Come promesso, oggi torniamo a parlare di Poesia, ma non come necessità di “sintonia” culturale e poetica. Come faremo con gradualità e accortezza, perché possono nascere equivoci. Ma, come preludio a tutto questo, ritengo che sia “la significazione del linguaggio poetico”. E la "significazione" è molto di più del significato: è più dinamica perché sottintende un'azione che abbraccia tempo e spazio e va oltre (in senso orizzontale, verticale, obliquo, compresa la sua profondità). Al di là del “pensiero poetico” di alcuni “grandi” (filosofi, scrittori, poeti), a livello mondiale, su che cosa possa essere la poesia, è bene dare anche una sorta di “definizione oggettiva” del linguaggio poetico per evitare errori: Il testo poetico condensa in sé un’enorme ricchezza di “sensi”. I sensi della poesia, quand’è veramente tale, sono talmente legati alla struttura del testo da non poter essere trasmessi o compresi fuori di essa. Si può dire insomma che “ripetendo una poesia nel linguaggio comune distruggiamo la poesia” (Cfr. J. M. Lotman, linguista semiotico russo: La struttura del testo poetico, Milano 1972), al punto da compromettere, e talvolta da rendere impossibile, la trasmissione dei significati. Di conseguenza, la versione in prosa (parafrasi) può diventare davvero un grosso rischio. O, peggio, fare il commento acritico di una poesia. Assolutamente impossibile fare la famigerata analisi grammaticale, logica o sintattica di un testo poetico. Così si uccide davvero la poesia!
Una poesia, infatti, è composta
di parole che si legano tra loro secondo diversi sistemi di rapporti ben più
complessi di quelli del discorso comune, e ciò fa sì che uno stesso testo
assuma contemporaneamente più significati. Il “discorso comune” ha un carattere
di “transitività” (dalle parole rimanda ai significati), mentre quello poetico
è definibile come “autoriflessivo” proprio perché si offre a molteplici
interpretazioni, essendo come avvolto in sé stesso; dunque, è per sua natura
ambiguo: i suoi significati sono soprattutto suggeriti e sottintesi, assumono
strutture complesse, spesso volutamente imprecise. Una poesia non dice, non
definisce mai, non dimostra: accenna, allude, propone, crea suggestioni,
concentra in sé molteplici intuizioni. Inoltre, il discorso comune si svolge
generalmente in un’unica direzione che procede con regolarità dalla prima
all’ultima riga (ciò che viene detto dipende da ciò che precede e condiziona
ciò che segue fino all’ultimo segmento di frase). I significati del discorso
comune si organizzano, pertanto, secondo una progressione che si proietta
sempre in avanti. Al
contrario, nella poesia il senso invece di progredire ritorna su sé stesso con
una sorta di movimento “oscillatorio”, avanza e ritorna indietro; i versi si
susseguono non secondo un ordine logico, ma creando continue espansioni
semantiche che si dilatano all’indietro in modo da dover/poter reinterpretare
con una diversa angolatura ciò che si riteneva di aver compreso in una prima
lettura. Nella
poesia, dunque, la progressione dei sensi non è più proiettata in avanti, come
nel discorso comune, ma si orienta ciclicamente con un ripetuto ritorno su sé
stesso. In pratica, necessita di "ascolto" del "ritmo interiore" (Cfr. Stefano Agosti, linguista, semiologo, psicanalista: Il testo poetico 1972).
Interpretare una poesia
significa, allora, oscillare tra una comprensione globale e la focalizzazione
di un particolare, per ritornare a cogliere qualche struttura trascurata in un
primo approccio, e per rifermarsi di nuovo su altri aspetti particolari in un
ripetuto procedimento ciclico-spirale. Insomma, l’interpretazione di una poesia
richiede di non trascurare alcun elemento: dalle scelte lessicali
(importantissime) al tipo di verso (regolare, odeporico, scazonte…), alla
disposizione non casuale di un aggettivo, di un verbo, di un sostantivo prima o
dopo (es: è “un grande amore” risulta riduttivo rispetto a “è un amore grande”),
alla punteggiatura usata oppure omessa… Risulta di particolare valore il fatto che, in
questo succedersi di continui “aggiustamenti” interpretativi, entrano in gioco
anche elementi non linguistici: i caratteri, lo spazio utilizzato, la
collocazione del verso all’interno della pagina, e così via. Anche questi
elementi hanno un significato che possono modificare una prima interpretazione
testuale. Si passa, pertanto, dalla “significazione” di base all’analisi
attenta del valore polisemico di un termine o di una espressione, dal
suono/senso/significato delle parole ordinate appunto in una certa successione (che
può banalizzare o rendere altamente poetico un testo), alle eventuali rime o
scelte ritmiche…
ll risultato è la “significazione” più profonda della poesia.
Quest’ultima, dunque, è “il regno della polisemia e dell’ambiguità”.
(Cfr. Serafino Ghiselli, linguista, filosofo, pedagogista: Il filo delle parole, Unilibro 1985).
Una poesia, infine, è un particolarissimo atto linguistico che può considerarsi compiuto in sé stesso e nelle forme che può assumere, senza finalità pratiche particolari. (libera rielaborazione di alcuni testi di Lotman, Ghiselli, Agosti).
E mi piace pure definire, anche se sono chiari ai più, cioè agli “addetti ai lavori”:
ALCUNI ELEMENTI CONNOTANTI IL LINGUAGGIO POETICO
… strappi cartoni di paure
raccogli sassi
semi del visibile
schegge di sale
nobile cristallo
l’esercizio dilaga col suo fascino ambivalente
tra le pieghe del riascolto
che sa di restauro…
(Elio Filippo
Accrocca, “Parole scippate al silenzio”, in Lo
sdraiato di pietra, 1991)
Sono bellissimi,
misteriosi versi di una poesia, molto più lunga e molto intensa, sull’atto di
scrivere in forma poetica, utilizzando tutte le possibili forme in riferimento
a tecniche di scrittura specifica e alle figure retoriche, che di solito si possono
utilizzare per “fare poesia”.
È importante, a questo
punto, focalizzare tutti gli elementi che connotano il linguaggio poetico e le
principali figure retoriche per imparare a servircene opportunamente con
discernimento e sapientia cordis. Per
cui mi sembra il caso di approfondire la struttura, le forme e gli elementi
propri del “codice poetico”:
-
È un discorso in versi: “le parole sono disposte secondo
segmenti di diversa misura”, che possono raggrupparsi in differenti modi. I
versi si alternano agli spazi bianchi, che Paul Èluard definisce “margini di
silenzio”, molto significativi per comprendere la struttura di una poesia e
molto altro (le parole non dette, il senso oltre le parole dette, lo slargarsi
dell’ultima parola verso orizzonti più ampi, il ritmo proprio di una poesia, la
sua musicalità…).
-
La
stessa denominazione di una certa poesia molto musicale, la poesia lirica, deriva dallo strumento musicale
a corde con cui gli antichi cantori si accompagnavano recitando i loro versi
(origini orali della poesia).
-
In un testo poetico nulla è casuale: il gioco linguistico della
disposizione delle parole per dare loro un ritmo, una musicalità, una sorta di
melodia è strettamente legato al significato che si vuol dare al componimento
poetico e al suo significante. Dall’insieme dell’uno e dell’altro, compresi gli
spazi bianchi, scaturisce il senso che non è mai definito, regolare, dato una
volta per tutte. Di qui le difficoltà di tradurre le poesie in altre lingue: il
testo originario, dovendo sottostare al mutamento delle parole, viene quasi sempre
falsato e tradito nel ritmo, nel suono e, quindi, nel senso
(traduttore-traditore). Bisogna essere poeti per tradurre il testo originario
delle poesie “straniere” nella propria lingua.
-
La
poesia è, pertanto, una esperienza intima e profonda, legata
all’immaginario del poeta, immaginario che spesso nasce da una emozione, una
folgorazione, una intuizione, per cui necessita proprio di quelle parole, di
quelle immagini tradotte con quelle parole e non con altre e non in altro modo.
L’emozione può nascere da una situazione presente, dal ricordo o dalla
proiezione in una situazione futura, per cui spesso si ha nei versi il processo di attualizzazione. Questo
è uno dei modi di procedere del “fare poesia”. Ne riparleremo più ampiamente,
se dovesse risultare necessario.
-
Nella
poesia, infatti, si concentrano le immagini, le sensazioni, le emozioni del
poeta. Di qui la sua essenzialità.
Condensazione e simbolizzazione sono procedimenti frequenti anche se non
obbligatori di fare poesia. Niente è
obbligatorio nel linguaggio poetico, che è espressione di totale libertà
nel rispetto della forma specifica della poesia che è determinata dalla bellezza del verso. Tale bellezza, il
più delle volte, scaturisce da una “fulminea illuminazione” o da una ricerca
sulla polisemia (o polivalenza del significato) della parola. Spesso, poi, in
un poeta sono ricorrenti alcune parole a lui particolarmente care che vengono
definite stilemi o parole-chiave di quel determinato
poeta, connotanti la sua poesia. Ma importanti sono anche i “campi semantici”, cioè quelle
espressioni che sono tipicamente legate ai temi che quel poeta tratta più
frequentemente di altri o che connotano quella particolare raccolta: la memoria, la vita e la morte, la
guerra, i problemi sociali filtrati dalla propria sensibilità poetica, ecc.
-
Prosa e poesia, però, non sono antitetiche, come a volte mi capita di sentire, perché ci
sono poesie che volutamente hanno un tono discorsivo e di ampio respiro e prose
altamente liriche: tutto dipende dalla scelta delle parole e dalla loro
composizione e disposizione, proprio come fossero uno spartito musicale. Oggi
si parla di “intenzione comunicativa”,
dopo tanta incomunicabilità sia in prosa che in poesia, come in tutte le altre
arti, compreso il cinema, ossia la “decima musa”, ma noto che sempre più spesso
si sta tornando al “poetare ermetico”. Per avere una maggiore libertà di “significazione”?
Per andare controcorrente? Per avere il respiro del non detto e solo intuito? Per
sorprendere il lettore e dargli nuovi motivi di rilettura? Potremmo parlarne
insieme. (I testi da me consultati e rielaborati sono sempre gli stessi e
conservano ancora oggi freschezza e attendibilità).
Alla prossima. Angela
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