sabato 24 maggio 2025

Sabato 24 maggio 2025: NICHI VENDOLA e il SACRO QUEER

E oggi penso che sia giusto parlare dell’ultima silloge poetica di Nichi Vendola. Non sono in grado di parlarvi del suo lungo e articolato percorso politico, non sono una politologa ma una poetologa e amo la sua poesia ed è su questa che voglio posare lo sguardo per comprenderla meglio e farla comprendere, possibilmente, a tutti noi che su queste pagine del nostro blog ci incontriamo.

E mi piace partire da “Il genocidio delle parole”, che Nichi suddivide in sei parti, dove è presente, in forme e connotazioni diverse il suo grido di poeta, uomo politico di sinistra, giornalista impegnato sul fronte della giustizia, della libertà di giudizio, della diversità come valore e non come pregiudizio e condanna. Egli comincia, con una sorta di accorato rimpianto: Dove sono finite le parole che sanno accogliere, ascoltare, abbracciare e comprendere il mondo? le parole forti e pulite dell’ansia della verità, quelle gentili e sagge dell’inclusione e della reciprocità, quelle che non esorcizzano la complessità e la diversità: in quale discarica sono state abbandonate, in quale tempio profano sono state maledette, in quale lager sono state affidate alle premure di una dissoluzione finale? Non c’è crimine che non cominci così: iniettando il veleno nelle vene delle parole, ubriacandole di superstizioni e fanatismo, abusandole come fossero destinate alla macelleria universale. La storia sta girando all’indietro e il regresso comincia dal genocidio programmato delle parole che covano umanità. E non c’è salvezza che non sia innanzitutto una parola di salvezza.

E così, via via, ecco le parole che si perdono per strada nel pettegolezzo, o nella solitudine dell’odio e della prevaricazione. Fuggono spaventate e si rifugiano nel sacro tempio della poesia per scoprire “il senso delle cose”, l’emozione “che ci rende umani”, mentre navigano le parole in contesti deliranti di un “evo senza memoria e senza vergogna”… “La catastrofe delle parole è in corso e non si può più tacere”. Perché oggi la poesia “interroga l’umano e la sua responsabilità”. A Nichi oggi interessa scoprire la fraternità tra gli uomini e la solidarietà di cui dobbiamo farci “custodi” se vogliamo salvare questo nostro pianeta “atomo opaco del male” (Pascoli). Di qui la bellezza della parola “queer”, che sottintende tanta forza e tanto dolore; che vince l’“uniforme e l’uniformità” perché i queer sono “angeli in transizione verso l’ignoto e l’inaudito, nella carezza del multiverso”, “spezzando catene e superstizioni e costruendo poderose ali per volare più in alto per raggiungere quel Dio che danza la vita”. I sei punti si chiudono con un invito a riscoprire il Sud, dove ci sono le nostre radici e dove abbiamo piantato bandiere laddove il Nord ci dava per sconfitti.

È di questi giorni la pubblicazione, con la nostra Casa Editrice SECOP di Corato (Bari) dell’Editore Peppino Piacente, del Libro IL SUD HA VINTO del famoso giornalista de <La Gazzetta del Mezzogiorno>, scrittore, saggista (e tanto altro ancora) Lino Patruno, il quale con il suo stile inconfondibile, giornalistico e poetico insieme, parla di tutti i meriti del Sud, in un crescendo rossiniano davvero avvincente. Come avvincenti sono i temi della “restanza” e della “ritornanza”, cioè di chi si è rifiutato di partire per vivere al Sud la meravigliosa avventura di scegliersi un lavoro per far fiorire e rifiorire la propria terra, quella degli avi e dei figli e consegnargliela in eredità ai nipoti e pronipoti, che saranno protagonisti di un futuro appena annunciato e delineato per somme linee; e di chi è andato via, ma è felice di tornare per gli stessi motivi di chi è rimasto.

Tenerissimo il riferimento di Nichi Vendola al sindaco di Tricarico, poeta e contadino, e all’immarcescibile Rocco Scotellaro. E conclude: oggi anche Sud e parola falsificata e svuotata di senso. Il Sud ha per troppi anni perso la parola, si è lasciato raccontare dagli altri, ha come introiettato la colpa della propria disegualità dal Nord. È cosa buona e giusta riprendere la parola, per ritrovare memorie e significati necessari. Per ritrovare Scotellaro e un pezzetto incandescente, misero, struggente di quel Novecento che ci portiamo addosso (Montréal, 1 gennaio 2025).

È importante, a mio parere, sottolineare l’uso appropriato delle parole, scelte con estrema cura, oculatezza e competenza, da Nichi, sia come poeta, sia come uomo politico di lungo corso, sia come persona che ha tanto sofferto per la sua “diversità” fino al momento liberatorio del suo fare “coming-out”.

Poi, ecco le poesie, che fanno capo al SACRO QUEER e da questo si diramano come fiume in piena, come preghiera e supplica ad un cielo che ci affratella e ci rende umani; come preghiera devota che risente di vangeli e di miracoli, come quelli che compie quotidianamente la MADONNA DI CUTRO in aiuto ai naviganti, a quelli che affondano nel mare senza speranza di braccia disperate dal primo  all’ultimo lembo di terra, dove incontrano “la morte cattiva”, in un eterno naufragio del corpo, del cuore, dell’anima. Fino al miracolo della salvezza di ogni essere umano che si riconosce fratello e ha dell’altro cognizione, quasi una benedizione, mista a rivoluzione. Con una insistenza, sempre più praticata oggi, delle rime e assonanze, che danno un ritmo nuovo alla composizione poetica, a volte più incalzante, a volte più lenta e morbida, con uno sguardo di particolare tenerezza a chi sente fraternamente vicino/a nel dolore e nell’amore, che tutti redime e salva. A volte sembra che Nichi giochi con le parole per velare/svelare realtà più difficili da dire, tra il mistero che mescola nella poesia il sacro e il profano, i mostri sotterranei e le visioni celestiali, le paure e i sudari dei rimorsi e dei riscatti. Fino all’ultima soglia, ardita di parole che un poeta non dovrebbe dire, ma che dice, quasi una blasfemia per riportare alla sorgente degli inganni la verità, sempre sfiorata e mai posseduta in un mondo di alieni, pronti a ferire e distruggere piuttosto che a costruire.

Per fortuna la Bellezza prende il poeta per mano e lo salva dall’orrore del proibito, con il “sacro dell’umano”. Una sacralità che salva ciascuno con la sua “singolarità”, che attraversa “le primavere odorose/ di sesso e di verità”. Le dediche si susseguono senza tregua e per ciascuno, amico o amica, con le individuali connotazioni, tra quanti salgono al Cielo dei santi e dei gabbiani, e quanti hanno cambiato identità per sentirsi rinascere nella libertà di essere per l’eternità. E quest’ultima è un ricamo/ uno strappo/ o solo un girotondo… per poter “mescolare i ricordi/ il profilo delle cose/ le foto da bambino/ la furia degli accordi/ le nenie sulla strada/ l’impellenza del seme/ o la schiuma del mare/ che l’abisso non teme”. Ed è una nenia dolcissima, cadenzata, intrisa di tenerezza e di abbandoni, di immagini che si smarginano in somiglianze che sorprendono i sensi, la vista, il cuore (l’impellenza del seme/ o la schiuma del mare). E si potrebbe continuare all’infinito, con i vizi e le virtù dei cosiddetti “diversi”. C’è anche un’amica di Terlizzi in fuga, come Leopardi, dal “natio borgo selvaggio”, per ritrovare sé stessa a Casablanca, e, come il grande recanatese, senza farvi ritorno. E a Vladimir Luxuria, a Michela Murgia, a Cathy La Torre; e ancora, a Massimo Consoli, Vanni Piccolo, Franco Grillini. Un’accorata poesia è dedicata a Paolo Pietrangeli, cantautore di sinistra che firmò “Contessa”, un inno famosissimo negli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, e che Nichi ricorda con tanta tenerezza.

Per tutti un ricordo, una nostalgia, “un battito d’ali” per non perdere le vie del cielo. E dappertutto è un senso necessario di gravidanza per portare dal buio alla luce quanti gli hanno vissuto accanto negli anni dei pentimenti senza perdoni. C’è una poesia senza dedica, intitolata “Un muratore”, che mi ha immediatamente portato alla mente la canzone di Zucchero Fornaciari (2021), impudicamente cantata dall’immenso Fabrizio De Andrè. Il titolo? “Ho visto Nina volare”. I versi “incriminati”? Mastica e sputa/ Da una parte il miele/ Mastica e sputa/ Dall’altra la cera/ Mastica e sputa/ Prima che venga neve//… Ho visto Nina volare/ Tra le corde dell’altalena/ Un giorno la prenderò/ come fa il vento alla schiena…  superfluo ogni commento.

Poi, ecco la poesia-fiume dedicata a suo fratello Gianni Vendola, in preda ai ricordi e alle nostalgie di un tempo irrimediabilmente passato, ma prepotentemente uncinato nel cuore, come una ferita a cielo aperto, come uno squarcio nell’anima da non potersi dire, a cui fanno da cucitura e ricamo i giochi d’infanzia, i tuffi dell’adolescenza, i tremori della prima giovinezza. E… la scoperta delle mani, delle dita affusolate di suo fratello, degli aghi nelle vene e del dolore che mai finisce, neppure con i sogni dell’infanzia, i giochi, i profumi insolenti dello scoglio/ in faccia sempre alla verità/ alla salinità/ tu con le mani/ grandi come ali di airone,/ occhi negli occhi/ postumo di te stesso/ che parli da un evo di gelo/ distaccato e ironico/ a indicare il senso remoto/ e iconico/ delle cose// ti sporgi dalla torre del nulla/ come un monaco eremita/ Sali dentro di te/ ti scali/ ti fai lutto/ su fino alla cima di tutto/ in attesa dell’onda che accoglie/ che abbraccia/ e sommerge.  E tutto si fa lutto, che avvolge, inabissa, annega, anche per amore, soprattutto per amore.

“Cosa sarà di me se non sento più i tuoi passi?

È la tua vita o la mia che se ne va? Non lo so” (Valérie Perrin).  

L’ultimo inno è un omaggio a Rocco Scotellaro, il poeta contadino, che imparò dalla madre a scrivere e ad amare, dal padre la soma e la semina di campi arati con fiori e con frutti. Un inno nel cerchio che corre all’infinito oppure si fa isola che imprigiona la libertà di andare…

Ci sono, poi, le due pagine di ringraziamento che è impossibile non leggere perché riguardano il compianto Editore Manni; la comunità lgbtqia+ “che mi hanno insegnato a vivere senza nascondermi e che mi hanno aiutato a comprendere che la diversità è il fondamento dell’esperienza umana”; i tre intellettuali “raffinatissimi che mi hanno fatto dono della loro amicizia oltre che della loro sapienza: Serenella Iovino, Mario Amura, Davide Grittani. E non mi è mai mancato il conforto e del giudizio e dell’empatia di Dino Amenduni, di Francesca Cavallo, di Mario Desiati, di Nicola Lagioia. Grazie a Silvio Maselli che, “nei giorni assai dolorosi, mi è stato vicino, trascinando me e le mie poesie nell’avventura del palcoscenico”; la sua amica Carmela Vincenti, “una barese cosmopolita e soprattutto una grande attrice, con cui ho portato in scena nei teatri del Sud le poesie di e su Rocco Scotellaro”; suo marito Ed e suo figlio Tobia, “che sopportano con pazienza i miei inabissamenti nella scrittura e le mie distrazioni letterarie, ma che illuminano i miei giorni e sono il corpo e l’anima le poesie più belle che abbia mai letto”. (N.V.)

Vorrei concludere con il ricordo della serata del 29 marzo scorso alle S.E.R.R.E. di Terlizzi, dove, invitata dal mio carissimo amico Vittorino Curci, ho avuto la fortuna e la gioia di seguire, con mio genero, l’Editore Peppino Piacente della Casa editrice SECOP di Corato-Bari, e con mia figlia Raffaella Leone, scrittrice e poetessa, nonché P.R. della Casa editrice stessa, in una bellissima location stracolma di gente, la imperdibile intervista di Vittorino a Nichi, l’intensa lettura dei versi di quest’ultimo da parte della bravissima Carmela Vincenti, altre volte da me apprezzata come attrice e fine dicitrice di versi e racconti. Magnifica serata tutta da ricordare

E ora è tempo di lasciarci, lettori miei carissimi, a presto con sempre gratitudine e affetto. Angela

mercoledì 21 maggio 2025

Mercoledì 21 maggio 2025: alcuni libri della SECOP edizioni presentati al Salone del Libro di Torino

E oggi mi sembra giusto onorare alcuni Libri della nostra Casa editrice SECOP di Corato-Bari, perché al Salone del Libro di Torino 2025 ha fatto la differenza tra le innumerevoli Case editrici presenti, grazie all’Editore Peppino Piacente e al suo Delfino Nicola Piacente, ai vari importanti Autori come  Milisav Savic, Lino Patruno, Paolo De Vita e Mimmo Mancini, Mariella Medea Sivo; grazie ai qualificati presentatori , come  Angelo Rossano , Caporedattore del Corriere della Sera, il quale con maestria ha intervistato il suo collega  il famosissimo Lino Patruno, lo stesso Editore e soprattutto il Prof. Gianluca Simonetta (dello StraLab dell’Università di Firenze), che ha  intervistato e dialogato con Mariella Medea Sivo, nella duplice veste di autrice e presentatrice, e i  Carlo e Cosimo con Paolo De Vita e Mimmo Mancini. Infine, ha aperto la lista delle presentazioni, giovedì 15 maggio, presso lo stand della Regione Puglia (Pad 2 - Stand J118-K117) Marco Allegretti col suo romanzo Humanutopia, visionario e distopico, ma con accenni di speranza per questa nostra umanità alla deriva.  
Sabato 17 maggio h. 15: Milisav Savic: LA SANS-PAREILLE, presentato da Mariella Medea Sivo.
È un Libro, che non ha appunto paragoni. È unico per il fascino che trasmette al lettore perché rivela la cultura immensa del suo Autore. Essa attraversa tutta la   fascinosa Bellezza del mondo greco-latino fino ai nostri giorni, privilegiando il “gioco delle rifrazioni, gli specchi di rimando” della cultura italiana, privilegiata per la seduzione che esercita il territorio fisico, psicologico, mentale che solo la genialità di uno Scrittore “folle” come Milisav Savic ha potuto vivere pienamente e valorizzare per i lunghi soggiorni in Italia, e in particolar modo in Toscana, da cui ha inizio il romanzo che si traduce in tante storie, degne di essere narrate, ascoltate, lette, assaporate, trasmesse, divulgate con tutti i riferimenti alla guerra nella ex Jugoslavia degli anni Novanta, con tutta la sua ferocia e il tragico volto delle verità fiorate e mai raggiunte. Sono storie di un sogno? Di un grande amore? Di una fervidissima Fantasia? Secondo me, di una realtà mai vera mai falsa, attraversata dalle innumerevoli Bellezze delle chiese, degli altari, dei monasteri, delle pitture, sculture, e i rimandi cinematografici e musicali (da Bertolucci a Vivaldi), passando per i luoghi classici della lettura (vedi le Giubbe Rosse a Firenze), e tenendo a mente Quasimodo e Montale e i loro rabbiosi alterchi fuorvianti e lontani, fino a incontrare il mare dell’Adriatico e i fiumi di Belgrado. Sono storie di luoghi conosciuti e amati, di gente che appartiene alla propria gente e altre genti da scoprire per ritrovarsi nella propria unicità. Di qui l’esigenza di tradurre in Lettere le proprie emozioni lungo un viaggio che dovrebbe avere inizio e fine, ma potrebbe rimanere scritto a metà perché l’altra metà potrebbe completarla il lettore. È accaduto? Accadrà? Forse… (e forse è la parola che Leopardi ritiene la più bella del nostro vocabolario, una sospensione di giudizio che sconfina verso l’infinito).
Questo il mio pensiero che fa il paio con quello della bravissima Mariella, che ha dato ai lettori una chiave di lettura attenta, intensa, appassionata, come è nelle sue corde. Ottenendo meritatissimi applausi anche dall’Autore.
IL SUD HA VINTO
di Lino Patruno
SECOP edizioni
Come, il Sud ha vinto?
Ha vinto <perché laggiù si fanno meraviglie>.
Ha vinto perché è la settima potenza manifatturiera d’Europa, la terza economia del Mediterraneo, il primo produttore di energia pulita d’Italia, il primo produttore agricolo d’Europa.
Ha vinto perché, se non ci fosse, l’Italia non potrebbe andare avanti.
Ha vinto perché il controesodo dei suoi giovani può ribaltare il futuro.
Ha vinto perché era deciso che perdesse.
Ha vinto perché è un bisogno dell’anima per tutti.
Ha vinto perché tanti ci vorrebbero vivere
Ha vinto per la bellezza della sua ricercata lentezza.
E il divario col Nord?
C’è, ed è terrorismo.
Sabato 17 maggio, h. 18,15, nella Sala Berlino, dove Lino Patruno dialoga con Angelo Rossano, Caporedattore - Corriere della Sera.
Personalmente, desidero evidenziare alcune caratteristiche particolari ed estremamente catturanti di questo imperdibile Libro. Intanto, la sua pubblicazione nella particolarissima Collana “InnovATTORI”, diretta, per la Casa editrice SECOP (Corato-Bari), dallo stesso Editore Peppino Piacente, il quale si riserva di pubblicare in queste pagine Libri davvero meritevoli di particolare attenzione per forma e contenuto, per importanza degli Autori, per la qualità multidimensionale della loro ispirazione. È il caso appunto di Lino Patruno e della sua grandezza, fama e notorietà come giornalista e scrittore di innumerevoli saggi, a cui si aggiunge la innegabile originalità della sua scrittura: ogni capitolo ha come esergo e come conclusione delle citazioni studiate nei minimi particolari per condensare in brevi frasi, spesso colme di ironia, il contenuto dell’intero capitolo.
Ma ciò che affascina più di ogni altro espediente narrativo, che Lino Patruno usa a suo piacimento come consumato scrittore e giornalista, è la reiterazione martellante, intensa, incalzante delle sue affermazioni, nella continua ossessiva ripetizione “Il Sud ha vinto”, che non solo si fa ritmo insistente e pressante del suo puntuale assunto, ma lascia scoprire notevoli riverberi di poesia, come pura luce e pura musica che dilatano la bellezza del nostro Sud nel tempo e nello spazio…
Dietro le incalzanti domande del suo interlocutore, Lino Patruno s’infervora a tal punto da diventare egli stesso quella luce che illumina il Sud, in ombra e ignorato fino a qualche tempo fa.
C’è, a tale riguardo, il capitolo sulla “lentezza del Sud” che è un capolavoro di luce che accende il nostro Sud se vissuto con lentezza e, quindi, lentamente guardato, assaporato, amato.
Necessaria è, dunque, la lentezza. Necessaria e vitale. La lentezza ci porta oggi a preferire il Sud. Nella sua modernità che vince il luogo comune della sua atavica “arretratezza”, dovuta ad una sorta di “immobilismo”, inserito nel suo DNA, come alcuni ancora affermano. Niente di più falso!  E Lino Patruno lo afferma con la forza e la vehemenza, congeniali alla sua personalità e alla sua dialettica.  Soprattutto ricordando il ritorno al Sud come scelta oppure la “restanza” di chi decide di rimanere per valorizzare la propria terra e le proprie radici. Scroscianti e meritatissimi applausi a fine incontro.
                                                         
Poi, alle ore 20, presso lo SPAZIO DIALOGHI, PAD 2 della Regione Puglia, Gianluca Simonetta,  dialoga con Mariella Medea Sivo sul suo libro Favole senza finale felice di una ragazza nata negli anni ’70.
È stato un dialogo molto coinvolgente perché appassionato e, nello stesso tempo, divertente. Gianluca Simonetta, mago della parola e della narrazione “interroga” Mariella, che ha delle competenze medico-scientifiche, ma anche narrative a largo spettro, sulla possibilità di una narrazione che tenga conto della bellezza del racconto e della possibilità di intervenire sulla essenzialità del racconto stesso tradotto in scrittura. Interessante la tecnica dell’anatra adottata da Mariella, riferendosi all’anatra dipinta da un pittore del Novecento (il riferimento a De Pisis e alla sua arte pittorica intrisa di poesia o a quella di Magritte onirica e simbolica? Propendo per De Pisis. Ma desidero conferme o meno). La descrizione, fatta da Mariella, è decisamente accattivante: l’anatra sembra scivolare leggera a pelo d’acqua, ma in realtà occorre osservare sotto la superficie azzurra, che ci inganna, la tecnica del nuoto, lo sforzo delle zampine, la fatica nel tenere la direzione o nel virare. Mi piacerebbe adottarla, ma vorrei prima scoprire, con maggiore cognizione di causa, i risvolti psicologici di un processo di scrittura molto interessante anche freudianamente, oltre che per le figure retoriche sapientemente adottate. Probabilmente non sarebbe utile alla “narrazione”, ma potrebbe tornare utile alla consapevolezza, che via via si acquisisce, addentrandoci man mano nel processo scritturale, che, come afferma Friedrich Nietzsche è fondamentale e inevitabile, Vi è al mondo una strada,/ un’unica strada/ che nessun altro può percorrere/ salvo te:/ dove conduce?/ Non chiedertelo, cammina. Occorre procedere, dunque, andare avanti, fare un percorso personale di crescita per raggiungere un proprio stile nello scrivere, quella musica interiore che non ha bisogno della firma per essere riconosciuta. Si firma da sé.
Intanto, occorre precisare, che uno scrittore valido viene riconosciuto innanzitutto da un buon lettore, e dal passa parola di quest’ultimo. Tantissime e tutte importanti sono le recensioni che Mariella sta ricevendo per questo suo libro, le attestazioni più pertinenti e interessanti continuano a pioggia sulla sua pagina. E i nomi sono davvero tanti. Ma le più immediate e senza filtri le ha ricevute quattro sere fa da Gianluca Simonetta, che io ritengo un genio della scrittura a trecentosessantagradi!!!
E, infine, domenica 18 maggio, alle h. 13,30, vengono presentati dall’Editore SECOP, Peppino Piacente, e dal prof. Gianluca Simonetta il Libro CAPITONI CORAGGIOSI ovvero gli eroi dell’insuccesso di Paolo De Vita e Mimmo Mancini, presso lo spazio presentazioni dello stand della Regione Puglia Pad. 2 J118-K117.
Due pazzi scatenati occupano la scena con i loro divertentissimi siparietti, mordaci, senza “peli sulla lingua” anche nel sottolineare vizi e virtù dei politici seguiti dal loro codazzo di accoliti. Affiatatissimi, improvvisano scenette comiche che hanno lo scopo di attirare la fiumana dei visitatori della Fiera dei Libri, di far ridere, ma anche di far pensare. Il primo, mingherlino, serioso ma non troppo, pronto a dare la risposta giusta al momento giusto al suo compagno più giovane, mattacchione, sbruffoncello, ma calato immediatamente nella parte dell’eroe dell’insuccesso con aneddoti vibranti di vita vissuta e riportati magicamente alla memoria dei fratelli C.C.C.: Carlo e Cosimo Capitoni che, improvvisamente e immediatamente, diventano quattro: Paolo Mimmo Carlo Cosimo. E giù sberleffi a tutto spiano sulla loro conflittuale amicizia che dura ormai da una vita, sempre sul punto di spezzarsi e sempre misteriosamente e amabilmente riscoperta, rispolverata, ritrovata. Entrambi riescono a riannodare i capi della loro ingarbugliata matassa di amore-odio, distanze, lontananza di passi e vicinanza di cuori e di anime, che convergono e si fondono, divergono e prendono strade diverse fino a che nostalgia e rimpianto hanno la meglio su sentimenti negativi e risentimenti che dentro fanno rumore fino a risvegliare la coscienza di tutti e due, nella consapevolezza di non poter fare a meno l’uno dell’altro. E rifioriscono come rami secchi a primavera; ritrovano le antiche speranze, frutto di sogni mai spenti, mai tacitati. Di ricordi. Di incontri con grandi intellettuali, artisti, attori, musicisti, gente dello spettacolo, della televisione. Di rimembranze. Di speranze appena rinate e immediatamente spente in un nulla di fatto. Senso di sconfitta e acredine. Come quando si trovarono a tu per tu con Dario Fo e Franca Rame, due colossi del mondo letterario e dello spettacolo: lui Premio Nobel per la Letteratura nel 1997; lei grandissima attrice, drammaturga ed ex senatrice della Repubblica italiana. I Capitoni furono invitati da Franca Rame a recarsi da suo marito perché li aveva notati in una sfida tra attori esordienti Nord contro Sud. “Emozionati e increduli, ci fiondammo da lui, dal maestro Dario Fò che volle complimentarsi personalmente, per il testo, lo sviluppo, ma soprattutto per la drammatica assurdità dei due fratelli Carlo e Cosimo, al contempo clown ed eroi da tragedia” (cit. dal libro, p 170). Ma tutto si spense tra mille dubbi, incertezze, paure di Paolo e Mimmo di non essere all’altezza di andarlo a trovare nella sua “Libera Università di Alcatraz”. Una enorme possibilità perduta per un senso esagerato di inadeguatezza.
Questo è solo uno dei tantissimi esempi fallimentari narrati ora da Mimmo, ora da Paolo. Alcune volte ad incastro: De Vita parla di Mancini e viceversa, tra accuse reciproche e reciproci rancori. Ma alla fine il loro è un inno all’amicizia, vera autentica, vitale. Alla fine si rendono conto che insieme emanano sinergicamente energie positive. Si completano. Tra loro “è sufficiente uno sguardo, respirare il profumo dell’anima” (come direbbe Agostino Degas). E lo sguardo è presenza di anima e di corpo, di mente e di cuore. Di intimità anche con le loro famiglie, nelle loro case, attraversate dai loro figli. Lo sguardo è un senso di intesa (ti sono vicino, ti mando al diavolo). È un senso di appartenenza che è cura e abbandono nel duplice significato di “lasciarsi andare” alle confidenze per perdersi, ma anche nel senso di allontanarsi per perdersi e ritrovarsi “sempre nel per sempre”.
“Certo che ti farò del male.
Certo che me ne farai.
Certo che ce ne faremo.
Ma questa è la condizione stessa dell’esistenza. Farsi primavera, significa accettare il rischio dell’inverno.
Farsi presenza, significa accettare il rischio dell’assenza.
(Antoine De Saint-Exupéry, Il piccolo principe)
 
Alla prossima, grata come sempre. Angela/lina

martedì 6 maggio 2025

Martedì 6 maggio 2025: PAPA FRANCESCO: PAROLE scritte per LUI... (terza parte)

Ho lasciato che l’eco di questi giorni scorsi sfumasse, dal Primo Maggio, festa dei Lavoratori al matrimonio dei rospi e delle rane, festa campestre del 3 maggio, con le bandiere rosse lungo le strade e le piazze dei nostri paesi e delle nostre città da Nord a Sud o viceversa e con la gioia di essere immersi nella natura. Ma poi ho lasciato passare anche la festa del matrimonio campestre tra le rane e i rospi con lunghi richiami d’amore per riportarmi, alla Sua voce e al Suo continuo richiamo all’amore. Per tornare a parlare di LUI, di Papa Francesco, nella Giornata Mondiale della Lentezza, perché mai, sia pure lentamente, potremo perdere la Sua voce più alta di ogni altra voce, il Suo sorriso più gioioso e carezzevole di ogni altro sorriso, quasi materno nella sua paternità più volte rivendicata e proclamata a gran voce. Paternità spirituale per tutti e per ciascuno: “Urbi et Orbi”. Inconfondibile voce italiana e straniera, seria e autoironica per stemperare ogni possibile confusione su autorità e autorevolezza. Su velocità e lentezza. Sì, anche Papa Francesco ha parlato della necessità della lentezza contro la cultura della velocità dei nostri giorni, in quanto essa “è fondamentale per la crescita personale, la comprensione, la ricerca della verità, una vita più appagante”… “La lentezza è necessaria per leggere, studiare, insegnare”, soprattutto avere autorevolezza per i giovani che devono imparare il senso vero della vita… “La lentezza è fondamentale per la crescita… che è un processo lento e mai un itinerario lineare… gli errori sono importanti nella ricerca della verità.”… “La lentezza aiuta a comprendere il significato più profondo delle cose”… “anche cambiare ha bisogno di lentezza”… “la lentezza aiuta il dialogo e la comprensione tra le diverse generazioni… per sconfiggere la povertà dei legami… per vivere una vita più piena e significativa”.  

Ma sicuramente meglio di me nel riferire le bellissime affermazioni di Francesco, che vanno ben oltre il loro stesso significato spicciolo, ci parla di Lui un caro amico della giovinezza, professore di Lettere e Storia presso l’Istituto Tecnico “Vitale Giordano” di Bitonto (Bari) e, soprattutto, impegnato politicamente ad alto livello (Senatore della Repubblica Italiana dal 2006 al 2013 e anche ex Membro del Parlamento Europeo ecc. ecc.). Ebbene, alcuni giorni fa Giovanni Procacci ha scritto: Ora che il chiasso mediatico su Francesco si è placato in attesa del nuovo Pontefice, sento di dover con queste parole tenere Jorge Bergoglio al riparo da ogni interpretazione politica, ideologica e persino dottrinale del suo pontificato. Ha semplicemente vissuto il Vangelo, proponendolo a tutti nella sua radicalità e mettendo al primo posto sempre la persona più che la dottrina o la legge, come direbbe San Paolo. Ha amato i peccatori come Gesù perché si rialzassero, come Lui ha accolto con misericordia tutti i disperati della Terra, senza eccezioni, ha portato l’amore di Dio e i Suoi segni sacramentali dovunque fosse richiesto con animo sincero, perdonando sempre (settanta volte sette)! Questo è stato Francesco! E nessuno può dedurre che andare incontro a un peccatore significhi legittimare il peccato o cambiare la dottrina! Quando Gesù, che pure era un ebreo - non dimentichiamolo mai -  si è trovato a dover scegliere tra la legge (la dottrina) e l’uomo, ha privilegiato sempre quest’ultimo, perché Lui è AMORE INFINITO!    

E un altro bitontino doc, Vincenzo Robles, già assistente del prof. Ambrogio Donini presso la Cattedra di Storia del Cristianesimo della Facoltà di Lettere dell’Università di Bari e altre docenze universitarie, anche presso l’Università di Foggia, ha al suo attivo numerosi libri da Giovanni Modugno: il volto umano del Vangelo (Libreria Universitaria, 2023) a Il fascismo dietro le quinte - Il caso Bitonto - (Libreria Universitaria 2024). Di Papa Francesco recentemente ha ricordato uno scritto con il titolo di “VIVI, AMA, SOGNA, CREDI!”: Pensa, lì dove Dio ti ha seminato, spera! Spera sempre. Non arrenderti alla notte: ricorda che il primo nemico da sottomettere non è fuori di te: è dentro. Ovunque tu sia, costruisci! Se sei a terra, alzati! Non rimanere mai caduto, alati, lasciati aiutare per essere in piedi. Se sei seduto, mettiti in cammino! Se la noia ti paralizza, scacciala con le opere di bene! Se ti senti vuoto o demoralizzato, chiedi che lo Spirito Santo possa di nuovo riempire il tuo nulla. Opera la pace in mezzo agli uomini, non ascoltare la voce di chi sparge odio e divisioni. Nei contrasti, pazienta: un giorno scoprirai che ognuno è depositario di un frammento di verità. Ama le persone. Amale ad una ad una. Rispetta il cammino di tutti, lineare o travagliato che sia, perché ognuno ha la sua storia da raccontare. Coltiva ideali. Vivi per qualcosa che supera l’uomo. Se un giorno questi ideali ti dovessero chiedere un conto salato da pagare, non smettere mai di portarli nel tuo cuore. Credi fermamente in tutte le persone che ancora operano per il bene. E soprattutto, sogna! Non avere paura di sognare. Sogna! (Papa Francesco, catechesi del 20 settembre 2017). È chiaro che Vincenzo Robles evidenzia l’alto valore etico, sociale e umano delle parole di Papa Francesco e le condivide appieno.

E, ancora, un bitontino che è degno di far parte della triade degli uomini famosi del nostro paese. Parlo di Nicola Pice, Docente di Lettere classiche e Dottore di ricerca in Scienze dell’antichità classica e cristiana; si è occupato anche di Teatro classico, di Poesia epica e di Dialettologia e tradizioni popolari. Numerosi sono i suoi libri su grandi Autori del passato con versioni in latino e greco a fronte. Ma anche legati alle tradizioni della nostra terra come, ma è solo esempio tra tanti, Bitonto è in un mare di ulivi (Laterza, Bari 2014). E, tra l’altro, è mio prezioso parente e amico. Nicola ha scritto: Ho seguito la messa esequiale di papa Francesco. Un cumulo di emozioni e commozioni. Ne segnalo due. L’omelia magistrale del cardinale Giovanni Battista Re: un significativo passaggio il sottolineare il suo linguaggio fatto di immagini e di metafore. Un linguaggio nuovo, il suo, fatto di storie e immagini potenti. Poi, sul finire della cerimonia funebre, lo sventolare di una bandiera issata da giovani, sulla quale era scritto: ‘Adios Padre Maestro y Poeta’. Ecco un tratto straordinario di papa Francesco: il parlare per immagini e metafore in quanto maestro e poeta, ovvero l’essere una persona ‘che con i suoi occhi guarda e insieme sogna, vede più in profondità, profetizza, annuncia un modo diverso di vedere e capire le cose che sono sotto i nostri occhi… ed è capace di mettersi in ascolto della realtà stessa: il lavoro, l’amore, la morte, e tutte le piccole grandi cose che riempiono la vita’. E qui la grandezza di un papa che è stato molto saggio e molto profondo, “pastore tra la gente, con il cuore aperto verso tutti”. Da notare il suo commento che risente della sua grande competenza letteraria con tutta la sensibilità poetica e umana che gli appartiene.

Ma ci sono bellissime testimonianze di alcune amiche bitontine che meritano di essere conosciute e apprezzate. C’è, per esempio, la testimonianza tenerissima di Angela Aniello, Docente di Lettere e poetessa e scrittrice di ottimi testi, e mia preziosa amica. Angela ha scritto: La grandezza di un Papa si misura dall’amore che riesce a seminare. E oggi quell’amore era ovunque: nei volti commossi di chi affollava Piazza San Pietro e in quelli, come il mio, fissi davanti a uno schermo, incapaci di distogliere lo sguardo. Giovani, bambini, famiglie, gente arrivata da ogni par

te del mondo: tutti lì per salutarti, Francesco. Tu che hai scelto i più semplici, tu che ci hai ricordato che la bellezza delle relazioni sta nel tesserle con tutto il cuore possibile. Tu che, nella notte della pandemia, hai svegliato i nostri cuori e ci hai insegnato che la speranza non muore mai. E poi, un’altra immagine che resterà per sempre: davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore, i più poveri - quelli che hai sempre prediletto e sostenuto - ti aspettavano. Con in mano fiori bianchi, in silenzio, in preghiera. Sapendo che tu vivi ancora, anche adesso che non ci sei più. Vivi perché hai amato, senza misura. Di tanto in tanto, oggi, ascoltando le testimonianze di chi ti ha incontrato, il mio cuore si è stretto. E si è raggomitolato del tutto, leggendo le parole semplici e disarmanti di una bambina malata: “Ora tienimi per mano”. Come un padre. Come un rifugio. Come una speranza più forte di tutte le altre. E tu, Francesco, continuerai a farlo. Perché chi ama davvero non muore mai. (I poveri che hanno accolto il Papa dinanzi alla Basilica di Santa Maria Maggiore)

E Mariangela Ruggiero, altra bitontina cara al mio cuore, Docente preparatissima e carissima amica di vecchia data. Anche lei ha riportato brevemente le parole di un altro caro amico e poeta: “Dalla bacheca di Lorenzo Tosa”: È morto Papa Francesco. Se ne è andato il Papa più grande, illuminato che il mondo abbia avuto. Oggi piangono i credenti, piangono i cristiani (veri), piangono gli agnostici, piangono gli atei. Oggi non è morto solo il Papa. È morto un gigante del nostro tempo e di questo secolo. Addio.

E ancora un’altra Mariangela, sempre bitontina, insegnante doc preparatissima e sempre mia carissima amica, Mariangela Memoli, ha scritto: “Una grande lezione pedagogica!!!”, riferendosi alle parole di Papa Francesco ai docenti: “Vi chiedo di amare più gli studenti ‘difficili’, quelli che non vogliono studiare, quelli che si trovano in condizioni di disagio, i disabili e gli stranieri, che oggi sono una grande sfida per la scuola. E ce ne sono di quelli che fanno perdere la pazienza. Gesù direbbe: se amate solo quelli che studiano, che sono ben educati, che merito avete? Qualsiasi insegnante si trova bene con questi studenti. In una società che fatica a trovare punti di riferimento è necessario che i giovani trovino nella scuola un riferimento positivo. Essa può esserlo o diventarlo se al suo interno ci sono insegnanti capaci di dare un senso alla scuola, allo studio e alla cultura, senza ridurre tutto alla sola trasmissione di conoscenze tecniche, ma puntando a costruire una relazione educativa con ciascuno studente, che deve sentirsi accolto e amato per quello che è, con tutti i suoi limiti e le sue potenzialità. Per trasmettere contenuti è sufficiente un computer, per capire come si ama, quali sono i valori e quali le abitudini che creano armonia nella società ci vuole un buon insegnante”. Papa Francesco

E poi, ecco una voce amara, quella di un’altra bravissima e attenta insegnante, mia ex allieva e oggi mai dimenticata e cara amica, Maria Antonietta Alberga. Una voce di denuncia che merita di essere ascoltata con tutto il cuore come tutte le cose che fanno davvero male e che si avvale di tante contraddizioni stringenti: Ci sono proprio tutti. In sfilata a San Pietro. Tutti quelli che per anni hanno combattuto, deriso, schernito, ignorato Papa Francesco. Ognuno al loro posto a omaggiare l’uomo che si è battuto umanamente, politicamente, spiritualmente contro tutto quello che sono e rappresentano. Gente che deporta migranti in catene e rende omaggio all’uomo che ha speso la sua vita dalla parte degli umili. Gente che criminalizza chi salva vite in mare e piange l’uomo che le ha sempre aiutate, difese, ringraziate. Gente che vorrebbe trasformare Gaza in un’Atlantic City con dollari sporchi di sangue e saluta colui che ha difeso i palestinesi fino all’ultimo respiro. Gente che ha costruito carriere sul suprematismo, che perseguita, la disabilità, che umilia la povertà e celebra colui che ha rovesciato la piramide. Questa immagine è un pugno allo stomaco. Il manifesto dell’ipocrisia, un monumento all’impostura. Non se lo meritava, Francesco.  

E, ancora una volta, mi fermo. Ma non posso non continuare a parlare di LUI, attraverso le tantissime voci che ancora oggi ne parlano con una coralità d’intenti che quasi sempre possono, quantomeno in parte, risanare il cuore. 

domenica 4 maggio 2025

Domenica 4 maggio 2025: IL SUD HA VINTO di LINO PATRUNO...

 

IL SUD HA VINTO

di Lino Patruno

SECOP edizioni

Come, il Sud ha vinto?

Ha vinto <perché laggiù si fanno meraviglie>.

Ha vinto perché è la settima potenza manifatturiera d’Europa, la terza economia del Mediterraneo, il primo produttore di energia pulita d’Italia, il primo produttore agricolo d’Europa.

Ha vinto perché, se non ci fosse, l’Italia non potrebbe andare avanti.

Ha vinto perché il controesodo dei suoi giovani può ribaltare il futuro.

Ha vinto perché era deciso che perdesse.

Ha vinto perché è un bisogno dell’anima per tutti.

Ha vinto perché tanti ci vorrebbero vivere

Ha vinto per la bellezza della sua ricercata lentezza.

E il divario col Nord?

C’è, ed è terrorismo.

 

QUASI PER CASO OPPURE NO

Ora che IL SUD HA VINTO di Lino Patruno è stato pubblicato dalla SECOP edizioni di Corato (Bari) e io ho avuto il privilegio di leggerlo in anteprima, come di solito avviene per chi svolge il lavoro di editing in una Casa editrice, mi piace dire la mia su questo Saggio così insolito e così assertivo da diventare quasi un problema da risolvere per dirimere controversie pro e contro. Come capita ai Libri forti e densi di citazioni, emozioni, narrazioni che sollecitano punti di vista diversi, dialoghi, dibattiti, contraddittorio.

Personalmente, desidero evidenziare alcune caratteristiche particolari ed estremamente catturanti di questo imperdibile Libro.

Intanto, la sua pubblicazione nella particolarissima Collana “InnovATTORI”, diretta dallo stesso Editore Peppino Piacente, il quale si riserva di pubblicare in queste pagine Libri davvero meritevoli di particolare attenzione per forma e contenuto, per importanza degli Autori, per la qualità multidimensionale della loro ispirazione. È il caso appunto di Lino Patruno e della sua grandezza, fama e notorietà come giornalista e scrittore di innumerevoli saggi, a cui si aggiunge la innegabile originalità della sua scrittura: ogni capitolo ha come esergo e come conclusione delle citazioni studiate nei minimi particolari per condensare in brevi frasi, spesso colme di ironia, il contenuto dell’intero capitolo.

Ma ciò che affascina più di ogni altro espediente narrativo, che Lino Patruno usa a suo piacimento come consumato scrittore e giornalista, è la reiterazione martellante, intensa, incalzante delle sue affermazioni; è una reiterazione che crea ritmo, musica, una danza suggestiva e sfiziosa “con alterno pede”, come ci suggerisce Orazio, prendendo esempio dal musico greco Alceo, e parlando delle ninfe dei boschi o delle Grazie leggiadre, mentre si tengono per mano…

Ma non posso non fare riferimento alla “Danza delle Ore” di Amilcare Ponchielli nella sua imperitura Gioconda; una danza che insegue un immaginario orologio del tempo con leggiadria e stupore. Anche in Lino Patruno si avverte, nella continua ossessiva ripetizione “Il Sud ha vinto”, non solo il ritmo insistente e pressante del suo puntuale assunto, ma si scoprono notevoli riverberi di poesia, come pura luce e pura musica che dilatano la bellezza del nostro Sud nel tempo e nello spazio…

E vorrei fare un solo esempio, a tale riguardo, parlando del pulviscolo atmosferico, che sempre mi affascina e che abita invisibile nell’ombra di una stanza chiusa, ma appena lasciamo filtrare un po’ di luce attraverso una tapparella aperta, o tanta luce da una finestra spalancata, ecco che il pulviscolo si anima con la danza di mille corpuscoli dorati che impreziosiscono ogni cosa presente in quella stanza e che ora è viva, luminosa, meravigliosa.

Il Saggio di Lino Patruno è quella luce che illumina il Sud, in ombra e ignorato fino a qualche tempo fa. Il formidabile intuito di Lino ci ha permesso, inoltre, di comprendere finalmente nuove realtà legate al Sud. E comprendere (cum-prehendere = prendere insieme, abbracciare, racchiudere) si fa, in questo Libro, Letteratura, Filosofia, Narrazione, Sociologia, Psicologia, Storia e Memoria; Psichiatria, Geografia, Teatro, Poesia. Ma cum-prehendere ha un altro meraviglioso significato: cioè, significa anche “capire” con intelligenza e, ancora di più, “sentire” con il cuore fino a raggiungere la profondità dell’anima. Non a caso, il sentimento tocca le corde più profonde della conoscenza e di una possibile verità (cfr. Clemente Rebora “A verità condusse poesia”).

C’è, a tale riguardo, il capitolo sulla “lentezza del Sud” che è un capolavoro di luce che accende il nostro Sud se vissuto con lentezza e, quindi, lentamente guardato, assaporato, amato.

E, a tale proposito, la coralità delle voci, che Patruno richiama a testimonianza del suo assunto, è davvero impressionante: da Plutarco al più vicino a noi M. McLuhan, al nostro vicino di casa Michele Mirabella; da Biagio Pascal al giornalista napoletano Antonio Polito, al nostro amico e grande scrittore Raffaele Nigro; da Baudelaire a Vincenzo Castellano, dall’emerito Prof. di Sociologia Domenico De Masi, oggi purtroppo non più tra noi, al compianto sociologo Franco Cassano e il suo “pensiero meridiano”, passando per Papa Francesco e il nostro Presidente Mattarella. Ma l’elenco, in questo caso, non ha limiti né confini.

Fra i tanti esempi, che potremmo fare qui, desidero ricordare il paradosso di Zenone, noto come sfida tra il “pie’ veloce Achille” e la tartaruga oppure, meglio, mi piace proporre la leggenda di San Martino e la sua “estate” ai primi di novembre. San Martino, quale soldato dell’esercito romano, stava, come ogni giorno, cavalcando il suo destriero per perlustrare l’accampamento, quando si accorse di un mendicante… Se non avesse rallentato non si sarebbe neppure accorto di lui rannicchiato per il freddo al bordo della strada. Il resto della leggenda è a tutti nota.

Necessaria è, dunque, la lentezza. Necessaria e vitale. La lentezza ci porta oggi a preferire il Sud. Nella sua modernità che vince il luogo comune della sua atavica “arretratezza”, dovuta ad una sorta di “immobilismo”, inserito nel suo DNA, come alcuni ancora affermano. Niente di più falso!  

Lino Patruno ha il pregio di possedere uno “sguardo obliquo” tra passato, presente e futuro (come forse in Sylvia Plath), di cui si serve per confermare la bontà delle sue riflessioni e convinzioni “fino all’ultimo respiro”.

E, poi, vorrei brevemente focalizzare anche l’importanza delle virgolette, perlopiù a spina di pesce singola o doppia, perché hanno una loro insolita ragione d’essere e una precisa identità. Tutte da ipotizzare. Tutte da confermare.

Infine, l’ultimo capitolo (il 17° come gesto scaramantico all’incontrario) conclude il saggio con “Una nuova storia”, ossia apre una finestra sul futuro e tutto si fa nuovamente racconto, tutto si trasforma in narrazione di “storie” tra realtà e follia, come gli Dèi sono soliti parlare agli uomini, privilegiando i folli che destano “stupore e meraviglia”. E hanno l’ardire/ardore di cambiare il mondo… Qualche volta in meglio…

                                                         Angela De Leo