lunedì 5 febbraio 2024

Lunedì 5 febbraio 2024: Gli aspetti mancanti del "CODICE POETICO" per meglio ricordare il mondo misterioso della POESIA...

E riprendiamo con rinnovata lena a parlare delle caratteristiche del linguaggio poetico per non disperderci. Solo dopo, con maggiore cognizione di causa, parleremo di “sintonie, distonie, empatie” per comprenderci meglio. Un’unica eccezione: Giulia Basile. Mi invia spesso dei messaggi sul blog a cui non so purtroppo rispondere, nonostante la “corrispondenza di amorosi sensi tra noi”. Sono davvero tanti quelli che non hanno ricevuto risposta da parte mia, per incapacità e per pudore. Sono troppi gli elogi anche se Giulia è persino severa con sé stessa. E ciò è un buon indizio di sincerità e di autenticità in tutto ciò che scrive, e non soltanto nei messaggi che mi dedica sul blog. Grazie infinite, mia carissima Giulia. Affetto e stima sono reciproci!

Ed ora rimettiamoci all’opera. Dunque, gli altri aspetti mancanti delle caratteristiche che connotano il linguaggio poetico sono pure gli aspetti ritmici e metrici del verso, anche se oggi ne facciamo volentieri a meno. Leopardi ha sdoganato la “canzone libera”. Sarebbe, comunque, opportuno, a mio parere, un breve ripasso, rinfrancati dal non dover usare la metrica, ma sapendo benissimo che la musicalità del verso parte anche da questa ed è molto importante:      

-          Per quanto riguarda, per esempio, gli aspetti ritmici, e quindi metrici, occorre precisare che il verso non è una unità di significato o logica, ma musicale, caratterizzata da una determinata “misura” e da determinati “accenti”. In passato la metrica era fondamentale, oggi non più, ma la musicalità rimane. È chiaro che la metrica si ricava contando le sillabe, ma occorre tener presenti alcuni elementi che accorciano il suono o lo allungano, come: il dittongo che, nel suono, unisce due vocali o lo iato che le divide. Abbiamo anche la sinalefe (due vocali, a contatto tra di loro, si contraggono velocemente dando un unico suono tra due parole: “di gen-tein-gente me vedrai seduto ecc.” - Foscolo), oppure la dialefe (l’incontro di due vocali su cui poggiamo l’accento in maniera staccata: “ma - io ecc.”), la dieresi (la separazione di solito tra la i e la e: qui-ete, con i due puntini sulla i, cioè all’interno della stessa parola), sineresi, ossia il contrario.

-          Altro elemento importante in metrica è l’accento sulle parole: quelle piane (accento sulla penultima vocale) sono più forti, pesanti, gravi; quelle sdrucciole (accento sulla terzultima vocale) sono più leggere, lievi, volano, danzano. Anche le lettere dell’alfabeto hanno in quest’armonia un loro ruolo: la l vola, la p cammina a fatica, la g è più equilibrata, la i è sottile, la o è pasciutella, e così via. Si hanno così sillabe toniche (accentate) e sillabe atone (senza accento) e poi ci sono le cesure (le barrette che dividono le sillabe per meglio districarsi nella metrica. I versi (da vèrtere, l’accento sostituisce quello breve che non so mettere, ossia girare, andare a capo), pertanto possiamo annoverare: il bisillabo (due sillabe), trisillabo, quadrisillabo o quaternario, quinario, senario, settenario, ottonario, novenario, decasillabo, endecasillabo (quello più usato e più musicale).

-          Occorre ricordare anche che si è soliti distinguere i versi italiani in parisillabi (bisillabi, quadrisillabi, senari, ottonari, decasillabi) e imparisillabi (ternari, quinari, settenari, novenari, endecasillabi). I primi caratterizzano un ritmo più piano, rigido, marcato, con scansione musicale molto netta; gli imparisillabi, invece, offrono maggiori possibilità di sfumature e variazioni timbriche e modulari.

-          La rima è un altro elemento del linguaggio poetico, un tempo quasi obbligatoria, poi caduta in disuso; oggi, in alcuni casi, in parte recuperata in testi poetici innovatori molto particolari, aderenti al nostro tempo e ai vari linguaggi attualmente usati. Nella filastrocca rimane indispensabile, come pure in molti limerick. È naturalmente anch’essa un elemento metrico che consiste nella ripetizione dei suoni finali di due o più parole, collocati in genere alla fine di due o più versi: ha una funzione ritmica e musicale e un rapporto di suono, ma anche a volte di significato. Il rapporto può essere talvolta di vicinanza/affinità (ginestre/terrestre: somiglianza in quanto entrambe le parole appartengono al campo semantico della natura) oppure distanza/contrasto (tagli camicie/e non mediti Nietzsche - versi di Gozzano). C’è, poi, la rima interna (e a me randagio parve buon presagio accompagnarmi loro nel costume - Gozzano) e quella identica (secondo le fronde/più rade, men rade - D’Annunzio), ma anche la rima (che potremmo definire) equivoca (guardan mute e sole/mute e digiune al sole - Tasso). Per quanto riguarda la posizione, infine, la rima si dice baciata (AA - BB - CC), alternata (AB AB  CD CD…), incrociata (ABBA  CDDC…), incatenata (ABA  BCB  CDC…). Quando non è perfettamente coincidente in una vocale si chiama assonanza (lume/lame); se in una consonante, si definisce consonanza (vento/rammendo).

-          L’insieme di più versi prima di un margine bianco si dice strofa. Una strofa viene definita in base al numero dei versi che la compongono: distico (due versi). Molto elegante e antico è quello elegiaco. Terzina (tre versi), usata da Dante; quartina (quattro versi), sestina (sei versi); ottava (otto versi), usata dall’Ariosto e di solito nei poemi epico-cavallereschi. Di solito, nella tradizione italiana, i versi avevano perlopiù la stessa lunghezza; oggi è più facile discostarsi da questa norma, usando la strofa polimetra, cioè con versi di varia lunghezza. Se le strofe non rispettano il numero dei versi, come accade da Leopardi in poi, si dicono libere. La canzone, per esempio, alterna endecasillabi a settenari, ma non sempre ciò oggi avviene. I Canti di Leopardi inaugurarono la canzone libera.

(Libero rifacimento dei testi di Michele Barbi, Arianna De Palma, Rosa Pugliese, Pietro Scarduelli).

Siamo giunti così a parlare dell’elemento fondamentale del linguaggio poetico: la figura retorica.

Si definisce figura retorica quella espressione che allontana il significato della parola da quello puramente letterale per appagare il senso della bellezza che un verso o l’intera poesia deve avere (ma anche la prosa), così come un tempo dettava la retorica.

La scienza della retorica, nata nell’antica Grecia, come esercizio del “bel dire” per gli oratori e gli uomini politici che dovevano catturare e persuadere l’uditorio, ha subito via via continue rielaborazioni fino a includere nuovi ambiti linguistici e persino espressioni della pubblicità o del linguaggio quotidiano, spesso indiscutibilmente metaforico (è bella come il sole, è un fiore di ragazza, sono una frana!).

Nel linguaggio poetico, l’uso delle figure retoriche è frequente e molto significativo, in quanto rappresenta il mezzo più consueto per creare immagini nuove, dare ritmo e musicalità al verso, realizzare il valore estetico del testo in prosa o in poesia.

È naturalmente una ricerca stilistica che ha per il poeta valore di scoperta, per dare un senso nuovo e diverso al banale, all’usuale, al quotidiano (Franco Fortini). A me piace usare l’espressione “parole alate”.

Le figure retoriche si dividono in:

-          Figure di significato: riguarda l’aspetto semantico delle parole.

-          Figure sintattiche: l’ordine delle parole all’interno di un verso o di una frase.

-          Figure di suono: il suono stesso delle parole.

Tra le numerose figure retoriche di significato, quelle più frequenti sono:

-          La similitudine: indica un rapporto di somiglianza tra due elementi o azioni o situazioni e serve a dare maggiore evidenza all’immagine (e caddi come corpo morto cade - Dante). Nella similitudine non sempre troviamo esclusivamente l’avverbio “come”, talvolta essa è introdotta anche da aggettivi o verbi: tale, quale, simile a; oppure: parere, sembrare, assomigliare (Qual masso che dal vertice… - Manzoni).

-          L’antitesi: si ha quando due elementi, azioni, situazioni vengono messi in rapporto per farne risaltare il contrasto (Nel tuo giro inquieto ormai lo stesso/ sapore han miele e assenzio - Montale: miele= dolce; assenzio= amaro).

-          L’ossimoro: somiglia all’antitesi, ma ha significato di contrasto più forte ed evidente (di questo, sono certo: io/ son giunto alla disperazione/ calma, senza sgomento - Caproni).

-          La metafora: si ha quando, sovrapponendo i campi di significato di due termini appartenenti a due campi associativi diversi (bambino-fiore), si ripropone un elemento di significato comune ai due campi (freschezza-purezza-delicatezza…) e attraverso questo si sostituisce un termine all’altro. L’elemento di significato comune viene a definire il campo metaforico. Più semplicemente, ogni volta che si può omettere il come in una similitudine otteniamo una metafora (invece di dire: “quel bambino è come un fiore”, possiamo dire più poeticamente: “bambino fiore delicato”, ecc.). ci sono metafore definite a “cometa” perché sono costituite da una serie di germinazioni metaforiche come una lunga coda luminosa di metafore concatenate, continue, contigue. Un esempio è la fluviale poesia nerudiana, con numerose metafore affioranti anche in pochi versi, ma anche la poesia lorchiana è fatta di numerose metafore dischiuse l’una dall’altra! Andando a ritroso nel tempo, possiamo fare riferimento ai poemi omerici, ai versi danteschi, ai poemi epico-cavallereschi del nostro Umanesimo e Rinascimento. In senso diacronico, abbiamo le poesie africane o quelle dell’area balcanica e russa.

-          La metonimia: indica anch’essa uno spostamento di significato, ma in maniera diversa dalla metafora: si ottiene quando l’associazione dei due termini avviene per vicinanza o contiguità. Più semplicemente, può indicare l’effetto per la causa o viceversa (“tuono”: effetto, per “fulmine”: causa); la materia per l’oggetto (quel “legno” navigava, invece di: quella “barca” navigava), l’astratto per il concreto o viceversa (“ulivo”: concreto, al posto di “pace”: astratto), e così via.

-          La sineddoche è una variante della metonimia: indica sempre un rapporto di vicinanza tra i due termini messi in relazione, ma delimitando la parte per il tutto (“uomo” per “umanità”; “pupille” per “occhi”, ecc.).

-          La sinestesia: vengono associate parole, il cui significato si riferisce a sfere sensoriali diverse (la luce era gridata a perdifiato - bellissimo verso di Sinisgalli).

Le figure sintattiche si riferiscono, invece, all’ordine delle parole nel verso o nella frase:

-          L’anafora: ripetizione di una parola che occupa il posto iniziale in un verso e nelle strofe o nei versi successivi (Sei nella terra fredda/ sei nella terra negra… - Carducci).

-          Il parallelismo è simile all’anafora. Si riconosce dall’uguale disposizione delle parole in uno o più versi successivi al primo (Il mare è tutto azzurro/ il mare è tutto calmo - S. Penna, ossia soggetto, verbo e complemento predicativo del soggetto).

-          Il chiasmo: è il contrario del parallelismo perché dispone le parole in maniera speculare (Io solo combatterò, procomberò sol io - Leopardi. Costruzione esattamente inversa).

-          L’anastrofe o inversione somiglia al chiasmo. Se ne discosta perché sono tutte le parole che nel verso cambiano di posizione: invece del soggetto, predicato, complemento o complementi si ha prima il complemento, il verbo, il soggetto (è una figura retorica che io uso molto). Esempio: Sempre caro mi fu quest’ermo colle di Leopardi.

-          La numerazione con l’asindeto (senza la congiunzione “e”) o con il polisindeto (con la reiterazione della “e”).

-          L’ellissi: omissione di uno o più elementi: spesso è il verbo ad essere omesso oppure il soggetto (purché s’intuisca nel corso della poesia o di un testo qualsiasi).

-          Lo zeugma: si ha quando un solo verbo è riferito ad elementi diversi (Parlare e lacrimar vedrai insieme - Dante. È chiaro che si può veder lacrimare, ma non parlare: è, dunque, omesso il verbo “udrai”!).

Le figure retoriche di suono hanno funzione intensamente espressiva. La scelta dei suoni in poesia non è mai casuale: tra significato e significante, infatti, per via dei suoni si vengono a configurare anche sensi diversi e si possono creare infinite corrispondenze. Di qui l’importanza del ritmo e del timbro.

Tra le figure di suono più frequenti abbiamo:

-          L’allitterazione: la ripetizione di suoni uguali per produrre un particolare effetto acustico, sia all’inizio di parola sia al suo interno (Il pietoso pastor pianse il suo pianto - Tasso).

-          La paronomasia: si ha quando la ripetizione di suono avviene in parole simili tra loro, ma con significati diversi (“vuoti” e “voti”).

-          La figura etimologica si ha quando la somiglianza dei suoni è dovuta ad una stessa radice lessicale: “selva selvaggia” di dantesca memoria.

-          Suoni onomatopeici o fonosimbolici: hanno la funzione di riprodurre un verso di animali, un rumore particolare o naturale, che possono diventare simbolo di qualcos’altro (C’è un lieve gre egre di raganelle - Pascoli; Clof, clop, cloch,/ cloffete,/ cloppete,/ clocchete,/ chchch… - Aldo Palazzeschi). Gli effetti fonosimbolici creano, per chi legge o ascolta una poesia che li contiene, suggestioni molto forti che rendono l’atmosfera poetica più significativa e nello stesso tempo più reale e concreta nella sua relazione semantica.

E siccome è un argomento di sicuro “palloso”, che tra l’altro conosciamo a memoria, oggi mi fermo qui, anche se è mia intenzione togliere ancora un po’ di polvere a vecchi apprendimenti della Scuola Superiore. Secondo me, potrebbero servirci “scodellati” belli e pronti. Voi che ne dite? Li salto? Li aggiungo? Sono utili? Inutili? Annoiano e basta? Lungi da me sentirmi colpevole di tanta tortura… Ditemi con molta franchezza e tranquillità se vale la pena o meno ed io “Obbedisco!” Angela

 

1 commento:

  1. Carissima Angela, io mi ritengo fortunata quando tra una cosa e l'altra riesco a leggere una tua pagina qui, sul tuo blog. Oggi la tua pagina non è solo "dilettevole" ma è una vera e ricca lezione universitaria. IL VERSO, IL TEMPO, LA METRICA, le figure sintattiche e retoriche, l'importanza delle parole spesso inafferabili, insomma hai dato a tutti noi che scriviamo una spinta verso una poesia che sia frutto del cuore ma anche di tutti quegli elementi indispensabili a "costruire" la struttura dei versi. E tanto ci basti in un mondo che si riempie di poeti (o presunti tali) con una serietà clownesca, dimenticando che la semplicità e la forza emotiva di un verso possa dar vita ad un capolavoro, uno dei tanti della grande poesia italiana o straniera. Grazie Angela

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