Simile a un dio mi sembra che sia
E forse più di un dio, vorrei
dire,
che, sedendoti accanto, gli
occhi fissi
ti ascolta ridere
dolcemente
(Catullo)
Un libro di Rita Lopez, originalissimo già nel
titolo, nella copertina (in insolita e fascinosa continuità con il retro-copertina),
nella Premessa, (scritta a mano e con una cifra tutta sua da Mariella Medea Sivo, curatrice, insieme
al suo compagno Nicola Rizzi, con
una consolidata esperienza come fotoreporter ed eccellente disegnatore). Un libro,
insomma, che non finisce mai di stupire oltre ogni apparenza di verità-non
verità. Si tratta di sette racconti che parlano di “Sette amori impossibili.
Sette relazioni complicate. Sette racconti che si pongono esattamente a metà
tra la memoria e l’immaginazione…”.
A cominciare da “La madre di Carla”, che è una sequenza filmica
di una storia amarissima e tenerissima, in cui ci si ritrova immersi insieme ai
protagonisti, con il desiderio coinvolgente e sconvolgente di intervenire per
far quadrare il cerchio. È, infatti, una storia sapientemente costruita su l’apparenza
che spesso inganna e sull’inevitabile pettegolezzo che nasce quasi sempre dal
pregiudizio, dall’ignoranza dei fatti, dai preconcetti, basati su stereotipi
che generano atteggiamenti negativi o presuntivi (e presuntuosi) privi di
fondamento. Fino alla resa dei conti. In un bilancio niente affatto scontato,
ma intensamente raccontato.
Più legato alle nostre
credenze e tradizioni è il secondo racconto “U lupòmn”, in cui si penetra profondamente nella nostra baresità,
nei luoghi del cuore e della memoria, se non più vi abitiamo. Qui incontriamo
la magia della luna piena e la mostruosità del lupo mannaro, nel catturante
racconto del nonno che, inconsapevolmente, ci conduce per mano alla scoperta
delle nostre origini greco-latine e della nostra storia più intima e magica. Fino
a una conclusione fantastica, tra l’onirico e l’intensamente suggestivo per il
prodigio di un sentimento che può rendere eterno il fluire dell’esistenza… in
un intreccio di storie antiche e nuove che coinvolge il lettore in un pathos
crescente che si placa soltanto nel silenzio di un tempo millenario, riproposto
sulle ali di un tempo/spazio che ci appartiene e che fa preziose e magiche le
nostre radici.
“Fiorellino” è un racconto basato anch’esso su particolari
comportamenti umani, derivanti da disistima, confronti inadeguati, riluttanza
ad accettarsi per quello che si è e per come si è, fino a quando… ecco
subentrare la svolta della consapevolezza esistenziale affrontata con coraggio
e determinazione da uno dei protagonisti, Michele, definito “fiorellino” dai
ragazzacci che ogni giorno lo aspettano al varco, sulla spiaggia, per
deriderlo.
Essenza della
maturazione dell’IO cosciente contro l’EGO che immobilizza persino il diritto
di esistere e di assaporare realmente la pienezza contagiosa della libertà di
essere quello che si è.
“Don Mario” è la storia di un prete, giovane, appassionato, attento
ai parrocchiani e alla sua missione di sacerdote fortemente coerente con i
dettami della Chiesa, ma è soprattutto la storia della “Signora Gilda”, una
maestra in pensione, compiaciuta di sé e della sua voglia/illusione di piacere
ancora. Anche qui le due storie s’intrecciano magnificamente, grazie alla penna
di Rita Lopez, “maestra” di fraintendimenti allusivi, ammiccanti, incalzanti
fino al punto di arrivo, alla soluzione strategica che sorprende, illumina,
canta nell’anima come un “sorriso bello” che sa di “primavera”.
Ne “Il confine” scopriamo Ovidio che, nelle sue Metamorfosi, parla “dell’amore
sfortunato tra Piramo e Tisbe”. Anticipa di oltre un millennio la storia di
Giulietta e Romeo di William Shakespeare.
Molto interessanti tutte le disquisizioni della nostra Autrice sulle diversità
spazio-temporali del “diventare adulti” nella piena consapevolezza di “chi”
amare. E così le tragedie si consumano ancora oggi, nel Terzo Millennio,
soprattutto tra la gente del Sud. È, dunque, la storia di Gaetano e di
Vittorio, legati da un “tragico destino” perché omosessuali. In entrambi,
benché colti e intelligenti, c’è sempre un “troppo poco”, come suggerisce
acutamente Rita, che fa di questo racconto un grandioso inno catulliano sulla
magnificenza dell’amore corrisposto, contro ogni “troppo poco” a marchiarli a
vita. E la tragedia ha inizio tra le mura domestiche, che dovrebbero essere
protettive e invece si rivelano respingenti. Il resto è un binario di treni che
percorrono Bari senza fermarsi mai, neppure negli occhi del professore, pieni
di lacrime a impedirne il cammino.
Infine, ecco “Bonnie @ Clyde”, una storia di
perbenismo, snobbato da due innamorati dell’ultima generazione. Due innamorati
che scappano via e imparano a delinquere per essere sempre insieme senza arte né
parte. È la bellissima storia conclusiva che offre alla Scrittrice l’idea del
titolo dell’intera raccolta. In cui ciò che “non è stato” è immensamente più
importante di “ciò” che rimane. E la contraddizione, come Simone Weil c’insegna, vince alla grande. E non poteva essere
altrimenti con una scrittrice che fa persino della sconfitta un inno alla vita
e alle risorse fisiche e psicologiche che è capace di inventarsi con un pizzico
di malinconia, tanta ironia, tanta inventiva e immaginazione.
Ancora una volta, i
libri di Medea e Rizzi hanno un racconto maschile impaginato all’incontrario,
con delle soluzioni originali, connotative, straordinariamente inusuali e
felicemente catturanti, che fanno della coppia Medea-Rizzi un duo decisamente vincente
nel panorama della Letteratura e della Cultura letteraria italiana, e non solo.
E anche l’Editore, Peppino Piacente,
della SECOP edizioni, si sente
fiero, appagato, soddisfatto per aver riposto la sua totale fiducia in questi
due talentuosi “ricercatori di pepite d’oro” (vedi il Libro di Rita Lopez) tra
tante “ciofeche”, che purtroppo oggi vanno per la maggiore, sdoganate anche dai
social e quant’altro, su cui non voglio indagare, perché non mi piace e non ho “i
ferri del mestiere” per farlo con assoluta etica onestà.
Questa volta si tratta
del racconto del noto regista e sceneggiatore, di pretta marca barese, Gennaro Nunziante. Intensa e divertente
descrizione di un agosto vissuto tra la libertà del mare e “l’acchiappo” delle
fanciulle in fiore sulla battigia delle nostre azzurre acque, tra il Lido San
Francesco e Palese.
Anche qui la storia si
conclude con un nulla di fatto ma con il sapore di un bacio strappato all’ultimo
minuto per poi scappare a gambe levate con il rischio di una brutta fine. Meglio
rimanere a casa anche di Ferragosto? Ai lettori “l’ardua sentenza”.
Ma sospette ellissi di quotidiana anormalità è il dono più
bello che Rita Lopez possa fare a noi lettori, stregati dalle sue parole, quasi
riserva di salvezza per ogni fragilità che ci rende imperfetti ma veri (ma questa è soltanto una mia
interpretazione…).
Angela De
Leo