Sono passati alcuni anni dalla pubblicazione della mia ultima raccolta poetica L’ora dell’ombra e della riva (della SECOP Edizioni) ma, rileggendo alcune poesie dedicate al mese di maggio, mi sono accorta che nulla è cambiato in me e nel mondo e che persino la pioggia, il vento, gli improvvisi squarci di sole continuano a rendere questa primavera solo un desiderio, un’attesa, un improvviso ritorno di una quasi estate. E, allora, le ripropongo. Per chi non avesse mai letto il libro. Per chi "sente" che la primavera - che sa già d’estate - prima o poi ritorna. E rende leggero il cuore…
Nata di maggio
Se quel che insistiamo a chiamare
Fato sembra inspiegabile e crudele
È soltanto perché
Manchiamo d’immaginazione
Per desiderare quel che con sé
porta
Per illuminarlo con qualcosa di
più inventivo
Dello sgomento.
(John Burnside)
Nata di
maggio
appartengo ai colori accesi
di papaveri rose tulipani
Profumo di scalpitante
allegria mi arde nelle vene
percuote questo autunno
che cede all’inverno
i tramonti suoi dorati
In abissi di taglienti lame
riafferro il mio arcobaleno
distrutto e
sempre rinasco
- Culla tra le tue mani calde
le mie vili attese del sole
scaccia i miei pensieri di neve
cancella quella ferita rosso fuoco
che soltanto sogna di farsi risata -
(tra ridenti
labbra di fragole e ciliegie)
Ritornano sinfonie di rose blu
C’è come una festa di ali
in questo tiepido pomeriggio
di piena primavera con rose
che tornano a ridere in giardino.
Petali blu franano lungo pareti
trasparenti del vaso sul tavolo.
Dipingono di voli i miei occhi.
Nell’azzurra penombra ricordi
s’affacciano dai sotterranei
della mente in lotta col cuore
- sinfonia d’archi flauti e violini -.
(solo la musica è immortale?)
Volteggiano mezzelune gialle
comprate al mercato delle pulci
sul mio capo di nuvole e sogni
nella camera che ha per cappello
il cielo e una fronte quasi obliqua
che di sole sghimbescio colma
pensieri e cautamente l’infutura.
La bambola di organdis e bisquit
mi guarda preziosa più del ricordo.
Dono di tenere mani, il suo sorriso
di corallo mi consegna un rimpianto.
(solo il ricordo ci rende immortali?)
Guardiana del tempio dell’amore
ho perso il filo del mio starti accanto.
Da lunghe braccia giovani circondata
misuro ormai il mio tempo arreso
dalle loro corse alle attese primavere
avare ora per me di fiori erbe chimere.
“L’amore è nostalgia” decretò Freud
con occhi di nebbia rivolti al passato.
Darei il mio regno di carta stampata
per un (in)canto d’amore a perdifiato
che coniughi il mio tempo all’infinito.
(può l’amore rendere immortali?)
Agli inganni della mente lama affilata
che in opposti macigni taglia il pensiero
- e buone intenzioni e incontri ferisce -
io del cuore salvo le antiche ragioni
di Pascal e il suo esprit de finesse:
rami fioriti di fresca primavera pini
svettanti e fragranze di tiglio e cedro
che imbrigliano ali e le dispiegano.
Non omnis
moriar per noi Orazio cantò.
Se la Parola è monumento aere perennius.
Se Musica Memoria Amore è il VERBO…
(rose blu sinfonia di saggezza e sogno
illusione di preludio all’eternità)
Scroscia a maggio la pioggia
Sono qui seduto su un tappeto
di foglie e fiori di primavera
e il mio silenzio è una preghiera
ed ho con me la coppa e il vino.
(Giuseppe Conte)
S’abbatte sui tetti rossi e i lucernari
(“riccioli rossi” e occhi di cristallo)
un cielo liquido che frana di gocce,
e di terra bagnata e di rose profuma.
Richiamo a gloria di campane l’alba
della domenica, giorno del Signore.
S’infrange di pioggia e cinge il capo
non d’alloro come s’addice ai poeti
ma di mirto e d’uva come vogliono
amore e follia, ebbrezza e sogno
che un giorno m’appartennero
come ago e filo, sonno e cuscino,
fiamma e calore, come ti dissi,
“dorso e palmo della stessa mano”.
(ma la pioggia dilava campane e ricordi)
Il giardino è scintillio di petali d’acqua.
Agli occhi mi dardeggiano,
di rosso e di giallo,
rose tulipani papaveri e fresie
e un canto di foglie di un maggio
che s’affretta a donarmi
un altro anno di tormenti e magie,
di silenzi e frastuoni, di pause e poesie.
Cadono petali di cielo
sul glicine blu innamorato
di trine e ricami agli altari sconsacrati,
che lavano capricciose nuvole
al respiro degli arcobaleni.
E nuove ali ricamano i miei giorni di sole.
Lontano il mondo dei violenti e dei folli,
degli assassini in marcia
per “prendere il potere” ad ogni costo,
e Brecht il denaro e i
bimbi violati
e la bellezza umiliata.
Rumore che assorda, smog che uccide.
Lontano Caino che si finge Abele
e ogni Abele massacrato senza pietà
perché Caino trionfi ancora
ed abbia altari e onori e moltiplichi
i trenta denari di Giuda.
Per vantarsi dell’agnello innocente
sgozzato
e nuovi riti pagani via etere
con foto e video a stordire menti
e rattrappire l’anima, il cuore.
E fingere un niente di sentimenti
in liquida fuga
per negare il limpido candore
delle mani intrecciate.
(la pioggia lava colpe e misfatti
lava ferite e tormenti la pioggia)
Sapeva di pioggia, di gelsi, di rose
e di gatti il mio cortile,
sapeva di sere chiare di stelle,
di fiabe e misteri,
voli d’angeli, riso di cielo.
C’era sempre, nella voce
di mio nonno, una fata buona,
uno gnomo innamorato. E ci fu
un cavaliere gentile e coraggioso
che, in una sera di pioggia, trovato
aveva rifugio nel castello del re
quando con doglie di madre la regina
s’affidò al suo canto per avere un figlio.
Cantò il cavaliere per tutta la notte,
per tutta la notte il cavaliere cantò
purché da bere gli dessero
e da mangiare.
- Piove e lascia piovere
ché al coperto mi
trovo
nient’altro
chiedo per me.
Il mio cavallo s’asciuga.
Signore un bel
bambino dai
alla regina e al
potente mio re… -
All’alba di sole e pianto di bimbo
lo videro felice sul suo bianco destriero
lo videro correre con occhi di sogno
tuffati nel suo cielo arcobaleno,
grande quanto grande il suo cuore
bambino…
(ritornano di pioggia e di vento
le sue magiche parole che sotto
il piombo di giorni di sgomento
raccolgo in un canto d’amore
e del sogno che non può
morire).
Non so
vivere
non so vivere
come quelli che non nacquero mai
che vanno ad occhi spenti per il mondo
- avide
mani tra oggetti impolverati
carezzano
denaro schiaffeggiano vento -
Non so nutrirmi di ideologie
vesti desuete e disperate
che fingono bandiere multicolori
e ignorano sorrisi
in assalto contro nuovi lidi
- tormento
di molteplici verità
alla ferocia
del pensiero unico -
Amo l’idea nastro colorato controvento
libera io di essere libera
su bianche vele lontane dalla rada
Nella pratica delle ore quotidiane
non so stabilire record di perfezione
in giro per la casa o per le strade
fingendo una sicurezza di mete
e destinazioni colme di sgomento
Aliena come rondine d’inverno
stellata gemma di neve a primavera
mi manca il senso finito delle cose
Mi sfuggono opportunità e circostanza
Mi spaurano rabbia e indifferenza
la volontà di uccidere ad ogni alba
- bagliori
di coltelli affilati nel buio
di livide notti
insonni ed assassine -
Mi trafigge il vuoto d’inutili parole
aggrappate a silenzi che non so capire
dove mai s’incontrano navi da crociera
solo rapaci galeoni di feroci pirati
al canto di certezze addormentate
Io nacqui alle otto di una sera
che sfogliava petali di rose
per farne farfalle profumate
in un campo di ciliegi e melograni
- tra
papaveri da scoppiare tra le dita
scrivevo i
miei ti amo ad un amore
volto di
sole e un buco dentro il cuore
-
Io nacqui con negli occhi gli aquiloni
a conquistare un cielo di turchesi
barchette di carta al gioco dei bambini
in un altrove che mi strania e mi cattura
Ma ho versato lacrime di sale
per ogni veliero sparito in fondo al mare
Però nacqui e non m’importa dovecome
se non so vivere come gli altri sanno
se non dormo sull’altrui dolore
se dentro mi vola un gabbiano
sotterraneo sogno di giorni delusi
tra ragnatele di anni sempre uguali
e scuse banali per non sapere amare
Io nacqui sotto feroci bombe nel cielo
ma contai sempre i passi delle stelle
ad ogni rombo che mi franava il cuore
Però nacqui e più non m’importa
se una ferita lunga è questo amore
da ricucire con cento fili di seta
su corazze di ferro arrugginito
(... e fingersi un sogno in differita
per non rimpiangere
di non essere mai
nata...)
Amo
Il cuore vola
Dove la mente non sa
neppure camminare
(Colette Haddad)
Amo le epifanie di giorni come questi
quando è sorpresa e dono il tuo nome
ai cancelli dischiusi ad ogni attesa
Amo i treni che improvvisi ritornano
e hanno fasci di rose ai finestrini
e un fischio lungo che promette
un arrivo senza più partenze
Amo il trillo di un telefono muto
tenero pensiero o stupido errore
Viene nella mia casa senza canto
a darmi ad un tratto compagnia
e mi trova opaca luna solitaria
inutile come sogno dimenticato
Ferita dalla luce del nuovo giorno
(colori accesi e notte cancellata)
l’insonnia mi fa vivere due volte
e mi regala sempre qualche verso
tra labbra d’arsenico e coralli
perché io non muoia mai del tutto
Amo la notte accesa che mi riporta
insane insonnie di menta e cioccolato
quando negli occhi anticipi racconti
di fughe abbandoni che non vuoi dire
e che io fingo di non aver letto ancora
e i lunghi silenzi che non voglio capire
Cronaca d’inganni ogni altro da noi
che non osiamo più ricordare
quando in fiore era quel sentiero
lungo il muro perduto e straniero
che rare pagine di diario dipinse
strappate a pezzi e poi dimenticate
nello scrigno del tempo abbandonato
Amo la libertà del mare il suo mistero
quando i velieri dei giorni prigionieri
lasciano la rada per navigare a vista
in tumultuose acque di terre lontane
straniere agli smarginati scogli di sale
tra ormeggi di vino e onde di gabbiani
Amo fanfare e bande di paese la danza
l’orchestra i tamburi i fuochi tra le stelle
feste del patrono da spiare dentro casa
le luminarie i gelati e di Sicilia le cassate
e palloncini e aquiloni e zucchero filato
lucciole e lampare quadri da guardare
I mercatini le cianfrusaglie le bancarelle
fiori tra i capelli e souvenir da inondare
le stanze gli angoli mensole scale e muri
su cui disegnare mille poesie d’amore
Poi fermagli spille e carabattole e anelli
foulard sciarpe colorate cappelli d’estate
carte e libri e musica e canzoni dell’addio
(leggere e leggere e poi intrecciare parole)
Amo poi la tua maschera apotropaica
che sul viso dissimula misteri e sortilegi
di gatti randagi cani fedeli e ore ballerine
Recide abbracci e cela oscuri volti di verità
(la mia? la tua?)
Spergiuro specchio di triste afasia la terza
verità ancora tutta da ascoltareconfessare
(e… io amo le bugie)
Oltre un maggio di rose
(3-4 giugno 2013 - cinque anni dopo)
Il maggio di rose si sfinisce
in un giugno di pioggia
che mi rema contro
alla conta degli anni passati
nel reiterato ricordo
delle tue impronte nella casa
vuota di parole e di silenzi
E c’è ancora un rovesciarsi di luna
all’assalto di tetti addormentati
e una furia di vento a scompigliare
i rami intricati della notte
E c’è ancora la mia insonnia accesa
di mille perché e non una risposta
Tutto si ripropone nel tempo
e tutto si rinnova e si perde
in questo giorno foriero di presagi
e di attimi aggrovigliati
di senso oscuri
domani sarà un giorno lungo
da scrivere sul mio calendario
sui tuoi giorni ormai spenti altro
anno attraverserà forse il mio cielo
(forse… anche… la pioggia… domani…)
E basta così, per ritrovarci in poesia con poesia. Alla prossima. Angela/Lina
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