Ci ritroviamo
e, intanto, comincia pure il Festival di Sanremo ed è cominciato Carnevale. Sono
due accadimenti che amo: il primo mi riporta a Nunzio Filogamo e al suo saluto
per Radio: Cari amici vicini e lontani
buonasera. Dunque, è una scelta affettiva che di anno in anno si è
trasformata sempre più in una lettura delle trasformazioni dei costumi, dell’avvento
fascinoso della televisione, delle serate nella nostra casa ad accogliere
parenti e amici che ne erano sprovvisti, dell’avvicendarsi dei presentatori con
un loro stile, un loro modo di farsi accompagnare dalle “vallette” e i loro
abiti e i fiori di cui era stracolmo il palco di Sanremo. Le trovate originali
per “fare audience” e quelle più banali che scadevano di tono e si risolvevano
in una risata che durava lo spazio di una sera. I cantanti che si alternavano
emozionati davanti al microfono (bisognava cantare rigorosamente “dal vivo”). Fu
Bobby Solo a inaugurare il playback (si disse per una raucedine, di cui tutti
dubitammo). E fu uno strepitoso Domenico Modugno a inaugurare un nuovo modo di
cantare. Da allora la canzone italiana ha fatto il giro del mondo con le
braccia al cielo di MISTER VOLARE. Poi… poi… poi… ma forse un giorno mi fermerò
a raccontare la “favola bella” di Sanremo. E, non ci crederete, per me è ancora
oggi un “pozzo di conoscenza”, con i vecchi cantanti che ancora amo e i nuovi
che mi piacciono molto poco, ma che purtroppo scriveranno le parole e la musica
del nuovo futuro. E noi dobbiamo andarcene Altrove. Sic transit gloria mundi! Per
la pace di tutti.
Il secondo è Carnevale. Ma anche questa è una lunga pazza romantica stratosferica storia che un giorno ci racconteremo.
A questo punto, perciò, mi sembra logico e opportuno riprendere il discorso della Poesia contemporanea, appena sfiorato con il poeta, scrittore e traduttore Elio Filippo Accrocca, uno dei maggiori interpreti del secondo dopoguerra (cfr. Enciclopedia TRECCANI). La chiave della interpretazione della contemporaneità va ricercata, come sappiamo, nell’arte decadente, colma di senso di sfinimento, di mancanza di prospettive, di incapacità di allacciare un rapporto significativo con il mondo, nella consapevolezza della impossibilità di dare confini certi alle questioni di senso. Rimane un che di vago, di indefinito, di misterioso e insoluto, spesso angosciante. Si è alla fine dell’Ottocento e agli albori del Novecento. Spenti gli ardori romantici e risorgimentali, svuotata la certezza di trovare nelle cose concrete e oggettivamente verificabili (naturalismo francese, verismo italiano), ora gli intellettuali e gli artisti si sentono alla fine di un’epoca che ha esaurito ogni possibilità di slanci e di nuove prospettive culturali e umane.
Proprio in questo clima matura ciò che George Steiner definisce “la più sconvolgente rivoluzione” della storia della letteratura e delle arti in genere: la separazione tra parola e realtà, tra rappresentazione artistica e vita.
Prima del
Decadentismo, la sostanza del discorso linguistico-concettuale si basava
essenzialmente sulla corrispondenza tra significante (la parola) e significato
(contenuto). Nella linguistica adamitica il patto tra parola e oggetto era
perfetto. La “nominazione” era “il calco trasparente” della materia. Solo col
trascorrere del tempo e delle umane vicende, l’uomo giunge a capire il mondo
attraverso gli innumerevoli stadi progressivi ed evolutivi (o involutivi) della
concettualizzazione. (cfr. G. Steiner, Vere presenze, Garzanti,
Milano 1992).
La situazione muta radicalmente col Decadentismo: il contratto tra parola e realtà viene “rotto” per la prima volta, in senso radicale e sistematico, nella cultura e nella coscienza speculativa europea, mitteleuropea e russa durante il periodo che va dagli anni 1870 agli anni 1930. Questa rottura del patto tra parola e mondo costituisce una delle poche rivoluzioni autentiche dello spirito nella storia occidentale e definisce la modernità stessa” (George Steiner).
Siamo di fronte ad una diversa concezione del linguaggio artistico-letterario che Rimbaud riassume in una formula antisintattica e lapidaria: “Je est un autre” (“Io è un altro”). Ha inizio così lo straniamento di sé a sé e di sé al mondo. La possibilità di porre un termine medio tra linguaggio e realtà viene così infranto. La causa risiede in quel senso oscuro e angosciante che smargina i confini della realtà e rende l’uomo inadeguato a conoscerla.
Già con Mallarmé (1842-1898) le basi tradizionali della comunicazione vengono spazzate via completamente: la parola “rosa”, per esempio, non ha più stelo, foglie o spine. Non è né rosa né rossa né gialla o blu. Non emana alcun profumo. È per sé, un segno vuoto.
Dopo Mallarmé, pertanto, la lingua dialoga solo con sé stessa.
La ragione, avendo perso lo strumento basilare (sé stessa) per conoscere il mondo, dichiara Il tramonto dell’Occidente (Oswald Spengler).
La morte di Dio, annunciata da Nietzsche, sancisce l’eliminazione di tutti quei valori, su cui si erano fondate le epoche precedenti, perdendo così ogni punto di riferimento, perché non esiste alcun contatto tra linguaggio e possibilità di un’etica, tra parola e azione, tra significante e significato. E neppure un minimo accordo nella possibilità di comunicare tra gli uomini, ognuno preso dalla propria voragine di impulsi, sensazioni, pensieri, comincia l’epoca dell’incomunicabilità, di cui nel cinema grande maestro è stato Michelangelo Antonioni (con l’indimenticabile Monica Vitti). Di qui il diffuso senso di solitudine, solipsismo, precarietà operato dall’Esistenzialismo ateo (Sartre), la cui musa fu Juliette Greco. Il profilarsi all’orizzonte storico-politico-civile delle dittature provocò ulteriori diffidenze nei riguardi della razionalità umana. Di contro, l’Esistenzialismo cristiano di Soren Kierkegaard, Maritain, Mounier e altri.
Il disagio della civiltà, messa in luce dal pensiero nietzschiano e dalla psicanalisi di Freud, la pluralità e la soggettività dei valori o disvalori di esaltanti teorie sulle qualità del superuomo avevano trovato tragica conferma nell’immane conflitto che aveva devastato il vecchio continente. E così anche la pluralità di senso del mondo o, meglio, la “soggettività del senso” (Max Scheler) sempre più conduceva alla sfiducia nella comunicazione tra gli uomini. L’uomo di Pirandello, perciò, era uno, nessuno e centomila, chiuso nel carcere della propria solitudine gnoseologica ed esistenziale.
Poi, il postmodernismo contemporaneo, concetto molto complesso perché complessa si è fatta la società. Ma, nonostante le difficoltà di valutazione di questa nostra era, nella coscienza dei più avveduti è viva e operante la convinzione che l’umanità, dai tardi anni Settanta del secolo scorso, sia entrata in una nuova fase storico-culturale per una serie di motivi: globalizzazione, delocalizzazione, dominanza dell’immagine, della scienza e della tecnica, nonché della realtà virtuale…
Dagli anni Ottanta, poi, le comunicazioni televisive trasferiscono immagini, di solito in ripresa diretta, su tutto il globo in tempo reale, ma è soprattutto a partire dagli anni Novanta che la globalizzazione riceve un nuovo impulso dalle tecnologie informatiche, che collegano tutto il mondo mediante internet e la telefonia mobile, con tutti i risvolti positivi e negativi nell’economia, mondiale e nazionale.
Anche nel campo letterario è diffusa opinione che ci troviamo ad una nuova svolta epocale. Dopo la morte di prosatori come Moravia, Pasolini, Calvino, Volponi, e di poeti come Montale, Luzi, Caproni, Sanguineti ci troviamo di fronte ad una proliferazione di massa, dovuta anche al web, che propone, senza alcun filtro, opere in prosa e in poesia da parte di qualsiasi persona. E questo sta generando accumulo e sovrapproduzione a discapito della qualità. Come ha giustamente denunciato all’inizio di queste riflessioni Giulia Basile. Non ci sono più neppure le sia pur minime certezze del passato anche non lontano. Si vive, pertanto, in un eterno presente, in cui non è facile esprimere un giudizio di valore. Non ci sono certezze neppure nelle scienze. La letteratura è diventata un fenomeno marginale di fronte al cinema, alla televisione, a internet. Tutto diventa estremamente rapido e commerciale. Questo produce nelle giovani generazioni il senso della perdita del futuro. Si vive in una “contemporaneità liquida” (Bauman), senza spessore, vuota di ideali, senza passato e senza futuro.
Secondo Jean Baudrillard, poiché tutto è stato detto e fatto, possiamo solo manipolare, mescolare, citare, alludere, riscrivere… la stessa realtà è solo apparente, perché mediata dai mezzi di comunicazione di massa che falsano oggetti e rapporti. La nostra percezione del mondo, infatti, è virtuale. Anche l’arte non distingue più il reale dal virtuale.
Per avere visibilità bisogna esagerare, il postmodernismo deve alzare il tiro: a Lucio Fontana che sciocca con i suoi tagli sulle tele segue Cattelan che raffigura bambini impiccati al parco Sempione. Per spiegare il “citazionismo” postmodernista, Robert Venturi ha scritto il libro Impariamo da Las Vegas, in cui insegna a ricostruire Venezia in un contesto palesemente falso (New Orleans). Il falso viene garantito dallo stesso valore dell’autentico.
Le stesse
neoavanguardie, che ripropongono con formule diverse le avanguardie di inizio
Novecento. Niente è più autentico. Andy Warhol ripropone la
foto di Marilyn Monroe, deformandola o abbellendola; Douglas
Gordon lacera l’immagine operata da Warhol.
Si passa così dalla cultura dell’egemonia alle culture delle differenze!
La critica letteraria contemporanea, al servizio ormai di interessi estranei alla letteratura, non assolve più il secolare compito di orientamento del lettore.
In poesia le distanze tra parola e oggetto si è dilatata a dismisura. La confusione tra poesia e non poesia ha superato di gran lunga i confini posti da Benedetto Croce. Il poeta non è più consacrato tale dagli addetti ai lavori e dalla fama che gli deriva dalle sue opere, citate in antologie scolastiche o studiate all’università. Pur non amando la teoria crociana che ha mietuto un sacco di vittime con la mannaia di Poesia non Poesia, devo però fare una triste considerazione: Oggi tutti scrivono (veline, calciatori, attori) perché i loro rabberciati libri si vendono! Pochissimi, di contro, leggono, per formarsi almeno il gusto poetico sulle opere dei GRANDI della Letteratura italiana e mondiale! Ottima la scelta, a questo riguardo, della infaticabile Mariella Medea Sivo!
Oggi poeti come Luzi, Sanguineti, Zanzotto, Caproni, Sereni, Pierro, Bertolucci, Risi, Giudici sono noti solo agli appassionati di poesia. Così come sconosciuti ai più sono: Giovanni Raboni, Franco Loi, Milo De Angelis, Valerio Magrelli. Molti poeti che hanno transitato nel mondo poetico degli anni ’60-’70, facendo dello sperimentalismo un vessillo di rinnovata poesia, hanno contribuito ad allontanare il grosso pubblico dal linguaggio poetico. E anche la scuola è colpevole, come si è detto in precedenza, contribuendo a intorbidare le acque già tumultuose del “fare poesia”.
Per fortuna, oggi, pur senza dimenticare ogni percorso individuale, la maggior parte dei poeti contemporanei ha cercato e sta cercando di uscire dal postmodernismo. Nonostante le persistenze neoavanguardistiche, si assiste a continui, differenti anche se spesso provvisori, tentativi di rifondare la parola, di colmare lo iato con la realtà, riutilizzando anche forme classiche, che ci riportano ad un passato di nitore, di bellezza, di comprensione, che favoriscono e facilitano l’emozione. Dalla poetica si sta tentando di passare sempre più all’etica e all’estetica. Certo, il caos contemporaneo affianca nuove a vecchie tendenze, recuperando in alcuni casi metrica e rima, in una visione strutturale e contenutistica del tutto nuova, e riappropriandosi delle figure retoriche per dare maggiore ritmo, suggestione, musicalità alla pienezza della parola, che torna a dire, a raccontare, a indicare, conservando il mistero del senso senza dimenticare la finitudine del significato e la bellezza del significante. Occorre una parola “chiara e forte” che possa riprendere a dire la realtà, mediando la distanza tra il poeta e il suo “altrove” in una linea di andata e ritorno per una riproposizione continua appunto del testo poetico.
(Libera rielaborazione di teorie esposte da Steiner, Merlin, Landolfi, Angiuli, Conte, Cucchi, Magrelli, Rondoni, Ritrovato, Galimberti…).
E anche per oggi la misura è colma! La prossima volta riprenderemo con la Poetica e la Poesia dei nostri giorni, argomenti sicuramente più catturanti. Almeno per me! “Dite la vostra che ho detto la mia… “. Angela
Il secondo è Carnevale. Ma anche questa è una lunga pazza romantica stratosferica storia che un giorno ci racconteremo.
A questo punto, perciò, mi sembra logico e opportuno riprendere il discorso della Poesia contemporanea, appena sfiorato con il poeta, scrittore e traduttore Elio Filippo Accrocca, uno dei maggiori interpreti del secondo dopoguerra (cfr. Enciclopedia TRECCANI). La chiave della interpretazione della contemporaneità va ricercata, come sappiamo, nell’arte decadente, colma di senso di sfinimento, di mancanza di prospettive, di incapacità di allacciare un rapporto significativo con il mondo, nella consapevolezza della impossibilità di dare confini certi alle questioni di senso. Rimane un che di vago, di indefinito, di misterioso e insoluto, spesso angosciante. Si è alla fine dell’Ottocento e agli albori del Novecento. Spenti gli ardori romantici e risorgimentali, svuotata la certezza di trovare nelle cose concrete e oggettivamente verificabili (naturalismo francese, verismo italiano), ora gli intellettuali e gli artisti si sentono alla fine di un’epoca che ha esaurito ogni possibilità di slanci e di nuove prospettive culturali e umane.
Proprio in questo clima matura ciò che George Steiner definisce “la più sconvolgente rivoluzione” della storia della letteratura e delle arti in genere: la separazione tra parola e realtà, tra rappresentazione artistica e vita.
La situazione muta radicalmente col Decadentismo: il contratto tra parola e realtà viene “rotto” per la prima volta, in senso radicale e sistematico, nella cultura e nella coscienza speculativa europea, mitteleuropea e russa durante il periodo che va dagli anni 1870 agli anni 1930. Questa rottura del patto tra parola e mondo costituisce una delle poche rivoluzioni autentiche dello spirito nella storia occidentale e definisce la modernità stessa” (George Steiner).
Siamo di fronte ad una diversa concezione del linguaggio artistico-letterario che Rimbaud riassume in una formula antisintattica e lapidaria: “Je est un autre” (“Io è un altro”). Ha inizio così lo straniamento di sé a sé e di sé al mondo. La possibilità di porre un termine medio tra linguaggio e realtà viene così infranto. La causa risiede in quel senso oscuro e angosciante che smargina i confini della realtà e rende l’uomo inadeguato a conoscerla.
Già con Mallarmé (1842-1898) le basi tradizionali della comunicazione vengono spazzate via completamente: la parola “rosa”, per esempio, non ha più stelo, foglie o spine. Non è né rosa né rossa né gialla o blu. Non emana alcun profumo. È per sé, un segno vuoto.
Dopo Mallarmé, pertanto, la lingua dialoga solo con sé stessa.
La ragione, avendo perso lo strumento basilare (sé stessa) per conoscere il mondo, dichiara Il tramonto dell’Occidente (Oswald Spengler).
La morte di Dio, annunciata da Nietzsche, sancisce l’eliminazione di tutti quei valori, su cui si erano fondate le epoche precedenti, perdendo così ogni punto di riferimento, perché non esiste alcun contatto tra linguaggio e possibilità di un’etica, tra parola e azione, tra significante e significato. E neppure un minimo accordo nella possibilità di comunicare tra gli uomini, ognuno preso dalla propria voragine di impulsi, sensazioni, pensieri, comincia l’epoca dell’incomunicabilità, di cui nel cinema grande maestro è stato Michelangelo Antonioni (con l’indimenticabile Monica Vitti). Di qui il diffuso senso di solitudine, solipsismo, precarietà operato dall’Esistenzialismo ateo (Sartre), la cui musa fu Juliette Greco. Il profilarsi all’orizzonte storico-politico-civile delle dittature provocò ulteriori diffidenze nei riguardi della razionalità umana. Di contro, l’Esistenzialismo cristiano di Soren Kierkegaard, Maritain, Mounier e altri.
Il disagio della civiltà, messa in luce dal pensiero nietzschiano e dalla psicanalisi di Freud, la pluralità e la soggettività dei valori o disvalori di esaltanti teorie sulle qualità del superuomo avevano trovato tragica conferma nell’immane conflitto che aveva devastato il vecchio continente. E così anche la pluralità di senso del mondo o, meglio, la “soggettività del senso” (Max Scheler) sempre più conduceva alla sfiducia nella comunicazione tra gli uomini. L’uomo di Pirandello, perciò, era uno, nessuno e centomila, chiuso nel carcere della propria solitudine gnoseologica ed esistenziale.
Poi, il postmodernismo contemporaneo, concetto molto complesso perché complessa si è fatta la società. Ma, nonostante le difficoltà di valutazione di questa nostra era, nella coscienza dei più avveduti è viva e operante la convinzione che l’umanità, dai tardi anni Settanta del secolo scorso, sia entrata in una nuova fase storico-culturale per una serie di motivi: globalizzazione, delocalizzazione, dominanza dell’immagine, della scienza e della tecnica, nonché della realtà virtuale…
Dagli anni Ottanta, poi, le comunicazioni televisive trasferiscono immagini, di solito in ripresa diretta, su tutto il globo in tempo reale, ma è soprattutto a partire dagli anni Novanta che la globalizzazione riceve un nuovo impulso dalle tecnologie informatiche, che collegano tutto il mondo mediante internet e la telefonia mobile, con tutti i risvolti positivi e negativi nell’economia, mondiale e nazionale.
Anche nel campo letterario è diffusa opinione che ci troviamo ad una nuova svolta epocale. Dopo la morte di prosatori come Moravia, Pasolini, Calvino, Volponi, e di poeti come Montale, Luzi, Caproni, Sanguineti ci troviamo di fronte ad una proliferazione di massa, dovuta anche al web, che propone, senza alcun filtro, opere in prosa e in poesia da parte di qualsiasi persona. E questo sta generando accumulo e sovrapproduzione a discapito della qualità. Come ha giustamente denunciato all’inizio di queste riflessioni Giulia Basile. Non ci sono più neppure le sia pur minime certezze del passato anche non lontano. Si vive, pertanto, in un eterno presente, in cui non è facile esprimere un giudizio di valore. Non ci sono certezze neppure nelle scienze. La letteratura è diventata un fenomeno marginale di fronte al cinema, alla televisione, a internet. Tutto diventa estremamente rapido e commerciale. Questo produce nelle giovani generazioni il senso della perdita del futuro. Si vive in una “contemporaneità liquida” (Bauman), senza spessore, vuota di ideali, senza passato e senza futuro.
Secondo Jean Baudrillard, poiché tutto è stato detto e fatto, possiamo solo manipolare, mescolare, citare, alludere, riscrivere… la stessa realtà è solo apparente, perché mediata dai mezzi di comunicazione di massa che falsano oggetti e rapporti. La nostra percezione del mondo, infatti, è virtuale. Anche l’arte non distingue più il reale dal virtuale.
Per avere visibilità bisogna esagerare, il postmodernismo deve alzare il tiro: a Lucio Fontana che sciocca con i suoi tagli sulle tele segue Cattelan che raffigura bambini impiccati al parco Sempione. Per spiegare il “citazionismo” postmodernista, Robert Venturi ha scritto il libro Impariamo da Las Vegas, in cui insegna a ricostruire Venezia in un contesto palesemente falso (New Orleans). Il falso viene garantito dallo stesso valore dell’autentico.
Si passa così dalla cultura dell’egemonia alle culture delle differenze!
La critica letteraria contemporanea, al servizio ormai di interessi estranei alla letteratura, non assolve più il secolare compito di orientamento del lettore.
In poesia le distanze tra parola e oggetto si è dilatata a dismisura. La confusione tra poesia e non poesia ha superato di gran lunga i confini posti da Benedetto Croce. Il poeta non è più consacrato tale dagli addetti ai lavori e dalla fama che gli deriva dalle sue opere, citate in antologie scolastiche o studiate all’università. Pur non amando la teoria crociana che ha mietuto un sacco di vittime con la mannaia di Poesia non Poesia, devo però fare una triste considerazione: Oggi tutti scrivono (veline, calciatori, attori) perché i loro rabberciati libri si vendono! Pochissimi, di contro, leggono, per formarsi almeno il gusto poetico sulle opere dei GRANDI della Letteratura italiana e mondiale! Ottima la scelta, a questo riguardo, della infaticabile Mariella Medea Sivo!
Oggi poeti come Luzi, Sanguineti, Zanzotto, Caproni, Sereni, Pierro, Bertolucci, Risi, Giudici sono noti solo agli appassionati di poesia. Così come sconosciuti ai più sono: Giovanni Raboni, Franco Loi, Milo De Angelis, Valerio Magrelli. Molti poeti che hanno transitato nel mondo poetico degli anni ’60-’70, facendo dello sperimentalismo un vessillo di rinnovata poesia, hanno contribuito ad allontanare il grosso pubblico dal linguaggio poetico. E anche la scuola è colpevole, come si è detto in precedenza, contribuendo a intorbidare le acque già tumultuose del “fare poesia”.
Per fortuna, oggi, pur senza dimenticare ogni percorso individuale, la maggior parte dei poeti contemporanei ha cercato e sta cercando di uscire dal postmodernismo. Nonostante le persistenze neoavanguardistiche, si assiste a continui, differenti anche se spesso provvisori, tentativi di rifondare la parola, di colmare lo iato con la realtà, riutilizzando anche forme classiche, che ci riportano ad un passato di nitore, di bellezza, di comprensione, che favoriscono e facilitano l’emozione. Dalla poetica si sta tentando di passare sempre più all’etica e all’estetica. Certo, il caos contemporaneo affianca nuove a vecchie tendenze, recuperando in alcuni casi metrica e rima, in una visione strutturale e contenutistica del tutto nuova, e riappropriandosi delle figure retoriche per dare maggiore ritmo, suggestione, musicalità alla pienezza della parola, che torna a dire, a raccontare, a indicare, conservando il mistero del senso senza dimenticare la finitudine del significato e la bellezza del significante. Occorre una parola “chiara e forte” che possa riprendere a dire la realtà, mediando la distanza tra il poeta e il suo “altrove” in una linea di andata e ritorno per una riproposizione continua appunto del testo poetico.
(Libera rielaborazione di teorie esposte da Steiner, Merlin, Landolfi, Angiuli, Conte, Cucchi, Magrelli, Rondoni, Ritrovato, Galimberti…).
E anche per oggi la misura è colma! La prossima volta riprenderemo con la Poetica e la Poesia dei nostri giorni, argomenti sicuramente più catturanti. Almeno per me! “Dite la vostra che ho detto la mia… “. Angela
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