giovedì 31 luglio 2025

Giovedì 31 luglio-Venerdì 1° agosto: Piena estate e a breve andrò anch'io incontro al MARE...

Le azzurre acque

Devo dire che c’era un vento freddo che infuriava

con il mare.

Devo dire che tu non c’eri e non c’era neanche

il mare. (Umberto Bellintani)

Amo il mare in tutte le stagioni, ma il mare d’estate è sorriso di sole, sfida di vele a forare l’azzurro, ricordo lontano di onde a carezzarmi i fianchi, i seni, a sommergermi di risate. Ed ecco alcune mie poesie in suo omaggio…

Qui dove il mare

Qui

dove il mare è dono di cristallina luce

qui vorrei riposare

alle onde lasciando stanche membra

e tra ciglia un desiderio di sole

C’è stato un tempo di corse alla battigia

e canti d’amore a vele spiegate

a gola piena le risate

Oggi mi stanca un ricordo

di stanca nostalgia

(solo il mare immutato ha sorriso

                    d’eternità)

Ansia di velieri

Spariti tutti i velieri,

persi battelli e navi da crociera,

superstiti barche di carta e sogni,

sono zattera alla deriva

di tutti gli oceani battuti da venti contrari.

Invano un faro o una stella

cerco

per un approdo al riparo

da marosi e tempeste che fecero fragile

il mio incerto andare alla conquista

di briciole di sole.

E resero di sangue orme di sconfitta

su scogli aguzzi di passi e di dolore

che un tempo risero delle nostre risate.

Nel gioco delle parti mi si dice vincente

e forse sarà vero

Pure…

è mio soltanto

questo abisso d’azzurro

perso fra lacrime di cielo.

 (nel buio di questa mia notte accendi tu

una luce d’ironia prima che faccia naufragio

anche l’ultima stella del mio ultimo appiglio)

 Pensieri vele

Vele i pensieri

Vanno alla velocità del vento

Libertà di onde

che arano il mare

sfiorano l’azzurro di un sogno

remoto

sorriso di giovinezza

fugato da furia di nembi

e fragori lontani

Il cielo si perse negli occhi

di tristezza

e un disincanto senza fine

divorò coralli e frantumò il cuore

Altro tempo allora che la riva

aveva orme di passi vicini

e i ti amo sulla sabbia

erano firma d’incancellabile amore

Eterno

Unico

il solo a bastarci vivere

e sapere di noi

alga e scoglio

onda e veliero

vela e timone

per tentare una rotta che non fosse

dimora di stazioni sbagliate

di treni persi alle fughe solo pensate

Al coraggio di nuove rive

opponemmo tutti gli orizzonti di casa

àncore e catene

e tutti i naufragi che dilatarono il viaggio

e lo resero infido e pericoloso

oltre l’infinito

E sono qui

raggomitolata in un pugno di rabbia

che non vuoi capire

e non offre via d’uscita

ai pensieri-gambero che temono

il mare lo scoglio la risacca

il tempo a imbuto

la determinazione a restare

(fu solo inganno il sogno di partire…)

Il canto del mare

Era un canto di barche e di marinai

quell’anno che con chitarre

solcammo il mare per scoprire la libertà

oltre la riva.

C’erano i miei diciotto anni

e i tuoi baci,

un brulichio di stelle in gara

con i sogni e le azzurre acque

ad inventare l’amore

(avresti voluto offrirmene

            il brevetto…)

Voglio tornare al mare

Richiamo d’azzurro in questa tregua

di giorni di pioggia e di vento

presenti alla collina.

M’invita il mare ad ogni squarcio

di nubi radenti e una briciola di sole.

Portami dove la sabbia è d’oro fino

dove mi viene incontro

il tuo cuore bambino

che sogna sulla battigia l’antico

castello della festa

e un volo d’aquiloni a ridere di cielo.

Tra il frinire di cicale e siepi di ligustro

ai miei fragili sogni offri riparo

e una vela bianca a portarmi

                       dove finisce il giorno.

 Quando andrai al mare

non dimenticare i miei occhi

a riempire panieri di onde

fiorite di lapislazzuli e stelle marine

per gl’inverni che verranno.

L’abbraccio di sale sulla pelle di sole.

Il tempo che rimane

e quello che sogni di conchiglie

ed echi di mare ha trascinato

con la sua rete di frodo.

La nenia delle barche il rombo dei motori.

Le mani a nido sul volto levigato

e gambe a falce tra spruzzi di panna

a navigare allegria.

Oggi abisso di rimpianto è il mare

di piedi nudi disuguali e una scia

d’azzurro senza più la libertà di osare

eppure gli occhi sono ancora

approdi d’oceani alla sconfitta dei giorni

su passi dimentichi della riva

(faro e conchiglia per rinascere schiuma)

 Nutrimi di mare

Portami nel secchiello ancora il mare

perché possa sentirne la carezza l’odore

Raccogli per me bianche conchiglie

addormentate nella sabbia dorata

sognanti fanciulle in attesa di un castello

e del principe azzurro e il primo bacio

Nutrimi di mare

Dissetami di onde e di alte maree

(da qualche parte ha pensieri di perle

e conchiglie canto notturno la luna)

Se oggi sogno un porto sicuro

non dirmi che sono stanca di navigare

Nel guscio di noce che mi finsi barchetta

bianca vela di carta leggera incollai

per non andare lontano in cerca

di facili approdi al riparo di un faro

Persa nei miei sogni di bambina

che attraversava tutti gli oceani

ad un passo dalla riva

C’è stato un tempo che il mare

era suono di chitarre nenie di sirene

 e verdi vele a osare il cielo di lacca

o delle rinate stelle ad ogni buio

cielo incantato dalla mia risata

tintinnio di mille forzieri e un solo soldino

per tentare a testa o croce la sorte

tra fondali di corallo e una sfida di baci

E la riva guardata da lontano

e il puntino nero l’ansia di mia madre

all’orizzonte rovesciato di ombrelloni

a spicchi di sole su giochi bambini

con fiabe colorate da ascoltare

Oggi più non m’appartiene il mare

ma sussulto d’acque e d’antichi richiami

è il nastro azzurro oltre i campi e le case

che i miei occhi a festa cinge con sventolio

di mani nei giorni vestiti di silenzio

sulla terrazza assolata della mia casa

(sì è ancora lì a sorridermi il mare…)

E per oggi vi lascio così perché ho fretta di raggiungere, con la mente e il cuore, il mio mare e il suo sorriso. Di tanto in tanto, ne parleremo ancora. Spero che queste poesie vi siano piaciute. Buon mare a quanti sono già tra la spiaggia e la riva o baciati dalle onde. Angela/lina 

domenica 27 luglio 2025

Domenica 27 luglio 2025: ancora di ROSSELLA PICCARRETA e della sua Silloge poetica "CARNE SACRA"... (ultima parte)

E vediamo di scoprire insieme questo suo diario così suggestivo e così intimo e scoperto attraverso le parole della bravissima Chiara Cannito, che mi ha affiancato giovedì scorso nella presentazione della Silloge, facendo un lavoro certosino di ricerca, attraverso le poesie, che ha sottolineato e letto con vera passione, gli argomenti su cui ha voluto porre alcune domande all’Autrice. Partendo, senza averlo concordato tra noi due dalla copertina e dal titolo del libro. Rossella è stata ben lieta di rispondere, e di approfondire alcune tematiche a lei care, riguardanti soprattutto il suo amore per i classici greci e latini e per il Teatro, forma d’Arte a lei molto congeniale. Il serrato dialogo tra Chiara e Rossella ha avuto nella voce recitante di Giovanni Botticella, caro amico della nostra Autrice, un felice riscontro, facendoci ulteriormente scoprire la bellezza dei versi presi in considerazione un po’ da tutte noi. Io, personalmente avevo scelto “De profundisis” (p. 43) perché si parla di portare alla superficie ciò che siamo nella nostra profondità più intima e più vera. Del resto, “De profundis” ci ricorda il Salmo 130 della Bibbia (famosissimi i versi “… L’anima mia attende il Signore/ più che le sentinelle l’aurora./ Israele attende il Signore,/ perché presso il Signore è la misericordia/ e grande presso di lui la redenzione…”). Ma è anche il titolo di una tra le più sofferte opere di Oscar Wilde, una Lettera che scrisse a “Bosie” (Lord Alfred Douglas), il suo amante, dal carcere di Reading, nel 1897, disperato e distrutto tre anni prima di morire, dopo essere stato condannato per “indecenza” e “atti osceni tra adulti di sesso maschile”. È una lettera struggente con richiesta di perdono al Signore, faro e luce della sua Redenzione. In “De Profundis” io ravviso lo stesso tema della speranza nel perdono, da dare, da ricevere, attraverso il “divino” che vive in noi, come in tante altre poesie che Rossella ha scritto e ama scrivere sul dolore profondo e sulle possibilità infinite di potersi redimere. Infatti, in “De Profundis” siamo in inverno, e tutto si fa bianco come un sogno, e tutto è silenzioso come il tormento del cuore, tutto è immobile e tutto precede un unico movimento per dare un addio a un amore di breve durata, che però ha lasciato una lunga scia di sofferenza, che Rossella ha avuto il coraggio di superare per amore dell’amore, di sé stessa e della vita.  E tutto questo scoperto e definito anche da Chiara a chiare lettere come solo lei è in grado di fare. Ottimo anche l’intervento, una vera e propria incursione, del carissimo amico Antonio Stragapede, che ha rivolto a Rossella una domanda a bruciapelo sulla coerenza della sua poesia con la sua vita o il contrario, auspicando una presentazione tra settembre e ottobre, se non ricordo male, da lui realizzata in veste di interlocutore. Rossella Piccarreta, divertita, ha accettato con entusiasmo. Ma con entusiasmo ci ritroveremo in autunno anche con chiara Cannito per parlare ancora di Poesia. Con tanta POESIA.

Ma, non a caso, la primavera ritorna (“Rondini e vento”, p. 60) ad ogni primavera, inseguendo il flusso di luce che la parola rischiara e coinvolge. Il dono della parola che ri-crea, ricreando, la stessa coscienza della parola. Il Logos illumina tutte le coscienze: dalla cellula più piccola del nostro corpo alla più semplice parola che pronunciamo. In pratica, il Logos è pensiero che si traduce in parola. Siamo tutti presenti alla coscienza nella consapevolezza del Logos che illumina. Percepito, dunque, come luce intensa, dorata, che illumina, guarisce, o ri-crea, o ri-vive collegandola al primo istante in cui fu creata la vita. E la poesia la trasmette intrecciandola in una relazione universale che ri-parte dalla poetessa e la ricollega a tutti con tutto il Creato. La parola, pertanto, guarisce tutti e tutto… acciacchi ... problemi esistenziali ... limiti di ogni genere ... Basta un “soffio di vento”. Bastano “le rondini nei capelli” e le “formiche tra i piedi”… Basta fare silenzio ed è facile avvertire il cuore “che anela/ al vuoto sacro/ di un tempio (p. 61). Ed è qui che Rossella Piccarreta scopre “la santità delle radici”, che è stata scelta e letta anche da Chiara e commentata dall’Autrice. “Corrispondenza di amorosi sensi” tra noi? Sì, corrispondenza di amorosi sensi! Pensiamo a un albero, le cui radici affondano nell’humus della propria terra, ma ha il tronco e rami e foglie che si elevano verso il cielo e dalla loro cima disvelano nuovi orizzonti, nuove prospettive, moltissime nuove possibilità di incontri. E noi siamo completamente in quegli incontri perché siamo completamente negli sguardi degli altri. Altrimenti non saremmo, quasi non fossimo mai esistiti. È qui che Rossella Piccarreta scopre la sacralità del corpo, e la sanità della sua anima alla mensa dei suoi antenati che la vollero danzatrice in un Teatro greco e baccante in onore di Dioniso, il dio del piacere, dell’ebbrezza, della follia, della fuga negli Inferi e del suo riemergereper rinascere al miracolo della prima gemma sul ramo (“Evoè”, p.73). Non a caso in questo suo annotare le stagioni e i giorni e i mesi e gli anni, in continue cadute e scoramenti e in continue rinascite e riprese, l’Autrice fa, ad un certo momento della sua vita, il punto della situazione, scoprendo, per esempio, in “Così” (p. 84) un momento di serenità, di pace, di armonia. Con sé stessa. Con gli altri. Ma non dura molto. La sua anima inquieta la porta continuamente a vivere tra incontri e addii, tra la fine e un nuovo inizio. Al buio di una notte insonne, alla luce di un giorno ancora tutto da vivere. (leggere la poesia di Albert Camus: Nel bel mezzo dell’odio/ ho scoperto che vi era in me/    un invincibile amore.   // Nel bel mezzo delle lacrime/ ho scoperto che vi era in me/   un invincibile sorriso.   / Nel bel mezzo del caos/ ho scoperto che vi era in me/ 

  un invincibile tranquillità.   // Ho compreso, infine,/ che nel bel mezzo dell’inverno,/ ho scoperto che vi era in me/   un’invincibile estate   // E che ciò mi rende felice./ Perché afferma che non importa/ quanto duramente il mondo/   vada contro di me   / In me c’è qualcosa di più forte/   qualcosa di migliore   / che mi spinge subito indietro).

Rossella Piccarreta giunge, così, a un grido di speranza per la natura offesa, il genere umano violentato da tanta violenza e da tanta ignoranza, sopraffazione, perdizione: “Restiamo umani!”. Per ritrovarsi sempre come “Alice nel paese delle Meraviglie”, nell’abito amato che più le appartiene. E ritorno, per un attimo, in una commistione di già detto e di alcune riflessioni ancora da dire, all’immagine di copertina e alle labbra rosse, chiuse o appena dischiuse, come segni di impavida offerta della propria carne che sarebbe oscena, secondo vecchi canoni etici ormai desueti, se non avessero, nello stesso tempo, la sacralità della chiusura in un mistero di sé stesse, della comune femminilità: intima e preziosa, ma anche, nuda, spavalda, coraggiosa, intera, intensa, come il cambiamento della rinascita richiede. Ma le letture di questo inquietante e innocente dipinto possono essere tante e tutte realizzate attraverso frammenti delle esperienze di bene e di male vissute dall’Autrice in ogni pennellata, in ogni “spatolata” di dinamica eleganza, nel gioco di luci e di ombre per renderci complici di raffinatezza e di forte impatto estetico e misterico. Di perdizione e salvezza. Di qui anche la bellezza del titolo nella sua ossimorica sacralità.

Conclude meravigliosamente Mariella Medea Sivo con la sua Postfazione, insolita, attenta, ricca di richiami colti e appassionate e appassionanti deduzioni, che non fanno una grinza. A partire dal gioco dei “se fosse”, tutto da leggere per assaporarlo fino in fondo perché nessuno, fino ad oggi, ha saputo giocarlo come lei. Persino quando scopre nei versi della Piccarreta la magia del silenzio come “forma estrema di autodifesa e di ribellione” perché, alla fine, “tenace è il suo autobiografismo, sicché la sua opera è come un diario steso per fissare il corso dei pensieri e delle emozioni”. E qui combaciamo perfettamente, io e Mariella, nello scoprire non solo una Silloge di poesie, ma il diario che la accompagna lungo gli impervi sentieri della sua vita. Lo stesso diario è un modo dell’Autrice di praticare il Kintsugi, l’antica arte giapponese, che mirabilmente ripara oggetti di ceramica o porcellana rotti, per decorare le crepe con polvere d’oro e d’argento, come simbolo di continua rinascita. Anche attraverso la bellezza di ogni frantumazione e riparazione. Araba fenice, Rossella, che sempre risorge dalle sue ceneri.

Non a caso, facendo in chiusura una “virata a U”, il suo primo libro, datato il 2015 per i caratteri della Nuova Palomar, si intitola (R)ESISTENZA, sottolineando il suo smisurato amore per la vita che si ribella persino al Karma o Destino che dir si voglia. E lo fa, ancora oggi, con l’estrema appassionata forza e lo straordinario coraggio che la POESIA le dà...

Ancora grazie. Ancora grazie. Ancora buone vacanze. Ancora e ancora Angela/lina                                                  

 

venerdì 25 luglio 2025

Venerdì 25 luglio 2025: ancora di ROSSELLA PICCARRETA e della sua Silloge poetica CARNE SACRA... (prima parte)

Mi arrivano versi

dal remoto

senza tempo.

Lontano.

(Prologo)

Rossella Piccarreta CARNE SACRA (SECOP edizioni Corato-Bari, giugno 2025, £ 12 i.i.)

Avverto la necessità di riprendere quanto ho scritto esattamente un mese fa sulle poesie di Rossella per rinverdire, in sintesi, emozioni e richiami alla Prefazione del grande musicista Pierluigi Balducci, per la tenerezza che si avverte nel suo sentire profondamente la musica interiore, promanata dai versi della nostra Autrice, e per la sacralità scoperta nelle sue parole che si velano continuamente di mistero e sembrano danzare “tra gli Opposti” quasi a spiccare il volo verso l’Infinito che le palpita dentro e si spiritualizza nel “divino” che le appartiene e appartiene a tutti noi, come esseri umani, mai dimentichi delle nostre origini “divine”. Come mi piace pure riproporre brevissimamente quanto Mariella Medea Sivo abbia scritto nella Postfazione, con un incipit insolito, colto, stravagante, eccezionale, da cui emergono tutto l’affetto e la sincera ammirazione che nutre per la straordinaria poetessa, sua amica. Non posso che condividere e cercare i punti di congiunzione, scoperti da entrambi, per entrare con loro in sintonia nei vari testi poetici. Fondamentale è la sintonia, che ci permette di scoprirci nello stesso suono, di vibrare con la stessa musica. Di assecondare lo stesso movimento che ci rende unici nella nostra identica identità ed eternamente cangianti. Fatti, dunque, di coralità e di individualità insieme. E prendo subito ispirazione dal “Prologo” che dà un senso a tutta la raccolta perché indica a chiare lettere l’urgenza che avverte la poetessa di “scrivere poesia”: dono che giunge da lontano e che si fa “voce”, che lei segue “muta e rapita” come ferita d’amore incisa sulla pelle, come “graffio o carezza”, che può condividere, sicura di essere compresa e accolta, solo da “chi sa vedere”. Fondamentale è essere “consonanti”. Anche negli “Smarrimenti”, come suggerisce il primo spazio di liriche o la prima sezione. Rossella Piccarreta è, infatti, una donna che, come tutti gli esseri umani, vive la contraddizione e di contraddizioni, ineludibili in ciascuno di noi, e ancora di più nelle persone particolarmente sensibili, non come sconfitta della propria logica, ma come vittoria sulle fragilità che accompagnano la nostra esperienza esistenziale, in quanto è il cuore che risorge da ogni debolezza e da ogni smarrimento, perché è sempre colmo di “tenerezza”, palpita sempre d’amore dato e ricevuto, anche se, a ben guardare, gli uomini sono purtroppo impastati anche di violenza, invidie, rancori micidiali, che decretano carneficine, guerre, lutti, dolore, senza più un’etica a salvaguardare la nostra uguale umanità. Eppure lontano/ un suono: il mare./ Uguale per te e per me./ Eppure in alto l’azzurro./ Uguale per me e per te (“Snake of war”. Ma anche “snake of war in the soul”, pp. 13-14). E i versi si inazzurrano come la nostra anima. Solo per poco, perché “stormi neri” incombono e a nulla valgono “urla contro il cielo”. Presagio di morte e distruzione, come già in Giosuè Carducci (in San Martino) o in Paul Celan, in una commovente poesia, in cui descrive la disumanità della Shoah, in lingua tedesca a eterna vergogna della sua terra d’origine. Forse occorrono preghiere per sventare ogni timore, reso realisticamente vero e spaventoso dalle “ali giganti/ nere e pesanti”. Non a caso, ancora la contraddizione ad allarmare la voglia di vivere e di amare. In eterno contrasto.  Vita e Morte. Eros e Thanatos. Origine e Fine. Odio e Amore. Tutto e Nulla. Simone Weil ha studiato a fondo l’inevitabilità della contraddizione persino nell’apparente pacifica quotidianità. Ne ha fatto una teoria filosofica, psicologica ed etica, pur essendo partita dalla matematica, da una scienza esatta che non ammette il contrario. Rossella cerca di vincere le innumerevoli contraddizioni che la abitano e la agitano, tra “lo strazio del niente./ Il soffio del tutto”, alla ricerca di un equilibrio che dia leggerezza ai pensieri e ai giorni come in Italo Calvino. Una leggerezza pensosa, certo, alla ricerca di un maggiore equilibrio, di una serenità mai vissuta prima e che sempre più le sembra una necessità dell’anima, perfettamente consonante con le inevitabili dissonanze della vita, dovute innanzitutto alla nostra natura umana, e alla nostra arroganza nell’affermare senza mezzi termini l’individualismo con il vivere continuamente, tra sincerità e ipocrisia, realtà e finzione, libertà e catene, di cui spesso non si riesce a fare a meno.

La seconda sezioneEros, Anteros, Himeros” è meraviglia di occhi innamorati, ritorni concentrici di desideri, accesi spenti ritrovati spenti, nel giardino più o meno segreto, in cui Rossella coltiva rose e cerca di occultare le spine in una danza, che è recupero di amore carnale e divino perché sacro è l’amore in tutte le sue espressioni e manifestazioni. È “traccia chiara/ di una segreta divinità”. E di “innocenza”. Ma continuano anche qui smarrimenti e paure, dubbi e contraddizioni, assenze e vuoti di presenze desiderate: attese, rimpiante. Ma rinasce sempre l’amore in ogni luna attraversata. Ed è pacificazione di cose e di anime, unite per sempre. “Malgrado tutto”. E le contraddizioni, man mano che sono passati gli anni, sono aumentate, spenti i bollenti spiriti della passione, in un crescendo di perdita di sé e dei sogni. Ora tutto sembra inventato, persino l’amore che pure un tempo era stato vero. Fugge il tempo, purtroppo, portandosi con sé amori, illusioni, “ardore e tenerezza”. Gli stessi “eterni ritorni” nei “valzer degli addii”. Rossella conserva, però, nelle sue mani tutte le meraviglie di Alice e testardamente crede nei sogni e nell’amore e a tutto ciò che è stato o non è stato, ma potrebbe ancora essere. Osa continuamente scendere negli abissi della disperazione e risalire con nuova fioritura di poesie e di preghiere, che fanno bene al cuore esacerbato e stanco, ma sempre pronto a rinascere anche “nel buio di un frammento” per continuare a cantare “all’infinito”. E il poeta è salvo. E con lui anche Rossella perché c’è in lei il respiro della Poesia. Un ritrovarsi sempre e comunque.

Ecco perché la terza sezione tratta di “Ritrovamenti”. E tra questi è sempre il cuore in primo piano. Poi il cielo con il suo azzurro e le sue nuvole, e la carezza forte/dolce delle parole poetiche, che abitano il “Tempio Sacro della Poesia”, mai del tutto perso e in cui è bello e salvifico rifugiarsi. Non importa se, alla fine, rinascere sia un tornare a ridere ancora di un “tutto/ fatto di niente”. E ripercorrere le stagioni: metafora della vita stessa. Sempre ossimorica.

La quarta sezione è fatta di “Notturni” ed è un inno al pensiero femminile che germoglia nella notte perché carica di mistero che solo il buio genera, sa e conosce. Il pensiero maschile, invece, è fatto della chiarezza del giorno, è fatto di cose pratiche e di problemi da risolvere nella comunità di appartenenza, nella società, nel mondo politico. Niente è oscuro, velato, misterioso. Non a caso, Rossella scrive: Epifania del sonno/ è un segreto/ nascosto tra le stelle,/ un rantolo nel buio,/ un’inquietudine lieve/ celata dal lungo frenetico/ frinire del giorno,/ un’apnea sospesa/ nel silenzio nero della notte… (p. 77). Ma anche dalla notte si emerge alle prime luci dell’alba e al bagliore del sole che tutto risana e ci restituisce alla realtà del giorno. E alle sue verità.

La quinta sezione si intitola “Memento mori”, in cui tutto si fa ansia di vivere, sia pure nelle mille contraddizioni che la vita ha insegnato alla poetessa giorno dopo giorno. Disperante è per lei, e probabilmente per tutti, “la vanità”, l’inconsistenza delle cose a cui ci aggrappiamo come incoercibile anelito alla vita. Ma Rossella Piccarreta ha versi d’amore per tutti, segno di grande umiltà e di immensa forza d’animo: per le donne e per ciascuno di noi, facendo appello, con tutte le sue forze, all’ac-cor-darci, cioè a mettere il nostro cuore insieme, per vincere il male che si annida in questo mondo così difficile da vivere ai nostri giorni e sempre, e per fare trionfare il bene e la speranza in un mondo migliore, in una prospettiva salvifica per tutti: siamo fratelli sotto lo stesso cielo che ci vede nascere e morire… Ho i denti che battono/ e identiche ferite/ e identico sole sul capo./ Riempiamo d’oro le crepe/ facciamo un sogno nuovo./ Restiamo umani

Ma, oggi, prima di parlare del libro, desidero dare un’occhiata alla copertina, che lo straordinario Graphic Designer Nicola Piacente della nostra Casa editrice ha composto, rifacendosi a un’opera pittorica molto suggestiva e significativa della stessa Autrice. Ed ecco tre donne con la loro nudità, il loro essere insieme, quasi a proteggersi, a darsi manforte, a sostenersi. Non a caso, il braccio protettivo di una di esse in primo piano. I toni marmorizzati tra il nero e il grigio con pennellate di azzurro e di blu e i volti con gli occhi chiusi su lunghe ciglia rammemoranti momenti di smarrimento e momenti di riscoperta di sé. Confermati dalle labbra rosse, chiuse o appena dischiuse, come segni di impavida offerta di sé e, nello stesso tempo, di chiusura in un mistero di sé stesse, della comune femminilità: intima e preziosa, ma anche, nuda, spavalda, coraggiosa, intera, intensa, come il cambiamento della rinascita richiede. Di qui anche la bellezza del titolo nella sua ossimorica sacralità. CARNE SACRA, infatti, fa parte, secondo me, delle scritture intime, dove si riflette profondamente l’anima della nostra Autrice allo specchio, quasi fosse un Diario intimo ma non segreto. Diario, perché ci sono tutte le stagioni dall’inverno all’autunno alla primavera, e tutte le ore del giorno, in cui accadono avvenimenti solari e notturni, ricchi di desideri e rimpianti, sogni e nostalgie e in cui si fanno spazio i ricordi in un viaggio lungo quanto un’intera vita, intessuta di musica, sua antica e sempre nuova passione, come sostiene anche, con le sue vibrazioni sonore, nella Prefazione alla Silloge, il grande musicista e compositore Pierluigi Balducci. Sono pensieri, aspirazioni, progetti, attese, speranze, pulsioni ormonali che creano stupore, ansia, dispersione di sé e un bisogno di ritrovarsi nel sé che la abita dentro. Una sorta di alter ego, il suo io allo specchio, in una immagine io-non io, riflessa, rovesciata che esime l'io vero dal provare sensi di colpa o di vergogna: una specie di straniamento che rende oggettiva la realtà soggettiva e permette la riflessione e la confessione di sé a sé, nella illusione/realtà di raccontarsi la verità e di decantare ogni problema, ogni sofferenza, ogni paura. È il proprio “giardino segreto”, quello della Poesia, che mette al riparo da occhi indiscreti e dal mondo per concedersi solo agli occhi “di chi sa vedere”. (p. 7) Una stanza tutta per sé, scriverà Virginia Woolf, la madre di tutte le donne con l'amore per la scrittura e l'ambizione di scrivere per lasciare traccia di sé. Purché si superi il ribaltamento di sé nello specchio, che rende difficile la lettura. Bisogna procedere all’incontrario per rivelarci a noi stessi e agli altri, in una forma, però, sempre incompiuta di noi. Il diario, allora, è una forma di scrittura che è più vicina al “disvelamento della coscienza”, ma è anche la conferma del sé imprendibile dal mondo circostante e afferrabile in tutto ciò che è e non è, fino alla scoperta dell’Io-Sé nella propria anima. È come se Rossella fingesse di essere Eva, la prima donna apparsa sulla terra, e di aprire gli occhi di fronte ad un mondo del tutto sconosciuto, in cui sente il bisogno di scoprire sé stessa nella confusione della visione delle cose che avviene

 per la prima volta, lasciandoci pagine di versi di grande suggestione, intensità e bellezza. Diventa, così, la sua Silloge, un viaggio multisensoriale nel tempo e nello spazio, suggerendo una “danza” che contiene in sé, nei tanti ritorni mescidati di note che si ripropongono in altre pagine, una vera orchestra che parte dalla natura per giungere al senso del ritmo interno che Rossella porta con sé, in sé, quale nutrimento della sua anima che vibra in un volo cosmico in cui tutti i sensi sono accesi, fino al sesto senso e oltre, superando il mondo, quello attuale, che non sa più vivere di emozioni, sia in senso orizzontale, sia in senso verticale. Si tratta, infatti, di una società individualista e indifferente all’altro. Una società, che conosce meglio il linguaggio della violenza e ignora quello della fratellanza. Soprattutto noi donne avvertiamo ancora, nonostante i tempi decisamente mutati, le difficoltà di vincere un residuo maschilismo, soprattutto nei paesi del Sud, per porci e imporci come donne libere, volitive, coraggiose nelle scelte, nella consapevolezza dei propri “punti di forza” e delle inevitabili “fragilità” di ogni essere umano, per evitare l’arroganza della perfezione, che blocca e impedisce qualsiasi salutare evoluzione della propria personalità (leggere “Lasciateci vivere” a p. 99).  

E per oggi mi fermo qui. Non voglio approfittare del vostro tempo e della vostra pazienza. È estate, tempo di vacanza, di relax, di sole, di mare, colline, monti, laghi, mare. Dobbiamo lasciare riposare la mente… Ma… la poesia non può aspettare. Lunedì ci sarà la seconda e ultima puntata. Poi… facciamo una pausa estiva. Grazie, sempre. Un abbraccio a tutte e tutti. Angela/lina

venerdì 18 luglio 2025

Venerdì 18 luglio 2025: CONCORSO BITLIBRI 2025: 25 POESIE + 12 FOTOGRAFIE da valutare e premiare...

Sì, accogliamo la Meraviglia

che, quotidianamente,

il mondo ci regala per

farne dono a noi stessi e agli altri.

             (a.d.l.)

E oggi mi sembra giusto parlare della bellissima esperienza vissuta a Bitritto, lunedì 14 luglio, dalle h. 20 in poi, in Piazza Leone, nell’incanto, di un paese dell’entroterra barese, Bitritto, che coniuga la vecchia pietra delle antiche case con le nuove costruzioni che fioriscono nel rispetto delle passate stagioni. Qui si è sempre più sviluppata e consolidata, da decenni ormai, una comunità che si prodiga per realizzare incontri culturali (Rassegne, Convegni, Concorsi e Premi letterari) che ne stanno tessendo la storia affidata ai Libri da leggere, da scrivere, da presentare come rinnovato baluardo di una cultura creativa e umanizzante, che mette al centro la gentilezza (tema di quest’anno) e la solidarietà inclusiva (tema che permea di sé queste manifestazioni), perché non vada perduta la storia dell’uomo, nonostante i disastri di quest’ultimo millennio, di cui stiamo percorrendo già un quarto di secolo, con alterne vicende, devastanti da un lato, ma per fortuna edificanti dall’altro. Merito di un team di organizzatori, al maschile e al femminile, motivato, affiatato, ricco di passione e di voglia di fare, di progettare, di realizzare. A capo, la straordinaria Cristina Maremonti, che mi è entrata nel cuore immediatamente, per la delicatezza delle sue proposte, della sua accoglienza, dei suoi interventi, del prendersi cura di tutti e di ciascuno. Cristina, tra l’altro, col suo nome, mi ricorda il carissimo amico Cris Chiapperini, ottimo attore, collega e amico del carissimo e bravissimo Lino De Venuto, e persona dal cuore grande, che abita ormai tra le stelle, e, nel cognome Maremonti, i due elementi naturali che più amo: la distesa azzurra delle acque sotto un cielo che in esse si specchia, e la verticalità delle montagne che segnano un percorso di grande spiritualità, a cui si accede vincendo inevitabili solitudini, con la forza e il coraggio che occorrono nelle imprese titaniche verso orizzonti sempre più ampi, in cui si distendono le nostre “moltitudini” (Walt Whitman), che ci avvicinano a Dio, confine sconfinato di ogni orizzonte possibile.

Ebbene, lunedì sera ho avuto contezza di tutto questo, in una serata letteraria che ha saputo, grazie a Cristina e a Margherita Diana, le antesignane di BitLibri (2018), intrecciare sapientemente i Libri con la Musica, la Pittura, la Scultura e tutte le Arti in genere che si avvalgono della Bellezza e dell’Armonia, in un’unica felice soluzione/condivisione. Di qui il successo di una serata con un pubblico assiepato fino a tarda ora per ascoltare e conoscere i grandi nomi di scrittori, scienziati, giornalisti, che hanno reso l’atmosfera incandescente e estremamente interessante. Con la presentatrice ufficiale Alina Liccione accompagnata da Alan Palmieri, gli intermezzi musicali del sax Akeem Dosso, le fotografie di Marco De Giosa e la voce narrante di Paola Martelli, si sono alternati Cristina Maremonti in sorridente dialogo con Antonia Chiara Scardicchio sul tema della Gentilezza e dei Libri e delle Arti “che possono renderci migliori”; il monumentale scienziato Prof. Antonio Moschetta, (medico e professore ordinario di Medicina interna all’Università di Bari e molto altro ancora) ha dialogato con il Prof. Filippo M. Boscia su PARLIAMO DI PANCIA, pubblicato ultimamente dal Prof. Moschetta con la Mondadori;  c’è stato poi il nostro bravissimo Autore Jean Paul Stanisci che ha dialogato con la giovanissima attrice Guendalina Losito sui visionari, ma anche realistici Racconti in 16:9, con la suggestione cinematografica che tanto appassiona l’instancabile viaggiatore Jean Paul, cronista e reporter di larga fama; e, infine, la scrittrice Erica Mou che ha dialogato a lungo appassionatamente con la prof.ssa Antonella Daloiso sul bisogno di convivere con il dolore e farsene una ragione, nel tempo, per crescere nella completezza di sé, in tutte le sfaccettature della propria personalità di madre, di figlia, di donna, di scrittrice.

E più tardi finalmente la premiazione dei vincitori del Concorso letterario, improntato soprattutto al tema della gentilezza (25 + alcune altre poesie) e fotografico (12 foto), di cui bisognava scegliere due per ciascuna sezione. Hanno vinto, il Primo Premio: per la Fotografia Antonio Duilio Puosi, e per la Poesia Valeria Maranò. Al secondo posto: per la Fotografia Ilaria Colacicco, e per la Poesia Crescenza Caradonna. In qualità di Presidente di Giuria, sono stata invitata ad avvicinarmi al palco dove hanno trovato posto tutti i partecipanti delle due sezioni per le fotografie di rito. Ero molto stanca a causa dell’ora tarda e della mia disabilità, ma sono stata felice di vedere tanti giovani entusiasti e partecipi nel contribuire sempre più a rendere Bitritto una comunità ricca di talenti o semplicemente di giovani di buona volontà che amano cimentarsi con le Belle Arti in senso lato, offrendo a tutto il coraggioso e coinvolto pubblico il bellissimo senso di appartenenza alla comunità. Appartenere sottintende il “prendersi cura con amore” e non possedere, magari con l’arroganza di chi non dà importanza all’ospite, alle cose, sia pure minime, al nido degli uccellini lungo le pietre del maestoso portone della casa comune, il Comune appunto. Delicatezza e premura che ho notato in Cristina Maremonti nel fare spazio a tutti, anche a quelli “debordanti”, nonostante il tempo scandito per ciascun ospite inderogabilmente legato alle tante presentazioni, ai pianificati momenti musicali e alle declamazioni delle poesie o dei brani di prosa presenti nei libri dei vari Autori. E tanto altro ancora. Roba da perdere la testa e il cuore. Ma questo non è accaduto grazie alla professionalità e al coraggio di Cristina, preoccupata fino alla fine di mettere tutti a proprio agio, a costo del personale sacrificio. Grazie di vero cuore, Cristina! E grazie a tutto lo staff che sta condividendo con te questi giorni frenetici, stressanti ma anche esaltanti.

E vorrei concludere con l’evidenziare le motivazioni alla base della scelta delle opere vincitrici: per “ANDREA” (1° Premio - Poesia -) = “Per Andrea” è un inno ai miracoli che compie l’amore quando è così forte da far superare alla donna ogni fragilità. Tenero richiamo per l’uomo amato senza riserve, in un abbandono totale di sé da parte della poetessa che trova sicuro rifugio sul petto di lui. E non desidera altro che restare così, per eternare l’attimo perfetto. “FONDALE MARINO” (2° Premio - Poesia -) = Poesia vibrante di un’anima che anela ad immergersi nella solitudine degli abissi del mare, che nasconde tesori inauditi per ritrovarsi fuori dal clamore assordante del mondo che lacera il cuore e ci rende estranei a noi stessi…  Foto n.7 (1° Premio): La gentilezza è anche una immersione in due nella natura per percorrere insieme il sentiero della vita, tenendosi per mano e sostenendosi con amore. Immagine di spalle: profonda, emblematica, efficace. Fono n. 12 (2° Premio): Educazione a vivere insieme la gentilezza con allegria sin dall’infanzia perché venga praticata con rispetto e amore per tutta la vita. Foto molto significativa e suggestiva.

Ci sono state poi, fuori Concorso, le Menzioni speciali al bravissimo e carissimo Piero Meli: Per i suoi versi intensi, profondi, delicati, carezza lieve di autentica Poesia. Ed ecco la sua poesia intitolata “BitLibri: Nel borgo sospeso/ dove l’eco s’adagia tra i vicoli,/ i libri svelano vene di luce.// BitLibri sussurra,/ infonde,/ carezza d’inchiostro,/ gentilezza che si fa carne.// La cultura qui non conquista,/ seduce./ Scava con dita leggere,/ illumina crepe,/ fa germogliare silenzi.  

E alla straordinaria e dolcissima Francesca Palumbo: Per aver sottolineato l’importanza delle piccole cose e la loro sottile poetica Bellezza, per l’impatto etico-sociale che hanno nel farsi comunità e poterla vivere con forte e corroborante senso di appartenenza. Ed ecco la poesia senza titolo: Bil Libri è la politica della cura, la rivoluzione delle cose minute,/ un’ecologia del sentire/ che restituisce voce ai luoghi/ e respiro alle persone.// È lì che le storie prendono forma,/ e i paesi diventano comunità./ È lì che la bellezza smette di essere ornamento/ e diventa gesto.   

E così amo chiudere. Stanca ma felice, sono tornata a casa con un prezioso dono chiuso in un delizioso sacchetto di corda: un vaso con un bonsai di ulivo, ricordo indelebile della nostra terra “siticulosa” (Orazio), nonostante le braccia azzurre dei suoi mari a circondarla, ma con rami sempre verdi di attesa prosperità, di atavico dolore nel sacro tempio della Pace.

A presto, miei carissimi lettori. Grazie sempre. Un abbraccio tutto estivo. Angela/lina

  

martedì 15 luglio 2025

Martedì 15 luglio 2025: RECENSIONE AL LIBRO/DIARIO "RACCONTAMI DEL VENTO" di GRAZIELLA DE CILLIS...

Chiamo poesia

ciò che trafigge il cuore

come una lama

 (Emil Cioran)

Raccontami del vento di Graziella De Cillis (EDIZIONI GIUSEPPE LATERZA, Bari 2024)

Un anno dopo, ecco le mie emozioni e commozioni nel leggere l’insolito romanzo/diario di Graziella De Cillis, con finale a sorpresa. Non mi sorprende, invece il suo “esperimento di coniugare la poesia con la narrativa” per “l’esigenze” dell’Autrice “di donare alla lirica un più ampio respiro” perché mi sento perfettamente a casa: tutte le mie pubblicazioni, dalla prima (1956) all’ultima in ordine di tempo (2025) hanno intrecciato continuamente prosa (che era di per sé poesia) e poesia (che era tale, ma alcune volte si identificava con la prosa, per l’estendersi lungo di alcuni suoi versi), e sempre con un esergo molto significativo per sintetizzare e connotare tutto il contenuto dell’opera). E c’è di più: la nostra sintonia attraversa la musica per mezzo dei tasti di un pianoforte, strumento meraviglioso (regalatomi dal mio nonno materno) che ho suonato dalla preadolescenza alla prima giovinezza, quando ho dovuto abbandonarlo per andare via. Graziella deve il suo incanto, invece, alla magia della musica del pianista e compositore, maestro Remo Anzovino, che “inconsapevolmente” ha ispirato l’intera “trama” della sua “opera”. In realtà, il suo Libro è decisamente nuovo e diverso perché non ha capitoli ma un dialogare continuo con i lettori che rende partecipi e quasi co-protagonisti degli avvenimenti che riguardano gli attori principali di una storia che si si aggroviglia e si snoda attraverso altre storie, tutte molto importanti anche se i Nevio e Lisa riempiono quasi tutte le pagine della loro presenza e del loro amore: lui pianista e compositore di collaudata fama e con ferite di cui non vuole parlare; lei poetessa che fa della scrittura la sua ragione di salvezza da un passato da dimenticare. Entrambi si riconoscono nelle loro fragilità e cicatrici. Un collante molto forte per entrambi. La musica di lui è il sottofondo quotidiano in sua presenza e in sua assenza; le poesie di lei emergono di tanto in tanto, quasi come “coro greco” antico, che i coreuti si riservavano sulla scena per “commentare” il non esplicitato, il sottaciuto dalla protagonista.

Si tratta, comunque, di un romanzo che ha come “protagonista” assoluto il “vento”, che trascina con sé “nel bene e nel male” non soltanto la natura, sempre presente in queste pagine, ma le vicende degli esseri umani, che non sempre sono essi stessi costruttori del proprio Destino o Karma, ma molto più spesso sono costretti a subire i fendenti di una sorte non sempre rispettosa di attese, desideri, illusioni, progetti di vita.

Accanto al vento, perlopiù distruttivo, protagonista salvifico è l’amore in tutte le sue “prismatiche” forme, per dirla con l’immenso Jorge Luis Borges, che supera così la sua stessa teoria degli specchi con le sfaccettature infinite che il prisma ci offre per farci conoscere più ampiamente e profondamente la natura degli uomini e le loro esperienze esistenziali.

Pregio straordinario dell’Autrice è, lo ribadisco, quello di accompagnare i vari protagonisti del romanzo/diario, mese dopo mese, con le varie caratteristiche climatiche e i molteplici modi di vivere, in “zumate” simili a riprese cinematografiche per coinvolgerci nelle diverse storie, nella immersione totale in atmosfere oniriche o realistiche, legate agli elementi naturali che più adora, in primis il “mare” col suo colore di cielo vetrato e il suo intenso senso di libertà, di forza, di audacia che stabilisce e realizza. Ma anche della “casa” per la protezione e l’intimità che offre, gli angoli amati e gli oggetti che si fanno eco di emozioni e sentimenti tra i più profondi e sinceri, che si identificano non solo con l’amore, anche estremamente erotico, sensuale, esclusivo, ma anche e soprattutto con l’amicizia, il sogno, il bisogno, l’urgenza, la necessità, il coraggio di essere sé stessi e, nello stesso tempo, la necessità di cambiare per affrontare nuove sfide che la vita stessa ci impone o che noi imponiamo alla vita. E i luoghi da cui ci si è allontanati per poi farvi ritorno, per riscoprire radici e tormenti legati a un passato che si vuole dimenticare “per non farsi più male”, ma che ritorna e ancora ritorna sotto mentite spoglie, per non spaventare il cuore ferito ed esacerbato, e per offrire nuove prospettive non sempre semplici e salutari, per il corpo e soprattutto per l’anima. sentimenti profondi che anelano ad ogni felicità possibile, ad ogni sogno che rende unica e meravigliosa una storia vissuta all’unisono. Ma le storie si perdono mentre altre fioriscono nelle alterne vicende della vita e della morte che ci segnano, ci sfiorano, ci appartengono sempre e comunque sotto lo stesso cielo che esplode di eternità per ogni piccola fiammella che si accende di vita nell’Universo. Il resto della storia è ancora un intreccio di storie, ma io mi fermo qui per dare ai lettori l’ansia di saperne di più. Un ultimo sguardo ammirato all’immagine di copertina, tratta da una bellissima ed emblematica foto dell’Autrice al litorale di Bisceglie, suo “luogo del cuore”: una bicicletta colma di fiori lasciata a guardia dell’infinito mare o viceversa, come spesso avviene nelle umane vicende.

A Graziella De Cillis l’augurio sincero di volare sempre più in alto con la sua scrittura poetica, avendo trovato tra l’erba e le foglie il suo “archetto” magico che ha il sapore dei Fiori, del Mare, della Musica, della Bellezza e dell’Armonia…

“Abbiamo tutti nel petto un violino e abbiamo perduto l’archetto per suonarlo. Alcuni lo ritrovano nei libri, altri nell’incendio di un tramonto, altri negli occhi di una persona, ma ogni volta l’archetto cade dalle mani e si perde come un filo d’erba o un sogno. La vita è la ricerca infinita di quell’archetto per non sentire il silenzio che ci circonda” (Fabrizio Caramagna)

A tutti voi, miei amatissimi lettori, un anticipo, con le mie parole, di una storia molto bella per non conoscerla. Buon mare a tutti. Angela/lina  

venerdì 11 luglio 2025

Venerdì 11 luglio 2025: Tempus fugit: le quattro stagioni della vita + una (c’è sempre una quinta stagione)

… il cielo infinito,

    ciò nondimeno

    del tutto presente

    nella fugace pozzanghera

         (Yves Bonnefoy)

Stamattina mi sono alzata con le canzoni che mamma cantava nei giorni della mia infanzia e adolescenza a cui ho aggiunto, canticchiandole, quelle della mia prima giovinezza e, via via, mi sono avvicinata ai nostri giorni. Lo so non c’è tanto da cantare e da stare allegri con i tempi che corrono, ma sarà che siamo in piena estate, sarà che c’è un richiamo di mare sospeso tra terra e cielo, sarà che io d’estate sto meglio e rinasco, ma va così. Seduta alla mia scrivania, io CANTO e provo piacere a farlo, nonostante l’avanzare inesorabile degli anni. E, improvvisamente, mi colmo di ricordi e nostalgie, pensando al tempo che fugge più veloce del vento e alle stagioni della vita che, per me, sono state sempre cinque e mai quattro, per darmi una possibilità di canto in più, per beffare anche la morte che avanza con piede lesto, che a me sembra di danza come le ore di Amilcare Ponchielli nella sua “Gioconda”. E, chissà perché, mi mettono allegria persino questo nome e cognome, insoliti, saltellanti, divertenti. È bello alzarsi di buonumore. Mette allegria e la voglia di scrivere poesie, magari ricopiandole da vecchie mie sillogi che nessuno legge più. E parto dalla mia nascita per ricordare la stagione dell’infanzia, dei suoi terrori e dei suoi prodigi: … Mi spaurano rabbia e indifferenza/ la volontà di uccidere ad ogni alba/ - bagliori di coltelli affilati nel buio/ di livide notti insonni ed assassine -/ Mi trafigge il vuoto d’inutili parole/ aggrappate a silenzi che non so capire/ dove mai s’incontrano navi da crociera/ solo rapaci galeoni di feroci pirati/ al canto di certezze addormentate// Io nacqui alle otto di una sera/ che sfogliava petali di rose/ per farne farfalle profumate/ in un campo di ciliegi e melograni/ - tra papaveri da scoppiare tra le dita/ scrivevo i miei ti amo ad un amore/ volto di sole e un buco dentro il cuore -/ Io nacqui con negli occhi gli aquiloni/ a conquistare un cielo di turchesi/ barchette di carta al gioco dei bambini/ in un altrove che mi strania e mi cattura/ Ma ho versato lacrime di sale/ per ogni veliero sparito in fondo al mare/ Però nacqui e non m’importa dove come/ se non so vivere come gli altri sanno/ se non dormo sull’altrui dolore/ se dentro mi vola un gabbiano/ sotterraneo sogno di giorni delusi/ tra ragnatele di anni sempre uguali/ e scuse banali per non sapere amare/ Io nacqui sotto feroci bombe nel cielo/ ma contai sempre i passi delle stelle/ ad ogni rombo che mi franava il cuore/ Però nacqui e più non m’importa/ se una ferita lunga è questo amore/ da ricucire con cento fili di seta/ su corazze di ferro arrugginito/ (... e fingersi un sogno in differita/ per non rimpiangere/ di non essere mai nata...)

2. A chi appartengo?/ Da quale pianeta di foglie bambine/ stupite d’alberi e di millenaria sete/ da quale mistero di navi senza pennoni/ di treni senza rotaie di vele senza vento/ da quale deserto privo di sabbia e sole/ di pozza d’acqua d’oasi di sale/ o canto di mare brivido d’onde/ dune di parole/ Da quale nebulosa sperduta e lontana/ diafana negl’infiniti Universi precipitai/ senza alcuna stella a cui uncinare le ali?// Eppure mi seppi figlia di mia madre/ e foglia tenera di un albero forte/ con braccia generose quanto inermi/      suo padre     / Lui prodigio di lucciole nella notte/ a illuminare ogni sentiero nascosto/ nel cupo bosco dove fiorì l’inganno/ per chi sperduto in intricati sentieri/ desiderava solo una storia incantata/ ancora da sognare per “ridere la vita”/ Io occhi immensi ad ascoltare…/ Panieri di fiabe da mangiare…

3.  mani di rose volto senza spine/ e una risata allegra e ciarliera/ a raccontarmi ti amo e poi ti amo/con labbra di fumo e fuoco di parole/ sui miei quattordicianni appena./        1956      / Anno di fiaba bianca/ colorata di sogno e ballerina/ tenerezza di canzoni perdute/ e una luna di lana/ per pensieri da riscaldare/ con mani di gelo/ e un gioco da inventare/ per fingersi un amore/ svanito coi primi raggi di sole…// (io che guardo il cielo anche di notte/ e immense galassie di cieli mordo/ e rido di quell’amore ragazzino/   che ingordo colmò il tempo di noi…    /io che conto le stelle e penso e scrivo/ e chiacchiero con loro/ e con i ricordi uncinati al cuore)

4.  Dispero in tempo di buio terrore/ che una rosa/ di rosse carezze/ accenda i miei occhi/ di spine e favola dimenticata/ Bagnati di pioggia improvvisa/ i miei occhi persero il sogno…/ Rimpiangono cieli di giovinezza/ di debuttanti al primo ballo/ Gli anni scivolano su steli riarsi/   Scivolano   / E non c’è più un oceano di baci/ in cui affondare/ Ma poi d’improvviso/ si frantuma in zolle/ di quasi primavera/ un capriccio di marzo/ E su rami desolati/ ha fatto nido un germoglio/ di mandorlo esiliato/ dimentico del sogno rosa/ che riesplode nei campi/ al primo richiamo di rondini/ Rosa di candido pudore/ i miei ritrovati tredici anni/ Festa di seni/ non ancora di donna allora/ che i tuoi occhi annegavano nei miei/ nella casa dei gatti di parole di foglie…

5.  Pensieri d’estate al pallore/ di una rosa verginale nell’alba/ che muore / Silenzio d’inizio e fineil frastuono spento sul ricordo / di “un volto di sole stemperato/ in nenie di mare” / Gambero alla deriva il ricordo/ nostalgia d’altri giorni d’altre intese/ Nostalgia d’altre strade/ con glicini ai cancelli/ e un canto di quasi giovinezza/ ubriaca di vino al sapore di noi/ tra labbra accese e mani di carezze/ mai più date mai più ricevute/ Tra labbra serrate il segreto/ di un rimpianto da non dire/ per non farsi più male/ e ritornare a sognare…

6.  Se guardi il mare e incontri i miei occhi/ persi tra onde di piena giovinezza/ ascolta un canto stordito di fiori e di risacca/ con suono di voce mai perduta./ Segui il gabbiano solitario che mi vola in seno/ e il suo grido di gioia pieno/ che accompagnò sempre il mio volo/ con piume azzurre di ali perse di cielo/ smarrito e perso e ritrovato.// Quando senti il vento/ ascolta il mio incancellato sogno/ che libera l'anima in fili dorati/ di libertà sul volo distratto/ dove spavaldo ridi della mia allegria/ sei il clown dei miei giorni di onde/ assaporate attraversate vissute/ alla riva di tutti gli oceani sognati e con te inventati.// Se guardi il mare/ scoprimi seduta sulla riva a seguire velieri/ come pensieri di vento al largo trasportati/ ascolta la mia voce che sussurra il tuo nome/ e rimane muta senza fiato e un avanzare/ di lucciole sulla sabbia sfiora la sera.// Giungerà la notte in un chiarore di faro/ ai moli intirizziti e colmi di soli/ e la riva avrà profumo d'alga e rumore/ di vecchie canzoni da cantare piano/ la mano nella mano// (se guardi il mare… ricorda/      il mio cuore di bianca spuma/ la mia gioia di vivere/  grande più del mare)

7.  M’assedia di ricordi quest’ora/ notturna/ da rivivere già vissuta/ alla danza dei calendari/ Giorno d’autunno/ e rami colmi dell’ultimo sole/ in coriandoli di foglie ballerine/ Stancano di malinconia/ occhi insonni/ che temono il tempo/ più che la memoria/ gonfia del passato/ quando era festa di giovinezza/ il mio passo leggero/ Non un appiglio per tornare/ a quella nostra primavera/ di ciliegi e biancospino/ quando ardeva di baci il cielo/ oltre la soglia del silenzio/ che anticipava l’abbraccio del cuore/ E tu cingevi di spine i miei lunghi/ capelli sciolti per le carezze  delle tue mani/ E ridevi un ti amo di passaggio/ tra ciglia di saluto corsaro/ Oggi sono qui in un tramonto d’anni/ che cede ai cupi rami della sera/ E risuona il tuo nome/ in abissi di foglie senza ritorno …//… annidata nella tua anima/ rido e poi piango e rido di te di me contro di noi/ E ti so al buio cedermi i polsi/che di giorno leghi al frastuono/ di cercata indifferenza/ per negarti alla tenerezza/ che forse non t’appartiene/ (non più il tempo dell’amore?)/ E ignori che sono là/ piccola invisibile antica/ tuo quotidiano stupore … (ti dissi ti amo tra labbra mute/ innamorate/ e tu eri già oltre la soglia del tuo cuore)/ Anticipasti un addio senza parole/ e mi gettasti in rovi di biancospino/ (piansi una tristezza che non sai/ quando di perderti un presagio mi vinse/ e ti chiamo ancora)/Morirono ciliegi e biancospini/ Sono ancora vive le ombre della sera/ in un tramonto che non vuol morire

8.  Con passo di bianco silenzio/ sul cristallo dei lucernari/ allo stupore di occhi bambini/ dietro vetri di ricordi/ è tornata la neve./ Nel giardino di bianca spuma/ a conca i palmi di mio nonno/a riempirne bicchieri./ Mia nonna rideva a una fiaba soffice/come di panna montata e nuvola…/ Zuccherino vincotto versava a volo/ su lieve candore gemmato di cielo/ in calici chiari tra mani di gelo./ Ritorna un tepore di sogno lontano/ e morbidezza di lana lo scialle/ di mia nonna sulle spalle/ tra camini fiammanti d’amore/e un luccicore di bracieri accesi/ e carboni ardenti/ e i nostri occhi sognanti./ (Stretti noi ad un inverno/ caldo di favole allegro di scintille/ da contare ad una ad una/ incantati/incatenati/ alla sua voce di luna…

9.  Mi piace questa atmosfera d’attesa/ che sa di neve e di camini accesi/ dove scintillano arrivi come doni/ a colmare giorni di lontananze/ non di assenza/ o distonie ignorate/ E tu non sai perché accade/ il canto che più non t’appartiene/ oltre l’abbandono che ti trafigge/ il respiro di madre/ senza più braccia da cullare/ Ma sai che ora tornano/ rondini anomale al nido d’inverno/ che si scalda di parole/ e fremita d’abbracci/ in un volare di piume/come sogni addormentati/ all’alba di un risveglio/ E come uccelli di passo/ verranno per andare via/ Quasi stazione di posta/ il tuo insaziato cuore/ non approdo di lunghe stagioni/ cui hai rinunciato dal tempo/ del primo volo verso cieli lontani/ Pure ritornano/ Dai loro passi brevi nel giardino/ sai che è Natale// Tu ci sei come allora/ a spiare sguardi d’ansia/ che celi d’ironia dietro il cancello/ di attese e sorprese// (mi piace quest’atmosfera d’incontro/ che sa di rinnovato candore/ Infanzie esplodono/ nell’epifania di un solo giorno/ che nei miei occhi si colma d’Amore)

10. Stanotte tra braccia di tenerezza ho stretto/ l’amore ad una voce dei figli di mia figlia/ tirannia di baci cui felice mi arrendo/ inganno di tempo che rimane/ D’azzurro ho vestito/ il nuovo anno/ per un volo nuovo/ a restituirmi il tempo/ che spezza catene e ritrova/ nuvole leggere come veli d’oro / per il desiderio di restituirmi agli anni/ raccontarmi e raccontare quanti nel tempo/ ho perduto presenti ai miei giorni più di allora// (nella clessidra dei nuovi giorni/ faccio anelli di me soltanto/ per legarli al mio sorriso/ nel futuro che verrà/ e avrà per loro ancora il mio canto)

11.  Si va./ Insieme o da soli/ si va con passo lento o leggero/ Si va lungo strade a segnare nuovi domani/ in un’ansia di mistero mai svelato/ neppure con le stelle e fremiti di paura/ i numeri della cabala vincenti/ Si va ad una stessa meta evitando/ la pietra il dirupo il canto della Parca/ il fiore appena nato il pianto del salice/ la notte scura/ Si va lontano ogni giorno di più/ dal giorno incontrato quando era appena l’alba/ e s’ignorava il tramonto/ Si va lontano dalla casa la culla la madre perduta/ e uno scroscio di pianto a trattenerla e ciglia chiuse/ a non vederla andar via/ Si va e non si hanno più appigli per rimanere/ nessuno a trattenerti perché a nessuno più si appartiene/ Si va e si è soli anche quando si è in tanti e si lasciano orme/ alla deriva di tutti gli oceani mai attraversati/ non un garrire di stormi sul franare della sera/ passeri infreddoliti e sperduti e un timore d’alberi/ da contare per ritrovarne l’ombra e una voce/ Si va perché si deve andare e non serve indugio/ l’attesa di un cenno a trattenere catene senz’addii/ e senza resurrezioni per il terzo giorno dimenticato/ Si va senza voltarsi indietro perché ci attende chi/ ci ha preceduto lasciando un’ombra lunga alle spalle/ cancellato ogni ieri per non donarsi un perdono/ per non dirsi una nostalgia/ di carezze ignorate e perdute/ fino all’altra riva prima che il buio ci assalga/ E si va… / ancora si va/ Insieme o da soli/ si va con passo stanco e annebbiato/ e la solitudine ci assale con balzo felpato/ uno stridore di treni in partenza alla stazione/ che sfiora l’ipotesi e la meta/ il senso devastato del saluto in un silenzio di neve/ Si va senza lasciarci occhi di ritorno/ una speranza d’incontro d’altro tempo/una voce d’allegria per non lasciarsi male/ e un pizzico di ironia da cancellare/ Si va col rimpianto del tempo finito/ di un minuto appena per darsi un sorriso/ per dirsi di un cielo scompaginato di buio/ Ma c’è come un respiro che ci fa vivi e ci consola/ anche se si disperde nell’aria invisibile della sera/ filo d’aquilone dei nostri giorni disperati/ a tirarci su a darci un altro scampolo di sollievo/ Si va e si è soli anche quando si è in tanti/ e si lasciano orme sull’erba e sulla sabbia/ sulla riva del pianto e del dolore/ e appendiamo parole ai rami secchi per vederli fiorire/ Si va perché si deve andare e non serve fermarsi/ e darci altro tempo…/ E si va… incontro alle ombre e poi viene la notte/ con passo stentato a ghermirci il sogno…/ Pure si va… e ci vince l’ansia di scoprire se c’è un altro cielo/ per ricominciare al riparo delle ore che ci vinsero/ e riaprire il paniere di stelle da ricontare per… rinascere dèi.// E si va…/ (per ricominciare?)

12.  Ed ecco la quinta stagione a salvarmi ancora. Finché il buon Dio vorrà. È a Lui che affido i miei versi e alla sua dolcissima Madre, che ancora mi protegge con la Sua tenera mano. Non sono 12 le stelle che rifulgono sul Suo manto di Cielo?

C’è ancora un orizzonte/ e uno ancora da esplorare,/ graffio di follia/ che non fa più male./ Al gioco improvviso di parole/ faccio capriole/ che azzerano il passato/ all’alba di luci suoni e canti./ Pazzo il mio verde cappello/ che d’ombra protegge il volto/ affaticato d’anni e tormenti./ Schermo ristoro incanto offre/ agli occhi trasognati e assenti/ in un altrove di me che mi perde,/ e cattura quell’altra me che sono/ e sogna ancora e ama e vola e canta,/ dimentica di pianto e di rimpianti./ Solo un’ombra di luce mi sfiora,/ aureolata luce di mai spenta/   POESIA   /     giovani scalpitanti increduli d’amore    /   si fermano a guardare   /    (a quanti sarà dato un sogno lungo   /   uno soltanto almeno/  più della parola fine?)/ E il mio cappello sorride sulla mia L U N G A R I S A T A.  

(le poesie sono quasi tutte scampoli o rifacimenti di versi pubblicati nella corposa silloge L’ora dell’ombra e della riva (SECOP Edizioni, 2015), la cui copertina è meravigliosa opera della mia amica, raffinata pittrice, Marisa Carabellese, che vivamente ringrazio ancora).

E grazie a voi tutti. Alla prossima. Angela/lina