E oggi è martedì. Tre giorni fa si sono tenuti i funerali di Papa Francesco con tantissime Delegazioni di Regnanti, Capi di Stato, Sacerdoti di tutte le Religioni e Fedi, venuti da tutti i Paesi del Mondo, dai più lontani ai più vicini. Tanta emozione. Tanta commozione. Tante preghiere per Lui, depositato in una bara semplicissima, con le sue scarpe nere consumate nel “Suo fatale andare” in tantissimi pericolosi e sfiancanti viaggi in tutto il nostro Pianeta. E, se avesse potuto, avrebbe raggiunto Marte, la Luna, e tutte le galassie del nostro Firmamento a portare il suo Urlo, appena sussurrato con flebile e tonante voce, per farsi Viandante di Pace e di Speranza, Portatore di sogni ovunque vi fossero giovani e ragazzi ad attenderLo. Come più e più volte è accaduto a Roma, al Circo Massimo, ma anche in Macedonia e in Lussemburgo, dove, incontrando centinaia di migliaia di giovani, li ha sempre esortati a non “perdere la capacità di sognare”, a diventare “bravi scalpellini” dei loro sogni per “costruire insieme un mondo migliore, mantenendo viva la Speranza, la Gioia, e l’Amore per gli ultimi della terra, i più poveri, i più fragili, i più bisognosi, in nome della Pace”. Contro ogni guerra, “sconfitta dell’uomo e della sua umanità”… “La guerra è una sconfitta, un inganno, un sacrilegio e un controsenso della creazione. In sostanza, la guerra rappresenta una distruzione della fraternità umana e un fallimento della politica”… “La guerra è un inganno, la pace si raggiunge riconoscendosi nella comune umanità. La guerra è un inganno, la guerra è sempre una sconfitta, così come l’idea di una sicurezza internazionale basata sul riarmo come deterrente della paura”. Sono le frasi di papa Francesco ha più volte ribadito con chiarezza e senza fare sconti a nessuno, né all’interno della Chiesa, né all’esterno, rivolgendosi al mondo intero, con fermezza e con coraggio, conoscendo bene i suoi nemici e denigratori.
Per Lui, per i giovani da Lui tanto amati, per i più umili e
fragili della Terra, tanto cari al Suo Cuore indomito, ho scritto una poesia,
intitolata “Una Pasqua di Resurrezione”:
Canto di campane nell’alba che sorge/ e
ri-sorge nel silenzio commosso/ di cuori all’unisono con il sogno di Pace/ tra
dita di preghiere e sorrisi di sole/ su volti amati e voci mai perdute./ Un
rimpianto di assenze presenti/ ci batte dentro come squarcio di tuono/ come a
tavola il posto vuoto il piatto/ il bicchiere, il pane e il vino./ La lettera
mai spedita in assenza/ di tempo a segnare oggi il tempo mai arreso/ alla
perdita della Speranza./ E il nostro abbraccio mai disperso/ nel segno
dell’Amore/ che non dispera e sempre attende/ un ritorno, come dopo una notte/
di pioggia attende il sole che rimanga/ a sera a confondersi con le stelle./ A
inondarci di luci che accendono/ il buio per scongiurare notti di ricordi/
all’assalto dei pensieri sul cuscino./ Esultanza di bambini/ e giovani ragazzi
disarmati/ con catene di libertà/ a inneggiare ai sogni di Francesco/ per le
strade sterrate dei loro desideri./ E di mia madre il sorriso ai balconi/ dei
suoi giorni ad afferrarli per spargerli/ nei prati fioriti dei domani tutti da
vivere/ con braccia tese e mani intrecciate./ Per i dimenticati su barconi di
morte alla deriva/ di ogni sentimento di pietà./ Per i vinti mai vinti nel
deserto di ogni dolore e perdizione./ Lasciati
morire di stenti nonostante la Speranza di rimanere vivi./ Per quanti Francesco
ha amato,/ portandoli sotto la sua Tenda di forza e di coraggio./ (I miei di
casa a cantare Alleluia/ voci antiche e
nuove / di eterna umanità sorridono ai
percorsi/ vissuti da vivere /
perduti e ritrovati / come fili d’erba sbucati dal cemento).
Ma, alla mia voce, ecco l’eco di tante altre voci molto più
autorevoli della mia: … L’ultima omelia
di papa Francesco è stata l’omelia scritta per il giorno di Pasqua. A motivo
della sua voce affaticata il papa non l’ha potuta leggere, ma ne ha affidato la
lettura al cardinal Comastri. Un’omelia densa e breve, che si apre
significativamente con il nome di Maria di Magdala e si chiude con una
citazione della teologa e poeta Adriana Zarri. Maria, dopo aver visto la pietra
scostata dal sepolcro, corre a dirlo a Pietro e Giovanni; e Pietro e Giovanni,
a loro volta, subito si mettono a correre verso il luogo della sepoltura di
Gesù. Quella corsa è, per papa Francesco, molto di più di un semplice dato
narrativo: “La corsa della Maddalena, di Pietro e di Giovanni dice il
desiderio, la spinta del cuore, l’atteggiamento interiore di chi si mette alla
ricerca di Gesù. Egli, infatti, è risorto dalla morte e perciò non si trova più
nel sepolcro. Bisogna cercarlo altrove”. Francesco ci consegna questo invito
pressante, perentorio e questa responsabilità: bisogna cercarlo altrove, il
Signore della Vita. Non dei sepolcri, nei musei del tempo che fu, nelle storie
imbalsamate, ma nella vita, nei volti e nelle storie vive dei fratelli e delle
sorelle che camminano con noi lungo le strade di questo mondo. dobbiamo
cercarlo altrove, e cercarlo sempre: “Cercarlo sempre. Perché, se è risorto
dalla morte, allora Egli è presente ovunque, dimora in mezzo a noi, si nasconde
e si rivela anche oggi nelle sorelle e nei fratelli che incontriamo lungo il
cammino, nelle situazioni più anonime e imprevedibili della nostra vita. Egli è
vivo e rimane sempre con noi, piangendo le lacrime di chi soffre e
moltiplicando la bellezza della vita nei piccoli gesti d’amore di ciascuno di
noi”… “Come Maria di Magdala, ogni giorno possiamo fare l’esperienza di perdere
il Signore, ma ogni giorno noi possiamo correre per cercarlo ancora, con la
certezza he Egli si fa trovare e ci illumina con la luce della sua risurrezione”…
“Non possiamo parcheggiare il cuore nelle illusioni di questo mondo o
rinchiuderlo nella tristezza; dobbiamo correre, pieni di gioia. Corriamo
incontro a Gesù, riscopriamo la grazia inestimabile di essere suoi amici.
Lasciamo che la sua Parola di vita e di verità illumini il nostro cammino”. (…)
L’omelia si chiude con una preghiera di Adriana Zarri: “Scrostaci, o Dio, la
triste polvere dell’abitudine, della stanchezza e del disincanto; dacci la
gioia di svegliarci, ogni mattino, con occhi stupiti per vedere gli inediti
colori di quel mattino, unico e diverso da ogni altro”. Gli occhi di papa
Francesco, questa mattina, hanno accolto con stupore e gratitudine un mattino
davvero nuovo. (fonte Anita Prati - SettimanaNews)
Le messe sono ritrovo
di anziani, i seminari chiudono, catechismo è diventata una parola antica.
Eppure si percepisce, in Italia, un sentimento sincero. Affetto, dispiacere,
rimpianto. Anche da parte di chi, Francesco, l’ha criticato; o non l’ha mai
ascoltato con attenzione. Una ipocrisia collettiva? No. Un lutto popolare,
invece. Il lutto popolare è religioso, a modo suo. Nella devozione italiana
s’intrecciano tradizioni, rispetto, timori, ricordi: ecco perché va presa sul
serio. <A ogni morte di papa> è un modo di dire diffuso: indica un
avvenimento memorabile, qualcosa che lascia il segno nelle nostre vite. Anzi,
una traccia. Perché i segni, col tempo, sbiadiscono e si cancellano. Le tracce
si possono seguire. Quella di Francesco è stata luminosa. Non perfetta: un Papa
resta un uomo, con i suoi umori e i suoi abbagli. Ma non c’è dubbio che Jorge
Mario Bergoglio abbia segnato questi anni complicati. È stato detto molto,
talvolta a sproposito, sul personaggio. Ma alcune riflessioni sono giuste e
condivisibili. A cominciare dal titolo di questo giornale: Il Papa degli
ultimi. Questo è stato, Francesco. E chi sostiene che amare il prossimo sia
incompatibile con l’adorare Dio non ha letto il Vangelo. (Beppe Severgnini, l’articolo
prosegue sul sito del Corriere).
Guardatelo. Spogliato di
ogni orpello, un uomo in abiti civili che varca la soglia di San Pietro. Un’immagine
che grida la sua solitudine, la sua vulnerabilità, ma anche la sua titanica
grandezza. In un’era di cinismo e opportunismo, dove la fede è merce rara, lui
rimane un colosso. Un atto di ribellione silenziosa contro un mondo che ha
tradito i suoi ideali. Ha predicato la povertà, ma ha visto l’opulenza. Ha parlato
di accoglienza, mentre le frontiere si chiudevano. Ha invocato la pace, mentre
il mondo bruciava. E, nonostante tutto, è rimasto in piedi. Perché quest’uomo è
stato un gigante. Un faro di luce in un’epoca di tenebre. Le sue parole, a
volte vuote promesse, hanno comunque scosso le coscienze, hanno risvegliato
speranze sopite. Questa immagine, cruda e desolante, è il simbolo di un’epoca. Un’epoca
segnata dalla sua presenza, dalla sua grandezza, ineguagliabile. Un uomo che,
nonostante tutto, ha osato sfidare l’oscurità, un uomo che resterà unico,
irripetibile, incomparabile… In questa immagine, un pugno nello stomaco, la
consapevolezza che mai più i nostri occhi vedranno un Papa di tale grandezza e
umiltà, un’eco di un’era irripetibile. (Gt)
Condivido ogni parola fin qui riportata, non è possibile non
farlo. Quest’ultimo testo, per esempio, si riferisce all’immagine di Papa
Francesco, entrato in San Pietro, vestito con una specie di pigiama a
difendere/ evidenziare la sua fragilità, il suo dolore fisico, la sua
solitudine in “terra di lupi”. Come non rimpiangerlo nella sua grandezza e
umiltà? E, per oggi, desidero concludere con i versi di un grande poeta del
Sud, Mauro Contini, aventi per titolo “ANIME IN TRANSITO”: Chi pronuncerà le esatte parole/ e attraverserà la densità del
silenzio/ chi sbroglierà la controversia/ una volta non per sempre/ gesti d’amore
eludono/ il filo spinato i muri a secco/ l’insidia di un male ottuso/ nel
pensiero e nel sentimento del mondo/ la pietà dovuta a quanto la violenza/ ha
reso inerme e disadorno/ il canto che gridava un’accoglienza/ e sembrava a noi
diretto/ aprile cielo terso di primavera/ luce più forte delle possibilità
degli sguardi/ bagliori di sole alle finestre/ dietro le tende che seguono il
vento/ care al cuore le anime in transito.
Continuerò nei
prossimi giorni a postare altre voci famose che hanno parlato e stanno parlando
di Papa Francesco, una eco che continuerà a chiamarci persino dal Cielo.
Angela/lina