In
realtà, in passato l’11 febbraio si festeggiavano i Patti Lateranensi,
concordati tra il Regno d’Italia (con il re Vittorio Emanuele III) e la Santa
Sede (con Papa Pio XI) per risolvere l’annosa “questione romana” con la
Conciliazione tra i due Stati Sovrani e la nascita della Città del Vaticano
(Palazzo del Laterano, Roma). Nel 1936 fu costruita la via della Conciliazione,
che collega Castel Sant’Angelo alla Basilica di San Pietro e che venne completata
per il Giubileo del 1950. Era una festa civile con chiusura delle scuole, ma
dal 1985, con la revisione del 1984 del Concordato, non fu più contemplata la
chiusura della scuola. Ma questa è una notazione “a latere” per “rimediare” al
fatto di non essere riuscita ieri a completare il lavoro sulla Giornata Del
Ricordo, istituita in Italia il 20 marzo del 2004, per ricordare le vittime
delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata.
E
sono letteralmente commossa nel fare testimonianza con delle “voci” a me care
che hanno vissuto sulla propria pelle quelle esperienze devastanti, ma anche
fortificanti, e decisamente autentiche, e perciò più credibili della stessa “verità
storica”, che non è mai “vera” perché inficiata dall’essere spesso “di parte”,
dal sapere a priori che le testimonianza saranno presto divorate da utenti di
testate giornalistiche o di trasmissioni televisive, il più delle volte, per
non dire sempre, “confezionate ad hoc”. Io, invece, parlo di Tea Dalmas, Nico
Mori, Manuela Mori, loro amatissima figlia, che non avevano certamente
intenzione di pubblicare alcunché fino a quando, parlandone in una nostra
serata conviviale tra vecchi amici, non è venuta fuori l’esigenza di fare
testimonianza diretta di quanto realmente accaduto in quei tragici anni,
attraverso il diario scritto dalla nonna di Tea. Ne è venuta fuori “a
posteriori” una pubblicazione, sollecitata dalla Casa editrice SECOP e subito
accolta con entusiasmo dai diretti interessati, con il titolo alquanto
sibillino di Puse. Ma lascio la parola a Tea, Nico e Manuela:
LETTERA
DELL’AUTRICE
Miei
cari,
Ho
custodito gelosamente questo diario scritto per mia madre e affidatomi dalla
nonna Vinka, con l’intento, un giorno, di tradurlo in italiano, perché ne
restasse memoria nella nostra famiglia. Ora il proposito è diventato realtà,
grazie anche al grande aiuto di Nico e Manuela: Nico ha saputo trasformare la
mia traduzione “letterale” in un testo più “letterario”, vivo, conservando ed
esaltando l’ironia e la curiosità intellettuale che animavano lo scritto e le
parole della nonna e tracciando utili riferimenti storici. Manuela è stata
impagabile per il lavoro al pc, la correzione delle bozze e l’impaginazione. Man
mano che traducevo, mi tornavano alla mente i tanti pomeriggi d’estate a
Spalato, a casa della nonna Vinka, dove trascorrevamo le vacanze estive. Seduta
sulla sua poltrona a dondolo, sul balcone, all’ombra dei rami di un grande fico
mi raccontava della nostra famiglia, degli zii Ivo e Braco e dei nostri
antenati. In questo diario sono citate delle persone che ho conosciuto da
piccola, per cui tutto quanto scritto dalla nonna mi è ancor più familiare. Aver
tradotto questo diario è stato per me un atto d’amore verso la nonna, i miei
genitori, mio fratello, i nostri figli. Per questo vorrei che i ragazzi avessero
questo ricordo della “none Puse” e del meraviglioso nonno Franco, che non hanno
conosciuto, il mio amato “papacci”, come lo chiamavo da piccola. Traducendo e
rileggendo questa storia, più di una volta i miei occhi si sono inondati di
lacrime… ma non di dolore, piuttosto di tenerezza e nostalgia. Spero che questo
scritto abbia anche per voi un grande valore sentimentale, come lo ha per me. Vi
voglio bene
Tea
Solo alcuni stralci della mia prefazione al libro
per dare importanti ragguagli esplicativi: <Puse è innanzitutto un
atto d’amore di Tea Dalmas nei riguardi di sua madre Jelka, chiamata Puse, e di
sua nonna Vinka Šperac Bulić, giornalista e femminista ante litteram nei primi
anni del Novecento in quella terra mittleuropea tra Italia, Croazia e Dalmazia,
che ha, nella storia di questa famiglia, come fulcro Spalato. (…). Si
tratta, infatti, della pubblicazione del diario, che sua nonna aveva scritto
dalla nascita della terzogenita, avvenuta nel febbraio del 1919, dopo parecchi
anni da quella dei primi due figli, al 1953, anno in cui con una lettera
accorata Vinka, dopo circa dieci anni di silenzio per aver chiuso il diario con
le nozze della sua amatissima Puse, lo riprende per cercare col suo amore e la
sua tenerezza materna di consolarla per la morte prematura dell’adorato marito
Franco, stroncato da una grave malattia cardiaca. Tea Dalmas ha conservato
gelosamente per decenni il diario ereditato da sua nonna per poterlo un giorno
tradurre, come poi coraggiosamente ha fatto, e lasciarlo in dono ai suoi
familiari. (…). Ma Puse è anche la
straordinaria testimonianza di uno spaccato di vita che coinvolge sì due donne,
madre e figlia, quindi due generazioni a confronto, ma anche un intero popolo,
anzi più popoli con la loro tormentata storia che riguarda ideali di libertà e
soprattutto di rivendicazione d’appartenenza ad un ceppo storico-culturale
piuttosto che ad un altro; ideali e rivendicazioni, che fecero di quegli anni e
di quei territori veri e propri campi di battaglie, acerbe e devastanti, a volte anche cruente o di forte tensione
propagandistica e sociale, senza ottenere reali soluzioni di giustizia e
di equilibrio tra le sacrosante aspirazioni indipendentistiche, talvolta anche
romantiche, dettate, anche in quelle terre, dagli “eroici furori” di tutto
l’Ottocento e la prima metà del Novecento (vedi l’impresa di D’Annunzio a Fiume
o a Zara), e la concreta vita quotidiana della gente comune e dei suoi
sacrifici per affrontare nuove e destabilizzanti situazioni familiari e
domiciliari come profughi o esiliati. (…). Sono,
intanto, questi gli anni dell’incontro di Puse, adolescente, con Franco Dalmas,
uno studente di Spalato, che diventerà suo sposo e che sarà il padre di Tea e
di suo fratello Rafo. Poi,
la frequenza dell’università con i lunghi soggiorni a Zagabria, Graz, Vienna,
dopo aver superato una temibile malattia, per quei tempi, il tifo. E, quindi,
le prime lettere (…): gli avvenimenti storici in tempi così travagliati
soprattutto per quei territori tra regni diversi che se li contendevano per
giungere ben presto ai prodromi del secondo terribile conflitto mondiale. Emblematiche sono le prime
due lettere che Puse scrive alla mamma da Vienna, dove sta imparando il
tedesco. È ormai fidanzata con Franco Dalmas, l’italiano, che però vive già a
Roma per avervi trovato lavoro.
È il momento della propaganda nazista e Vienna è in festa per
Hitler, che viene da tutti inneggiato come “liberatore”. Piangono e si
uccidono, invece, i poveri ebrei oppure cercano riparo in Ungheria. Già i
divieti nei loro riguardi s’infittiscono di ora in ora. Puse è disorientata e
attende notizie dalla mamma che, attraverso i giornali, è più informata di lei
che pure è testimone oculare di quanto avviene per le strade di Vienna.
Evidentemente la propaganda nazista è già dominante e i giornali faticano a
giungere per una informazione più corretta e obiettiva. Ritengo davvero
preziose queste prime due lettere perché ci danno notevoli spunti di
riflessione sulle grandi, inevitabili contraddizioni che regolano i destini
degli uomini, come appunto sosteneva Simone Weil: i tedeschi gioiscono e gli
ebrei piangono riguardo agli stessi eventi. O, anche, l’informazione dei
giornali diventa più importante della testimonianza diretta di chi vive in
prima persona gli accadimenti che fanno la storia, che non viene mai scritta
nella sua verità oggettiva. (…). Ma sono giorni cupi di
guerra e di paura. (…). tempi di
guerra, di fame, di autorizzazioni per ogni piccola cosa, che non era più un
privilegio ma necessità di sopravvivenza. E sempre più le vicende personali
s’intersecano con quelle civili e sociali, di popoli, che si esaltano o si
spaventano o non capiscono, e di capi che comandano a loro piacimento,
ignorando diritti, calpestando terre, violando ogni forma dell’umano nell’uomo.
Conosciamo le nefandezze di quell’immane sciagura che fu la seconda guerra
mondiale. Dolori, deportazioni, violenze, torture e sofferenze non furono
risparmiate neppure alle popolazioni slave, attraversate più di altri popoli da
tensioni, odi feroci e terribili espropri ed esecuzioni. Nel “Diario” di Vinka
e nelle lettere di Puse, leggiamo le vicende drammatiche della seconda guerra
mondiale, l’Asse Roma-Berlino, le leggi razziali e le loro terrificanti
conseguenze. La lotta partigiana. Spalato bombardata. L’armistizio e le
dimissioni di Mussolini, la fine della guerra. (…). Nel frattempo, la vita continua con nuovi posti di responsabilità e nuovi
problemi nella vita quotidiana… (…). E
Vinka chiude il suo “Diario” il 7 febbraio del 1945 (quando Puse è costretta a
lasciare la sua casa, la sua terra, tutti i suoi averi, per veleggiare con due
bambini e tanta disperazione verso Bari, dove prenderà dimora). Lo riprenderà
improvvisamente e brevemente otto anni dopo per la morte dell’amatissimo Franco
e per annotare la disperazione di Puse, sola con due bambini e... in terra
straniera. Estranea alle sue radici, ai suoi affetti, a sé stessa. Il “Diario”
si chiude con una poesia di Franco, scritta a sua moglie circa due anni prima
di lasciare per sempre i suoi cari, già da tempo malato e consapevole della
fine ormai prossima. E con un’ultima lettera di consolazione e d’amore di Vinka
a Puse, il 2 aprile 1953. Ma la storia di Puse continua per molti anni ancora.
La gòmena d’amore si è pian piano intrecciata ad altre due donne, Tea e
Manuela, che non hanno mai smesso di tenere in vita il ricordo luminoso di
Vinka Šperac Bulić e di sua figlia Elena, per tutti Puse. (…). È stata Manuela che, una mattina di marzo
del 1991, ha scoperto il volo di sua nonna verso il cielo, nonostante fosse
ancora “seduta in cucina davanti ad una tazzina di caffè, tra le dita una
sigaretta mai accesa...”. Di qui anche il suo sommesso, nostalgico, sussurrato
canto...>
Il mio primo
incontro con la Fine.
Le medicine, la
solitudine.
Una vita in
salita, ladra di sorrisi.
La canzone di
Natale, il pianoforte.
Il tè alla menta,
le sigarette.
Il nostro ultimo
capodanno insieme, solo tu ed io.
Il profumo di
lavanda.
Le carte, i
cruciverba, il corso d’inglese a 45 giri.
I libri gialli e
i film western.
L’italiano a modo
tuo.
Il tuo grande,
sfortunato amore.
Gli occhiali
rosa, e la tinta peldicarota al battesimo di mio fratello.
Il mare, i cani.
Il pesce rosso
nella vasca da bagno perché stesse più largo.
Tu seduta sul wc
a sferruzzare, che ridi mentre sguazzo nella vasca col pesce, vestita di sana
pianta.
Diciassette anni
dopo, è solo ieri.
Non ti ho mai
sognata, o almeno mai come avrei voluto.
Ti ritrovo nel
volto di mia madre, e in un rito tutto mio.
Quando ogni anno
torno dall’altra parte del mare, e davanti agli occhi, all’alba, eccoti.
Con immenso amore,
Manuela
<Dalle pagine del
“Diario” traspaiono tutte le problematiche di un secolo difficile, che nel
tempo si connoterà sempre più come secolo complesso, controverso,
rivoluzionario per la rivendicazione, via via, di tutti i diritti di chi fino a
qualche decennio fa non aveva avuto mai voce (donne, bambini, anziani, operai,
portatori di handicap...); secolo, dilaniato da due feroci guerre e magicamente
risorto per ritrovarsi ben presto in ben altra barbarie e con lo spauracchio di
una terza guerra mondiale, che si affaccia continuamente all’orizzonte della
storia di oggi. Ma il “Diario” si ferma a metà secolo, al periodo della fine
del conflitto e ai primi anni della ricostruzione. (…). Ma le parole di Vinka rimarranno indelebili a narrarci non solo di lei,
ma anche della sua gente che sempre ha lottato per la propria terra, e ha molto
sofferto, lacerata da contrastanti interessi politici, economici e sociali.
Gente che, in quegli stessi anni, ha perduto casa e identità, ma ha saputo e
voluto risorgere, come sempre avviene all’uomo che, come araba fenice, riesce e
riuscirà a rinascere sulle proprie ceneri, fino a quando “il sole splenderà
sulle sciagure umane”>. (a.d.l.)
La “Storia di Puse”, raccontata da sua madre
Vinka Šperac Bulić, si snoda all’interno di una famiglia borghese della
Mitteleuropa nel periodo compreso tra il 1919 e il 1953. Vinka proviene da una
famiglia di noti intellettuali della città di Solin. È un’autodidatta di
cultura enciclopedica, giornalista e femminista ante litteram, collaboratrice
del sacerdote archeologo don Frane Bulić (zio di suo marito) scopritore delle
rovine romane della città di Solin[1]
e curatore del Museo Archeologico di Spalato. Suo marito è Mate Bulić, “Bano”
di Spalato, una sorta di governatore amministrativo della provincia, totalmente
assorbito dal suo lavoro e raramente citato nel diario. Vinka ha partorito due
figli nel 1907 e 1908, a 23 e 24 anni e… quando resta incinta di Puse, che
nasce nel 1919, è stupita ed incredula che “una vigna secca”, come lei stessa
si definisce, all’età di 35 anni possa essere portatrice di vita e capace
ancora di generare una creatura. Stupore, incredulità e… consapevolezza di
essere madre in età adulta sono all’origine di questo diario, ma anche l’amore
per un pezzo di sé, che si distacca, vivrà e crescerà autonomamente nel tempo.
E, ancora, il bisogno di scoprire e raccontare, con tipica curiosità da
intellettuale, un rapporto madre-figlia che lei stessa all’inizio non conosce,
non sa come evolverà e che le si presenta come un affascinante viaggio nel
mistero dei sentimenti umani. Puse viene battezzata Jelka (Elena), ma per tutti
sarà sempre e soltanto Puse, un nomignolo che le viene dato, appena nata dalla
mamma. La “Storia di Puse” si incrocia anche con la tremenda storia dei popoli d’Europa
in quegli anni: alla sua nascita, nel 1919, Zara è nel territorio del regno di
Jugoslavia ma nel 1921, secondo gli accordi internazionali di Rapallo che
ratificano il trattato di pace di Versailles del 1920, la città viene assegnata
all’Italia e lei è già profuga con la sua famiglia, a due anni, verso Spalato,
in territorio croato. Poi… i giorni della fanciullezza, dell’adolescenza, dei
primi amori … Poi… l’avvento del nazismo vissuto in prima persona, da
studentessa, a Vienna… Poi… la seconda guerra mondiale, i bombardamenti, la
fame, gli stenti… Poi e comunque… essere giovani e voler vivere malgrado tutto,
in quei tempi di morte… Poi… ancora profuga a Bari… Poi…
In
questo diario spicca, tra l’altro, l’incredibile forza d’animo di due donne,
madre e figlia, Vinka e Puse: nessuna delle due vorrà raccontare all’altra i
propri momenti di vita vissuti nell’angoscia, nella disperazione e nel dolore. Nessuna
delle due vorrà raccontare all’altra … fino al momento delle verità… Finché
sarà possibile, Puse non dirà a sua madre degli anni dolorosi trascorsi in
Italia, dal 1945 al 1953, della malattia di suo marito, delle difficoltà
economiche patite da una famiglia che affrontava il difficile momento del
dopoguerra. Finché sarà possibile, Vinka non racconterà a sua figlia, se non
superficialmente e per cronaca, l’insopportabile violenza morale patita da una
persona come lei, di cuore e cultura, privata della propria casa, dei propri
oggetti, dei libri e costretta alla coabitazione con sconosciuti, a seguito
dell’avvento del regime comunista in Jugoslavia.
Nel
non scritto di questo diario, infine, spicca anche la forza, l’amore e la
determinazione di altre due donne, madre e figlia, Tea e Manuela. Tea ha
fortemente voluto che il manoscritto, affidatole dalla nonna, diventasse un
libro per la sua famiglia e, per tradurlo in italiano, ha studiato per anni il
croato che conosceva solo come lingua parlata. Manuela ha curato l’editing,
corretto le bozze, lavorato al pc, in un viaggio a ritroso nel tempo, alla scoperta
della sua “none Puse”. Nico Mori
Grazie, miei carissimi Tea, Nico, Manuela! Tutto il
resto è storia anche dei nostri giorni. Le sofferenze umane sono ancora oggi inenarrabili
in tutto il mondo, dove guerre conosciute o ignorate fanno strage di uomini,
animali, natura, bellezza, arte, civiltà. E i potenti, tronfi e appagati del
proprio potere, continuano imperterriti, con tracotanza, indifferenza,
insolenza, a ignorare, a invadere, calpestare i diritti di libertà di interi
popoli e di ciascuna Persona. A distruggere, insensatamente, l’umanità e il
nostro insanguinato Pianeta!
C’è ancora
tempo per la Speranza? Io non mi arrendo. Credo ancora nella capacità dell’essere
umano di sentire profondamente in sé il desiderio del Bene. Se abitiamo ancora
questa nostra Terra dopo millenni di lotte e di massacri, vuol dire che ogni
volta l’uomo sa risorgere dalle sue ceneri perché riscopre in sé i valori
kantiani, se non divini, incisi nel profondo della propria anima: Il cielo
stellato su di me, la legge morale dentro di me. E per oggi è tutto, cioè una frazione
infinitesimale del tutto. Ma forse può bastare per non dimenticare. Angela
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