sabato 18 maggio 2024

Sabato 18 maggio 2024: Poesie di maggio di Angela De Leo... così... per ritrovarci nella Poesia con Poesia...

Sono passati alcuni anni dalla pubblicazione della mia ultima raccolta poetica L’ora dell’ombra e della riva (della SECOP Edizioni) ma, rileggendo alcune poesie dedicate al mese di maggio, mi sono accorta che nulla è cambiato in me e nel mondo e che persino la pioggia, il vento, gli improvvisi squarci di sole continuano a rendere questa primavera solo un desiderio, un’attesa, un improvviso ritorno di una quasi estate. E, allora, le ripropongo. Per chi non avesse mai letto il libro. Per chi "sente" che la primavera - che sa già d’estate - prima o poi ritorna. E rende leggero il cuore…

Nata di maggio                     

 

Se quel che insistiamo a chiamare  

Fato sembra inspiegabile e crudele

È soltanto perché

Manchiamo d’immaginazione

Per desiderare quel che con sé porta

Per illuminarlo con qualcosa di più inventivo

Dello sgomento.

                          (John Burnside)                                                                

 

Nata di maggio
appartengo ai colori accesi
di papaveri rose tulipani
Profumo di scalpitante
allegria mi arde nelle vene
percuote questo autunno
che cede all’inverno
i tramonti suoi dorati
In abissi di taglienti lame
riafferro il mio arcobaleno

distrutto e sempre rinasco            

- Culla tra le tue mani calde                                                          

le mie vili attese del sole
scaccia i miei pensieri di neve

cancella quella ferita rosso fuoco

che soltanto sogna di farsi risata -

 

(tra ridenti labbra di fragole e ciliegie)

 

Ritornano sinfonie di rose blu

C’è come una festa di ali

in questo tiepido pomeriggio

di piena primavera con rose

che tornano a ridere in giardino.

Petali blu franano lungo pareti

trasparenti del vaso sul tavolo.

Dipingono di voli i miei occhi.

Nell’azzurra penombra ricordi

s’affacciano dai sotterranei

della mente in lotta col cuore

- sinfonia d’archi flauti e violini -.

(solo la musica è immortale?)

Volteggiano mezzelune gialle

comprate al mercato delle pulci

sul mio capo di nuvole e sogni

nella camera che ha per cappello

il cielo e una fronte quasi obliqua

che di sole sghimbescio colma

pensieri e cautamente l’infutura.

La bambola di organdis e bisquit

mi guarda preziosa più del ricordo.

Dono di tenere mani, il suo sorriso

di corallo mi consegna un rimpianto.

(solo il ricordo ci rende immortali?)

Guardiana del tempio dell’amore

ho perso il filo del mio starti accanto.

Da lunghe braccia giovani circondata

misuro ormai il mio tempo arreso

dalle loro corse alle attese primavere

avare ora per me di fiori erbe chimere.

“L’amore è nostalgia” decretò Freud

con occhi di nebbia rivolti al passato.

Darei il mio regno di carta stampata

per un (in)canto d’amore a perdifiato

che coniughi il mio tempo all’infinito.

(può l’amore rendere immortali?)

Agli inganni della mente lama affilata

che in opposti macigni taglia il pensiero

- e buone intenzioni e incontri ferisce -

io del cuore salvo le antiche ragioni

di Pascal e il suo esprit de finesse:

rami fioriti di fresca primavera pini

svettanti e fragranze di tiglio e cedro

che imbrigliano ali e le dispiegano.

Non omnis moriar per noi Orazio cantò.

Se la Parola è monumento aere perennius.

Se Musica Memoria Amore è il VERBO…

(rose blu sinfonia di saggezza e sogno

   illusione di preludio all’eternità)

 

 

Scroscia a maggio la pioggia                                                                         

Sono qui seduto su un tappeto

di foglie e fiori di primavera

e il mio silenzio è una preghiera

ed ho con me la coppa e il vino.

                               (Giuseppe Conte)

S’abbatte sui tetti rossi e i lucernari

(“riccioli rossi” e occhi di cristallo)

un cielo liquido che frana di gocce,

e di terra bagnata e di rose profuma.

Richiamo a gloria di campane l’alba

della domenica, giorno del Signore.

S’infrange di pioggia e cinge il capo

non d’alloro come s’addice ai poeti

ma di mirto e d’uva come vogliono

amore e follia, ebbrezza e sogno

che un giorno m’appartennero

come ago e filo, sonno e cuscino,

fiamma e calore, come ti dissi,

“dorso e palmo della stessa mano”.

(ma la pioggia dilava campane e ricordi)

Il giardino è scintillio di petali d’acqua.

Agli occhi mi dardeggiano,

di rosso e di giallo,

rose tulipani papaveri e fresie

e un canto di foglie di un maggio

che s’affretta a donarmi

un altro anno di tormenti e magie,

di silenzi e frastuoni, di pause e poesie.

Cadono petali di cielo

sul glicine blu innamorato

di trine e ricami agli altari sconsacrati,

che lavano capricciose nuvole

al respiro degli arcobaleni.

E nuove ali ricamano i miei giorni di sole.

Lontano il mondo dei violenti e dei folli,

degli assassini in marcia

per “prendere il potere” ad ogni costo,

 e Brecht il denaro e i bimbi violati

e la bellezza umiliata.

Rumore che assorda, smog che uccide.

Lontano Caino che si finge Abele

e ogni Abele massacrato senza pietà

perché Caino trionfi ancora

ed abbia altari e onori e moltiplichi

i trenta denari di Giuda.

Per vantarsi dell’agnello innocente

sgozzato

e nuovi riti pagani via etere

con foto e video a stordire menti

e rattrappire l’anima, il cuore.

E fingere un niente di sentimenti

in liquida fuga

per negare il limpido candore

delle mani intrecciate.

(la pioggia lava colpe e misfatti

lava ferite e tormenti la pioggia)

Sapeva di pioggia, di gelsi, di rose

e di gatti il mio cortile,

sapeva di sere chiare di stelle,

di fiabe e misteri,

voli d’angeli, riso di cielo.

C’era sempre, nella voce

di mio nonno, una fata buona,

uno gnomo innamorato. E ci fu

un cavaliere gentile e coraggioso

che, in una sera di pioggia, trovato

aveva rifugio nel castello del re

quando con doglie di madre la regina

s’affidò al suo canto per avere un figlio.

Cantò il cavaliere per tutta la notte,

per tutta la notte il cavaliere cantò

purché da bere gli dessero

e da mangiare.

- Piove e lascia piovere

ché al coperto mi trovo

nient’altro chiedo per me.

Il mio cavallo s’asciuga.

Signore un bel bambino dai

alla regina e al potente mio re… -

All’alba di sole e pianto di bimbo

lo videro felice sul suo bianco destriero

lo videro correre con occhi di sogno

tuffati nel suo cielo arcobaleno,

grande quanto grande il suo cuore

bambino…

(ritornano di pioggia e di vento

le sue magiche parole che sotto

il piombo di giorni di sgomento

raccolgo in un canto d’amore

 e del sogno che non può morire).

 

Non so vivere

non so vivere

come quelli che non nacquero mai

che vanno ad occhi spenti per il mondo

- avide mani tra oggetti impolverati

carezzano denaro schiaffeggiano vento -

Non so nutrirmi di ideologie

vesti desuete e disperate

che fingono bandiere multicolori

e ignorano sorrisi

in assalto contro nuovi lidi

- tormento di molteplici verità

alla ferocia del pensiero unico -

Amo l’idea nastro colorato controvento

libera io di essere libera

su bianche vele lontane dalla rada

Nella pratica delle ore quotidiane

non so stabilire record di perfezione

in giro per la casa o per le strade

fingendo una sicurezza di mete

e destinazioni colme di sgomento

Aliena come rondine d’inverno

stellata gemma di neve a primavera

mi manca il senso finito delle cose

Mi sfuggono opportunità e circostanza

Mi spaurano rabbia e indifferenza

la volontà di uccidere ad ogni alba

- bagliori di coltelli affilati nel buio

di livide notti insonni ed assassine -

Mi trafigge il vuoto d’inutili parole

aggrappate a silenzi che non so capire

dove mai s’incontrano navi da crociera

solo rapaci galeoni di feroci pirati

al canto di certezze addormentate

 

Io nacqui alle otto di una sera

che sfogliava petali di rose

per farne farfalle profumate

in un campo di ciliegi e melograni

- tra papaveri da scoppiare tra le dita

scrivevo i miei ti amo ad un amore

volto di sole e un buco dentro il cuore -

Io nacqui con negli occhi gli aquiloni

a conquistare un cielo di turchesi

barchette di carta al gioco dei bambini

in un altrove che mi strania e mi cattura

Ma ho versato lacrime di sale

per ogni veliero sparito in fondo al mare

Però nacqui e non m’importa dovecome

se non so vivere come gli altri sanno

se non dormo sull’altrui dolore

se dentro mi vola un gabbiano

sotterraneo sogno di giorni delusi

tra ragnatele di anni sempre uguali

e scuse banali per non sapere amare

Io nacqui sotto feroci bombe nel cielo

ma contai sempre i passi delle stelle

ad ogni rombo che mi franava il cuore

Però nacqui e più non m’importa

se una ferita lunga è questo amore

da ricucire con cento fili di seta

su corazze di ferro arrugginito

(... e fingersi un sogno in differita

                per non rimpiangere

                       di non essere mai nata...)

 

Amo                                                                            

Il cuore vola

Dove la mente non sa

neppure camminare

                     (Colette Haddad)

 

Amo le epifanie di giorni come questi

quando è sorpresa e dono il tuo nome

ai cancelli dischiusi ad ogni attesa

 

Amo i treni che improvvisi ritornano

e hanno fasci di rose ai finestrini

e un fischio lungo che promette

un arrivo senza più partenze

 

Amo il trillo di un telefono muto

tenero pensiero o stupido errore

Viene nella mia casa senza canto

a darmi ad un tratto compagnia

e mi trova opaca luna solitaria

inutile come sogno dimenticato

Ferita dalla luce del nuovo giorno

(colori accesi e notte cancellata)

l’insonnia mi fa vivere due volte

e mi regala sempre qualche verso

tra labbra d’arsenico e coralli

perché io non muoia mai del tutto

 

Amo la notte accesa che mi riporta

insane insonnie di menta e cioccolato

quando negli occhi anticipi racconti

di fughe abbandoni che non vuoi dire

e che io fingo di non aver letto ancora

e i lunghi silenzi che non voglio capire

Cronaca d’inganni ogni altro da noi

che non osiamo più ricordare

quando in fiore era quel sentiero

lungo il muro perduto e straniero

che rare pagine di diario dipinse

strappate a pezzi e poi dimenticate

nello scrigno del tempo abbandonato

 

Amo la libertà del mare il suo mistero

quando i velieri dei giorni prigionieri

lasciano la rada per navigare a vista

in tumultuose acque di terre lontane

straniere agli smarginati scogli di sale

tra ormeggi di vino e onde di gabbiani 

 

Amo fanfare e bande di paese la danza

l’orchestra i tamburi i fuochi tra le stelle

feste del patrono da spiare dentro casa

le luminarie i gelati e di Sicilia le cassate

e palloncini e aquiloni e zucchero filato

 lucciole e lampare quadri da guardare

I mercatini le cianfrusaglie le bancarelle

fiori tra i capelli e souvenir da inondare

le stanze gli angoli mensole scale e muri

su cui disegnare mille poesie d’amore

Poi fermagli spille e carabattole e anelli

foulard sciarpe colorate cappelli d’estate

carte e libri e musica e canzoni dell’addio

(leggere e leggere e poi intrecciare parole)

 

Amo poi la tua maschera apotropaica

che sul viso dissimula misteri e sortilegi

di gatti randagi cani fedeli e ore ballerine

Recide abbracci e cela oscuri volti di verità

                  (la mia? la tua?)

Spergiuro specchio di triste afasia la terza

verità ancora tutta da ascoltareconfessare

                  (e… io amo le bugie)

 

Oltre un maggio di rose

(3-4 giugno 2013 - cinque anni dopo)

Il maggio di rose si sfinisce

in un giugno di pioggia

che mi rema contro

alla conta degli anni passati

nel reiterato ricordo

delle tue impronte nella casa

vuota di parole e di silenzi

E c’è ancora un rovesciarsi di luna

all’assalto di tetti addormentati

e una furia di vento a scompigliare

i rami intricati della notte

E c’è ancora la mia insonnia accesa

di mille perché e non una risposta

Tutto si ripropone nel tempo

e tutto si rinnova e si perde

in questo giorno foriero di presagi

e di attimi aggrovigliati  

         di senso oscuri

 

domani sarà un giorno lungo

da scrivere sul mio calendario

sui tuoi giorni ormai spenti altro

anno attraverserà forse il mio cielo

(forse… anche… la pioggia… domani…)

E basta così, per ritrovarci in poesia con poesia. Alla prossima. Angela/Lina 

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