniero in Grecia, tornò a casa nel 1946. Lei nacque a febbraio del ‘47>. Terza di sei fratelli: Lizia e Lina, le maggiori, e poi Pino, Mimmo e l’ultima nata. <Una scintilla di vita: gioiosa, generosa, intraprendente. Si arrampicava sugli alberi, spostava mobili… Una Pippicalzelunghe vivace e incontenibile. Nonno Mincuccio la chiamava affettuosamente “u uagnòn”. Era capace, se la nonna conservava un dolce, di scovarlo anche nel posto più nascosto per poi condividerlo con noi sorelle. Era una curiosona>. Dopo il diploma magistrale, Anna Maria si iscrisse alla facoltà di lingue ma interruppe gli studi universitari per insegnare. <È stata una maestra speciale - dice Lizia - ha insegnato per tanti anni alla scuola Caiati e poi a fine carriera alla Fornelli. Aveva imparato a suonare la chitarra e coinvolgeva i bambini. Era festosa, solare, tutti la ricordano con grande affetto e stima. Purtroppo è dovuta andare in pensione anticipatamente per gravi problemi di salute: ha subito un intervento a cuore aperto per la sostituzione di una valvola cardiaca, che è stata poi la causa scatenante della sua morte. Nell’ultimo anno si sono accorti che non funzionava quasi più e il suo quadro clinico si è aggravato per altre patologie refrattarie alle cure. Ma, nonostante la salute tanto compromessa, non ha mai perso la gioia di vivere, quella sua allegria contagiosa>. Nel 1972 Anna Maria sposa Nicola, l’amore della sua vita. Un incidente d’auto glielo strappa due anni dopo, quando ha una bimba di soli otto mesi e mezzo, Isabella, ed è in attesa della seconda figlia che chiamerà Nicoletta. <Fu una tragedia che ci devastò> ricorda Lizia. Le sue due bambine diventano ragione di vita di Anna Maria, cresciute in una famiglia allargata e amorevole fra cugini-fratelli, zii, nonni, tanti amici… Ma c’è spazio anche per le grandi passioni della sua vita: musica, lettura, scrittura. <Entrò a far parte del gruppo dei poeti de “La Vallisa” come musicista. Era una straordinaria compositrice - racconta Lizia -  e, insieme al professor Daniele Giancane (fondatore del circolo letterario, ndr) decisero di fare esperienza nelle carceri. Anna Maria musicò l’inno de “La Vallisa” e alcune poesie. Il professor Giancane ha ricordato questi incontri con i detenuti come un’esperienza splendida, dal punto di vista umano e sociale>. <Mia sorella - aggiunge - ha scritto anche tante filastrocche per bambini, aveva una creatività inarrestabile. È stata una donna veramente speciale, affrontava tutto con ottimismo senza mai lasciarsi scoraggiare, anche contro la malattia è stata una guerriera fino all’ultimo>. Ma un pezzo del suo cuore era in lutto da cinquant’anni. Nel libro “Gelido è l’inverno” Anna Maria ha raccolto le lettere scritte idealmente al marito morto, per non interrompere un dialogo che era stato brutalmente reciso. <Mi manca tutto di lei - confessa Lizia - le telefonate ma soprattutto gli incontri. Ricordo con rimpianto i pranzi nel suo giardino, i reading di poesia… Era un’organizzatrice perfetta molto ospitale. Era una forza della natura e la malattia si è accanita contro di lei, quasi una nemesi della sua salute di ferro da giovane. Ma ha sconfitto il corpo, non lo spirito. Quello è rimasto indomito fino all’ultimo respiro, fino all’ultimo sorriso>.

Desidero riportare, infine, due poesie che La connotano. Una di Gianni, che parla della generosità della lucciola e del suo sacrificio fino alla fine. Si intitola “Il buio della lucciola”: Esposte al vento/ petali di astragole fluttuano,/ rincorrendosi tra le braccia/ riarse dei mandorli// “qui c’erano fiori”/ dice il vento spezzando/ un ramo.// Ma i petali non ascoltano/ affranti contemplano/ la lucciola morente/ che ieri illuminò la notte/ offrendo la sua LUCE/ al buio. Da brividi! Come non pensare a Lei? E Lei, ANNA MARIA, ricordata con grande commozione da Mario Sicolo, in un momento di immenso dolore per la “devastante perdita di Nicola”, scrisse “Muore il giorno”: Nubi di sangue/ si fanno/ ombre mute,/ angolose le case./ Muore il giorno:/ più sola che mai/ disperdo/ i pensieri/ e muoio con lui. Anna Maria De Leo. E Mario Sicolo (di lui ormai sapete tutto: vita e miracoli poetici!), l’altra sera, non solo l’ha letta, ma ha illuminato il cortile, che cominciava a perdersi nelle prime ombre del buio imminente, con il  commento critico di ogni parola con il suo modo unico, stratosferico e imperdibilmente coinvolgente commovente travolgente che tutto gli appartiene. Grazie Mario, per avermi consegnato questo gioiello di Anna Maria che non conoscevo o quantomeno ingoiato dal pozzo senza fondo della memoria. Grazieeeee. E grazie a tutti voi, che al nostro blog vi affacciate tutte le volte che scrivo e mi leggete con tanto amore. P.S. Oggi sarebbe stato il cinquantatreesimo anniversario di matrimonio di Anna Maria e Nicola, che ne festeggiarono purtroppo solo due. Ma ogni vero amore sfida il tempo e lo spazio e si fa eterno… come eterno vive tra Anna Maria e Gianni. Ogni vero sentimento accende una stella luminosa nell’Universo e per l'eternità rimane LUCE. Angela/lina 

giovedì 26 giugno 2025

Giovedì 26 giugno 2025: ANCORA NOI TRA PERCORSI D'ANIMA A SALVARCI SENZA PIU' FERIRCI...

Ieri si è conclusa la tre giorni in ricordo di ANNA MARIA DE LEO, volata un anno fa tra le stelle, con la presentazione del libro di Rossella Piccarreta CARNE SACRA, pubblicata dalla SECOP Edizioni (Corato-Bari) di Peppino Piacente, a Trani, presso la Biblioteca Comunale Giovanni Bovio, nella bella   e accogliente Sala “Benedetto Ronchi”. Presentata e coordinata da Raffaella Leone (in veste di PR. della SECOP edizioni), come sempre nella maniera più attenta e coinvolgente, la serata si è svolta in vari momenti degni di nota: i saluti istituzionali della Assessora alle Culture della città di Trani, Lucia De Mari; l’intervento della prof.ssa Cosima Damiana De Gennaro, già Dirigente scolastico, che ha parlato a lungo delle opere di Rossella Piccarreta e della sua personalità dinamica, esuberante e poliedrica nelle sue molteplici sfaccettature di docente, madre, artista a tutto tondo e; la breve presentazione del Libro da parte di Mariella Medea Sivo (scrittrice, editor e ghostwriter, divulgatrice letteraria nonché accanita lettrice di libri, che recensisce con attenzione, passione, amorevole cura) per via del tempo tiranno, che  prevedeva anche la lettura di alcune poesie dell’Autrice da parte di due bravissime attrici: Marinella Anaclerio e Floriana Ferrante (e spero di non sbagliarmi sui nomi delle due coinvolgenti e straordinarie lettrici)…

Lunedì, invece, abbiamo vissuto una favolosa commovente serata nell’atavico nostro “cortile dei gelsi e delle rose” in via Generale Montemar, n.25. Con tanti amici a farci compagnia nel luogo del cuore, reso fiabesco da Gianni Brattoli per festeggiare Anna Maria con tante luci, tanti fiori, tanta musica dal sapore antico, tanto verde, tanto amore. E tanta allegria, tante lacrime. A partire dalla tenerissima e commossa/commovente Presentazione di Raffaella Leone, mia figlia, prima nipote di zia Anna Maria. Raffaella ha anche trovato il modo e il tempo per leggere i messaggi, molto sentiti e sinceri, delle sue sorelle Ombretta e Daniela, e di suo fratello Giuliano, che hanno voluto fare sentire la loro presenza, in quanto assenti perché abitano a Roma e per motivi di lavoro. I loro messaggi, comunque, li ho riportati in anteprima sul nostro blog. Come ho riportato qualche giorno fa lo struggente testo della stessa Raffaella e alcune grintose poesie/canzoni di Anna Maria.

L’altro ieri, intanto, gli interventi degli amici presenti hanno toccato le corde profonde del nostro cuore e della nostra anima, a partire dal ricordo di Federico Lotito, visibilmente commosso, che ha letto tra l’altro da un suo recente libro Presenze minime (edito dalla SECOP edizioni) alcune poesie amare e molto toccanti da far rabbrividire l’attento e coinvolto uditorio. Poi, è stata la volta di Marino Pagano che ha parlato degli occhi di Anna Maria e del suo sguardo intenso, attento, ridente, affettuoso in ogni loro incontro. Ha concluso con una splendida poesia a Lei dedicata. Brividi sottopelle, stemperati da un opportuno quanto struggente intervento musicale. Mi piacerebbe avere da Marino la toccante poesia per poterla postare nel nostro blog. A rendere più leggera l’atmosfera la presenza tra noi della grande poetessa rumena Ela Emilia Iakab, che ha letto due sue poesie, in rumeno e italiano, tratte dalla sua silloge bilinque L’ultimo dono terreno (recentemente pubblicata in Italia dalla SECOP edizioni). Le due poesie sono state molto apprezzate e applaudite dal nostro sempre più coinvolto pubblico. Poi, la testimonianza di un’amica carissima e carissima collega di Anna Maria, Bice Perrini: commossa, trepidante, illuminante su mia sorella insegnante dalle mille capacità educative, didattiche, creative e del grandissimo amore per i suoi alunni, seguiti e amati uno per uno. Ancora stacco musicale prima di passare la parola a Gianni, che ha letto con voce tremante, alcuni passi del suo terzo romanzo che sta scrivendo e che Anna Maria lo incoraggiava a scrivere e a completare, vincendo con la sua forza e la sua dolcezza i momenti di crisi creativa di lui, che aveva continuamente bisogno di lei per continuare. Una dichiarazione di imperituro reciproco amore che dura ancora oltre il tempo e lo spazio. Tantissima commozione e ancora lacrime.  Salvifici sempre i musici nelle prime ombre della sera. Ed ecco una voce nuova, quella di Rossella Piccarreta, che da pochissimo ha pubblicato con noi una Silloge di poesie di toccante bellezza CARNE SACRA. Rossella è una docente di Liceo classico e un’artista a tutto tondo nella sua poliedrica ricerca della Bellezza e dell’Arte nelle sue molteplici espressioni. Ha letto dal suo Libro due poesie sconvolgenti, travolgenti, catturanti. Siamo tutti rimasti incantati. Il nostro carissimo Mario Sicolo, docente, scrittore, giornalista e poeta della migliore razza, amico da molti anni di noi tutti e, naturalmente, di Gianni e Anna Maria, ha stemperato l’emozione con le sue battute nel tentativo di celare la sua commozione che trapelava a fior di pelle e si faceva sempre più coinvolgente man mano che procedeva nei ricordi. Ancora una canzone per darci il tempo di asciugare nuove lacrime, che si sono rinnovate ancora e ancora con Mariella Medea Sivo, di cui ho parlato in precedenza. Mariella ha portato anche (in una coppa dai bordi ampi e colma di erbe e petali di rose, papaveri e altri fiori) l’acqua prodigiosa di San Giovanni, dando un tocco di colore, di gioia e di speranza sul tavolinetto dove l’ha appoggiata. Stanotte occorrerà lasciarla fuori perché la rugiada dell’alba, mandata dagli Dèi, compia il prodigio di renderla salutare e di portare fortuna e amore a chi la utilizzerà lavandosi il viso, come tradizione vuole.

Intanto, tra le sue tante recensioni Mariella ne ha dedicato una al Libro-diario (FOS edizioni) di Anna Maria Gelido è l’inverno, che racconta la storia del suo amore per Nicola, suo primo amatissimo compagno e padre delle sue due figlie: Isabella, la primogenita, e Nicoletta, nata dopo la morte prematura del padre, e, durante la serata, sempre in lacrime. Mariella, emozionatissima, ha letto la sua commossa e appassionata Recensione, che ha toccato il cuore di tutti. Ma era inevitabile, nonostante i nostri iniziali buoni propositi di condividere allegria e aria di festa. E come non piangere dopo la lettura, da parte di Raffaella, di una struggente poesia di Nicoletta dedicata, affranta, a sua madre. Eccola: Non trovo le parole/ se non quelle che galleggiano/ nell’acqua di San Giovanni/ stasera,/ tra i fiori di campo e petali/ per curare le ferite dell’anima/ a celebrare un passaggio/ tra oscurità e luce./ Tu sole della mia vita/ sei passata dall’altra parte/ oltre i confini del tuo corpo.// Spero che il prodigio/ di questa notte/ restituisca la tua energia/ inesauribile,/ la tua voce e il tuo canto./ E vorrei sempre essere/ accanto a te/ come nella foro,/ dove riconosco quella mano/ bambina/ che ti teneva il microfono.// In questa notte magica,/la speranza di un prodigio, che si spenga quel fuoco/ che mi porto dentro,/ diventando rugiada.  E qui le parole hanno sapore di lacrime a profusione. La serata si è conclusa con l’ultima tenera canzone dell’“Antica Barberia del Corso”, capitanata dal bravissimo Pierpaolo Modugno, fra meritatissimi applausi, mescolati alla pioggia del nostro pianto.

Ma desidero concludere, ricordando anche il rito delle noci acerbe per fare il nocino. La tradizione vuole che il mallo (le noci acerbe appunto) raccolto nella Notte di San Giovanni e immerso nella rugiada del primo mattino abbia proprietà magiche e curative. Si dice, infatti, che la rugiada conferisca al nocino, un vero elisir di lunga vita, proprietà altamente afrodisiache (provare per credere! Purché sia possibile!). Ma anche doti di straordinaria intelligenza e intuito, in quanto il gheriglio della noce ricorda il nostro cervello! Potrei, infine, ancora parlare a lungo dei tantissimi riti magici di questa notte magica in tutte le varie Regioni d’Italia per propiziarsi amore, salute e fortuna, ma non mi sembra più il caso per motivi di spazio e di tempo e di pazienza da parte vostra, miei carissimi lettori. Desidero soltanto sottolineare che nel “cortile dei gelsi e delle rose” la magia più tenera e bella era quella del racconto quotidiano di fiabe e favole, aneddoti di guerra, battute simpatiche, amorevoli, carezzevoli e complici di nonno Mincuccio, che riempiva il suo cortile di meraviglie all’ombra del maestoso gelso rosso, i cui frutti venivano da lui raccolti per quanti venivano nella nostra casa sempre aperta e accogliente a tutti e per tutti. Purtroppo Anna Maria solo d’estate era con noi, con me e con Lizia, e con gli altri nostri fratelli che vivevano con mamma e babbo, ma erano i mesi più belli per via delle tante feste di compleanni e onomastici, di cui soprattutto il mese di luglio era pieno. Purtroppo, però, i riti della notte di San Giovanni, a fine giugno, erano perlopiù a loro estranei perché ci raggiungevano solo in piena estate, anche se il cuore di noi tutti batteva all’unisono sempre. Unico rimpianto non aver mai fisicamente messo la mano sul cuore di ciascuno di noi per sentirne il battito forte e conservarlo nel tempo come dono prezioso della vita per il nostro amarci con infinito amore vincendo lontananza e assenza…

Un abbraccio di vero cuore a tutti. Angela/lina

  

martedì 24 giugno 2025

Lunedì 24 giugno 2025: ROSSELLA PICCARRETA E LA SILLOGE POETICA “CARNE SACRA”…

 

E oggi mi sembra opportuno parlare di Rossella Piccarreta e della sua silloge poetica la CARNE SACRA… che sarà presentata oggi a Trani come vi sarà sicuramente capitato di leggere nelle Pagine dell’Editore Peppino Piacente della SECOP edizioni di Corato-Bari.

Rossella Piccarreta CARNE SACRA (Prefazione di Pierluigi Balducci e Postfazione di Mariella Medea Sivo, SECOP Edizioni, Corato-Bari).

Avverto la necessità di scrivere le mie emozioni nel rileggere le poesie di Rossella Piccarreta. Intanto, un richiamo commosso alla Prefazione del grande musicista Pierluigi Balducci, per la tenerezza che si avverte nel sentire profondamente la musica interiore, promanata dai versi della nostra Autrice, e per la sacralità scoperta nelle sue parole che si velano continuamente di mistero e sembrano danzare “tra gli Opposti” quasi a spiccare il volo verso l’Infinito che le palpita dentro e si spiritualizza nel “divino” che ci appartiene. E rinascono paure e timori, desideri e incanti, sogni e nuove sorgenti di vita e di amore.

Scopriamo tutto questo nella silloge di Rossella, di cui Mariella Medea Sivo ha scritto la Postfazione, con un incipit insolito, colto, stravagante, eccezionale, da cui emergono tutto l’affetto e la sincera ammirazione che nutre per la straordinaria poetessa, sua amica.

Non posso che condividere e cercare i punti di congiunzione, scoperti da entrambi, per entrare con loro in sintonia nei vari testi poetici.

Fondamentale è la sintonia, che ci permette di scoprirci nello stesso suono, di vibrare con la stessa musica. Di assecondare lo stesso movimento che ci rende unici nella nostra identica identità ed eternamente cangianti. Fatti, dunque, di coralità e di individualità insieme.

E prendo subito ispirazione dal “Prologo” che dà un senso a tutta la raccolta perché indica a chiare lettere l’urgenza che avverte la poetessa di “scrivere poesia”: dono che giunge da lontano e che si fa “voce”, che lei segue “muta e rapita” come ferita d’amore incisa sulla pelle, come “graffio o carezza”, che può condividere, sicura di essere compresa e accolta, solo da “chi sa vedere”. Fondamentale è essere “consonanti”.

Anche negli “Smarrimenti”, come suggerisce il primo spazio di liriche o la prima sezione. Rossella Piccarreta è, infatti, una donna che, come tutti gli esseri umani, vive la contraddizione e di contraddizioni, ineludibili in ciascuno di noi, e ancora di più nelle persone particolarmente sensibili, non come sconfitta della propria logica, ma come vittoria sulle fragilità che accompagnano la nostra esperienza esistenziale, in quanto è il cuore che risorge da ogni debolezza e da ogni smarrimento, perché è sempre colmo di “tenerezza”, palpita sempre d’amore dato e ricevuto, anche se, a ben guardare, gli uomini sono purtroppo impastati anche di violenza, invidie, rancori micidiali, che decretano carneficine, guerre, lutti, dolore, senza più un’etica a salvaguardare la nostra uguale umanità. Eppure lontano/ un suono: il mare./ Uguale per te e per me./ Eppure in alto l’azzurro./ Uguale per me e per te (“Snake of war”. Ma anche “snake of war in the soul”, pp. 13-14).

E i versi si inazzurrano come la nostra anima. Solo per poco, perché “stormi neri” incombono e a nulla valgono “urla contro il cielo”. Presagio di morte e distruzione, come già in Giosuè Carducci (in San Martino) o in Paul Celan, in una commovente poesia, in cui descrive la disumanità della Shoah, in lingua tedesca a eterna vergogna della sua terra d’origine.

Forse occorrono preghiere per sventare ogni timore, reso realisticamente vero e spaventoso dalle “ali giganti/ nere e pesanti”. Non a caso, ancora la contraddizione ad allarmare la voglia di vivere e di amare. In eterno contrasto.  Vita e Morte. Eros e Thanatos. Origine e Fine. Odio e Amore. Tutto e Nulla.

Simone Weil ha studiato a fondo l’inevitabilità della contraddizione persino nell’apparente pacifico quotidiano. Ne ha fatto una teoria filosofica, psicologica ed etica, pur essendo partita dalla matematica, da una scienza esatta che non ammette il contrario.

Rossella cerca di vincere le innumerevoli contraddizioni che la abitano e la agitano, tra “lo strazio del niente./ Il soffio del tutto”, alla ricerca di un equilibrio che dia leggerezza ai pensieri e ai giorni come in Italo Calvino. Una leggerezza pensosa, certo, alla ricerca di un maggiore equilibrio, di una serenità mai vissuta prima e che sempre più le sembra una necessità dell’anima, perfettamente consonante con le inevitabili dissonanze della vita, dovute innanzitutto alla nostra natura umana, e alla nostra arroganza nell’affermare senza mezzi termini l’individualismo con il vivere continuamente, tra sincerità e ipocrisia, realtà e finzione, libertà e catene, di cui spesso non si riesce a fare a meno.

La seconda sezione “Eros, Anteros, Himeros” è meraviglia di occhi innamorati, ritorni concentrici di desideri, accesi spenti ritrovati spenti, nel giardino più o meno segreto, in cui Rossella coltiva rose e cerca di occultare le spine in una danza, che è recupero di amore carnale e divino perché sacro è l’amore in tutte le sue espressioni e manifestazioni. È “traccia chiara/ di una segreta divinità”. E di “innocenza”. Ma continuano anche qui smarrimenti e paure, dubbi e contraddizioni, assenze e vuoti di presenze desiderate: attese, rimpiante. Ma rinasce sempre l’amore in ogni luna attraversata. Ed è pacificazione di cose e di anime, unite per sempre. “Malgrado tutto”.

E le contraddizioni, man mano che sono passati gli anni, sono aumentate, spenti i bollenti spiriti della passione, in un crescendo di perdita di sé e dei sogni. Ora tutto sembra inventato, persino l’amore che pure un tempo era stato vero.

Fugge il tempo, purtroppo, portandosi con sé amori, illusioni, “ardore e tenerezza”. Gli stessi “eterni ritorni” nei “valzer degli addii”.

Rossella conserva, però, nelle sue mani tutte le meraviglie di Alice e testardamente crede nei sogni e nell’amore e a tutto ciò che è stato o non è stato, ma potrebbe ancora essere.

Osa continuamente scendere negli abissi della disperazione e risalire con nuova fioritura di poesie e di preghiere, che fanno bene al cuore esacerbato e stanco, ma sempre pronto a rinascere anche “nel buio di un frammento” per continuare a cantare “all’infinito”. E il poeta è salvo. E con lui anche Rossella perché c’è in lei il respiro della Poesia. Un ritrovarsi sempre e comunque.

Ecco perché la terza sezione tratta di “Ritrovamenti”. E tra questi è sempre il cuore in primo piano. Poi il cielo con il suo azzurro e le sue nuvole, e la carezza forte/dolce delle parole poetiche, che abitano il “Tempio Sacro della Poesia”, mai del tutto perso e in cui è bello e salvifico rifugiarsi. Non importa se, alla fine, rinascere sia un tornare a ridere ancora di un “tutto/ fatto di niente”. E ripercorrere le stagioni: metafora della vita stessa. Sempre ossimorica.

La quarta sezione è fatta di “Notturni” ed è un inno al pensiero femminile che germoglia nella notte perché carica di mistero che solo il buio genera, sa e conosce. Il pensiero maschile, invece, è fatto della chiarezza del giorno, è fatto di cose pratiche e di problemi da risolvere nella comunità di appartenenza, nella società, nel mondo politico. Niente è oscuro, velato, misterioso. Non a caso, Rossella scrive: Epifania del sonno/ è un segreto/ nascosto tra le stelle,/ un rantolo nel buio,/ un’inquietudine lieve/ celata dal lungo frenetico/ frinire del giorno,/ un’apnea sospesa/ nel silenzio nero della notte… (p. 77). Ma anche dalla notte si emerge alle prime luci dell’alba e al bagliore del sole che tutto risana e ci restituisce alla realtà del giorno. E alle sue verità.

La quinta sezione si intitola “Memento mori”, in cui tutto si fa ansia di vivere, sia pure nelle mille contraddizioni che la vita ha insegnato alla poetessa giorno dopo giorno. Disperante è per lei, e probabilmente per tutti, “la vanità”, l’inconsistenza delle cose a cui ci aggrappiamo come incoercibile anelito alla vita. Ma Rossella Piccarreta ha versi d’amore per tutti, segno di grande umiltà e di immensa forza d’animo: per le donne e per ciascuno di noi, facendo appello, con tutte le sue forze, all’ac-cor-darci, cioè a mettere il nostro cuore insieme, per vincere il male che si annida in questo mondo così difficile da vivere ai nostri giorni e sempre, e per fare trionfare il bene e la speranza in un mondo migliore, in una prospettiva salvifica per tutti: siamo fratelli sotto lo stesso cielo che ci vede nascere e morire.

Ho i denti che battono/ e identiche ferite/ e identico sole sul capo./ Riempiamo d’oro le crepe/ facciamo un sogno nuovo./ Restiamo umani.

                                                                   Angela De Leo

lunedì 23 giugno 2025

Lunedì 23 giugno 2025: ANCORA NOI TRA PERCORSI D’ANIMA A FERIRCI A SALVARCI…

 La vittoria delle vittorie

È la perdita di tutto.

Non si possiede in eterno

Ciò che si è perduto?

(Brand di Ibsen)

Non so se stamattina, nei nostri percorsi d’anima, sia più giusto pensare alle perdite o al possedere in eterno ciò che non si è mai perduto, fare silenzio o gridare per il tuo apparente silenzio che conta un anno, mia amatissima sorella. Ma fai un rumore assordante che è impossibile ignorare. C’è una canzone del cantautore Diodato, che sta vincendo in questi ultimi anni parecchi premi importanti, secondo me meritatissimi, “Fai rumore” (ha vinto al Festival di Sanremo 2020), dal cui testo estrapolo qualche verso che mi rimanda immediatamente a te: Che fai rumore qui/ E non so se mi fa bene/ Se il tuo rumore mi conviene/ Ma fai rumore, sì/ Chè non lo posso sopportare/ Questo silenzio innaturale/ Tra me e te… E la tua assenza è presenza più che mai. E tu lo sai. Non da oggi, ma da sempre. Io e te avevamo urgenza di stare insieme per piangere e ridere insieme. È stato così sempre. Da quando nascesti al mondo e al mio amore. E anche stamattina, adesso sei venuta a salutarmi come una credenza popolare vuole: “se viene una farfalla gialla nel giardino è il saluto di una persona cara che non c’è più”. E la farfalla gialla è una presenza costante nel mio giardino, che guardo dalla finestrella della mia camera da letto e guardo dalla finestrella di fronte alla mia scrivania, dove sono seduta in questo momento. Lo so qualcuno/a scettico/a sorriderà a queste mie fanfaluche, ma non importa, l’importante è crederci e il dolore si stempera, si addolcisce. La stessa cosa mi accade di notte, nelle lunghe ore di dormiveglia che ho sempre vissuto e vivo per una atavica insonnia che vinco guardando e parlando con le stelle. Ebbene, ce n’è una che attendo con ansia perché non manca mai di brillare tra le foglie cuoriformi che vibrano nell’aria e crea giochi di luce luminosi che i giapponesi sintetizzano in una parola “komorebi”. Quella luce mi fa compagnia, mi conforta, mi aiuta a sopravvivere alla solitudine notturna. E, cosa più importante, in quella stellina luminosa abbraccio te, Anna Maria mia, e il tuo primo amatissimo compagno di vita per un tempo molto breve, Nicola, e mamma con babbo, e Primo e le mie due suocere con mio suocero, i nostri nonni materni e paterni… Siete tutti insieme a farmi compagnia. Siete il mio “tempio sacro” degli affetti più cari e tenaci che sopravvivono al tempo e allo spazio. Fate parte di me. Vivete con me. In me.

Poi, ecco anche qualche lucciola vagante, solo qualcuna in verità: altra luce a farmi compagnia. Ho bisogno di luce, sempre. E le lucciole mi hanno sempre incantata come se dal cielo piovessero stelle e andassero ad abitare la siepe, illuminandola anche del mio stupore. E anche le lucciole mi riportano a te. Ti ricordi di quando ogni anno andavamo a Chianciano noi sorelle accompagnate da Gianni e lungo il viale che dal nostro albergo ci portava direttamente alla piazza centrale del paese? C’erano tante lucciole nelle siepi che percorrevano con noi il lungo viale, smentendo quanto Pasolini avesse preconizzato nei primi anni Settanta del secolo scorso, dicendo che per l’inquinamento atmosferico le lucciole a breve sarebbero sparite, e invece erano davvero tante e noi ci fermavamo incantate ad osservarle. Io sistematicamente ne ricavavo simboli e segni, che univano la terra al cielo attraverso la luce stellare delle lucciole. La luce che portano sulla coda non gli serve per illuminare la via che hanno davanti a sé, ma per lasciare una scia perché gli altri possano seguirle e scoprire tutte le bellezze delle siepi e dei boschi e dell’intero Creato con il suo incanto, il sogno, l’armonia di tutta la natura. E Gianni spegneva il mio enfatico entusiasmo poetico con la sua razionalità e le sue conoscenze scientifiche: portano la luce sulla coda per favorire l’accoppiamento d’estate che è per oro la stagione degli amori. Va bene, ribadivo io, purché ci sia di mezzo l’amore. E si rideva del mio romanticismo esagerato e, per lui, esasperante. Si rideva. Ma poi cosa ti vado a scoprire nei cassetti della memoria? Una sua poesia intitolata “Il buio della lucciola”. Eccola: Esposte al vento/ petali di astragole fluttuano/ rincorrendosi tra le braccia/ riarse dei mandorli// - qui c’erano fiori - dice il vento spezzando un ramo.// Ma i petali non ascoltano/ affranti contemplano la lucciola morente/ che ieri illuminò la notte/ offrendo la sua luce/ al buio. Bellissimi versi dal sapore amaro, come è nelle corde di Gianni Brattoli, ma con una chiusa generosa che oggi mi fa pensare a te. E, del resto, la memoria è fatta di ricordi. E il ri-cor-do ha al centro il “cor”, cioè il “cuore”, all’inizio il rafforzativo “ri” e alla fine il “do” che io interpreto come “dono”. Dunque, nella poesia di Gianni ciò che ferisce risana. Ed è una speranza, anche se lui non lo confermerà mai. Io e te, invece, sappiamo o vogliamo che sia così. Vogliamo che oggi sia un giorno di ri-cor-do che ci prenderà tutti per mano perché sia cantata non la fine, ma l’inizio, non il buio della notte, ma la carezza del giorno. E carezze d’anima sono le parole che i tuoi nipoti di Roma, che non potranno essere presenti, ti desiderano darti: C’è un silenzio che fa più chiasso di mille parole di mille persone… È il silenzio del tuo “Ombrettina bella!” quando mi sapevi da mamma e venivi a trovarmi con un regalino, una focaccia o semplicemente con il tuo sorriso più bello che per me era il regalo più prezioso! C’è il silenzio dei tuoi teneri e gioiosi commenti sotto i miei racconti che ti facevano tanto ridere… C’è un silenzio, nel cuore e nell’anima, della tua risata che faceva eco alla mia… delle tue espressioni buffe… del tuo modo di raccontare le cose con ilarità anche quelle più tragiche! Ho sempre pensato di aver ereditato da te questa autoironia che ci caratterizza e che condividevamo, nei nostri incontri, a dispetto delle circostanze e dei nostri anni… “Zia, che volevi scrivermi con il tuo Bszzzmm?” e giù a ridere… “Zia, ma da dove le ricicci tutte le foto dei periodi dove sono più brutta che mai?”… e il tuo “Sei sempre stata bellissima!”… E tu, zia, sei stata e sarai sempre bellissima nella voce di chitarra che tanto amavo… bellissima nelle tue esplosioni di risata… bellissima nei racconti… nelle tue torte dei compleanni… nella tua pazzesca creatività che ti rendeva unica ai miei occhi. Mi manchi… ma sono certa che le nuvole e il tramonto e l’alba la luna la pioggia e l’azzurro del cielo ridono e cantano con te… e questo mi rende felice. (Ombretta).

È già passato un anno da quando ci ha lasciati, eppure il suo sorriso continua a vivere nei nostri cuori come se fosse ieri. Zia Anna Maria, presenza dolce e luminosa, capace di portare serenità anche nei momenti più difficili. La vita non le ha risparmiato il dolore, ma non ha mai smesso di sorridere, di ridere, di incitare a farlo in una esplosione di canto e di allegria. La seconda mamma di tutti noi, i suoi nipoti che trovavamo sempre rifugio sicuro a casa sua… Zia Anna Maria ci ha insegnato che la forza non si misura con il rumore, ma con la capacità di affrontare la sofferenza con grazia e amore. Gentilezza autentica, la sua presenza un dono. Continueremo a portarti con noi, zia cara, in ogni gesto buono, in ogni sorriso donato, proprio come facevi tu. Tuo nipote Giuliano.

Orme d’infanzia mi attraversano il cuore. La tua casa era il nostro rifugio sicuro, tempio di risate a crepapelle, di giochi inventati e profumo di pandispagna sempre ‘appena sfornato’. Conoscevo a memoria tutte le tue canzoni, adoravo il tuo modo raggiante e ruggente di afferrare la chitarra e la vita. La tua la più bella risata mai conosciuta, a contrastare la malinconia e la durezza, a volte spietata, della vita. Grazie per il tuo coraggio, che volava come piuma nonostante fosse armatura. Grazie per essere stata sempre presente nonostante le distanze di tempi e di spazi. Grazie per i tuoi racconti interrotti e risolti in risata dirompente e fragorosamente coinvolgente. Grazie per tutta la leggerezza e la forza e la passione con le quali riempivi le nostre vite. Grazie per essere stata la sorella speciale di mamma, grazie per la vostra meravigliosa complicità. E grazie per aver portato zio Gianni anche nella mia vita, per me un ‘nuovo’ papà. Sei scolpita nel cuore, zia Anna Maria. (manchi tanto, ma questo lo sai già…). Daniela

Piango. Non sono forte come te. Tu mia roccia, mio sostegno, mio faro luminoso in mezzo a flutti e marosi, con la tua generosità con la tua forza e la tua allegria, mi vieni incontro sempre e mi salvi…

E, se stasera, non avete impegni, e volete ricordare con noi Anna Maria a Bitonto nel cortile dei gelsi e delle rose, in via Generale Montemar 25, siete i benvenuti. Sarà una festa più che una commemorazione, e lei sarà felicissima con tutti noi… vi aspetto in tanti. Angela/lina

domenica 22 giugno 2025

Domenica 22 giugno 2025: ACQUERELLI - Racconti per Immagini di FRANCESCO SCOTTO...

E, come promesso, veniamo alla serata di due giorni fa. Parlare di serata magica non rende l’idea. Peccato che non ci sia stata la possibilità di riprendere la Presentazione del Libro per via di un Peppino Piacente, Editore della SECOP, continuamente chiamato di qua e di là da altri nostri Autori venuti a dare un saluto, una rapida occhiata a causa di altri impegni, e così via. Menomale che è riuscito a immortalare l’evento con un paio di fotografie a testimoniare l’avvenuta presentazione. Ma le foto non offrono purtroppo la possibilità di ascoltare la superba introduzione alla serata di Raffaella Leone (in veste di PR. della SECOP), che è partita con la lettura del meraviglioso racconto “Il sogno di Vincent” con chiaro e suggestivo riferimento a Van Gogh. E subito dopo ha illustrato tutta l’opera del nostro grande Francesco Scotto con particolari degni della sua notevole capacità affabulatoria, interrotta di tanto in tanto da mie scherzose incursioni per arginare il fiume in piena delle sue parole. Poi, la prima domanda a me, una domanda da me ignorata perché avevo urgenza di fare una distinzione tra “narrare” e “raccontare”, due verbi che sono apparentemente dei sinonimi, ma che hanno significati diversi in quanto il racconto quasi inevitabilmente contiene un messaggio “informativo”, che dà perlopiù delle notizie, quasi una cronaca, tra ciò che è accaduto, accade o presumibilmente accadrà. Crea, perciò, una sorta di distacco tra autore e lettore. La narrazione, invece, è “emotiva” ha una voce che vibra e fa vibrare di emozioni creando una “tensione” empatica a volerne sapere di più nell’ascoltatore, ma anche nel lettore. I tedeschi usano la parola “spannung” che significa appunto “acme”, punto più alto della narrazione in cui l’azione culmina nella esaltazione o precipita… In pratica prelude ad un “colpo di scena risolutivo”, come accade in tutti i racconti di Francesco e come è accaduto nella narrazione di Raffaella. Di qui già la prima magia della serata di ieri.

La narrazione, tra l’altro, ci riallaccia alla tradizione orale e, quindi, spesso ci riporta indietro nel tempo, quando era quest’ultima a tramandare il pensiero, gli usi e i costumi dei nostri antenati, con una sorta di resistenza al cambiamento che, inevitabilmente, le nuove generazioni richiedevano a viva voce, con le ribellioni e le rivoluzioni che ben sappiamo. Ma io amo la narrazione anche perché è essa stessa “voce, suono, respiro, tono”, come scrive Fabio Genovesi in <La Lettura>, “ed è un suono da dare agli altri…”. Certo, avviene proprio questo quando si narra qualcosa. I 50 racconti di Francesco Scotto, infatti, mirano a coinvolgere gli altri col suono, che palpita in ogni parola che è quella e non può essere che quella, perché è quel suono che risuona nell’anima dello scrittore; col disegno, che evoca, racconta, ironizza, inventa, inverte, contraddice, mistifica, riscopre una realtà che non è mai uguale a sé stessa; con la scrittura, che incanta con la sua eleganza stilistica e che cattura, richiama e sorride con complicità al lettore; con vari tipi di rammemoramento che, spesso onirici e visionari, riaccendono il passato per fare luce sul presente e si affacciano al futuro in una realtà che c’è e non c’è… (seconda magia)

L’emozione ci prende, ci coinvolge, ci sconvolge nella ricerca della Bellezza in ogni particolare delle storie narrate, in ogni battuta fulminea, sorprendente, mai prevista, ma trattata e vissuta dall’Autore con grande amorevolezza con gli altri e per gli altri. (terza magia)

Mariapia Galluppi, molto opportunamente, in una sua profonda, attenta, analitica, dettagliata, minuziosa lettura, che è una vera e propria Recensione dei 50 racconti, scrive: Sono spesso anime deluse quelle disegnate, solitudini fragili che cercano altrove sussulti emotivi, attimi di tregua (con pericolose e spesso anche dannose conseguenze, aggiungo io), come accade ai protagonisti di “Amori misteriosi” (p. 7) o come, nel racconto “Ex voto” (p. 27), in cui Amanda, con un cuore ‘staterello pulsante’, vede risarcita una vita segnata da delusioni e frustrazioni con una serie di cuori d’argento, inviatale da sconosciuti ammiratori”. E sempre la Galluppi continua: “Storie tenere, delicate e malinconiche, animate da una grazia gentile e da significati mai banali come l’incontro tra una principessa affamata d’amore e i colori di lui, un giovanr writer, una favola triste che si stempera in un finale dolce e promettente (“Favola notturna”, p. 29). O come in “Le venature d’amore”, l’arcobaleno a fare da cornice ad un racconto tra il malinconico e rassegnato che sfuma nella soave tenerezza di due manichini di legno tarlato che si concedono una notte di passione a dispetto del tempo che li priverà di una gamba (lui) e delle braccia (lei).

E, allora, pensando a questi misteriosi e favolosi racconti di Francesco scotto, rivisitati anche attraverso le annotazioni di Mariapia Galluppi, credo di poter dire, con Mauriche Blanchot, “scrivere vuol dire farsi eco di ciò che non può cessare di parlare”. Nel nostro caso, ci sono le parole a ricordarcelo; le immagini, che nascono dalla fertile immaginazione dell’Autore; le situazioni oniriche e visionarie che prendono corpo da una fantasia senza limiti; le costruzioni di personaggi, situazioni, condizioni, pensieri, problemi, soluzioni che solo la creatività può assicurare a chi insegue la Bellezza, la Consonanza, l’Armonia in tutto quello che scrive e che realizza con la mente, col cuore, con l’anima.

Occorre una “mente intelligente”, che parta dalla testa per illuminare il cuore. È quanto accade leggendo questi racconti, che non si fermano alla scrittura e ai disegni acquerellati, ma spaziano dappertutto fino ad abbracciare il Teatro, la drammaturgia, che gli ha offerto grandi possibilità e affermazioni, non ultimo il meritatissimo PremioGIUSEPPE BEPO MAFFIOLI Edizione 2025, MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA POPOLARE a “IL SOFFIO DEL SUGGERITORE” di Francesco Scotto appunto. E riporto testualmente: Il Premio Giuseppe Bepo Maffioli celebra la drammaturgia contemporanea italiana, omaggiando la figura poliedrica di Giuseppe Maffioli, protagonista della cultura teatrale, cinematografica ed enogastronomica veneta (…). La competizione, unica nel suo genere, coinvolge una giuria tecnica di esperti e una giuria popolare, offrendo un dialogo vivo tra   autori, pubblico e operatori culturali”. (quarta magia).  

Queste notizie sono state date ieri sera quasi in un sussurro, all’interno delle risposte che Francesco ha dato brillantemente alle domande incalzanti e intelligenti di Raffaella. La splendida serata volge al termine. Staremmo ancora per ore ad ascoltarlo estasiati, ma il tempo tiranno non ce lo permette. Raffaella conclude come ha cominciato, con un’altra lettura, non importa più quale, perché si tratta di un altro racconto emblematico e simbolico, letto a metà per lasciare ancora un po’ di spazio all’emozione e di tempo per la riflessione. Ne approfitto per sottolineare una caratteristica della personalità di Francesco: la dedica in una delle primissime pagine non ancora numerate in un angolino in basso a destra “a Carla”, una dedica che nessuno potrebbe notare, ma… ecco espandersi piano piano, poi sempre più veloce dalla periferia al centro e, in breve, occupare tutto il foglio fino a smarginare, andare oltre. Oltre il tempo e lo spazio. Oltre. In una sorta di umiltà e orgoglio, di unità e molteplicità, di alterigia distaccata e snob e di semplicità voluta per evitare il vuoto che potrebbe derivarne se cercasse l’ombra amando la luce. Si solleva un venticello leggero ma infreddolito e impaziente. Occorre andare verso il solstizio per bloccare il sole, per convincerlo a non declinare impercettibilmente verso il primo giorno più breve. Ci salutiamo per ritrovarci tra breve a riparlarci tra di noi. Con un colpo di coda geniale da cavaliere d’altri tempi ci offre un dono appena accennato prima e perciò quasi inaspettato. Ci regala, a me e Raffaella due splendidi ventagli acquerellati delicatamente dalla sua mano e firmati tra i mille colori sull’arancio ramato il primo (che va a Raffaella) e gli acquerelli che si inazzurrano cielo-mare con riverberi di violetto e turchese che tocca a me che faccio dentro salti di gioia. Ci rende felici e felici lo ringraziamo. (quinta magia).

Un ultimo accenno alla bellezza del suo libro e del disegno di copertina rielaborato con sapienti soluzioni dal nostro Graphic designer Nicola Piacente. (sesta magia).

Poi probabilmente la stanchezza lo vince o altri pensieri periferici che abbracciano i suoi cari, ed ecco che con raffinata eleganza si defila. Nell’aria rimangono a fluttuare le sue parole preziose, come il pulviscolo che tanto sempre mi sorprende e mi stupisce perché invisibile al buio diventa danza di corpuscoli nell’aria di una intera stanza se per caso un fascio di luce illumina quel buio. Ecco. Le parole di Francesco Scotto rimangono sospese nell’aria in quel fascio di luce che deriva da ogni sua parola… (ultima magia? Tutti speriamo di no!)  

 E io concludo qui con il mio solito abbraccio di cuore e anima a tutti noi. Angela/lina

 

venerdì 20 giugno 2025

Venerdì 20 giugno 2025: ACQUERELLI-Racconti per Immagini di FRANCESCO SCOTTO... (prima parte)

Mi sembra opportuno oggi farvi conoscere, se già non lo conoscete, un medico, mago non solo nel campo scientifico ma anche nella scrittura, nella pittura e nei sogni che il Teatro regala, FRANCESCO SCOTTO, un genio che fa del colore una poesia e della poesia un arcobaleno di colori.

Egli stesso scrive in quarta di copertina: Come in un gioco di specchi, gli acquerelli si riflettono nei racconti, amplificando le suggestioni che entrambi evocano. La narrazione, infatti, al pari dei sentimenti che li racchiude, è sempre intrisa di colori, a cui la leggerezza e la trasparenza degli acquerelli fa assumere il carattere di una realtà possibile, auspicata o forse solo sognata. Ma a pagina 5 c’è una nota introduttiva dello stesso Autore che ci offre l’antefatto che ha motivato quanto da lui affermato sul retro-copertina: quant’è bello ‘o culore d’ ‘e pparole/ e che festa addiventa nu  foglietto,/ nu piezzo ‘e carta…

Le parole di una celebre poesia di Eduardo De Filippo -  ‘O culore d’ ‘e pparole - costituiscono il recondito significato di questi racconti. Perché le parole sono intrise di colori: quelli dei sentimenti e dei risentimenti. Se poi il colore ha la luminosità, l’immaterialità e la trasparenza degli acquerelli, ecco che le parole volano leggere, da una pennellata di poche righe a un disegno più articolato di alcune pagine. E, come in un gioco di specchi, le immagini si riflettono nello scritto e viceversa.

E qui si potrebbe fare riferimento alla Teoria degli specchi del grandissimo Jorge Luis Borges, in seguito tramutata in Teoria del Prisma, le cui sfaccettature offrono una molteplicità infinita di immagini che rendono molto più vera, anche se più complessa e visionaria, la realtà. Nella Teoria degli specchi, invece, il risultato è duplice, ma anche imprendibile perché lo specchio offre una immagine ribaltata della realtà, dunque mai vera mai falsa. Sono teorie affascinanti su cui si potrebbe scrivere un trattato anche sulla contraddizione che è sempre presente nella natura umana e di cui Simone Weil ha elaborato la necessità di confrontarsi continuamente con le contraddizioni e i contrasti per comprendere la natura umana, la realtà e la stessa vita.

Ma io forse partirò da qualcosa che riguarda la “narrazione”, prendendo spunto dal termine “narrazione”, usato non a caso dallo stesso Francesco Scotto. Stasera dipenderà anche dalla introduzione e coordinazione di Raffaella che, pur essendo mia figlia e abitando nella stessa casa, si rifiuta categoricamente di fare anticipazioni. Non aggiungo parole. Ma qualche parola voglio ancora scriverla e riguarda Francesco Scotto che oso paragonare al grande Emilio Tadini, pittore, scrittore, giornalista e traduttore, che ha riempito di sé e della sua Arte tutto il Ventesimo secolo, essendo stato, tra l’altro, presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera dal 1997 al 2000 con dei favolosi quadri di “ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA”, come Google mi informa. Francesco è, a mio parere, il suo degno discepolo del XXI secolo, o del nuovo Millennio che dir si voglia.

Questa sera, pertanto, per chi vive a Bitonto (Bari) e dintorni, e non ha altri impegni o problemi di altra natura, il libro magico di Francesco Scotti sarà da me presentato presso la Libreria del Teatro di Gianluca Rossiello (nello spazio antistante al Teatro stesso). La serata, ribadisco, sarà coordinata da Raffaella Leone PR della Casa editrice SECOP edizioni di Corato-Bari di Peppino Piacente, come molti di voi già sanno.

Mi piacerebbe anticipare qualcosa, come ho già fatto abbondantemente, ma non sarebbe corretto nei riguardi del nostro Autore. Magari il resoconto lo faremo domani, dopo la serata…Vi saluto, allora, con tutto il mio affetto come sempre, in attesa di un vero abbraccio stasera alle ore 19. Grazie e a stasera. Angela/lina

 

domenica 15 giugno 2025

Domenica 15 giugno 2025: ANCORA NOI TRA PERCORSI D'ANIMA A FERIRCI A SALVARCI... (seconda parte)

E siamo giunti a metà giugno in un percorso velocissimo che tiene costantemente conto di quelli che abbiamo visto andare via senza possibilità di ritorno e di quelli che si sono affacciati alla vita, come mia figlia Ombretta. Ma so, per esempio, che nei giorni scorsi di alcuni anni fa è nata una bimba, oggi ragazzina, Nicole, che porta il nome del nonno Nicola, primo amatissimo marito di mia sorella Anna Maria. Una bimba da me subito amata perché ci scambiavamo baci da lontano appena fu in grado di capire questo nostro primo gioco d’amore. Poi, via via che è cresciuta, l’ho sentita sempre più fragile e forte, sensibilissima e desiderosa di piccole confidenze, forse anche di rassicurazioni. Per lei, nata di giugno, ho scritto “In presa diretta col cuore”: Tu che mi vieni incontro/ con i tuoi occhi di luna/ raccogli ad una ad una/ fresie e giunchiglie/ che profumano i nostri giorni/ d’intese/ sempre attese/ sempre vive anche a distanza./ Non ne possiamo fare senza./ Siamo ogni giorno/ in presa diretta con il cuore/ dove sono sigillati baci di ciliegie/ e sorrisi di papaveri in festa/ per il sogno che non muore/ per l’amore che resta/oltre gli anni, il tempo, la cesta di ogni sorpresa/ mai vuota e sempre di meraviglie accesa./ (ci attendono ancora/ nuovi giorni insieme/ per non dimenticare/ quanto sia bello amare)

E ancora una culla in questo giugno che si spegne e rinasce. Si tratta di un cugino che vive nel paese dei miei suoceri nel Salento, Surbo (Lecce): Aureliano, il figlio più giovane di zia Margherita (per tutti Tita), sorella minore di nonna Uccia, e zio Armando. Gli altri due figli: Claudio (il maggiore, che purtroppo non c’è più) e Ada, bravissima scultrice, artista dalle mani d’oro. Aureliano ha compiuto gli anni ieri e non ci incontriamo da anni, ma siamo sempre in contatto e intenzionati a ritrovarci in un abbraccio. Per lui ho scritto pochi ma sentiti versi per l’affetto che mi lega da anni a tutta la famiglia. “La nostra giovane gioia”: Ci inseguiva la nostra gioia giovane/ nel nostro incontrarci d’estate/ tra case che in una stessa strada/ si abbracciavano/ bastava farsi ciao con un saluto condiviso/ e un sorriso di benvenuto in tutte le case/ di famiglia, in quella Via Manzoni/ di tanti anni fa./ Oggi ogni cosa il silenzio avvolge/ e accesi ricordi e nostalgie sconvolge/ (come organo di chiesa vibra il nostro cuore/ in ogni fibra che si fa anima/ e ci unisce ancora come allora)

E urna e culla ho incontrato nel giorno che non avrei mai voluto salutare, il 23 giugno di un anno fa. Anno e giorno che non riesco a perdonare perché mi ha rapinato della sorella tanto amata. Peccato per il compleanno di Michele, il marito di Isabella, figlia di Anna Maria e papà adorato di Nicole e Francesco. A lui andrà il mio pensiero il giorno 23, ma sarà purtroppo abbinato a un dolore che non ha fine. A lui voglio dedicare alcuni versi come risarcimento e con tanto affetto. “Di te non so”: Non so di te pensieri e sogni/ cuore pulsante in equilibrio/ testimonianza silenziosa della geometria   dell’esistenza./ Di te non so/ l’architettura dei giorni passati/ e dei mondi attraversati/ prima dell’incontro con una donna/ provata dal dolore da bambina/ e segnata nell’anima più d’ogni altro segno./ Non so di te/ quello che hai provato/ ad accoglierla tra le tue braccia/ per asciugarle lacrime e ridarle un sorriso/ di figlia, di madre, di compagna di vita./ Eppure so dei tuoi silenzi/ che mi raccontano storie del passato/ oggi nei tuoi occhi ritrovato…  

Del dolore che non passa non riesco ora a parlare. C’è e rimarrà. Ma tra i fogli ritrovati qualche giorno fa c’è un’accorata lettera che l’anno scorso mia figlia Raffaella dedicò a sua zia. A sua insaputa, la voglio trascrivere perché è una lettera d’amore che descrive ancora di più e ancora meglio cosa sia stata e chi per tutti noi Anna Maria: Ho conosciuto la prima volta il dolore a sei anni. Eravamo andati a comprare i grembiulini per l’imminente inizio della mia prima elementare, e, rientrando a Bitonto, allora non c’erano nemmeno i telefonini, scoprimmo la tragedia che aveva colpito la nostra famiglia e vidi piangere mio padre per la prima volta: zio Nicola non c’era più e tu, mia splendida zia di soli 28 anni, eri diventata di colpo vecchia. Avevi Nicoletta in pancia e Isa in braccio, poi un mare di gente che piangeva ad ogni angolo di casa. Venni ad accovacciarmi ai tuoi piedi e ti dissi che non ti avrei mai lasciato, mai. Sei stata la mia mamma in seconda e a volte in prima, quando venivo a rifugiarmi su da te nei momenti dei tormenti adolescenziali che intuivi, capivi, lenivi in perfetta corrispondenza d’amore. La tua casa sempre aperta ai momenti di vita, da quando riuscisti a risalire, con la forza di una leonessa indomita, dal buco nero in cui l’indicibile dolore ti aveva scaraventata. Eri tornata di nuovo a quella vita vitale attiva dinamica che ti eri ripresa e che ti aveva portata a ricostruire tutto da capo con una forza sovrumana. Casa come cuore aperto a noi di casa e di cuore, ma anche a chi finiva per diventare di casa e di cuore. Tu eri tornata alla vita e alle feste alle canzoni all’allegria al chiasso alle risate, tante. Sei stata sempre un punto di riferimento, il volo di una canzone con la tua voce unica ineguagliabile. Fino a quando sono cambiati gli anni e le nostre età e inevitabilmente i nostri ruoli e io per fortuna c’ero per te con piccole cose che tu sapevi trasformare in dono di straordinario valore: come il set di trucchi che ti regalai ad un compleanno e tu ogni mattina ti facevi bella e mi ringraziavi come se ti avessi preso a palloncino la Luna. Dalle torte alle tovaglie, dai libri ai giochi, mi hai insegnato una infinità di cose. Sei stata la maestra che poi ho imparato ad essere e nel libro che avrei dovuto presentare domani te lo avevo scritto: eri il mio faro speciale che mi aveva spiegato che giocare era per i bambini fondamentale, l’esperienza per eccellenza, la cosa più seria del mondo. E tanto è stato perché avevi alunni felici che ti amavano. Avrei dovuto portarti il libro, ma ero convinta che anche questa volta, dopo le innumerevoli volte che la vita ti aveva strattonata in malo modo, ce l’avresti fatta ancora e avrei potuto dedicarti il libro a casa tua, magari sotto il pergolato. L’amore è folle e cancella l’evidenza dei fatti. Io non speravo, ero certa e tu dopo aver letto la dedica mi avresti detto ancora una volta: “Grazie, amore mio”.

Ma tra i fogli venuti fuori all’improvviso sono emerse dal passato alcune poesie, che Anna Maria scrisse parecchi anni dopo la perdita del suo amatissimo Nicola. Sono le prime poesie di una rinascita da lei voluta a denti stretti per amore delle sue figlie, Isabella e Nicoletta. Più tardi ebbe la forza di trasformarle in canzoni. Eccole. “Svegliarsi al mattino”: Svegliarsi al mattino/ i sogni sul cuscino/ intorno una tristezza/ nessuna tenerezza./ In un letto troppo grande/ rotolare coi pensieri/ che non ti sembrano veri/ le ferite sono tante.// E sai/ che non si può fermare il mondo/ sul tuo uomo senza domani./ E puoi pure contare i giorni/ tanto lui non tornerà/ tanto lui non tornerà.// Svegliarsi e capire/ non sai più soffrire/ e ti arrendi alla realtà/ tanto niente cambierà./ In una sorta di emozione/ sai trovare la maniera/ aspettare che si faccia sera/ di regalarti una canzone.// La  la  la  la…// Svegliarsi ogni giorno/ e inventare un nuovo sogno/ e la vita passa via/ e con lei la tua poesia/ e con lei la tua poesia!!!

E, ancora, per la Giornata della Donna. “DONNA”: Donna,/ non hai più/ quel vestito che sa/ di schiavitù.// Ma, donna,/ resta per te/ la sofferenza che fa/ decidere.// Ma tu volevi/ un mondo che/ non condannasse/ a scegliere/ un ruolo che/ non fa per te/ nella tua vita/ di donna.// Donna,/ chi mai saprà/ quanto sa d’amaro/ la tua libertà.//  Ma donna,/ io credo in te/ nella tua idea più bella/ ESISTERE.

E, infine, ecco un inno salvifico. “TU PUOI RICOMINCIARE”: E ti aspetterà il silenzio nella tua casa/ e ti accorgerai che c’è la neve in ogni cosa/ e ti ritroverai indifferente e senza fiori!// E brillano le stelle/ nascono i bambini/ ogni sorriso è un segno…/ puoi dire basta al tuo dolore!// E ti guarderai in ogni piega del tuo cuore/ e ti accorgerai che hai mani grandi per l’amore/ e ti ritroverai a volere un’altra storia!// E s’accende il fuoco/ rinascono speranze/ e col nuovo giorno/ tu puoi,/ tu puoi RICOMINCIARE!

(Anna Maria De Leo è nata a Bitonto-Bari, dove vive e insegna nella Scuola Elementare. Ha composto e musicato numerose canzoni. Ha anche musicato testi poetici di autori italiani e iugoslavi).

E, per oggi, mi fermo qui. Non posso continuare. Piango di commozione. Alla prossima con tutto il mio amore. Angela/lina

lunedì 9 giugno 2025

Lunedì 9 giugno 2025: ANCORA NOI TRA PERCORSI D'ANIMA A FERIRCI A SALVARCI...

Oggi è San Primo e sono 17 anni che non lo festeggiamo più. Un tempo festeggiavamo l’onomastico del capofamiglia nel favoloso villaggio di Alimini 1 nel Salento (vicino Otranto), dove avevamo una multiproprietà, costituita da un appartamento su due piani con solarium per sei persone per un periodo di un mese e mezzo. Luogo bellissimo con vacanze bellissime. Rimpianto e nostalgia. Ma questa mattina, magicamente, nello scartabellare antichi fogli di poesie perdute nel tempo, ecco piovermi tra le mani e gli occhi alcune nostre poesie fortemente rammemoranti. Emozione e commozione. E urgenza di trascriverle qui per condividerle tra di noi, per rendere omaggio a lui, mio marito, ma anche a tutte le voci mai perdute perché radicate nell’anima. In giugno, del resto, ho perso lui, Primo, e mia sorella Anna Maria, così vicina al mio cuore, ma è nata Ombretta (18 giugno) e abbiamo sempre festeggiato, in quel magico villaggio, onomastici e compleanni.

Oggi, è per me un riandare indietro nel tempo per riannodare ricordi…

Ma comincio da una poesia scritta all’alba di questa mattina e intitolata non a caso “9 giugno: San Primo”: Urne e culle e santi ha il cielo di giugno,/ nei nostri cieli che un cinguettio/ di rondini rende vicini e inazzurra,/ oltre le ombre di nuvole e ali/ nel cortile dell’antica casa che aspetta/ e saetta di gelsi e di rose la memoria./ E vive di misteri, di magie e di dolore/ che non muore e di canto alla vita./Infinita dietro le porte della stagione/ d’estate, il suo solstizio a fermare sole/ e rimpianti, ad accendere canti perduti/ nei nostri lunghi viaggi con noi/ senza noi e in cerca di noi./ E di impotenza il senso delle parole/ rimane, e delle spine a bruciare mani/ e sorrisi sempre più lontani nel tempo/ (ma forse faremo in tempo/   ad abbracciarci ancora nella dolcezza/ di una carezza che può bastare/   a salvarci il cuore)  

E di Primo ecco “TRASPARENTI APPARENZE”: Come aria improvvisa che muove teneri rami trasparenti di cielo…/ e di orizzonti d’erba…/ queste situazioni di attesa sospese tra fughe e ritorni hanno apparenze inespresse…/ quasi gesti involontari tracciati su polvere di luna/ Trasparenti segnali di poesie della memoria/ di poesie della non memoria/ da scrivere da cancellare con pensieri indecenti trasparenti e presenti Apparizioni apparenti… disegnano parole ferite… colpite a morte/ Dalla convenienza inespressa/ per rinascere trasparenti immagini/ Di un sogno in bianco e nero…/ e lo schermo è sempre la stessa strada…/ lo stesso treno che insegue sé stesso…/ Trasparenti apparenze di noi proiettati nel fascio di luce delle illusioni…/ volute di fumo non volute…/ nella trasparenza del buio…/ Rifugiarsi in fondo alla memoria è una strategia che non risolve… il frastuono del silenzio è il nemico da abbattere… Fragile come una eclissi…

E ancora “LUNA DI TUTTE LE MEMORIE”: Le strade della memoria/ Non sono autostrade/ Veloci… affollate… illuminate…/ Sono impervie… tortuose…/ Con segnali nascosti/ Antiche e bianche di luna/ - luna di tutte le memorie - / quelle ormai sepolte/ e quelle dei sogni che verranno…/ Sono strade mai stanche di luna/ Mai stanche di ricordi/ A volte brevi… appena accennate… scavate a viva forza… quasi a scolpire notturni chiarori… oppure senza fine… a perdersi nella notte di tempi ormai finiti. Sono le strade di una luna che ci appartiene come la nostra pelle… come un insopportabile peso nel mezzo di un cuore che ci conta i respiri e ci distrugge i sogni…

La mia poesia di oggi, dunque, è quasi un risarcimento di tutti i nostri sogni infranti con il passare degli anni e delle stagioni, come accade nella vita, tra esaltazioni e delusioni, tra voli e abissi, tra ferite e rinascite. Quest’ultima insolita e originalissima poesia di Primo è, tra l’altro, il preludio a una silloge che stava scrivendo “Le strade della luna che dorme” e che, purtroppo, non ha più avuto il tempo di pubblicare. Quasi sicuramente, se ne avrò io il tempo (e purtroppo è una lotta impari contro il tempo che velocemente scivola tra le mani), potrei provare a pubblicarla. Mi piacerebbe.

Ed ora ecco le poesie mie, perdute allora e ritrovate in questi giorni. Forse vale la pena trascriverle. 

I. “TORNERANNO LE PIOGGE”: Torneranno le piogge improvvise/ nel vialetto del tuo mesto sorriso/ ma non ci saranno i tuoi baci/ farfalle morenti sul finire del giorno./ Rimarrà insaziato dolore/ sul quadrante di ogni stagione/ /e sarà mio e degli altri tuoi nati)/ Vuoto il giorno dell’ora negata/ la carezza sul tuo volto lunare/ è impossibile ritorno a ieri/ quando contavi le lancette del tempo/ tra richiamo d’altri pensieri/ e nostalgia di passi perduti./ Ti stremava un affanno senza tregua/ un intervallo di parole prive d’incontro/ cui opponevi la forza silenziosa del distacco/ imbavagliata difesa da un respiro/   che fa male   / Era questa la distanza che ponevi/ tra te e il mondo ovattato di pianto/  questo l’enigma della tua partenza/ oltre i confini del tuo corpo disabitato/ Nella stanza spenta di te/ una geometria di silenzio raccolto/ ignora preghiere e le invoca/ oltre il “muro d’ombra”/ che tutto respinge e incontra/ accoglie.

II. “UN VUOTO DI COSE”: Senza di te un vuoto di cose/ che il silenzio non può riempire/ (vuoto di parole significati/ vuoto che tace nega cancella)/ vuoto che devasta e distrugge/ Rimanda alla notte/ al tuo respiro che si è fatto anima/ al nostro andare ormai soli/ (senza più noi stessi)/ lungo strade che non sapranno/ più riconoscerci/ perché non ci sarai tu/ a chiamarci per nome/ (la nostra identità nel tuo amore)

III. “PURE”: hai lasciato orme di stelle/    nel tuo andare/ perché il buio non vinca mai/ sulle nostre ferite. (voglio ricordare che i fogli ritrovati portano la data di settembre 2001, e avevamo perso alla vista nostra madre il 1° aprile dello stesso anno).

Invece, è solo di qualche ora fa quello che ho scritto per Ombretta che fra nove giorni dovrà fare i conti con un nuovo anno di vita e con altri sogni e progetti, così come all’alba di questa mattina ho sognato. I versi hanno come titolo “e poi sei arrivata tu”: dal mare e con la fretta di raggiungermi/ sei arrivata della prima alba lambendo la riva/ con la spuma che in rose si trasformava,/ quasi  tuo omaggio al mio amore/ allo scadere di mezzogiorno/ ti sei presentata carica di fiori./ Di mangiare tutti avevano tanta fretta/ quasi quanto la tua di salutarmi/ nel silenzio-frastuono/ e nel vuoto-pieno delle nostre braccia/ a difenderci dal mondo/ noi due tutto il mondo/ fino ai confini dell’Universo/ che non abbiamo mai perso./ Dimentiche di torti e di ragioni/ della casa e dei suoi tanti frastuoni/ insieme io e te con i tuoi buffi capelli/ che sembravano ali di gabbianella/ e neppure bella./ Ma eri mia, mia soltanto in quel vuoto-pieno di silenzio/ che subito ci appartenne, solo per poco/ poi fosti gioco e parole sbagliate/ e tante risate e occhi d’incanto./ I miei, incatenati ai tuoi lunghi capelli/ e ai nostri sogni più belli/ sognati in due/ e tante fiabe inventate, le mie le tue.// Musa incontrastata dei pennelli/ e dei versi di tuo padre in ogni dove/ in ogni sempre./ (ma noi due siamo nel “per sempre”/    che fa di due cuori un cuore solo/ noi due che anche da lontano/   siamo lo stesso volo).  

Ma giugno non è ancora finito e bisogna percorrerlo fino in fondo perché incalzano altre voci e sussurri d’anima a ferirci, a salvarci… grazie. Angela/lina