Da Sud…ario poesie (in dialetto e in italiano) di Vincenzo Mastropirro su suggestive Immagini di grafica di Giuseppe Fiorello, detto U’Dsignator. Quasi un poema di quindici nenie funebri che si snoda lungo le 14 stazioni della Via Crucis, dal Getsemani al Golgota, in una riproposizione in chiave contemporanea delle terribili tribolazioni di Cristo prima di morire sulla Croce. E l’immagine di copertina ne definisce, con nocche al fazzoletto per non dimenticare, la triste verità del nostro tradimento verso l’enorme rinuncia di Dio alla sua Onnipotenza per Amore dell’umanità. E con gocce di sangue da raccogliere, perché non se ne disperda il senso e il significato fino ai nostri giorni e oltre. Valga questa nenia per tutte:
“Il
dolore”: Si muore di crepacuore/ se il
dolore ti scoppia nel petto.// Se il dolore si chiama figlio/ Figghjemèje figliomio/ il cuore scoppia davvero.// Così sono morti/ padri e madri
che hanno occhi/ inzuppati di lacrime, sangue e bestemmie.// Si riconoscono da
come ti guardano.// Guardano a terra e abitano il niente/ guardano il virgulto
e aspettano pazienti/ aspettano che cresca lentamente per poi diventare albero/
senza sapere che sotto ci sono radici secche/ senza sapere che quei virgulti
nascono morti per sempre.
E le anafore e le allitterazioni creano un
ritmo incalzante e martellante quasi a inchiodarci al ricordo della Potenza e
dell’Amore di Cristo. Al suo miracolo. Non così è la stazione del dolore. Qui non
c’è miracolo che tenga. La perdita di un figlio è il dolore più straziante e
inarrestabile nella sua infinita durata nel tempo. E il cuore scoppia
veramente. E i poveri genitori, morti con il figlio, si riconoscono per lo
sguardo spento nel “niente” che è meno di un vuoto. Solo le lacrime, il sangue
e le bestemmie sono vivi per sempre. È lo stesso dolore di Dio e della Vergine
Addolorata per quel Figlio ingannato, tradito, martoriato, ucciso? Non tutti si
direbbero d’accordo. Ma il mistero della morte supera ogni umana comprensione e
il dolore si rifugia nella preghiera o nella imprecazione per
restituirsi/restituirci alla vita. Il dolore si fa spine, si fa solitudine, si
fa sangue vivo che scorre. E non c’è partecipazione, non c’è comprensione, non
c’è pietà nel cuore impietrito del nostro tempo, abitato da pensieri vuoti,
dove non alberga il senso profondo della vita, dove non si scorge lo squarcio
azzurro di un cielo rabberciato di pietà e di fratellanza. Solo la corona di
spine, conficcata su quel capo sanguinante e umiliato, conosce il dolore umano
di quell’Uomo divino, ad espiare da solo i mali dell’intera umanità. (a.d.l.)
Fanno
da eco al libro di Vincenzo Mastropirro e Giuseppe Fiorello le Meditazioni Poetiche della Via Crucis di
Enzo Quarto su Tavole in terracotta di grande intensità e suggestione ad opera di Vito Zaza.
Il pianto non può essere/ solo dolore/
inutile/ inconcludente./ Il pianto deve generare/ Pace,/ che sia utero/ che
genera / amore./ Le pie donne piangono/ affrante/ da tanta violenza/ ma la
violenza del mondo/ non ha fine/ si autogenera./ Ecco, dunque,/ la
responsabilità:/ la gestazione di nuova vita/ il compito del ricominciare/ il
pianto gravido/ che diventa/ sorgente.
Ancora
una volta il dolore. Inevitabile in questi giorni di lacrime a ricordare un
dolore antico di oltre duemila anni e sempre attuale. Oggi più che mai in un
mondo, il nostro, fatto di nuova violenza e di spietato egoismo o colpevole
indifferenza, mentre la nostra anima anela alla Pace, quale “utero che genera
amore”. Che diventa “sorgente” di vita, di ri-nascita e di Perdono nel segno
della Croce.
Stupenda
la formella di terracotta con i “segni” visibili del dolore e del perdono. Un dolore
che è della Madre trafitta, un pianto che è consolazione di braccia serrate
nell’abbraccio del cuore, salvifico anche per lo scultore che quel dolore
duplicato gli ha scorticato pelle cuore anima fino alla rivincita dell’abbraccio
di Cristo, del tutto umano, nella sua immensa sofferenza, e del tutto divino,
nel suo immenso Amore. (a.d.l.)
E,
per stemperare la tensione che tanto pianto procura, ecco i “pensieri” di Raffaella Leone per vivere il “terzo
giorno” con la fiducia che la Fede autentica genera al contatto con lo sguardo
fiorito di pesco dei suoi alunni, a cui i versi sono dedicati: Pensa se i rami d’ulivo/ all’alba del terzo
giorno/ si tingessero/ d’arcobaleno/
Pensa se la terra muta/ all’alba del terzo giorno/ profumasse/ di parole nuove/
Pensa se le nuvole del cielo/ all’alba del terzo giorno/ si sparpagliassero/
come petali rosa di pesco/ Pensa se l’odio del cuore/ all’alba del terzo
giorno/ cantasse/ un GLORIA d’amore/ Risorgerebbe la/ Vita/ Rosa svettante tra spine/ nell’aria
nuova/ colorata di/ Pace/
sarebbe/ Pasqua, Signore.
Lievità,
leggerezza, colore, speranza cantano nei versi di Raffaella Leone che non perde
mai la fiducia nell’umanità e la gioia di immergersi con Amore negli occhi bambini
che attendono i suoi occhi per crescere e scoprire una nuova primavera che
sempre ritorna con altri fili d’erba per intrecciare insieme panieri di
Speranza, mentre l’arcobaleno sorride alto nel cielo… (a.d.l.).
“LA
PASQUA DELLA MIA INFANZIA” di Luigi
Lafranceschina: Obbligo di digiuno/ E
si faceva peccato mangiare carne/ Durante la Settimana Santa/ E dal giovedì
mute le campane/ E a battere il tempo per le strade/ il sagrestano con le
raganelle./ La sera dopo la Messa dell’Ultima Cena/ Mano a mano di mia
madre/Digrignando i gangali per il freddo/ In sette chiese si doveva andare/ A
visitare i sepolcri del Signore/ E a mezzanotte del sabato/ in Cattedrale per
la Resurrezione./ Ma io non vedevo l’ora/ Che arrivasse la domenica/ Per il
pranzo e i dolci di Pasqua./ Famiglia allargata quel giorno/ Tutti riuniti in
casa dei nonni/ E tra figli nipoti più di trenta./ Lunga la tavola della festa/
e sopra due o tre tovaglie/ E penuria di piatti e sedie/ E qualcuno mangiava in
piedi!/ Nonno Francesco bicchiere in mano/ Ogni tanto faceva un brindisi/ E si
metteva a cantare./ Dopo il Benedetto a fine pranzo/ Uova sode colorate e le
scarcelle/ E per ricordare la festa/ Tutti in posa per una foto./ Poi siesta
attorno al camino/ A parlare della raccolta dell’anno/ E quando il sole
tramontava/ Una preghiera di ringraziamento/ E tutti a casa finita era la
festa!
È
l’incanto dei ricordi che accomuna tutti quelli che come noi hanno vissuto la
stessa infanzia, gli stessi riti, le stesse tavolate dai nonni col Benedetto e
le scarcelle e tanto buon vino con brindisi alla salute e lacrime di commozione
nei loro occhi. E “una preghiera di ringraziamento” a sottolineare una Fede genuina
e semplice che ha illuminato anche i giorni bui di un tempo ricco di mille
incognite. (a.d.l.).
Rita Bonetti: C’è un’unica
finestra/ illuminata tra le tante/ nella tregua breve/ della mezza luce/ la
prima luce di una stella/ stravaccata verso il buio/ scintilla come un calice
alzato/ e tutto diventa un niente/ che si apre alla luce/ una preghiera
spezzata/ nella voce dell’universo
Che
bella questa finestra che guarda al cielo e conta le stelle nel primo buio
della sera. Il “calice alzato” scintilla di luce nel mistero dell’universo e si
fa silenziosa preghiera. (a.d.l.).
Antonella Coletti: Fiorisce
ancora la luce/ argentea sull’olivo./ La luce lo respira,/ e lo accarezza/
ancora./ Ma la sua linfa/ lentamente si prosciuga./ Eppure sembra/ ancora così
bello/ e vigoroso e ampio!/ Pare che si espanda verso il cielo/ e ne raccolga
Pace./ Ancora quell’ulivo mi dà serenità/ come un Cristo che risorge/ dalla sua
umanità ferita/ e sulla croce/ la denuda.
L’ulivo
è un rifugio di serenità. È simbolo di Bellezza, Resistenza, Pace. Come “un
Cristo che risorge dalla sua umanità ferita”. Splendida visione di un Dio
fattosi Uomo per incontrare lo sguardo dell’uomo e salvarlo da ogni perdizione
(a.d.l.).
“La
notte del venerdì” di Maria Addamiano:
Lucine di ceri/ s’innalzano
/ nell’immensità/ alta / Con le stelle / tremolio d’argento/ assicurano /
Mistica aria nell’aria / brivido
e devozione in ogni casa/ attesa in
ogni via / Magia è il buio /
nel Borgo: / a tratti la luna
misteriosa/ scorre veloce / dietro stracci di nuvole./ Bianca, irreale luce /
nella chiesetta / fervente di
preparativi/ come per sposa / in uscita da casa paterna./ In silenzio devoto /
il batticuore / dei portatori,
i mazzieri…/ Raccolta la confraternita./
Armonia di sguardi: / i piedi
del Cristo Morto/ inondano d’amore/ la notte del venerdì / in una esplosione di emozioni.
Atmosfera
di intensa suggestione la notte del venerdì santo sotto un “tremolio d’argento”
che “le stelle assicurano” per creare mistero e magia per le vie del “Borgo”. E
i confratelli in preghiera ai “piedi del Cristo Morto” sono inondati da tanto
amore e da “una esplosione di emozioni”. L’umanità lascia ancora ben sperare
nella Resurrezione non soltanto di Cristo dal sepolcro… E sarà alba di un nuovo
giorno per tutti (a.d.l.).
Angela De Leo: Un
giorno scoprii Dio negli occhi di un bambino e Lo trovai finalmente «buono».
Ero in pullman, mi girai e mi persi nel fulgore dei suoi capelli biondi e dei
suoi occhioni neri e delle sue guance di pesca baciate dal sole. Un raggio lo
illuminava tutto. Si può incontrare Dio anche su di un pullman o la poesia. Da
quel giorno vado sempre con lo sguardo attento, in attesa del miracolo. I
miracoli esistono per chi li sa inventare o per chi li sa riconoscere? Un bimbo
è un miracolo. Come la vita. Come la poesia. Dio è miracolo. Bisogna
inventarselo o soltanto riconoscerlo? E oggi è Sabato Santo. Dio è silenzio e
preghiera. Ognuno, anche se non ci crede, Lo sente come attesa di un miracolo
nel cuore, soprattutto se per strada ha perso tanto cuore. Ma il miracolo
dell’uomo è saperlo ritrovare dentro di sé sempre intatto ad ogni miracolo.
Basta un bimbo. Un ritorno. Il ricordo. E domani è giorno di Resurrezione. Giorno
di Rinascita e Perdono. Una Speranza che ancora ci sorprende e ci salva.
Buona Pasqua a tutti!
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