Oggi il nostro 55* Anniversario mancato, da oltre 14
anni. E ti canto ancora, pur nel tormento del nostro amore altalenante nel
tempo di oltre quarant’anni insieme, ma sempre vero. È inevitabile, in ogni
coppia, vivere tutte le sfaccettature dell’amore nelle varie stagioni della
vita. Anche la nostra è stata un perdersi e ritrovarsi senza tregua, con mille
ferite e un solo cuore da inseguire “fino all’ultimo respiro”.
Le seguenti poesie non seguono un ordine cronologico, ma il
susseguirsi a sghimbescio del nostro rincorrerci, sfuggirci, riprenderci con
rinnovato ardore, con mai spento rancore.
Pure, negli ultimi attimi del nostro dirci addio, la
fragilissima forza titanica di dirci tutto l’AMORE vissuto, da vivere per
l’eternità. Poi ogni nuova alba fu diversa…
Sono passati gli anni
Sono passati gli anni
dei profili intensi delle cose
sugli specchi di ingabbiate
dissolvenze delle realtà
vissute come sogno
e di sogni creduti realtà.
Presi com’eravamo
dall’urgenza
di noi e del nostro
moltiplicarci
persi in sotterranei grovigli
ch’erano strade sterrate
del cuore
sempre pronto in me
a sanguinare
per ogni rosa coperta di spine.
E rimpianti e attese
e nostalgie e desideri.
E mai un fermarci a vivere
a rotolare sul prato sotto casa
e sapere di noi
nella realtà del nostro cielo
che poteva compiere il miracolo
di stringerci insieme
in un groviglio di stelle
in cui naufragare
di smemorato splendore.
Troppo tardi ho imparato il relativo
il “qui e ora” il canto della rosa
ch’arde di spine altrimenti muore.
Troppo tardi un planare di pensieri
a dare senso ai rossi drappi di felicità
fatta di tutto e di niente
e bere nelle coppe colme di sole
la pienezza dell’esistere
liquore di giorni di miele
un tempo logorati da devastanti perché.
Oggi ho ricami di ore
tra le dita
con fili di seta per innamorarmi
ancora della vita
e stupirmi ancora.
Per salvarmi dal nero della morte
che per anni mi sfinì di terrore.
Troppi coltelli
mi ferirono di pianto.
Troppo urlò la mia carne
alla violenza di un mondo
che ebbe mani assassine
lontane dalla mia casa
non dal mio cuore.
Alla ferocia dei nuovi misfatti
sulla terra di fango e palude
oppongo fili colorati di parole
legati agli aquiloni che ridono
per le vie del cielo
(e sognano
nelle piccole mani dei bambini…)
Incendio di vene
Incendio di vene la primavera che ricordo
ai giorni dell’amore nei bicchieri
e braccia di fuoco
a stringere il sogno e l’allegria.
Erano i nostri anni cesti di garofani accesi.
Tu mi portavi la tua ironia agli assalti del cuore,
io il rossore dei ciliegi
sul candore delle guance in fiore.
Giganti noi a forare cieli striati d’azzurro.
Dischiuso all’alba il canto delle allodole.
Tra mani incerte
di splendore e fili d’erba il giorno.
Passò il tempo dei gerani ai balconi.
Sventolio di bandiere arrese il ricordo.
Follia di giovinezza
ebbe occhi d’ardore e di papaveri.
Due papaveri innamorati
Grappoli di cielo nel giardino
e rose e margheritine
narcisi tulipani violette
Ma due papaveri innamorati
hanno bucato la pietra del viale
stamattina
col fuoco spavaldo del loro sorriso
profumato del misterioso sogno
di giorni mai vinti e sempre nuovi
al coraggio indomito che dona amore
Papaveri noi allora ad incendiare
stelle
col capo fiero tra riccioli ribelli
di pensieri in libertà condizionata
Esili gli steli dei nostri passi
in campi d’erba e fascine da bruciare
(ignorammo coccinelle per catturare lucciole)
Rosso di rosso sangue
Rosso di rosso sangue è la ferita
dell’amore deluso e poi disperso
sul mare d’agosto che si tinge di oro
e porge ai miei fianchi tregua al dolore.
Bruciammo di passione quella notte
che ci vide sognare tra le stelle
e un canto aveva e labbra di corallo
e baci di fuoco a tatuare la pelle.
Fu grido e pianto l’attimo vinto
dal tempo che non perdona
agli amanti l’amore.
Solo un cerino
Dal naufragio mi porto a riva la pelle
e le ferite
M’accoglie l’isola del miraggio
e nelle tasche del passato
un solo cerino mi sorride
unica speranza
e la mano trema per troppo gelo
Ardere ancora ardere di fuoco vivo
voglio
e rami da accendere con un colpo solo
alla petraia dove il coraggio viene meno
esiguo mezzo esiguo tempo esiguo spazio
mi è dato
per ritrovarmi nelle mie vesti
e nelle mie canzoni
E tu non ci sei a disegnare un falò
che ci tenga uniti
(tra le dita deluse mi è rimasto
solo
l’inutile cerino)
Era il fuoco era il fuoco
Era il fuoco che cercavi era il fuoco
quando il freddo avvolse le tue vesti
in quelle notti di gelo alla deriva
di tutti gli appigli che sognasti
pur di rinascere viva dalle ceneri
che lasciavi lungo i giorni
delle braci spente e del calore gridato
atteso cercato richiesto con labbra mute.
E nessuno ad ascoltare il grido soffocato
nessuno a chiederti il perché della sconfitta.
E in tanto gelo il fuoco ti fu negato.
Eppure erano indizio il capo chino gli sciolti
capelli le ginocchia piegate e un silenzio
di occhi sopra fogli lacerati di parole perdute.
Ti dissero colpevole di essere sopravvissuta
alla furia di una notte che divise a metà
i tuoi giorni, le membra, il nome, i pensieri.
E moltiplicò le ore, le paure, le ansie, le sorti.
Ti dissero innocente per lasciarti vivere
in un ingorgo di oceani senza orizzonti e
senza rive e tutti i porti erano senza faro.
E non seppero che eri già trafitta da lame
che incendiarono la carne lasciando inerti
come di pietra la spenta poesia e il cuore.
Senza chiedere pietà né perdono rimanesti
sola e inascoltata nella tua innocenza
finché nel pietrificato silenzio
l’alba
nuova ti
sorrise…
il mio punto fermo
notte senza lune senza stelle senza sogni.
Per le mie mani Senza.
Vorticano i pensieri in un vuoto
da riempire prima che si faccia giorno.
Franano ore nella clessidra
lungo il buio di un’alba spenta
a rapinare la notte,
tradita e addormentata
sui terrapieni del già vissuto
che un tempo raccontavano
la nostra follia.
Oggi ogni battito lento conta
la stagione del cuore.
Il rimpianto.
Quanti minuti attesi e quanti persi
negli anni dei papaveri in festa
tra le nostre mani indifese
nei saldi di ogni addio
alla giovinezza,
funambola di sogni che dispera
di un solo arrivederci a tenere
viva
la speranza del bocciolo, l’erba
tenera, la rosa, i giorni intatti.
Ci univa il canto inatteso
di un verso desiderato,
cancellato, ritrovato, rivissuto.
Ci sorrideva il cielo complice
e distratto.
Distrattamente oggi mi sorride
il silenzio.
Ma è già rumore che avvolge
i ricordi, la nostalgia, il mare,
il vortice dei pensieri mulinello,
che assorda il cuore e lo ferma
nell’attimo che più non conta,
che più non ha inizio né fine.
Sei punto fermo nell’anima
alla preghiera riaccesa prima
del penultimo orizzonte
che m’insegue senza tregua
e mi scopre ancora viva…
Nei miei occhi accesi di nuove luci
i
tuoi
a
ricordarmi
l’amore
che ti devo
il
sogno mai sconfitto
(il filo dell’ultimo sole in infinito volo)
E mi fermo qui, vinta da una emozione che rinnova
l’infinito volo verso un infinito che ci contiene e ci redime ad ogni nuova
alba... Angela
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