E oggi parliamo di felicità. È d’obbligo. Dal 20 marzo 2013 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato La Giornata Mondiale della Felicità, che si celebra ogni anno con tematiche diverse. Quest’anno il tema di fondo è: il prenderci cura gli uni degli altri per un duraturo ben-essere psico-fisico di tutti gli abitanti del nostro Pianeta. Ed io, ligia a questo mandato, mi sono premurata di scrivere un quasi saggio collettivo, intitolato La coccinella dalle sette punte, sulla possibilità di essere felice, soprattutto con gli altri. La pubblicazione era prevista per oggi appunto, ma non si è fatto in tempo. Vedrà la luce, spero, fra qualche settimana? Per Pasqua forse. E incrocio le dita. Intanto, ritengo sia bello anticiparvi la Premessa, che è già qualcosa:
<Questo saggio/non saggio potrebbe definirsi
forse un libro antologico, insolito perché tende ad abbinare gli scritti e i
testi di grandi studiosi (filosofi, scrittori, poeti, scienziati, giornalisti, artisti,
cantautori di chiara fama…) con quelli di tanti altri a me più vicini, più a
portata di mano, i miei di casa (figli, nipoti, ecc.), amici di cordata, sodali
della parola poetica e non, che vanno sempre più utilizzando i social e i nuovi
mezzi di comunicazione per contaminare idee e forse per trovare una
collocazione nel mondo culturale contemporaneo, dando una sbirciatina al futuro
(o a tutti i futuri possibili, immaginati da ciascuno di noi in forme
sicuramente diverse), che ben presto si farà presente e disegnerà il profilo di
un mondo nuovo (o di altri mondi nuovi), nella speranza che possa essere
migliore (o possano essere migliori) di quello che stiamo vivendo e, purtroppo,
lasciando in eredità alle nuove generazioni.
Non è un momento storico felice, per
cui anch’io parto, contro corrente, da una premessa negativa: la felicità non è…, con l’intimo
desiderio che qualcosa all’improvviso mi faccia cambiare idea e mi permetta di
guardare con maggiore ottimismo al mondo che verrà. E alla stessa felicità.
Quest’ultima, infatti, oggi come oggi,
secondo me, non è tante cose che poi
andrò ad enumerare e ad analizzare per
scoprire, via via, come potrebbe essere.
Non ho consigli sicuri, suggerimenti
certi, ricette tipo Pomì: “o Pomì o così”. Cioè senza alternative: comprare a
scatola chiusa senza discutere. Pena l’infelicità a vita.
Per parlare della Felicità, argomento
sempre più attuale ai nostri giorni, così difficili da vivere a livello
mondiale per le numerose ragioni che noi tutti conosciamo, ho cercato, prima di
sparare a zero sulla possibilità “che ci sia”, sul “forse” e sul “potrebbe”, di
informarmi attraverso i tanti libri che ne hanno parlato e che ancora ne
parlano quasi fosse un imperativo categorico di ciascun essere umano cercarla
quale unica via di uscita dal tunnel del Male o unica possibilità di
realizzarsi nella vita.
“…
E vissero tutti felici e contenti” come nelle fiabe.
Ma la vita, purtroppo, non è una
fiaba. Anche se, volendo o potendo, potremmo renderla magica. Con un po’ di
creatività, fantasia, immaginazione. Oggi, però, credo proprio che questi tre
salvifici ingredienti servano a ben poco con la minaccia sempre più vicina di
una distruttiva guerra nucleare appena fuori dalla nostra porta.
Ma intanto proliferano libri, saggi o
romanzi, sillogi poetiche, canzoni, film, persino opere d’arte, trasmissioni
televisive e opere teatrali che parlano di felicità: da cercare, perseguire, raggiungere.
I volumi sull’argomento sono davvero
tanti: da quelli più conosciuti a quelli più recenti e forse non ancora
scoperti e letti dai più. O almeno da me.
Penso, comunque, che dovrei partire
dal recentissimo libro del pluripremiato scrittore Marco Balzano perché definisce, in svariati modi, cosa ha scoperto
lui della felicità.
Ha pubblicato, infatti, con la
Feltrinelli Cosa c’entra la felicità -
una parola quattro storie, in cui descrive in terza persona, in una sorta
di introduzione, il suo libro:
Felicità
è una parola di cristallo, la più soggettiva del vocabolario. Cambia a seconda
dei valori, delle condizioni di salute, delle idee, della fede, dell’età, del
rapporto con il tempo e con la morte. Muta svariate volte nel corso della vita,
poiché a cambiare siamo prima di tutto noi con il nostro orizzonte di
desiderio. Definirla, quindi, non è impresa da poco, ma può rivelarsi
un’avventura avvincente. Il suo significato, infatti, apre mille strade e mille
orizzonti. Per me è uno stato di estasi, per te un momento di inconsapevolezza.
Il luogo dove si trasforma di più è proprio la lingua, con i suoi labirinti
etimologici perché le parole contengono immagini originarie, miniere di storie
e di misteri, che nei sotterranei della nostra mente agiscono e danno forma ai
pensieri e alle emozioni di ogni giorno. Marco Balzano varca la soglia della
felicità con le chiavi della lingua, o meglio di quattro. Sono quelle in cui la
civiltà occidentale affonda le sue radici: il greco e il latino della
tradizione classica, l’ebraico di quella giudaico-cristiana e infine l’inglese,
lingua universale del nostro tempo. In ognuno di questi idiomi la parola
felicità dischiude immagini e significati molto differenti che illuminano
valori etici e morali, questioni politiche, atteggiamenti psicologici e, più
genericamente, maniere di guardare alla vita e alla morte, al futuro e alla
memoria, agli altri e a noi stessi. L’etimologia restituisce alle parole la
loro complessità (…). Capire da dove vengono e come sono arrivate
a noi le parole ci mostra quanto influiscano sulla nostra vita e come ci
plasmino. Al punto da poterci indicare nuovi modi di essere felici. Nota n.
1
Nota n 1 (cfr. M. Balzano, Cosa c’entra la felicità - una parola
quattro storie, Feltrinelli, Milano 2022, p. 5)
Le sue parole meritano un saggio a
parte sulla felicità tanto sono ricche di molteplici rimandi, ma non posso fare
un saggio nel saggio. Sarebbe quantomeno inopportuno, per cui mi limito a dire:
le parole del bravissimo Balzano si
commentano da sole!
Ma molto significativi sono anche i
libri elencati da mondadoristore.it sulla felicità e i mille modi per sfiorarla
o raggiungerla o possederla: da Artur
Schopenhauer a Ken Mogi.
Alcuni li ho letti. Di altri mi sono
accontentata della sinossi anche perché io ho altre idee al riguardo, solo
alcune in parte combacianti.
Non a caso, il titolo che ho voluto
dare a questo mio saggio poco ortodosso e contro corrente, un po’ a “rovescio”
e ricco di dubbi e di incertezze è:
La coccinella dalle sette punte
per propiziarmi un po’ di fortuna, di
cui questo insetto così simpatico pare sia “portatore sano” nel corso della sua
lunga storia, passeggiando attraverso i secoli e a tutte le latitudini del
nostro pianeta.
Sì, perché ritengo che ci voglia anche
una buona dose di fortuna nella ricerca e scoperta di una probabile felicità. E
la coccinella è rossa, colore che di per sé porta allegria, inneggia alla
passione, mette fuoco nelle vene, fa pensare alla primavera quasi estate, alle
fragole e ai papaveri, alle albe nei prati e ai tramonti sul mare. In più, ha
quei puntini neri che fanno capriole nei nostri pensieri: più ne contiamo più
la fortuna è certa. Se ce ne sono 22, apoteosi vincente a supporto della
fortuna e della felicità, queste ultime sono assicurate almeno per tre
generazioni con il resto di uno (3 per 7=21 + 1= 22!). Non fa una grinza.
E vada, allora, per la coccinella,
pura metafora della Felicità. Purché le “punte” non siano spine, coltelli
affilati, rovi roventi. Sono, infatti, le coccinelle, feroci predatrici e
possono realmente tramutarsi in terribili nemici, cannibalizzare gli altri
insetti, persino della loro stessa specie, se dovessero sentirsi attaccate.
Anche per questo hanno diverse colorazioni e spesso, soprattutto d’inverno,
vivono in colonie per difendersi dal freddo o dalle scarse risorse per la loro
sopravvivenza. In questi casi, sono capaci di ricorrere anche a soluzioni
estreme, come “decidere di deporre uova sterili extra per assicurarsi cibo”
quando e dove scarseggia. Deliziose a vedersi, possono diventare “spietate e
infallibili predatrici”.
Eppure tutti amano le innocue (solo in
apparenza) coccinelle per la bellezza dei loro colori brillanti e perché considerate
“preziosi portafortuna”.
Io spero di mettercela tutta per
scongiurare ogni pericolo e salvaguardare la loro fama positiva, che offre
quantomeno allegria agli occhi e al cuore. Nota 2
Nota 2 (cfr. “10 curiosità sulle
coccinelle che forse non conosci”, articolo a cura di Salvatore Ferraro,
kodami.it)>
Ma ritengo opportuno offrire qualche
altro stralcio del libro per eventuali riflessioni e commenti, sempre graditi e
di cui faccio sempre tesoro. Purtroppo, non sempre sono solerte nel rispondere
a tutti, mio malgrado, ma le giornate sono ahimè di ventiquattro ore e, pur
dormendo pochissime ore per notte e scrivendo anche di notte, non mi bastano a
soddisfare il mio desiderio di ringraziarvi, uno per uno, come meritate. Potrebbe
essere anche questo ringraziamento “ad personam” un motivo di felicità? Forse.
Potrebbe:
<Prima
parte:
la
felicità non è…
un
fine:
Ne L’arte
di essere felici, Arthur
Schopenhauer, vissuto nella prima metà dell’Ottocento e definito “filosofo
del dolore”, partendo dal principio fondamentale della vita, elaborato in tutte
le sue opere, riguardante “il dolore universale o cosmico” espone il concetto
sulla felicità in ben 50 massime, che dovremmo leggere e rileggere di tanto in
tanto per trovare forse il bandolo della intricatissima e intrigantissima
matassa.
Intanto, nel libro, egli afferma: la felicità e i piaceri sono soltanto
chimere che un’illusione ci mostra in lontananza, mentre la sofferenza e il
dolore sono reali e si annunciano immediatamente da sé, senza bisogno
dell’illusione e dell’attesa. 1. nota
1.
nota (cfr. A. Schopenhauer, L’arte di essere felici, Adelphi,
Milano 1997, p. 14)
Con chiara lucidità e stretto rigore
logico a lui consueti, Schopenhauer afferma che la felicità significa imparare
a vivere con la minore infelicità possibile, cioè “vivere passabilmente”
accontentandosi di un possibile piacere interiore, intimo, personale che si può
provare nella scoperta di sé.
Estrapolo, in estrema sintesi, qualche
regola fondamentale:
“evitare
l’invidia”, perché è una delle principali cause di infelicità per l’uomo;
“evitare
di tendere al risultato”, mentre è importante il percorso o processo per
realizzare qualcosa a cui teniamo molto;
“contagiare
allegria”, ma controllare anche la smodata fantasia per conservare un sano
realismo sulle aspettative;
“valorizzare
quello che si ha”;
“evitare
l’infelicità” in ogni modo lecito;
“prendersi
cura della propria salute” per poter aiutare gli altri;
“evitare
le situazioni spiacevoli” dovute ai nostri errori;
“evitare
il piacere personale” nel prendersi cura degli altri e magari sentirsi
felici esclusivamente ed egoisticamente per questo.
Ci
è lecito cercare la felicità solo eticamente, per poter essere in grado,
fattivamente, di procurarla agli altri…
Ritengo che in queste massime
Schopenhauer ci abbia dato una grande lezione per superare in qualche modo il
dolore e giustificare la ricerca della felicità con il bene che si può fare
agli altri, migliorandoli mentre ci si migliora.
In pratica, l’infelicità e la
solitudine si vincono con l’Amore che possiamo provare per la natura, il
“paesaggio” dentro e fuori di noi, per ogni creatura vivente, per i nostri
simili, nella necessaria comprensione del proprio mondo interiore.
Dunque, l’Amore. L’Amore alla base
della ricerca della felicità>.
Ma proviamo a vedere cosa succede
nella parte seconda, dove si apre uno spiraglio di luce sul “potrebbe” della
felicità:
<Seconda
parte: la felicità potrebbe…
1.
Essere un Viaggio dentro e fuori di noi:
nei ricordi, nella memoria, nella storia,
nella parola…
Tutta la nostra vita altro non è che
un Viaggio tra due punti essenziali: la culla e l’urna. Un viaggio di sola
andata, che ha percorsi diversi per ciascun uomo.
Ma è bene partire dall’alba per giungere
al tramonto, e poi la sera, la notte. E dopo?
Ecco cosa scrive al riguardo, con una
scrittura altamente poetica e filosofica, William Golding, premio Nobel
per la Letteratura nel 1983:
La
prima cosa a cui ci abituarono gli antenati fu il ritmo del lento passaggio
dall’alba al rapido crepuscolo.
Accettavano
i piaceri del mattino, il bel sole, il palpito del mare, l’aria dolce, come il
tempo adatto per giocare, un tempo in cui la vita era così piena che si poteva
fare a meno della speranza. 1.
nota
1 nota (cfr. W. Golding, L’oscuro visibile, Ebook,
Mondadori-Oscar moderni, 1979)
Stupenda affermazione che mi spinge ad
una riflessione “a latere” non del tutto fuori luogo per via della speranza che
era insita nella stessa alba, e i nostri progenitori non dovevano attenderla o
proiettarsi nel futuro per afferrarla.
Bacia l’alba che soavemente geme
le lievi onde che solleva giocando;
il sole bacia la nuvola del tramonto
e di porpora e oro le colora;
la fiamma che il
tronco ardente avvolge
per baciare un’altra fiamma si sposta
e persino il salice piegandosi per il suo peso
sul fiume che lo bacia
il bacio ricambia.
(Gustavo Adolfo
Bécquer)
Meravigliosa poesia di un altrettanto
meraviglioso poeta spagnolo del 1800 che descrive in maniera mirabile il
passare fulmineo del tempo e delle stagioni della vita senza avere, spesso, la
possibilità di godere di tutta la bellezza che la natura offre al nostro
sguardo da quando il pianeta Terra conta le sue origini. Allora diventa facile
chiedersi:
Come coltivavano i nostri progenitori
la speranza nella “non conoscenza”?
E come possiamo coltivarla noi oggi,
visto che da tanto ormai, e soprattutto ai nostri giorni, abbiamo sollevato il
“velo di Maya” e c’è sovrabbondanza di sapere, avendo anche sdoganato le
tantissime esternazioni dei frequentatori seriali dei social?
Intanto, penso che, facendo
riferimento al velo di Maya, sia opportuno richiamare alla memoria il nostro
buon Schopenhauer, che ce ne ha parlato nelle sue tante opere sulla sofferenza
esistenziale e il suo possibile superamento, indicando, per nostra fortuna, le
tre vie della redenzione dell’uomo, sempre “oscillante” tra la noia e il
dolore. E sono: l’Arte, la Pietà e l’Ascesi.
Nota n.2
Nota n. 2 (cfr. A. Schopenhauer, La saggezza della vita. Gherardo Casini
editore, laFeltrinelli, Milano 2010)
Ritengo che, purtroppo, siano tre
soluzioni poco praticabili o realizzabili ai nostri giorni, in cui regna
sovrano il culto del brutto, della volgarità e della violenza; la paura della
guerra nucleare; il bisogno di immergersi tra la folla ritrovata quasi che il
Covid 19 sia un lontano ricordo e non una minaccia sempre incombente, date le
sue continue mutazioni.
Ma desidero cercare e trovare un
valido appiglio di speranza soprattutto facendo riferimento alla Generazione Z di fine millennio e
inizio nuovo millennio. Generazione, che è padrona della tecnologia digitale e
ha nuove modalità di approccio al mondo virtuale e reale, più consapevole e
responsabile dei pro e dei contro dei nuovi sofisticatissimi strumenti di
informazione e comunicazione a livello planetario e interplanetario.
Oppure ai Ragazzi “Indaco” e “Cristallo”, che lasciano ben sperare in una
nuova spiritualità, fatta di riscoperta del Cristianesimo e di un nuovo
Umanesimo.
Sono, tra l’altro, anche ragazzi
dotati di straordinaria memoria, chiaroveggenza, sensibilità artistica,
attitudini paranormali, sensitività, telepatia, talento nelle sue molteplici
applicazioni. E di AMORE nel sommo grado
del PERDONO. Nota n. 3
Nota n. 3 (cfr. Generazione Z,
Wikipedia, w https://it.m.wikipedia.org>wiki>)
Saranno questi nuovi nati tra i due
millenni a favorire un cambiamento di rotta a livello mondiale e a scongiurare
le guerre in atto e la distruzione del nostro pianeta?
Io spero nelle loro “ribellioni” positive
e propositive e spero anche nelle loro parole nuove, in prosa e in versi, a
tenerci compagnia durante il viaggio dell’anima in cerca di possibili rive di
felicità.
Occorre munirsi di ricordi. Approdare
all’infanzia del mondo, alla nostra infanzia, a quella dei nuovi nati per
scoprire quanto diverso sia stato e sia il modo di essere bambini nello
scorrere del tempo.
Ai primordi dell’umanità era appunto
la “non conoscenza” a colmare gli occhi di “curiosità” per scoprire il mondo e
farselo amico, in mezzo a enormi difficoltà di “adattamento reattivo” alla ostile
realtà circostante.
La nostra infanzia, invece, ha avuto sapore di grandi
scoperte e di enormi perdite di riferimenti valoriali da recuperare.
Oggi c’è tanta conoscenza e tanta realtà virtuale da
confrontare con quella reale sempre più filtrata, spesso negativamente, dai
nuovissimi strumenti di informazione e comunicazione anche a livello digitale.
Rimane la fiducia nei nuovi bambini e nella
possibilità di una rinata Umanità, attraverso appunto un nuovo Umanesimo. Nuove
possibilità di felicità? Forse.
Ma la fiducia è indispensabile, se vogliamo ogni
giorno guardare il mondo con occhi nuovi e imparare nuove cose. Magari partendo
dal punto 0.
È dal punto 0
che abbiamo cominciato ad aver paura?
Dal sentirci improvvisamente scaraventati, come già
ipotizzato, nella immensità del mistero della vita? Eppure il punto 0 potrebbe
essere altro…>
E il saggio si dipana lungo un percorso
di ricerca per scoprire tutte le possibilità che potremmo avere per sfiorare la
felicità o raggiungerla almeno per pochi attimi o per tutta la vita. Impresa non
facile. Per questo mi avvalgo della collaborazione di molti amici, parenti,
lettori. Credo che sia venuto fuori un mosaico interessante. Un puzzle, in cui
tutte le tessere si vanno ad incastonare per avere un quadro d’insieme
abbastanza rassicurante per poter sperare di afferrare un pizzico di felicità,
quanto basta (q.b.) per non sentirci mai soli in questa traversata che
chiamiamo vita.
A presto, dunque, con l’AUGURIO che
tutti INSIEME si possa provare, nonostante tutto, ad essere FELICI! Alla prossima.
Angela
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