Dopo oltre una settimana di silenzio, riprendo a scrivere per ritrovarci sotto questa pioggia che non vuol finire e una quasi estate che fa fatica a cominciare. Per me un motivo in più per indossare ancora magliette di lana che, fuori stagione, sanno di tristezza e di malinconia. Di attesa in sospensione.
Oggi è la Festa della Repubblica ed è anche il compleanno di alcuni miei carissimi amici, tra cui Filippo Mitrani, poeta e musicista per vocazione, ingegnere per professione da antica data, a cui vanno i miei auguri più affettuosi...
Ma non è di questo che mi preme parlarvi oggi. Ho bisogno di incontrarvi per disperdere pensieri difficili da pensare. Non voglio coinvolgervi, ma sento la necessità di farlo. Una urgenza del cuore. Da oltre un mese la mia amatissima sorella Anna Maria è nelle fauci feroci di chi non dà scampo in una clinica di Bari, che sta usando e osando tutte le tecniche chirurgiche all’avanguardia per restituirla all’amore e alle braccia di tutti noi che, impotenti, ci carichiamo di Speranza. Ieri notte per lei ho scritto i seguenti versi, per farle sentire la mia carezza, per andare in deviazione e non pensare:
Petalo a petalo maggio
ha lasciato cadere i suoi giorni
di cristallo smerigliato di pioggia e dolore.
Mi consegna una promessa d’amore:
ritornerò a casa ma sono a metà strada.
Petalo a petalo ho
sfogliato i giorni
di questo maggio cattivo e crudele.
Petalo a petalo ti ho inondato di rose
per la carezza sognata sul finire della sera.
In un vuoto di stelle che mi attanaglia d’attesa.
Petalo a petalo ho strappato papaveri
che non avevano motivo di fiorire
in un giardino né mio né tuo
senza i tuoi occhi a sorridere alla vita.
Ieri i tuoi occhi immensi di conforto
e Speranza hanno abbracciato la luce
di una nuova alba insieme.
E di preghiera ho
vestito la gratitudine.
(Il tuo sorriso di ciliegie aspetto
nel cortile della
nostra antica casa…)
E sono qui a pregare e a sperare che superi ogni ostacolo alla sua completa ripresa per poterla abbracciare in questo giugno piovoso, in cui non manca un raggio di sole. E desidero concludere con un ricordo di ciliegie e della nostra giovinezza spensierata e felice che abbiamo insieme vissuto “nel cortile della nostra antica casa”. E il nostro adorato nonno a farci compagnia.
<In primavera,
poi, con lo splendore della natura che esplodeva d'erba, di pratoline e di
fiori di campo, tu andavi a casa dei nostri tanti amici e li invitavi a venire
con noi in campagna all'alba del giorno dopo. Molti venivano in bicicletta,
altri salivano sul traino con noi. E il cielo era un ricamo d'alberi. L’alba
spegneva le stelle e vinceva lentamente il buio, rischiarando i nostri occhi
spalancati di stupore su quella natura rigogliosa e ricca di frutti. Le nostre
labbra chiacchierine si confidavano, in bisbigli d'intesa, confidenze di amori
appena nati. Nel campo dei ciliegi sciamavamo tra i rami e tu, appena di
ritorno, vestivi a festa il nostro quartiere con ceste di rossi frutti che
distribuivi in tutte le case. E le case si accendevano di colore e di allegria:
adulti e bambini si riempivano le mani delle accese ciliege, raggruppate dai
lunghi gambi e ricoperte dalle verdi foglie
(ciliegie di maggio ciliegie d’assaggio
ciliegie di giugno ciliegie a pugno…)
Già
da bambina avevo imparato quel rito festoso che salutava di gioia la nostra
primavera...
(sì bbéddə
accòmə a ‘na cəràsə…) (sei bella come una ciliegia…)
Lungo
le strade le ragazzine, con quelle lampade accese ai lobi delle orecchie,
cantavano la spensieratezza dei loro pochi anni, dilatando lo spazio angusto
tra quelle case antiche, dove il cielo era un lungo rettangolo blu definito dai
terrazzi anneriti di tempo e di impervie stagioni...
Questo è il tempo delle ciliegie,
le
ciliegie si vanno a cogliere,
si
vanno a cogliere ad una ad una,
questo
è il tempo del primo amor...
La
cintura stretta stretta
e
la gonna larga larga,
le
scarpette a punta a punta:
io
ballerò con te...
Io
danzerò con te...
Questo
è il tempo delle ciliegie,
le
ciliegie si vanno a cogliere,
si
vanno a cogliere col panierino,
questo
è il frutto del mio giardino...
La
cintura stretta stretta
e
la gonna larga larga,
le
scarpette a punta a punta:
io
ballerò con te...
io
danzerò con te...
Divenuta ragazzina anch'io, adoravo quelle ciliegie: rosse, dolcissime, morbide, profumate
(cerasèlla cerasé/quànnə è tìmbə də cəràsə/ tu mə dai tre o quattə vàsə/ cərasèlla cərasé/ quànnə è tìmbə də limónə tu m’assàssə ‘nu scəcaffónə…Nunzio Gallo e Aurelio Fierro cantavano)
Le
ciliegie erano per me quasi labbra baciate di donna innamorata e amata
(“Labbra dal disìo baciate”, come avrei
letto e scoperto più tardi)
E,
poi, via via, fioroni e gelsi e nespole e prugne e fichidindia. Grosse ceste di
uva matura e dolce da scaldare l'anima. “Spórtə”
(panieri stretti e profondi di sottili sarmenti d’ulivo intrecciati), “spərtéddə” (panierini) “scəchəcchəmarùzzuə”
(recipienti piccoli piccoli, per la gioia delle mie manine), di olive verdi e
brune da fare in salamoia o con la calce oppure da far scoppiare nel tegamino o
sotto la cenere e da mangiare col pane fra boccali del tuo ottimo vino e, per
quegli anni, insolite risate.
C’erano
più frutti che fiori allora nella nostra casa a colorare e a profumare i
giorni.
Ma ora ho fatto un salto temporale dovuto alla
memoria che non sempre segue il tempo nella sua cronologia storica. E non
sempre riporta alla coscienza collegamenti di esperienze nel loro susseguirsi
esistenziale. Irrompe così all’improvviso e accende l’occhio di bue su un
volto, strimpella l’assolo di una voce, riempie una strada di ciliegie. Occorre
allora ricucire il prima e il dopo
perché nulla sfugga alla fiaba e alla storia>.
Perché il ritorno di Anna Maria a casa sia una festa nel cortile e tra le stelle.
E mi sembra giusto raccontare ancora,
riproponendo i ricordi tratti dal volume I della trilogia Le piogge e i
ciliegi, il cui III volume è in cantiere da qualche tempo.
<Tu,
nonno dei campi e delle ciliegie, con la tua compagna, nonna di pane e di
focacce e taralli e pasta al forno, rimaneste soli per poco in quella casa
austera, che sorrideva solo alla lama azzurra del cielo sui larghi terrazzi e
le strette vie. Tornammo con mamma e senza babbo, appena alcuni mesi dopo, per
la nascita di una nuova bambina, Anna Maria, che per me fu subito gioia di
occhioni stellati, ma soprattutto rinnovata felicità di stare con te e di
ritrovare angoli di giochi, abitudini di mani e di passi, voci indimenticate. (…)
(Ma,
come sempre accade anche nei grandi cambiamenti epocali, generali e
individuali, in ogni ritorno tutto sembra diverso e tutto si ripropone. Nietzsche
me lo avrebbe insegnato molto più tardi).
Tutto
era già diverso e tutto mi sembrò uguale. Tornai alle mie vecchie abitudini di
volare sognare parlare con le statue giocare alle signore con Lizia inventare
storie con te.
E
anche in paese la gente sembrava ritornare a vivere.
Certo,
avevamo pasticciato con le alleanze durante la guerra, ma il fascismo era stato
spazzato via in un bagno di sangue dagli Alleati e da quella terribile guerra
civile tra fascisti e partigiani che alla fine ci vide tutti sconfitti nella
nostra dignità di esseri umani. Il re aveva abdicato in favore del figlio, ma
anche questo giovane rampollo di casa Savoia, il “re di maggio”, fu obbligato a
scegliere, non senza polemiche e per evitare nuovi lutti, la via dell'esilio,
essendo stata proclamata in Italia la Repubblica con il Referendum del 2 giugno
1946.
Ricordo ancora, come un incubo, la paura che mi sorprese, subdola e infinita, quando tu, mamma, nonna e babbo foste costretti a lasciarci da sole in casa per andare a votare. Avevamo, Lizia e io, cinque e quattro anni appena compiuti. Le donne votavano per la prima volta e non sapevano come fare. Avevano bisogno di voi uomini per farsi coraggio e dare il loro voto. In casa già nei giorni precedenti lievitò una grande nebbia di incertezza e di tensione. L’unico ad avere le idee chiare forse era babbo, chiuso nel laconismo di chi è sopravvissuto all’orrore. E don Mincucciouno, il nostro amico sacerdote, che curava tutte le pratiche burocratiche delle tue proprietà e che vi aveva suggerito più e più volte come votare, dove apporre la firma o la croce (la cròcə sòpə all’alta cròcə), ma voi respiravate perplessità e ingoiavate preoccupazione e dubbi e paure. Nonna Angelina dichiarava che lei non ci capiva niente e che avrebbe preferito non votare tanto avrebbe comunque sbagliato e che, alla fine, “non era col suo voto che si salvava l'Italia”. Mamma si sforzava di mantenere la calma, ma si tagliava a fette il suo timore per qualcosa che le sembrava oscuro e minaccioso per il nostro futuro. Io e Lizia attendemmo impaurite che usciste di casa per quella missione per noi misteriosa, oltre che carica d'insidie. Ricordo che ci stringemmo vicine vicine in attesa del vostro ritorno, aggrappandoci al davanzale della finestra della cucina, dopo essere salite sulle sedie, per guardare attraverso i vetri la strada e i rari frettolosi passanti.
Io e lei, pendoli silenziosi del tempo con il cuore pulsante in tutta
la casa.
Spaventate dai passi che sentivamo pesanti lungo la via e da quelli ancora più minacciosi e vicini che ci assalivano alle spalle, ci ghermivano, c'impedivano di respirare, di parlare, di piangere. Un secolo. Due secoli. Tutto il tempo del silenzio, della paura e dell'angoscia. Poi tornaste e ci sembrò il miracolo atteso per le nostre preghiere soffocate “Angelo di Dio...”.
Mai avevamo tremato tanto. Forse solo quando, stando sempre appollaiate
sulle sedie, dietro i vetri della finestra della cucina, nostro quotidiano
rifugio quando volevamo “guardare fuori”, vedemmo piovere cenere dal cielo.
Tutti in casa si spaventarono. E noi con loro per contagio. Si disse poi che
era stata l’eruzione del Vesuvio. E noi scoprimmo un nuovo fenomeno del tutto
sconosciuto. Io avevo appena due anni, ma quella cenere mi piovve tra la strada
e gli occhi e si fermò nella memoria.
La pioggia di
cenere finì. La paura rimase.
Poi sembrò tutto passato, con gli Alleati che avevano portato nelle stesse case, non più impaurite ma con le finestre spalancate e tanta voglia d’aria nuova, il DDT contro pulci, scarafaggi, pidocchi, mosche e zanzare, un tormento d’insetti che aveva angustiato la tua generazione e sicuramente ancor di più quelle precedenti. Tu ci raccontavi divertito che quando andavate in chiesa era “tutto un grattarsi tra una preghiera e l’altra, tra l’Introito e l’Ite missa est” (jèvənə chiù rə pùrgə e rə pədùcchjə ca rə crəstjànə…)(erano più le pulci e i pidocchi delle persone).
Gli
Alleati portarono anche la cioccolata e l’allegria dei vincitori per quelle
stesse strade, ora attraversate da camionette e biciclette e traini. I
ragazzini sull’uscio delle case a pianterreno guardavano con occhi di
meraviglia e mani veloci cioccolatini e caramelle che piovevano da quelle
camionette con quelle divise assiepate, ora diventate amiche>.
E ci lasciamo con questi ricordi così vivi e palpitanti in questa domenica che li attualizza e mi vede desiderosa di poterli ricordare ad Anna Maria e a tutti noi che siamo qui ad aspettarla… Grazie. Angela/lina
Nessun commento:
Posta un commento