Oggi, contrariamente a quanto detto ieri, devo interrompere per un po’ il flusso della felicità che siamo andati insieme a registrare perché ho bisogno di parlare di gennaio in altri termini. Per me è un mese difficile da ricordare con serenità. Culle e urne a connotarlo. E oggi ho bisogno di fare una pausa per parlare di lei, nonna Angelina, la mia nonna materna di cui porto il nome. Il 22 gennaio di 55 anni fa ci lasciò per andare a raggiungere il nonno e la nidiata dei suoi tanti figli volati tra gli angeli tutti prematuramente. La fede aveva salvato entrambi i miei amatissimi nonni dall’immane dolore. E noi non li abbiamo mai sentiti recriminare. Mai. Per salvaguardare la nostra infanzia e la nostra gioia di vivere. Il nonno era il nostro sole, con la sua fantasia, le fiabe, gli aneddoti divertenti, i racconti di guerra, i ricordi. La nonna era il suo satellite. E una preghiera per tutti, vivi e defunti, le fioriva quotidianamente tra le labbra. In miei due nonni si completavano a vicenda e sui loro volti, nei loro gesti leggevamo tanto amore a tenerli uniti per oltre cinquant’anni. La nonna era più concreta del nonno nella sua semplicità, ma aveva contagiose lunghe risate, e tenere commozioni improvvise. Negli ultimi anni era quasi sempre seduta nella sua poltrona e d’inverno cadeva in una sorta di sopore che ci preoccupava ed era proprio lei a rassicurarci. Mi piacerebbe parlare di lei a lungo. Ma in un blog non è consentito. Mi sembra giusto, però, dedicarle ancora oggi questi versi che scrissi per lei nel primo volume del mio romanzo Le piogge e i ciliegi, pubblicato, insieme al secondo, alcuni anni fa. Si tratta di una trilogia. L’ultimo volume è ancora in cantiere. Sono, comunque, versi che ripropongono ancora oggi tutto l’amore che ho nutrito e nutro per lei: Luna di pane tra nuvole lago/ s’affaccia bianca dal balcone di nebbia/ del passato/ Stupore…/ Tra candidi lembi di lino/ le mani di mia nonna ad afferrare/ con dita silenziose la morbida luna/ quasi ostia consacrata/ nella notte lievitata di resurrezione/ a deporla/ con cura di madre/ nella conca di farina acqua e sale/ Fatica innocente in gara con le sue/ le mie manine/ che occhi avevano a imitare carezze/ pugni e una croce/ E bolle d’aria volavano al cielo delle travi/ mia prigionia e mia libertà/ A treccia con gesti d’artista lei pettinava/ la massa e ne ricavava pani/ per la tavola nera lunga e stretta/ del garzone di forno e riso di bicicletta/ su labbra d’eterna canzone/ Festoso mezzogiorno di fragrante/ profumo che nella casa fioriva/ il suo ritorno/ Non chiedermi com’era…/ Cento lune e mille morti passarono/ Mille lune e cento pani sulla tavola/ e vino nel bicchiere/ Da tanto ho perso le chiavi della mia stanza/ Era il profumo della mai dimenticanza… (“Pane di luna luna di pane”)
Ma
oggi ho preso anche l’impegno di completare il nostro confronto sulla felicità
nella misura in cui sappiamo riconoscerla e vivere nelle piccole o grandi
esperienze di vita quotidiana. È giusto che io rispetti quanto affermato ieri. Dunque,
sappiamo che la felicità esiste. E questo già di per sé mi procura felicità. E
sappiamo che è in grado di vincere anche il dolore e questo si evince anche
dalla storia dei miei nonni: una storia di immenso amore a vincere immensi
dolori.
Vediamo,
intanto, qualche altra conferma. Parto da lontano, da “Felicità familiare”, uno
scritto del 1859 di Leone Tolstoj: Ho vissuto molto, e ora credo di aver
trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in
campagna. Con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano
aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa
essere di una qualche utilità; e poi riposo, natura, libri, musica, amore per
il prossimo. Questa è la mia idea di felicità. E poi, al di sopra di tutto, tu
per compagna, e dei figli forse. Cosa può desiderare di più il cuore di un
uomo?
E
sappiamo benissimo che Leone Tolstoj è stato un filantropo, un grande
scrittore, un pedagogista, a cui dobbiamo alcune teorie che hanno svecchiato la
scuola tradizionale e i modelli educativi e coercitivi di un tempo per una
educazione fondata sulla libera espressione del discente. Fu egli stesso
educatore e maestro, ma purtroppo nelle sue scuole, moltiplicatesi su tutto il
territorio russo sulla falsariga della scuola “Jasnaja Poljana”, da lui fondata
per i figli dei contadini delle sue terre, all’insegna della libertà di
apprendimento, appunto, ottenne più polemiche e sconfitte che successi. Ma non
si scoraggiò mai, forte della fede in un Dio sentito nel profondo cuore
dell’uomo e dell’amore unico ed eterno per e della famiglia.
Altro
esempio alto di felicità raggiunta occupandosi degli altri è quello di Christian Bobin, scrittore e poeta
francese, vincitore di molti importanti premi in Francia, conosciuto e letto
per la sua “poetica del silenzio e delle rose”, degli “istanti puri” legati
agli incontri con gli altri e all’insegna dell’amore per il mondo che ci
circonda. Ecco stralci tratti da un suo scritto: … Un giorno ti sdrai, ti siedi o cammini, e tutto ti viene incontro senza
fatica, non c’è più da scegliere, tutto quello che viene porta il segno
dell’amore. Forse la solitudine e il silenzio non sono nemmeno indispensabili
per degli istanti così puri. L’amore da solo basterebbe…; Noi cerchiamo tutti
un’unica cosa in questa vita: essere colmati - ricevere il bacio di una luce
sul nostro cuore grigio, conoscere la dolcezza di un amore senza tramonto. Essere
vivo è essere visto entrare nella luce di uno sguardo che ama: nessuno sfugge a
questa legge, nemmeno Dio. (da L’insperata,
Animamundiedizioni)
E
di Papa Francesco, una visione un po’
diversa dell’amore, sempre però legata alla felicità che solo il prenderci cura
degli altri possiamo raggiungere: l’amore
è inquieto. L’amore non /tollera l’indifferenza.// L’amore è compassione.//
Compassione significa mettere il cuore/ in gioco; significa/ misericordia./
Giocare il proprio cuore verso/ gli altri: è questo l’amore.// L’amore è
mettere il cuore in gioco/ per gli altri.
Mi piace, a questo punto, anche la poesia “ALBA” di Alessandra Corbetta di Como, postata da
Vincenzo Mastropirro sulla sua
pagina. Vincenzo, fraterno amico, grande flautista e imperdibile musicista, cha
musicato anche molti versi di Alda Merini, tanto cara a tutti noi:
Se ti addormenti sulla mia ombra/ non spegneremo
nessuna fiammella,/ i fiammiferi basteranno per un altro inverno/ e queste
piaghe che invecchiano le mani/ seguiranno il corso del latte// Urge la
pazienza della lievitazione lenta,/ serve sforzarsi per sottrarsi agli
abbracci!// Fuori dalla finestra ci aspetta una resurrezione:/ colore di ambra
e alba senza fine/ la preghiera che mi sentirai dire/ piegata sulle tue
ginocchia.
È, come è facile notare, una splendida testimonianza
di un presente, vissuto all’ombra/luce dell’altro/a, con immagini molto tenere
e suggestive. È inutile sottolineare la evidente generosità di Vincenzo Mastropirro,
a me molto caro anche per le sue dolci/amare poesie in una sempre più frequente
commistione tra dialetto e italiano a darci suggestioni molto forti e originali.
Vincenzo è non solo compositore, ma
anche docente di musica e magico concertista col suo meraviglioso flauto dolce.
Ne parlerò ancora nel nostro blog.
Ed ecco pure una pagina della bravissima Antonella Coletti che tanto ammiro, con
una sua poesia dedicata ad un’altra sensibilissima scrittrice-poetessa, che mi
porto nel cuore, Rita Vecchi:
Tutto ti
appartiene,/ e tu sali e ridiscendi, oh memoria/ d’anni luminosi che fan più
pura/ l’essenza dei tuoi pensieri./ E ancora ti desti con il piede attutito/
d’una fiamma che scaldi le tue trecce/ di bimba./ E io penso… che se andassimo
insieme/ lungo un solo sentiero,/ verso una sola via di questo mondo/ che ci
porti a un solo più compassionevole/ mondo, lasceremmo/ un unico solco,/
Restano pagine ancora “della tua danza/ divina” e del tuo riserbo/ restano
palpebre scavate/ sguardi lucidi e schivi su inviolabili/ vette. Restano
sussulti di voci/ friabili, accese… su lividi muti.
Come non amare questi versi così pieni di memoria e di
grande sintonia tra le due poetesse da ipotizzare una sola voce lungo le strade
di un mondo “più compassionevole”? più ricco d’amore oltre i “lividi muti”?
Di Maria Pia
Latorre questa simpaticissima e molto acuta filastrocca, in rime e
assonanze baciate, dedicata ai bambini e agli alberi. Il titolo “Il bambino e
l’albero”:
- Da quando sei qui prima di me?/ Mi racconti qualcosa
di te?/ - Che bello poterci parlare/ Ma tu mi stai ad ascoltare?/ Le mie
braccia sono appoggio/ Mille specie trovano alloggio/ Nel mio tronco la
potenza/ Sulla mia chioma a passo di danza/ Dammi tempo qualche mese/ E
troverai altre sorprese/ Gemme, fiori, bacche e frutti/ Questi i doni che offro
a tutti/ Se poi scavi nel profondo/ Nella terra dove affondo/ Verran fuori
meraviglie/ Ben nascoste tra le foglie/ Tane, nidi, formicai/ Che salveranno
orsi e ghiacciai/ Già ti chiedi: come mai?/ Sta’ a sentire e capirai/ Non mi
voglio dare arie/ Sono storie millenarie:/ Tutto quanto vien da me/ L’aria e
tutto quel che c’è.
Sono “storie millennarie”, appunto, di amore,
generosità, condivisione, forte unione tra i bambini e il verde degli alberi
nel sogno di una eterna primavera.
E
lasciamoci con questo sogno tra le dita. Ci farà compagnia nel nostro andare…
grazie a tutti. Angela
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