sabato 11 febbraio 2023

Sabato 11 febbraio: alcune testimonianze su La Giornata del Ricordo per non dimenticare...

In realtà, in passato l’11 febbraio si festeggiavano i Patti Lateranensi, concordati tra il Regno d’Italia (con il re Vittorio Emanuele III) e la Santa Sede (con Papa Pio XI) per risolvere l’annosa “questione romana” con la Conciliazione tra i due Stati Sovrani e la nascita della Città del Vaticano (Palazzo del Laterano, Roma). Nel 1936 fu costruita la via della Conciliazione, che collega Castel Sant’Angelo alla Basilica di San Pietro e che venne completata per il Giubileo del 1950. Era una festa civile con chiusura delle scuole, ma dal 1985, con la revisione del 1984 del Concordato, non fu più contemplata la chiusura della scuola. Ma questa è una notazione “a latere” per “rimediare” al fatto di non essere riuscita ieri a completare il lavoro sulla Giornata Del Ricordo, istituita in Italia il 20 marzo del 2004, per ricordare le vittime delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata.

E sono letteralmente commossa nel fare testimonianza con delle “voci” a me care che hanno vissuto sulla propria pelle quelle esperienze devastanti, ma anche fortificanti, e decisamente autentiche, e perciò più credibili della stessa “verità storica”, che non è mai “vera” perché inficiata dall’essere spesso “di parte”, dal sapere a priori che le testimonianza saranno presto divorate da utenti di testate giornalistiche o di trasmissioni televisive, il più delle volte, per non dire sempre, “confezionate ad hoc”. Io, invece, parlo di Tea Dalmas, Nico Mori, Manuela Mori, loro amatissima figlia, che non avevano certamente intenzione di pubblicare alcunché fino a quando, parlandone in una nostra serata conviviale tra vecchi amici, non è venuta fuori l’esigenza di fare testimonianza diretta di quanto realmente accaduto in quei tragici anni, attraverso il diario scritto dalla nonna di Tea. Ne è venuta fuori “a posteriori” una pubblicazione, sollecitata dalla Casa editrice SECOP e subito accolta con entusiasmo dai diretti interessati, con il titolo alquanto sibillino di Puse. Ma lascio la parola a Tea, Nico e Manuela:  

LETTERA DELL’AUTRICE

Miei cari,

Ho custodito gelosamente questo diario scritto per mia madre e affidatomi dalla nonna Vinka, con l’intento, un giorno, di tradurlo in italiano, perché ne restasse memoria nella nostra famiglia. Ora il proposito è diventato realtà, grazie anche al grande aiuto di Nico e Manuela: Nico ha saputo trasformare la mia traduzione “letterale” in un testo più “letterario”, vivo, conservando ed esaltando l’ironia e la curiosità intellettuale che animavano lo scritto e le parole della nonna e tracciando utili riferimenti storici. Manuela è stata impagabile per il lavoro al pc, la correzione delle bozze e l’impaginazione. Man mano che traducevo, mi tornavano alla mente i tanti pomeriggi d’estate a Spalato, a casa della nonna Vinka, dove trascorrevamo le vacanze estive. Seduta sulla sua poltrona a dondolo, sul balcone, all’ombra dei rami di un grande fico mi raccontava della nostra famiglia, degli zii Ivo e Braco e dei nostri antenati. In questo diario sono citate delle persone che ho conosciuto da piccola, per cui tutto quanto scritto dalla nonna mi è ancor più familiare. Aver tradotto questo diario è stato per me un atto d’amore verso la nonna, i miei genitori, mio fratello, i nostri figli. Per questo vorrei che i ragazzi avessero questo ricordo della “none Puse” e del meraviglioso nonno Franco, che non hanno conosciuto, il mio amato “papacci”, come lo chiamavo da piccola. Traducendo e rileggendo questa storia, più di una volta i miei occhi si sono inondati di lacrime… ma non di dolore, piuttosto di tenerezza e nostalgia. Spero che questo scritto abbia anche per voi un grande valore sentimentale, come lo ha per me. Vi voglio bene

                                                       Tea

Solo alcuni stralci della mia prefazione al libro per dare importanti ragguagli esplicativi: <Puse è innanzitutto un atto d’amore di Tea Dalmas nei riguardi di sua madre Jelka, chiamata Puse, e di sua nonna Vinka Šperac Bulić, giornalista e femminista ante litteram nei primi anni del Novecento in quella terra mittleuropea tra Italia, Croazia e Dalmazia, che ha, nella storia di questa famiglia, come fulcro Spalato. (…). Si tratta, infatti, della pubblicazione del diario, che sua nonna aveva scritto dalla nascita della terzogenita, avvenuta nel febbraio del 1919, dopo parecchi anni da quella dei primi due figli, al 1953, anno in cui con una lettera accorata Vinka, dopo circa dieci anni di silenzio per aver chiuso il diario con le nozze della sua amatissima Puse, lo riprende per cercare col suo amore e la sua tenerezza materna di consolarla per la morte prematura dell’adorato marito Franco, stroncato da una grave malattia cardiaca. Tea Dalmas ha conservato gelosamente per decenni il diario ereditato da sua nonna per poterlo un giorno tradurre, come poi coraggiosamente ha fatto, e lasciarlo in dono ai suoi familiari. (…). Ma Puse è anche la straordinaria testimonianza di uno spaccato di vita che coinvolge sì due donne, madre e figlia, quindi due generazioni a confronto, ma anche un intero popolo, anzi più popoli con la loro tormentata storia che riguarda ideali di libertà e soprattutto di rivendicazione d’appartenenza ad un ceppo storico-culturale piuttosto che ad un altro; ideali e rivendicazioni, che fecero di quegli anni e di quei territori veri e propri campi di battaglie, acerbe e devastanti, a volte anche cruente o di forte tensione propagandistica e sociale, senza ottenere reali soluzioni di giustizia e di equilibrio tra le sacrosante aspirazioni indipendentistiche, talvolta anche romantiche, dettate, anche in quelle terre, dagli “eroici furori” di tutto l’Ottocento e la prima metà del Novecento (vedi l’impresa di D’Annunzio a Fiume o a Zara), e la concreta vita quotidiana della gente comune e dei suoi sacrifici per affrontare nuove e destabilizzanti situazioni familiari e domiciliari come profughi o esiliati. (…). Sono, intanto, questi gli anni dell’incontro di Puse, adolescente, con Franco Dalmas, uno studente di Spalato, che diventerà suo sposo e che sarà il padre di Tea e di suo fratello Rafo. Poi, la frequenza dell’università con i lunghi soggiorni a Zagabria, Graz, Vienna, dopo aver superato una temibile malattia, per quei tempi, il tifo. E, quindi, le prime lettere (…): gli avvenimenti storici in tempi così travagliati soprattutto per quei territori tra regni diversi che se li contendevano per giungere ben presto ai prodromi del secondo terribile conflitto mondiale. Emblematiche sono le prime due lettere che Puse scrive alla mamma da Vienna, dove sta imparando il tedesco. È ormai fidanzata con Franco Dalmas, l’italiano, che però vive già a Roma per avervi trovato lavoro. È il momento della propaganda nazista e Vienna è in festa per Hitler, che viene da tutti inneggiato come “liberatore”. Piangono e si uccidono, invece, i poveri ebrei oppure cercano riparo in Ungheria. Già i divieti nei loro riguardi s’infittiscono di ora in ora. Puse è disorientata e attende notizie dalla mamma che, attraverso i giornali, è più informata di lei che pure è testimone oculare di quanto avviene per le strade di Vienna. Evidentemente la propaganda nazista è già dominante e i giornali faticano a giungere per una informazione più corretta e obiettiva. Ritengo davvero preziose queste prime due lettere perché ci danno notevoli spunti di riflessione sulle grandi, inevitabili contraddizioni che regolano i destini degli uomini, come appunto sosteneva Simone Weil: i tedeschi gioiscono e gli ebrei piangono riguardo agli stessi eventi. O, anche, l’informazione dei giornali diventa più importante della testimonianza diretta di chi vive in prima persona gli accadimenti che fanno la storia, che non viene mai scritta nella sua verità oggettiva. (…). Ma sono giorni cupi di guerra e di paura. (…). tempi di guerra, di fame, di autorizzazioni per ogni piccola cosa, che non era più un privilegio ma necessità di sopravvivenza. E sempre più le vicende personali s’intersecano con quelle civili e sociali, di popoli, che si esaltano o si spaventano o non capiscono, e di capi che comandano a loro piacimento, ignorando diritti, calpestando terre, violando ogni forma dell’umano nell’uomo. Conosciamo le nefandezze di quell’immane sciagura che fu la seconda guerra mondiale. Dolori, deportazioni, violenze, torture e sofferenze non furono risparmiate neppure alle popolazioni slave, attraversate più di altri popoli da tensioni, odi feroci e terribili espropri ed esecuzioni. Nel “Diario” di Vinka e nelle lettere di Puse, leggiamo le vicende drammatiche della seconda guerra mondiale, l’Asse Roma-Berlino, le leggi razziali e le loro terrificanti conseguenze. La lotta partigiana. Spalato bombardata. L’armistizio e le dimissioni di Mussolini, la fine della guerra. (…). Nel frattempo, la vita continua con nuovi posti di responsabilità e nuovi problemi nella vita quotidiana… (…). E Vinka chiude il suo “Diario” il 7 febbraio del 1945 (quando Puse è costretta a lasciare la sua casa, la sua terra, tutti i suoi averi, per veleggiare con due bambini e tanta disperazione verso Bari, dove prenderà dimora). Lo riprenderà improvvisamente e brevemente otto anni dopo per la morte dell’amatissimo Franco e per annotare la disperazione di Puse, sola con due bambini e... in terra straniera. Estranea alle sue radici, ai suoi affetti, a sé stessa. Il “Diario” si chiude con una poesia di Franco, scritta a sua moglie circa due anni prima di lasciare per sempre i suoi cari, già da tempo malato e consapevole della fine ormai prossima. E con un’ultima lettera di consolazione e d’amore di Vinka a Puse, il 2 aprile 1953. Ma la storia di Puse continua per molti anni ancora. La gòmena d’amore si è pian piano intrecciata ad altre due donne, Tea e Manuela, che non hanno mai smesso di tenere in vita il ricordo luminoso di Vinka Šperac Bulić e di sua figlia Elena, per tutti Puse. (…). È stata Manuela che, una mattina di marzo del 1991, ha scoperto il volo di sua nonna verso il cielo, nonostante fosse ancora “seduta in cucina davanti ad una tazzina di caffè, tra le dita una sigaretta mai accesa...”. Di qui anche il suo sommesso, nostalgico, sussurrato canto...>

Il mio primo incontro con la Fine.

Le medicine, la solitudine.

Una vita in salita, ladra di sorrisi.

La canzone di Natale, il pianoforte.

Il tè alla menta, le sigarette.

Il nostro ultimo capodanno insieme, solo tu ed io.

Il profumo di lavanda.

Le carte, i cruciverba, il corso d’inglese a 45 giri.

I libri gialli e i film western.

L’italiano a modo tuo.

Il tuo grande, sfortunato amore.

Gli occhiali rosa, e la tinta peldicarota al battesimo di mio fratello.

Il mare, i cani.

Il pesce rosso nella vasca da bagno perché stesse più largo.

Tu seduta sul wc a sferruzzare, che ridi mentre sguazzo nella vasca col pesce, vestita di sana pianta.

 

Diciassette anni dopo, è solo ieri.

Non ti ho mai sognata, o almeno mai come avrei voluto.

Ti ritrovo nel volto di mia madre, e in un rito tutto mio.

Quando ogni anno torno dall’altra parte del mare, e davanti agli occhi, all’alba, eccoti.

                             Con immenso amore,

                                               Manuela             

<Dalle pagine del “Diario” traspaiono tutte le problematiche di un secolo difficile, che nel tempo si connoterà sempre più come secolo complesso, controverso, rivoluzionario per la rivendicazione, via via, di tutti i diritti di chi fino a qualche decennio fa non aveva avuto mai voce (donne, bambini, anziani, operai, portatori di handicap...); secolo, dilaniato da due feroci guerre e magicamente risorto per ritrovarsi ben presto in ben altra barbarie e con lo spauracchio di una terza guerra mondiale, che si affaccia continuamente all’orizzonte della storia di oggi. Ma il “Diario” si ferma a metà secolo, al periodo della fine del conflitto e ai primi anni della ricostruzione. (…). Ma le parole di Vinka rimarranno indelebili a narrarci non solo di lei, ma anche della sua gente che sempre ha lottato per la propria terra, e ha molto sofferto, lacerata da contrastanti interessi politici, economici e sociali. Gente che, in quegli stessi anni, ha perduto casa e identità, ma ha saputo e voluto risorgere, come sempre avviene all’uomo che, come araba fenice, riesce e riuscirà a rinascere sulle proprie ceneri, fino a quando “il sole splenderà sulle sciagure umane”>. (a.d.l.)

 La “Storia di Puse”, raccontata da sua madre Vinka Šperac Bulić, si snoda all’interno di una famiglia borghese della Mitteleuropa nel periodo compreso tra il 1919 e il 1953. Vinka proviene da una famiglia di noti intellettuali della città di Solin. È un’autodidatta di cultura enciclopedica, giornalista e femminista ante litteram, collaboratrice del sacerdote archeologo don Frane Bulić (zio di suo marito) scopritore delle rovine romane della città di Solin[1] e curatore del Museo Archeologico di Spalato. Suo marito è Mate Bulić, “Bano” di Spalato, una sorta di governatore amministrativo della provincia, totalmente assorbito dal suo lavoro e raramente citato nel diario. Vinka ha partorito due figli nel 1907 e 1908, a 23 e 24 anni e… quando resta incinta di Puse, che nasce nel 1919, è stupita ed incredula che “una vigna secca”, come lei stessa si definisce, all’età di 35 anni possa essere portatrice di vita e capace ancora di generare una creatura. Stupore, incredulità e… consapevolezza di essere madre in età adulta sono all’origine di questo diario, ma anche l’amore per un pezzo di sé, che si distacca, vivrà e crescerà autonomamente nel tempo. E, ancora, il bisogno di scoprire e raccontare, con tipica curiosità da intellettuale, un rapporto madre-figlia che lei stessa all’inizio non conosce, non sa come evolverà e che le si presenta come un affascinante viaggio nel mistero dei sentimenti umani. Puse viene battezzata Jelka (Elena), ma per tutti sarà sempre e soltanto Puse, un nomignolo che le viene dato, appena nata dalla mamma. La “Storia di Puse” si incrocia anche con la tremenda storia dei popoli d’Europa in quegli anni: alla sua nascita, nel 1919, Zara è nel territorio del regno di Jugoslavia ma nel 1921, secondo gli accordi internazionali di Rapallo che ratificano il trattato di pace di Versailles del 1920, la città viene assegnata all’Italia e lei è già profuga con la sua famiglia, a due anni, verso Spalato, in territorio croato. Poi… i giorni della fanciullezza, dell’adolescenza, dei primi amori … Poi… l’avvento del nazismo vissuto in prima persona, da studentessa, a Vienna… Poi… la seconda guerra mondiale, i bombardamenti, la fame, gli stenti… Poi e comunque… essere giovani e voler vivere malgrado tutto, in quei tempi di morte… Poi… ancora profuga a Bari… Poi…

In questo diario spicca, tra l’altro, l’incredibile forza d’animo di due donne, madre e figlia, Vinka e Puse: nessuna delle due vorrà raccontare all’altra i propri momenti di vita vissuti nell’angoscia, nella disperazione e nel dolore. Nessuna delle due vorrà raccontare all’altra … fino al momento delle verità… Finché sarà possibile, Puse non dirà a sua madre degli anni dolorosi trascorsi in Italia, dal 1945 al 1953, della malattia di suo marito, delle difficoltà economiche patite da una famiglia che affrontava il difficile momento del dopoguerra. Finché sarà possibile, Vinka non racconterà a sua figlia, se non superficialmente e per cronaca, l’insopportabile violenza morale patita da una persona come lei, di cuore e cultura, privata della propria casa, dei propri oggetti, dei libri e costretta alla coabitazione con sconosciuti, a seguito dell’avvento del regime comunista in Jugoslavia.

Nel non scritto di questo diario, infine, spicca anche la forza, l’amore e la determinazione di altre due donne, madre e figlia, Tea e Manuela. Tea ha fortemente voluto che il manoscritto, affidatole dalla nonna, diventasse un libro per la sua famiglia e, per tradurlo in italiano, ha studiato per anni il croato che conosceva solo come lingua parlata. Manuela ha curato l’editing, corretto le bozze, lavorato al pc, in un viaggio a ritroso nel tempo, alla scoperta della sua “none Puse”. Nico Mori

Grazie, miei carissimi Tea, Nico, Manuela! Tutto il resto è storia anche dei nostri giorni. Le sofferenze umane sono ancora oggi inenarrabili in tutto il mondo, dove guerre conosciute o ignorate fanno strage di uomini, animali, natura, bellezza, arte, civiltà. E i potenti, tronfi e appagati del proprio potere, continuano imperterriti, con tracotanza, indifferenza, insolenza, a ignorare, a invadere, calpestare i diritti di libertà di interi popoli e di ciascuna Persona. A distruggere, insensatamente, l’umanità e il nostro insanguinato Pianeta!

C’è ancora tempo per la Speranza? Io non mi arrendo. Credo ancora nella capacità dell’essere umano di sentire profondamente in sé il desiderio del Bene. Se abitiamo ancora questa nostra Terra dopo millenni di lotte e di massacri, vuol dire che ogni volta l’uomo sa risorgere dalle sue ceneri perché riscopre in sé i valori kantiani, se non divini, incisi nel profondo della propria anima: Il cielo stellato su di me, la legge morale dentro di me. E per oggi è tutto, cioè una frazione infinitesimale del tutto. Ma forse può bastare per non dimenticare. Angela



 

  

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