Sono già passati 16 giorni dall’inizio del Nuovo Anno e noi siamo ancora alle prese con attese, speranze, buoni propositi. I miei? Dietro preghiere di figli, generi, nuora e nipoti ho deciso di evitare lamenti per gli inevitabili acciacchi fisici (alla mia età è il meno che mi possa capitare) e di sorridere di più ad ogni nuovo giorno come epifanico dono per me e per loro.
- Dobbiamo cercare di essere felici - mi dicono - per quanto ci è umanamente possibile, apprezzando tutto quello che abbiamo ed evitando di elencare quello che ci manca! - Giusto! Il loro affettuoso suggerimento non fa una grinza. E io accantono stampelle e sofferenze per superare il mio detto ricorrente: “mi manca sempre una lira per fare un milione”, commutato alcune volte di maggiore scoramento in “oggi mi manca un milione per fare una lira”. No. No. Gliel’ho promesso di cambiare musica e lamento. Oggi voglio passare in rassegna i miei buoni motivi per essere felice. Proviamo a riscoprirla questa felicità. Se ne parliamo tanto vuol dire che da qualche parte ci deve pur essere, magari come: sogno, utopia, attimo fuggente, desiderio, folgorazione di un istante, sfida…
Occorre fare attenzione, se vogliamo tentare di sfiorare la felicità. Almeno di incontrarla da qualche parte e di riconoscerla per scoprirla meglio: darle un volto, una forma, uno spazio/tempo, una dimensione. Già, perché, secondo me, non si deve scoprirla per riconoscerla, ma riconoscerla per scoprirla. Quante volte ci è passata accanto e non l’abbiamo vista? Quante volte ha afferrato le nostre mani e noi l’abbiamo lasciata cadere perché non sapevamo di stare stringendo la felicità? Nessuno ce lo aveva insegnato o, se anche c’era stato qualcuno, l’avevamo dimenticato! Quante volte ha bloccato i nostri occhi col suo improvviso splendore e ci è sfuggita perché abbiamo chiuso le ciglia e lei ce le ha sfiorate appena con un bacio, delusa della nostra resistenza che l’ha esclusa dalla realtà di quell’attimo magico e irripetibile? E quante volte l’abbiamo sentita palpitare nel cuore, ma eravamo tanto impauriti da quella insolita emozione per ritenerla felicità, ma solo un tuffo nel mare di ogni spaventosa incognita, e siamo fuggiti impauriti di così tanta grazia da temere di non meritarla o che non fosse possibile capitasse proprio a noi? Insomma, non l’abbiamo riconosciuta e l’abbiamo umiliata con la nostra indifferenza, lontananza, distrazione, disattenzione. Ecco, la “disattenzione”! Ha rovinato tutto. “Bisogna concentrarsi sull’attenzione”, mi dico. E il “concentrarsi” mi fa pensare a più cerchi concentrici che partono da un punto e si dilatano all’infinito. E in quell’infinito ci siamo noi e tutto l’altro da noi. Fino a comprendere anche la felicità, a mio parere. Se la nominiamo, da qualche parte esiste… e se ce la siamo inventata, vuol dire che la nostra mente ha avuto una misteriosa “illuminazione” per farcela cercare.
Sono una visionaria? E perché no? Le più grandi conquiste sono avvenute perché menti visionarie hanno precorso tempi e spazi e hanno intuito/suggerito alcune verità mai vere mai false, fino alla dimostrazione di una loro qualche attendibilità. Ma bisogna crederci. Senza fede non si va da nessuna parte. La fiducia in qualcuno, in qualcosa, in noi stessi ci offre la bacchetta magica del coraggio e della forza per superare ogni avversità. Ci fa apprezzare ciò che non abbiamo mai pensato, mai ascoltato, mai raccontato. Ci dà i “superpoteri” per diventare i supereroi del quotidiano nel reinventarlo continuamente. Occorre forse “Sentire” che la felicità è semplicemente uno stato d’animo così complicato da comprendere, ma così facile da vivere nell’attimo stesso in cui lo si avverte dentro come pace infinita, simile al volo di un’“aquila”, con le ali/braccia spalancate, più alto del proprio palpitare all’unisono con l’universo…
Ne L’arte di essere felici, Arthur Schopenhauer, vissuto nella prima metà dell’Ottocento e definito “filosofo del dolore”, partendo dal principio fondamentale della vita, elaborato in tutte le sue opere, riguardante “il dolore universale o cosmico” espone il concetto sulla felicità in ben 50 massime, che dovremmo leggere e rileggere di tanto in tanto per trovare forse il bandolo della intricatissima e intrigantissima matassa.
Intanto, nel libro, egli afferma: la felicità e i piaceri sono soltanto chimere che un’illusione ci mostra in lontananza, mentre la sofferenza e il dolore sono reali e si annunciano immediatamente da sé, senza bisogno dell’illusione e dell’attesa.
Con chiara lucidità e stretto rigore logico a lui consueti, Schopenhauer afferma che la felicità significa imparare a vivere con la minore infelicità possibile, cioè “vivere passabilmente” accontentandosi di un possibile piacere interiore, intimo, personale che si può provare nella scoperta di sé.
Estrapolo, in estrema sintesi, qualche regola fondamentale:
“evitare l’invidia”, perché è una delle principali cause di infelicità per l’uomo;
“evitare di tendere al risultato”, mentre è importante il percorso o processo per realizzare qualcosa a cui teniamo molto;
“contagiare allegria”, ma controllare anche la smodata fantasia per conservare un sano realismo sulle aspettative;
“valorizzare quello che si ha”;
“evitare l’infelicità” in ogni modo lecito;
“prendersi cura della propria salute” per poter aiutare gli altri;
“evitare le situazioni spiacevoli” dovute ai nostri errori;
“evitare il piacere personale” nel prendersi cura degli altri e magari sentirsi felici esclusivamente ed egoisticamente per questo.
Ci è lecito cercare la felicità solo eticamente, per poter essere in grado, fattivamente, di procurarla agli altri…
Ritengo che in queste massime Schopenhauer ci abbia dato una grande lezione per superare in qualche modo il dolore e giustificare la ricerca della felicità con il bene che si può fare agli altri, migliorandoli mentre ci si migliora.
In pratica, l’infelicità e la solitudine si vincono con l’Amore che possiamo provare per la natura, il “paesaggio” dentro e fuori di noi, per ogni creatura vivente, per i nostri simili, nella necessaria comprensione del proprio mondo interiore.
Dunque, l’Amore. L’Amore alla base della ricerca della felicità. Ed è quanto figli e nipoti mi danno quotidianamente in attesa che io lo manifesti nei loro riguardi non solo nei modi che so e che sanno, ma anche con un bel sorriso di gioia ad allargare/allagare il cuore. Ed ecco che io ci provo. Anzi, proviamoci insieme perché può darsi che ci riesca meglio. Ciascuno con i propri motivi di essere felice a confronto.
Per quel che mi riguarda, devo fare eticamente una precisazione inevitabile: proviamo a farlo in sordina in un momento così drammatico e devastante per tutti, ma proviamoci per non perdere l’abito della festa, la gioia di esserci, l’amore che ci salva o ci dovrebbe salvare; per esorcizzare la paura, per superare il dolore per farci coraggio. In verità, per parlarne il condizionale sarebbe d’obbligo, ma guai se ci lasciassimo travolgere da una ipotesi di felicità, non ne verremmo più fuori, meglio usare l’indicativo, tempo della realtà e della concretezza.
Personalmente, dunque, ho le mie buone ragioni per essere felice. Ve elenco in ordine di importanza, più o meno: 1. Sono ancora viva (con tutti i risvolti positivi e negativi di questa condizione alle soglie degli ottant’anni). 2. Sono ancora in grado di godere di una giornata di sole, del brulichio delle stelle, di una risata e delle lacrime, di pensare, di scrivere e raccontare, di giungere al cuore degli altri. 3. Ho ancora una famiglia che si prende cura di me in una casa grande e confortevole con maniglioni per i miei necessari appigli per un minimo di autonomia; un giardino pieno di alberi e di fiori e gatti e gazze e uccellini e voli (persino una volpe e un riccio) e d’estate almeno due lucciole che mi fanno ancora sognare. 4. Ho Figli e Nipoti che mi colmano d’amore ricambiato. 5. Ho la mia famiglia di origine e quella di Primo, mio compagno di vita per circa cinquant’anni (alcuni li ho persi per strada, ma sono uncinati nel cuore, nonostante le distanze anche a due passi con i miei fratelli e le mie sorelle, le cognate e i cognati e nipoti e nipotini, e le lontananze solo fisiche). 6. Sono stata fortunata a nascere in un Paese libero, che ora mi permette di piangere per la guerra in atto senza la paura dei bombardamenti, della morte che piove dall’alto, della casa distrutta, dei bambini come uccelli di nido in caduta libera, del terrore delle madri e della inerme “corsa” dei vecchi verso una morte annunciata. Tutto questo mi lacera e mi salva dagli abissi della disperazione. 7. Ho un canto nuovo nell’anima: le emozioni intense che mi procurano le conquiste continue dei miei adorati nipoti ormai adulti: Anna Paola, che condivide con me camera, letto, sonni e incanto. Nicola, sempre attento ai miei bisogni con tanta tanta cura e premura. Insieme mi stanno insegnando a riscoprire la felicità. Sono i miei angeli custodi e le mie ali per continuare a volare.
Sette è il numero perfetto. Mi basta per dovermi ritenere felice. Una testimonianza di felicità raggiunta? Eccola: Peppino Piacente, mio genero, che ripropone, dopo un anno dalla laurea triennale di Anna Paola quanto possa essere felice un papà appagato e soddisfatto per le conquiste culturali, professionali e sociali dei propri figli. BE YOUR SUNSHINE “Questa parte della mia vita si può chiamare Felicità!” Sì, bimba mia, tu sei il sole che ogni giorno mi riscalda di fierezza, oggi, in particolare mi rende felice, non tanto per la meta raggiunta, sia pure così importante, ma soprattutto per il cammino che ti ho visto fare, con determinazione e grinta, colpo su colpo, tenendo sempre al guinzaglio la paura! Grazie, principessa, un papà felice!
Cosa si potrebbe obiettare a questa felicità? Mi si può accusare di “familismo” (per fortuna non di stampo mafioso! e con i tempi che corrono…), ma posso difendermi facilmente obiettando che sono stati proprio loro, i miei cari, a sollecitarmi a essere felice e a dimostrarglielo con tutte le carinerie possibili per tentare di afferrarne insieme almeno un piccolissimo lembo, quasi rosa, quasi spicchio di cielo, quasi sogno di mare... l’importante è condividerla tanto è legittima e forte e vera e palpitante. Emozionante! E allora lasciamoci coinvolgere da questa ondata di felicità che, almeno per oggi, sovrasti paure e dolore e pensieri come lame. Solo fili di Luce nel cuore, e di Speranza. Potrebbe darsi che sia contagiosa tanto da portare chi mi legge a sentire dentro di sé una propria piccola felicità nascosta da portare alla superficie di questo giorno di pallido sole e di vento furioso, di freddo invernale e di gemme in festa sugli alberi insolitamente gemmati, e i cespugli insolitamente fioriti della propria anima perché sia gioia da vivere insieme, ciascuno con la consapevolezza di avere un germoglio da lasciare fiorire in questo atteso ma eterno ritorno di primavera…
E per oggi mi fermo qui. riprendo domani con alcune testimonianze di felicità, “sentita” in questi giorni nel proprio cuore. Dunque, esiste? Esiste! A domani. Angela
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