E oggi mi va di parlare di Arte e del Talento che fa di un uomo un Artista… Di un libro.
MENTA, MARMO E MITO è un
libro particolarissimo che si nutre immediatamente, già dal titolo, di una
figura retorica ricorrente in chi vuole dare ritmo e forza e incisività al
contenuto di un verso o di una frase: l’allitterazione che, a mio parere, in
questo caso, ingloba anche Max, il nome del nostro Autore, perché è un tutt’uno
con la sua opera e con sé stesso. Con il suo scalpello e martello, la sua
audacia cadenzata e incrollabile, il suo talento puro che ha inciso il suo nome
a caratteri cubitali sulle pietre antiche del suo antico paese. Ruvo di Puglia.
Erri De Luca nel
suo Commento lo afferma con il suo inconfondibile stile:
Ora la statua del colosso è pronta. Lo
scultore ha completato la sua traduzione di un’idea in forma conclusa..
Penso al blocco staccato da una cava,
ai frammenti della lavorazione, agli anni necessari a martellare.
La loro somma non copre il risultato
dell’opera maestra.
Essa appartiene alla creazione,
prodigio che infervora l’artefice.
Ma c’è di più. Come opportunamente scrive Enrica Simonetti nella sua Prefazione:
In queste pagine c’è l’inizio e
l’epilogo di una storia che andava raccontata, perché in questi tempi labili si
rischia di perdere il senso delle cose. (…). Il tormento benefico della ricerca e della curiosità sono la
scenografia naturale di questa vita d’artista che sembra avere nella creazione
dei versi, degli scritti e delle emozioni il suo naturale sviluppo. Ma è
soprattutto nel gigante che il sogno e l’inquietudine trovano uno sbocco
sincero. In quel marmo c’è l’idea della perseveranza, l’attaccamento alla
Storia e alle radici, il senso della sfida e della meta.
E, infine, la stessa tensione artistica, volta ad affermare la
“sacralità” dell’opera d’arte nel “sacrificio” dell’artista, la troviamo nella
imperdibile Introduzione di Alberto
D’Atanasio, che fa risalire allo stesso etimo, appunto, “sacralità” e
“sacrificio”, per riproporre l’unità artista-opera d’arte attraverso l’impegno
disumano del primo nei riguardi della seconda. E tutto diventa “divino” e
“immortale”.
Max Di Gioia trae
dalle sue origini il senso antico della storia di Talos per riportarla intatta
ai nostri giorni nel luogo incontaminato delle proprie radici: metafora e
simbolo del perdersi in confini illimitati della Storia dell’umanità per
ritrovarsi nella propria terra dove ogni colpo di martello e scalpello è sangue
che zampilla e si fa preghiera del proprio tempo e del proprio spazio vitale.
Non a caso, la sua storia comincia dalle “pietre” e dai suoi “genitori
prematuri” che quelle pietre calpestarono per donarsi all’amore incontaminato
degli ardori giovanili.
Ma quelle pietre hanno continuato ad essere presenti fino ai
nostri giorni nelle parole, intrise di lavoro e di saggezza, del nonno, scampato alla guerra e a molti nemici, oltre la
stessa guerra; nella fatica velata
di polvere e sudore di suo padre capomastro, come tanti a Ruvo di Puglia, il
suo magico paese che ha fatto della pietra una continua opera d’arte, tra
ammirazione e paura. Non sempre, infatti, la pietra è docile alla mano, spesso
si ribella e ferisce. Ma sempre vincono l’intelligenza umana, la forza, la
perseveranza, la genialità.
Max, seguendo gli insegnamenti del mitico nonno, così scrive:
Così cominciai ad elaborare una mia
teoria del segno, in forte contrasto con la carta: come accadeva in natura,
anche io amavo i contrasti. Il disegno si faceva sincero, preciso nelle
intenzioni, senza avere timore di sbagliare. La gomma per cancellare era
bandita. Se si notava qualcosa di errato o di sproporzionato, il consiglio o il
metodo per mettere a posto il disegno era quello di reinventare sul già fatto.
A costo di cambiare totalmente l’idea iniziale. Rielaborare, fantasticare
ancora, senza porsi limiti. Quindi, in qualsiasi tentativo proiettato al sacro
fare non esiste errore ma scoperta, esperienza, coscienza.
Da quel momento comincia per Di Gioia la lenta ma continua ricerca della Bellezza in tutte le sue
molteplici forme. Un percorso faticoso, snervante, testardo. E il talento
esplode in tutto lo scintillio del divino nell’umano o viceversa. I conti
tornano. Basta un enorme pezzo di marmo (tredici tonnellate di Massa Carrara
all’origine) a rivendicare Arte e Bellezza nell’immensa vertigine che dalla
terra s’innalza fino al cielo. Complice il Covid, primo e secondo round, colpo
su colpo il marmo si sfalda, si arrende all’Artista, al suo “cannibalismo”
feroce e voluttuoso, ai suoi scalpelli logorati e rimpiazzati dalla tenacia e
dall’arte dell’arrangiarsi. Si librano
su carta disegni, e nell’aria foglie di sfoglie di marmo amato e distrutto per
essere ricomposto nel suo significato più caro al suo cuore d’Artista: un dono
immortale alla sua terra che lui renderà immortale.
La nepitella selvatica segna l’odore di un capolavoro appena nato.
È quanto avverte Cosimo Damiano Damato
nel suo racconto-documento:
Nel suo Talos ritrovo l’uomo in fuga
dal castello delle donne-pipistrello felliniane di Andrea Pazienza. Ritrovo la
dignità e l’amore distratto delle lacrime della Reginella che cantava e
piangeva l’amante (…). Di Gioia ha miracolato il marmo puro di Carrara in carne
e seme bianco di vita.
Sono tutte parole, quelle da me riportate, che Mariella Medea Sivo, nella sua attenta,
dettagliata e dotta Postfazione, compendia sapientemente con:
In seguito, ho avuto modo di
incontrare personalmente Massimiliano, un prodigio della natura, capace di
produrre arte e metterla a disposizione di tutti, riconsegnando alla sua
comunità uno spazio, un tempo e un luogo nella storia. Uno di quegli uomini
osservando i quali recuperi l’orgoglio di appartenenza al genere umano.
Come non essere d’accordo? Mi preme soltanto concludere,
osservando il frutto della creatività del nostro Graphic Designer Editoriale, Nicola Piacente, che ha marmorizzato
ogni pagina, creando nuove suggestioni per questo capolavoro, che certamente
lascerà TRACCE indelebili nella storia di Ruvo facendosi Storia dell’intera
umanità passata, presente, futura.
È il Mito che riprende le ali e vola dove è possibile incontrare
l’Infinito…
E stasera questo capolavoro sarà presentato nella Sala conferenze
di Palazzo Caputi, a Ruvo di Puglia alle ore 19. Ci saranno ottimi relatori:
Enrica Simonetti, Cosimo Damiano Damato, Mariella Medea Sivo, coordinati da
Raffaella Leone, Pr. della SECOP
edizioni. Un appuntamento imperdibile per chi è di Ruvo o paesi
viciniori.
Mi piace concludere con alcuni versi
di Max Di Gioia intitolati “SILENZIO ROTTO”:
Di tatto,
di mano e di scalpello.
Nuvole, polvere.
Come vetta appari.
Divino, ti tocco
Alla prossima per essere
ancora insieme. Angela
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