Buongiorno di pioggia, di grigio in tutte le sue sfumature, di nuovi progetti per non soccombere alla tristezza che tutto questo mi procura. Gennaio non mi piace. Ho perso troppe persone a me molto care in questo mese: mio nonno, mia nonna, Nico Mori, di cui ho spesso parlato e continuerò a parlare. Ma gennaio è per tutti questi dolorosi motivi anche il mese dei progetti, perché è necessario armarsi di coraggio e determinazione per non lasciarsi vincere dallo scoramento. Utilizzo tutte le strategie possibili per non abbattermi. Amo scrivere e allora scrivo. Scrivendo ritrovo la mia identità perduta. Almeno quella letteraria. E mi sento salva. Almeno fino a quando sarà possibile. Dunque, i progetti. Da un po’ di tempo, FB mi ripropone il RETINO, una mia fortunata Rubrica online di qualche anno fa. Provo nostalgia e lo dico. E molti di quelli che allora mi seguivano con piacere mi hanno sollecitata a riprenderla. Spero di poterlo fare in primavera per evitare il grigiore dell’inverno anche nei pensieri. Penso a qualche modifica, a qualche arricchimento. Mi fervono nella testa già le PAROLE, su cui mi piacerebbe disquisire a modo mio e magari avvalermi di un alter ego per una duplice lettura di una stessa parola o di gruppi di parole. Io sono sempre per le trasformazioni, i cambiamenti, le sfide. E così, pensando di giorno e di notte a queste benedette PAROLE da mettere a fuoco nei prossimi mesi, mi pare giusto fare delle puntualizzazioni, secondo il mio punto di vista beninteso, che avrei voluto fare da tempo:
1)
La
parola POETA, declinata al femminile. Ho notato che molti miei amici e amiche,
validissimi poeti e scrittori, validissime poetesse e scrittrici, l’hanno
adottata per rivendicare la parità di genere, ignorando che così facendo (ma
ripeto questo è solo il “mio punto di vista”) perpetuano quel maschilismo che
giustamente si vuole combattere e superare/debellare in questo terzo millennio.
Esisteva fino a qualche anno fa il femminile di “poeta” che era “poetessa”,
come di dottore = dottoressa, di principe = principessa. Improvvisamente qualcuno
(che non so) cambiò la grammatica italiana (lo so la lingua è un “organismo
vivo” che nel tempo subisce delle inevitabili, e spesso attese e accettate come
giuste o opportune, trasformazioni), e “poeta” ebbe in sé le due accezioni,
maschile e femminile. A parte la cacofonia insita nella parola: la poeta - le poete
(orrore!), tutto a vantaggio del genere maschile, ma ci pensate a “dottore” che
rimane “dottore” ingenerando degli equivoci, negli eventuali pazienti, ma quel
che è peggio “principessa”, femminile di “principe” che rimane “principe” o “principa”.
Che ne dite? Noi abbiamo una lingua bellissima (calofonica), che insegue la
bellezza e l’armonia delle forme grammaticali, fonetiche, sintattiche,
contenutistiche (non a caso abbiamo, tra l’altro, tanti modi diversi di dire e
di scrivere, grazie anche ai numerosi sinonimi e contrari). Dante, nel canto
XXXIII dell’Inferno, al verso 80, così scrive: “del bel paese dove ‘l sì suona”.
E allora? Già siamo costretti a vederla, la nostra bellissima e difficilissima
lingua, sempre più fagocitata dalla lingua inglese per ovvie ragioni di
utilizzo dei nuovi mezzi di comunicazione, sottesi alle nuove tecnologie, perché
deturparla di più, senza una reale, giustificata esigenza? Attendo dibattito.
2)
Una
volta per tutte, sarebbe opportuno, come i più già fanno, mettere l’accento su “sé
stessa”, “sé stesso” e soprattutto “sé stessi” per non ingenerare equivoci con “se
stessi”, forma verbale (cfr. M. Magni, Così
si dice Così si scrive, De Vecchi editore, Milano 2003, p. 316). Lo so,
fino a qualche decennio fa a scuola si insegnava a non mettere l’accento e
molti di noi sono ancora restii al cambiamento, ma quest’ultimo ha le sue
ineccepibili motivazioni.
3)
La
vexata quaestio del vocativo. Oggi nessuno
più mette il vocativo tra le virgole. Niente di più sbagliato. Il vocativo va
sempre con la virgola se è a inizio frase, con due virgole se è all’interno
della frase. Per non ingenerare ridicoli o spiacevoli equivoci. Es. andiamo a
mangiare, nonna: è corretto perché nonna è un vocativo. Invece, andiamo a
mangiare nonna: è sbagliato perché nonna diventa accusativo del verbo mangiare.
E di esempi se ne potrebbero fare parecchi, ma mi sembra uno zelo superfluo: “A
buon intenditore poche parole”.
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